Diritto degli Appalti
IN CASO DI RESCISSIONE DELL’APPALTO DA PARTE DELLA P.A., IL GIUDICE DEVE VALUTARE IL RISPETTO DEI PRESUPPOSTI EX ARTT. 1218 E 1453 C.C.
In tema di rescissione del contratto di appalto, se è vero che l’accertamento da parte del giudice di merito dei presupposti stabiliti dalle norme amministrative per l’esercizio del diritto di autotutela della Pubblica Amministrazione è autonomo e non vincolato alle risultanze sulle quali l’Amministrazione si è basata per far valere il suo diritto potestativo, è pur vero che lo stesso deve essere compiuto in base alla disciplina privatistica degli artt. 1218 e 1453 c.c. Detta disciplina non consente al giudice di isolare singole condotte di una delle parti e di stabilire se ciascuna di esse soltanto costituisca motivo di inadempienza, ma impone al Giudice di procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe le parti, compiendo un’indagine globale e unitaria. La Cassazione ha inoltre ribadito che gli artt. 340, 341 e 345 della L. n. 2248/1865 si limitano ad attribuire alla Pubblica Amministrazione appaltante il potere di risolvere il contratto nei casi in cui, a suo discrezionale giudizio, ritenga che l’appaltatore sia inadempiente; ma il provvedimento di rescissione, adottato dalla stazione appaltante ai sensi del citato art. 340, non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c., poiché il potere autoritativo di cui si rende espressione il provvedimento di rescissione adottato dalla P.A. non è idoneo a incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale aventi consistenza di diritti soggettivi.
Vai all’ordinanza Corte di Cassazione, Sez. I, 19/03/2020 n. 7463
GLI EFFETTI SUL PROCESSO AMMINISTRATIVO DELL'INFORMATIVA EX ART. 243-BIS CODICE APPALTI
Il TAR Friuli Venezia
Vai alla sentenza TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I°, 26/11/2012 n. 431
LA CERTIFICAZIONE DEI CREDITI VERSO LA P.A.
Nella G.U. del 02/11/2012 n. 256 e' stato pubblicato il decreto con cui il Ministero dell'Economia e delle Finanze dispone che l'amministrazione o l'ente debitore certifichi che il credito e' ''certo, liquido ed esigibile'', ovvero ne rilevi l'insussistenza o l'inesigibilità, anche parziale, entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza (e non più, come previsto dal D.M. 22/05/2012, entro 60 giorni). L’art. 1, comma 1, lettera c) del D.M. stabilisce che per i crediti di importo superiore a 10.000 euro l’amministrazione debitrice proceda alla verifica di cui all’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973 e, qualora all’esito sia ravvisata l’inadempienza all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento, l’eventuale cessione del credito potrà essere effettuata per un importo limitato all’ammontare del credito certificato, al netto delle somme dovute e non versate. Qualora l’importo certificato sia parzialmente utilizzato dal creditore in compensazione con le somme dovute per cartelle di pagamento e atti di cui agli articoli 29 e 30 del D.L. n. 78/2010, l’importo del credito da utilizzare dovrà essere annotato sulla copia della certificazione rilasciata dall’agente della riscossione. Il credito residuo potrà essere utilizzato esclusivamente accompagnando alla copia della certificazione l’attestazione di avvenuta compensazione.
Nel caso in cui il creditore intenda cedere il credito certificato ad una banca o ad un intermediario finanziario, quest’ultimo procede, entro i tre giorni lavorativi successivi, mediante richiesta trasmessa all’amministrazione o ente debitore a mezzo PEC, alla verifica dell’esistenza e della validità di tale certificazione. Aggiungasi che l’art. 2 del D.M. 24/09/2012 prevede la facoltà, per l’impresa creditrice, di delegare una banca od un intermediario finanziario a gestire per proprio conto le attività connesse alla procedura di certificazione del credito, ivi compresa la presentazione dell’istanza di nomina del commissario ad acta.
Di particolare rilievo è la previsione che, decorso il termine di 30 giorni senza che sia stata rilasciata la certificazione, ovvero non sia pervenuta alcuna comunicazione in ordine all’insussistenza od all’inesigibilità del credito, “il creditore può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta per le certificazioni di pertinenza delle amministrazioni statali centrali al competente Ufficio Centrale del Bilancio, per le certificazioni di pertinenza degli enti pubblici nazionali all'Ufficio Centrale del Bilancio presso il Ministero vigilante e per le certificazioni di pertinenza delle amministrazioni statali periferiche alla Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio”.
Vai al D.M. Ministero economia e finanze 24/09/2012
L'AUTORITA' DI VIGILANZA DETTA LE LINEE GUIDA DELL'AVVALIMENTO NELLE GARE PUBBLICHE
Con la determina n. 2 del 1 agosto 2012, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha fornito degli importanti chiarimento in merito all’ "avvalimento nelle procedure di gara" a seguito delle modifiche introdotte all’art. 49 del Codice degli Appalti Pubblici (D.lgs. 163/2006).
Con l’avvalimento, il partecipante ad una gara d’appalto può comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici facendo riferimento alla capacità di altri soggetti. Si tratta, quindi, di una sorta di “prestito” -da parte di un’azienda a favore di un’altra- dei requisiti economici necessari per la partecipazione alla gara. L’art. 49 del Codice degli appalti pubblici prevede che “Il concorrente, singolo o consorziato (…) in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto”. L’istituto dell’avvalimento è applicabile al solo concorrente e non anche all’impresa ausiliaria. Di conseguenza, non può ritenersi consentito avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di un altro soggetto (c.d. “avvalimento a cascata”).
Ai fini della partecipazione ad una gara è necessario che il concorrente sia qualificato, cioè in possesso di determinati requisiti richiesti dal bando. Questi si distinguono in due macro categorie: requisiti “generali” o “soggettivi” e requisiti “speciali” od “oggettivi”. I primi, attenendo alla situazione personale del soggetto, alla sua affidabilità morale e professionale, non sono suscettibili di alcuna forma di sostituzione, né per essi è possibile ricorrere all’avvalimento; tanto che l’art. 49 del Codice degli appalti prescrive che sia l’impresa ausiliaria, sia quella ausiliata, ne siano provviste direttamente. I secondi (requisiti “speciali”) fanno riferimento alle caratteristiche dell’operatore economico considerato sotto il profilo dell’attività espletata e della sua organizzazione. A quest’ultima categoria appartengono i requisiti di capacità economico-finanziaria ed i requisiti di capacità tecnico-organizzativa che, di regola, possono formare oggetto di avvalimento.
Secondo la nuova formulazione del comma 6° dell’art. 49 del Codice degli appalti, il divieto di cumulo di più imprese in relazione ad un singolo requisito è stato eliminato con riferimento agli appalti di servizi e forniture; mentre per i lavori è consentito l’avvalimento di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione e non è ammissibile per il concorrente di utilizzare in maniera frazionata i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi che hanno consentito il rilascio dell’attestazione SOA. Pertanto, secondo la determina dell’Autorità, negli appalti di servizi e forniture non può escludersi, in linea di massima, la possibilità di frazionare i singoli requisiti mediante l’avvalimento di più imprese ausiliarie.
Il D.Lgs. n. 6/2007 aveva rimosso il divieto di subappalto all’impresa ausiliaria, novellando il comma 10 dell’art. 49, chiarendo che il subappalto può costituire un modulo attraverso il quale si concretizza l’avvalimento. Nell’attuale formulazione, infatti, la norma prevede che “Il contratto è in ogni caso eseguito dall'impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati”.
Sussiste, infine, l’obbligo di indicare l’oggetto del contratto di avvalimento, vale a dire le risorse e i mezzi prestati, da elencare “in modo determinato e specifico”. Nessun dubbio, pertanto, in ordine al fatto che tali elementi debbano essere specificati analiticamente; in caso contrario, infatti, si profilerebbe una violazione di legge che potrebbe configurare una causa di esclusione del concorrente dalla gara.
Vai alla Determinazione dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici n. 2 dell’01/08/2012
CARATTERI DISTINTIVI TRA LA CONCESSIONE E L'APPALTO
L'Università degli Studi di Roma, mediante una trattativa privata, aveva concesso ad una società l'attività di somministrazione di bevande e di altri prodotti a mezzo di distributori automatici nei locali dell'Università. Tale trattativa era stata impugnata da una società dinnanzi al Tar del Lazio sez. di Roma che, con sentenza n.9195/2006, accoglieva il ricorso considerando l'affidamento in questione come appalto di servizi al di sopra delle soglie di rilevanza comunitaria, tale così da non giustificare la scelta dell'Ateneo di procedere a una procedura negoziata senza la previa pubblicazione di un bando di gara.
In seguito all'appello proposto dall'Università, la questione è giunta al vaglio del Consiglio di Stato il quale ha invece ritenuto che l'affidamento in questione fosse qualificabile come concessione di servizi; definibile come " un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all'articolo (art. 3, comma 12, D.lgs. n. 163/2006). Ai fini della qualificazione della fattispecie come concessione di servizi, il Consiglio di Stato ha considerato sia la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio è interamente in capo al soggetto affidatario , il quale è anche tenuto a corrispondere un importo pecuniario piuttosto cospicuo in favore dell'Amministrazione, sia quella che il servizio viene erogato non in favore della Università, ma della collettività di utenti universitari (studenti, docenti, personale). Per cui, sulla base di ciò, ha ritenuto che nel caso in esame trovasse puntuale applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale " secondo cui si ha concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (in tal senso -ex plurimis-: Cons. St., sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068) ". In conclusione, ed in maniera esemplificativa, il tratto distintivo tra le due diverse figure è da ricercare nella modalità della remunerazione: si avrà concessione quando l'operatore si assume i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi sull'utenza, si avrà appalto quando l'onere del servizio grava sulla p.a.
Vai alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 04/09/2012 n. 4682
LE LINEE GUIDA DELL'AUTORITA' DI VIGILANZA IN MATERIA DI FINANZA DI PROGETTO
Con l'obiettivo di fornire uno strumento operativo per risolvere problemi interpretativi riguardanti le nuove procedure del project financing e per le modalità di redazione degli studi di fattibilità, l'Autorità per i lavori pubblici ha pubblicato (in G.U. del 28/01/09 n. 22) la propria Determinazione n. 1/2009. Tale documento è diviso in due parti: la prima riguarda l'affidamento delle concessioni di lavori mediante le procedure previste dall'articolo 153 del Codice degli appalti, l'altra le linee guida per la redazione degli studi di fattibilità. In particolare, l'Autorità di vigilanza sottolinea la fondamentale importanza dello studio di fattibilità per il quale le linee guida suggeriscono che lo stesso "sia elaborato con la massima cura e completezza in modo da consentire ai privati di investire in progetti realizzabili in tempi rapidi e a costi certi". Nelle linee guida si chiariscono, inoltre, numerosi aspetti delle nuove procedure di gara, quali la fase della programmazione, i contenuti dei bandi, il sistema delle garanzie, le varie fasi di tutte le tipologie di gara. L'Autorità si è riservata, altresì, di fornire in seguito ulteriori indicazioni in merito alla redazione dei bandi di gara ed alla applicazione del criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Vai alla Determinazione n. 1 del 14/01/2009 dell'Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici
LE SS.UU. INDIVIDUANO UNA DISTINZIONE, NELL'AMBITO DELL'ASSISTENZA AGLI UTENTI PRESSO LUOGHI DI INTERESSE CULTURALE ED ARTISTICO, TRA "CONCESSIONE" ED "APPALTO" DI SERVIZIO PUBBLICO
Ai fini dell'ordinamento comunitario la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi è netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi, § riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, § non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, § non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario.
Nel caso di "servizi aggiuntivi" da svolgersi presso luoghi di interesse culturale ed artistico, ex artt. 112 e 113 d.lgs. n. 490/1999, l'amministrazione concedente non corrisponde alcun prezzo all'affidatario per l'erogazione ed -anzi- è l'affidatario che deve pagare all'amministrazione, per il solo fatto di aver ottenuto la gestione dell'erogazione dei servizi in favore dei visitatori/utenti, "un canone di concessione" (così definito anche da c. 5 art. 117 d.lgs n. 42/2004). Inoltre, il concessionario generalmente eroga a pagamento i servizi nei confronti dei visitatori. I costi, quindi, sono accollati dal concessionario e riversati sugli utenti. L'unica controprestazione dell'amministrazione è il trasferimento al privato del diritto di gestire il servizio.
La configurazione della fattispecie, in chiave comunitaria, come "concessione di servizio", non comporta automaticamente che sia risolto il diverso problema che trattasi di concessione di pubblico servizio, per quanto vi sia una certa tendenza ad assimilare i due concetti. Seguendo i criteri fissati dalla più recente dottrina in tema di requisiti del "servizio pubblico", deve ritenersi che gli stessi sussistano nella fattispecie dei "servizi aggiuntivi". Infatti sussiste: a) l'imputabilità e la titolarità del servizio in capo alla p.a., imposta all'Ente pubblico ex lege ; b) la destinazione del servizio alla soddisfazione di esigenze della collettività; c) la predisposizione da parte della p.a. di un programma di gestione, vincolante anche per il privato incaricato di erogare il servizio, con obblighi di condotta e livelli di qualità; d) il mantenimento in capo alla p.a. di poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, perché il servizio venga assicurato dal gestore all'utenza nel rispetto del programma. Inoltre l'istituzione da parte della p.a. dei servizi aggiuntivi sono espressione dell'attività di "valorizzazione" dei beni culturali, ex artt. 111 e 112, d. lgs n. 42/2004.
Il servizio di biglietteria non può ritenersi a rigore ascrivibile ai "servizi aggiuntivi". E' vero che tale servizio, a differenza dei servizi di pulizia e sorveglianza, sembra gravare sotto il profilo della remunerazione del gestore direttamente sui visitatori utenti, che accedono al luogo di cultura. Infatti il d.m. 11/12/97 n. 507 stabilisce che il gestore del servizio di biglietteria trattenga per sé una parte -non superiore al 30%- dell'incasso. Tuttavia, anche se apparentemente finanziato direttamente dagli utenti, il costo di tale servizio è a carico delle risorse della p.a., poiché il prezzo del biglietto, che dovrebbe essere riversato direttamente e per intero alla p.a., viene in parte trattenuto dal gestore del servizio. Inoltre il gestore rende il servizio di biglietteria non in favore dell'utente privato, ma in favore della p.a., per la quale riscuote tale prezzo. Ne consegue che il servizio di biglietteria affidato ad un privato non può costituire una concessione di servizio pubblico, bensì un appalto di servizio pubblico.
Più nel dettaglio, pronunciando per la prima volta in materia, la Corte ha qualificato come concessione di servizio pubblico l'affidamento da parte dell'Amministrazione ad imprese private di "servizi aggiuntivi" di assistenza agli utenti (quali servizi di caffetteria, ristorazione e guardaroba, vendita di riproduzioni di beni culturali ecc.), da effettuarsi presso luoghi di interesse culturale ed artistico ai sensi degli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 490/1999, e come appalto di servizio pubblico il contestuale affidamento del servizio di biglietteria (nonché quelli di pulizia e vigilanza); con l'assunzione da parte della P.A. della veste di acquirente dal privato, anche a favore di terzi individuati, di determinate "utilitates" ed il pagamento di un corrispettivo.
Per quanto la questione di cui sopra risulti di maggiore interesse per l'indirizzo del presente sito, è da precisare che l'ordinanza in esame affronta -essenzialmente- la questione del regolamento di giurisdizione, decidendo a favore di quella del giudice amministrativo.
Vai all'ordinanza Cassazione SSUU 27/05/2009 n. 12252
PRESUPPOSTI E MECCANISMI DELL'AFFIDAMENTO IN HOUSE
Con la comunicazione del 16/10/08, l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha emesso le linee di azione che la medesima intende applicare alle fattispecie in cui gli enti interessati vogliano / debbano ricorrere a meccanismi derogatori della generale regola dell'affidamento a terzi tramite procedure ad evidenza pubblica. In un'ottica simile, il compito dell'Autorità si traduce nella ricezione delle richieste di parere (avanzate con il formulario che di seguito è riportato), corredate dalla documentazione di cui al punto n. 6 della comunicazione 16.10.2008, che devono essere spedite dall'ente interessato all'affidamento in deroga. Il tutto prima di procedere all'affidamento ed in tempo utile a consentire l'emissione del parere all'Autorità. Il termine generale di chiusura del procedimento di emissione del parere è di 60 giorni. Qualora siano necessarie integrazioni, l'Autorità ne fa richiesta all'interessato, con l'avvertimento che tale richiesta è interruttiva del termine di 60 giorni, il quale torna a decorrere dalla data di ricevimento della documentazione od, in generale, dell'integrazione da parte dell'Autorità medesima. Il parere emesso al termine, poi, non è vincolante, anche se il soggetto richiedente è "chiamato a tenere nella dovuta considerazione le valutazioni espresse nel parere rilasciato".
Vai al Comunicato del 16/10/2008 dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato
REQUISITI PER L'AFFIDAMENTO "IN HOUSE" A SOCIETA' MISTE
Con la sentenza n. 2932/07, il C.d.S. ha sancito la legittimità del provvedimento con il quale una Capitaneria di Porto, nell'effettuare la valutazione comparativa tra l'istanza di concessione demaniale presentata da un Comune e quella presentata da una società privata, ha preferito quest'ultima ritenendo che offrisse maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione. Ciò in quanto il Comune si proponeva di ottenere la concessione demaniale con il dichiarato intento di procedere a sub-concessione ad una società per azioni in cui lo stesso Ente locale avrebbe dovuto sottoscrivere il 51% del capitale sociale, dimostrando, pertanto, di non avere sufficiente capacità economica sia per la realizzazione del progetto presentato che per la gestione. Tale sentenza è rilevante perché, approfondendo le disposizioni in matteria di affidamento "in house", ritiene che non assumono alcun rilievo le considerazioni del Comune in merito alla pretesa identità tra l'Ente pubblico territoriale e la costituenda società mista. "Non vi è dubbio, infatti, che ai sensi dell'art. 22 legge n. 142/1990, ed oggi dell'art. 113 T.U.E.L., la società mista deputata a gestire i servizi pubblici locali è un soggetto formalmente e sostanzialmente distinto rispetto all'ente locale. Il rapporto è di terzietà non di immedesimazione". Secondo la giurisprudenza comunitaria, richiamata ampiamente dal C.d.S., un rapporto di immedesimazione tra l'ente locale e la società chiamata a gestire un servizio pubblico può riscontrarsi solo laddove concorrano i seguenti due elementi: a) l'amministrazione deve esercitare sul soggetto affidatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi; b) il soggetto affidatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza. "In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente dell'attività", l'ente (c.d. in house) non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa (principi affermati dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza Teckal del 18 novembre 1999, C-107/98)". In conclusione, i Giudici di Palazzo Spada rilevano -da un lato- che non può sussistere il "controllo analogo" da parte dell'Ente pubblico sulla società mista in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato; e -dall'altro lato- che la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario, ma non sufficiente, per integrare il requisito del controllo analogo. A tal fine, occorre anche che: 1) il consiglio di amministrazione della s.p.a. in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l'ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale; 2) l'impresa non deve aver «acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo» dell'ente pubblico e che può risultare, tra l'altro, dall'ampliamento dell'oggetto sociale; dall'apertura obbligatoria della società ad altri capitali; dall'espansione territoriale dell'attività della società a tutto il territorio nazionale e all'estero; 3) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante.
Vai alla sentenza Consiglio di Stato, Sez. 6°, 01/06/2007 n. 2932
ANCHE NEL CONTRATTO DI OPERE PUBBLICHE E' CONFIGURABILE, IN CAPO ALLA P.A. COMMITTENTE, UN DOVERE -EX ART. 1206 C.C.- DI COOPERARE ALL'ADEMPIMENTO DELL'APPALTATORE
La prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10052 del 29 aprile 2006, entra nel merito di quando possa considerarsi impossibe la prestazione in un appalto pubblico per fatto imputabile a ritardi della pubblica amministrazione.
Il fatto: un'impresa edile, che si era aggiudicato l'appalto per la costruzione di un edificio scolastico, aveva richiesto la risoluzione del contratto di appalto in quanto, a seguito del rifiuto del Comune a predisporre una variante in corso d'opera, l'appaltatore si trovava ingiustamente nella circostanza di dover costruire un'opera non conforme alle prescrizioni di legge al momento della sua ultimazione. Sia il Tribunale sia la Corte d'Appello -a parte la loro diversa valutazione dell'entità del danno- riconoscevano fosse obbligo della stazione appaltante, anche secondo i doveri di buona fede contrattuale, redigere la perizia di variante necessaria per adeguare il progetto alle disposizioni normative successivamente entrate in vigore, le quali imponevano la riformulazione degli atti progettuali o quantomeno il loro compiuto adeguamento. Secondo il Comune ricorrente, l'appaltatore non ha il potere di sospendere i lavori: costui sarebbe abilitato esclusivamente a formulare osservazioni in ordine alle ragioni che possono suggerire od imporre una sospensione, e tale provvedimento potrebbe essere adottato esclusivamente dall'ingegnere capo in presenza di tassative circostanze. Soltanto all'Amministrazione committente è riservata la facoltà, ove lo ritenga opportuno e necessario, di attivare la procedura amministrativa a forma vincolata ed a contenuto predeterminato per l'approvazione di una perizia di variante tecnica e suppletiva, ampliando il contenuto dell'originario contratto di appalto di opera pubblica anche con riferimento ai tempi contrattuali di esecuzione dell'opera, ovvero promuovendo la stipula di un altro contratto di appalto, con contenuti nuovi e diversi, prevedendo i costi di esecuzione ed i fondi per finanziarli. Sotto altro profilo, il Comune rilevava che le pretese modifiche progettuali, richieste dall'appaltatore mentre stava realizzando le opere murarie, non incidevano in alcun modo sulle lavorazioni in corso e non potevano, quindi, giustificarne la sospensione; tanto più che la realizzazione di tutte le opere in aggiunta al progetto originario, in quanto accessorie e pertinenziali, ben potevano essere realizzate su opere perfettamente completate.
Il Giudice di legittimità, pur ritenendo che l'appaltatore di opere pubbliche non possa, di regola, sospendere di propria iniziativa i lavori, ha rilevato che la preminenza della posizione riservata alla P.A. committente, derivante dall'essere l'opera appaltata rivolta ai fini pubblici, non incide sulla natura privatistica del contratto di appalto di opere pubbliche. In siffatta prospettiva, per la Corte, l'elaborazione di varianti in corso d'opera - di norma costituente una mera facoltà della P.A. (esercitabile in presenza delle condizioni previste dalla legge) - può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore: tanto avviene allorché la modifica del progetto originario sia resa necessaria da sopravvenute disposizioni imperative, legislative e regolamentari, sulla sicurezza degli impianti, giacché, in tal caso, l'opera che fosse realizzata secondo le inizialmente progettate modalità costruttive e istruzioni tecniche esporrebbe l'appaltatore a responsabilità per eventi lesivi dell'incolumità e dell'integrità personale di terzi. Ne consegue che la perdurante, mancata consegna, da parte della stazione appaltante, benché ritualmente sollecitata, dei progetti di adeguamento dell'opera alle sopravvenute prescrizioni normative, ben può determinare "l'impossibilità della prestazione per fatto imputabile al contraente creditore, sul quale sono destinate a ricadere le conseguenze dell'omessa cooperazione necessaria all'adempimento da parte del debitore ". Ciò avviene, in particolare, quando, come nella specie, la modifica del progetto originario sia resa necessaria da sopravvenute disposizioni imperative, legislative e regolamentari, sulla sicurezza degli impianti, atteso che lo stesso, eventuale esito positivo del collaudo non avrebbe fatto venir meno la responsabilità dell'appaltatore nei confronti dei terzi.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, 1° sezione, 29/04/2006 n. 10052
AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA DELL'APPALTO E DANNO DA "PERDITA DI CHANCE" PER L'IMPRESA INGIUSTAMENTE ESCLUSA
E' opportuno -preliminarmente- richiamare il fatto: a seguito di un'aggiudicazione annullata dal TAR, il Tribunale ordinario respinge la domanda di risarcimento danni formulata dall'impresa (illegittimamente) esclusa assumendo che l'annullamento non era stato disposto per illegittimità del provvedimento, ma per difetto di motivazione. La Corte d'Appello rileva che -in sostanza- il decreto di aggiudicazione era stato annullato per violazione delle norme comunitarie e della normativa di attuazione delle direttive europee. Il Committente aveva violato i doveri di imparzialità e buona amministrazione e non aveva motivato la scelta. Quanto alle voci di danno la Corte d'Appello ne individua quattro possibili teoricamente: a) costi per partecipare alla gara; b) mancato recupero delle spese generali dell'appalto; c) perdita dell'utile dell'esecuzione dell'appalto; d) perdita di chance ottenibili da altre gare cui l'azienda era stata invitata nel periodo intercorso tra parere del comitato e rigetto della sospensiva. Essa nega il riconoscimento di b) e c), relative a importi che potevano ricavarsi solo ad appalto eseguito o certo. Nega anche i danni sub d), poiché dovuti alla scelta imprenditoriale di non partecipare ad altre gare. Riconosce i soli costi di partecipazione alla gara controversa. La concorrente esclusa ricorre per cassazione dolendosi del mancato risarcimento. Afferma che la perdita consiste nel mancato appalto, con l'utile corrispondente. Osserva che la Corte d'Appello avrebbe dovuto rivolgersi alla Corte di Giustizia CEE per conoscere le poste da risarcire in caso di violazione di norme comunitarie, mentre non sarebbe stato necessario ciò in caso di risarcimento ex art. 2043 c.c. per le perdite e il mancato guadagno conseguente al comportamento contrario a legge. Insiste nella liquidazione del danno da perdita di chance, causato dalla necessitata scelta di impegnarsi per conseguire l'appalto indebitamente negato. La Cassazione -con l'articolata sentenza n. 22370/07- ammette l'esistenza di una violazione delle direttive comunitarie sulle offerte anomale nella parte in cui l'assegnazione era stata fatta, senza motivare specificamente, a una partecipante che aveva formulato un'offerta anomala e non aveva fornito la relativa giustificazione. È vero che da ciò non discende automaticamente il buon diritto dell'offerente che abbia dato la giustificazione, ma vi è una rilevante probabilità in tal senso. Pertanto, l'ente ha violato le regole di buona amministrazione e inoltre illegittimamente ha insistito, consentendo all'appaltante di proseguire i lavori anche dopo l'accoglimento del ricorso amministrativo e la diffida pervenuta. Questa condotta non iure ha leso interessi pretesivi dell'impresa ricorrente. Non si tratta di responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c., mancando un rapporto tra le parti, né di responsabilità precontrattuale, perché non vi è un annullamento che renda automaticamente "parte" l'impresa, la quale è solo una partecipante alla gara ma non un futuro contraente. È configurabile invece una ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con onere del danneggiato di provare il danno. È un caso di perdita di chance "corrispondente alla probabilità od occasione favorevole di conseguire l'aggiudicazione". Il Giudice di merito ha -quindi- errato nel non valutare l'incidenza della probabilità di ottenere l'aggiudicazione e nel non liquidare i danni, anche in via equitativa, sulla base dei mancati guadagni relativi all'appalto da aggiudicare. La sentenza d'appello poteva eventualmente ridurre questo importo in relazione al calcolo di probabilità dell'aggiudicazione, da fondare presuntivamente sul numero di partecipanti alla gara che potevano competere con analoghe possibilità di aggiudicazione. La mancata reintegrazione per equivalente della perdita patrimoniale subita, e costituita dalle occasioni favorevoli di trarre guadagno dall'aggiudicazione, discende da vizio di motivazione della sentenza. Al Giudice di merito la S.C. affida il compito, in sede di rinvio, di una nuova valutazione delle opportunità di guadagno che la ricorrente avrebbe avuto quale appaltatrice, nonché quale mancata partecipante ad altre gare non ingaggiate per mantenersi disponibile all'appalto conteso. Il mancato guadagno è determinabile secondo la Corte in una percentuale della sua offerta corrispondente ai guadagni medi in appalti analoghi, ritraibile anche dalla normativa (art. 122 del regolamento di cui al D.P.R. n. 554/99, e art. 37/7, 1° co., lett c, L. n. 109/94), eventualmente assorbendo le spese di partecipazione alla gara, che erano state invece liquidate.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sezione 1°, 25/10/2007 n. 22370
ILLEGITTIMA LA CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI MATURATI DALL'APPALTATORE NEI CONFRONTI DELLA P.A.
In tema di ritardo nei pagamenti degli acconti e delle rate di saldo dei corrispettivi dell'appalto, da parte dell'ente pubblico appaltante, l'articolo 4 L. 741/81 (abrogato dall'articolo 231 DPR n. 554/99, ma applicabile ratione temporis ), non deroga al divieto di anatocismo di cui all'articolo 1283 c.c. e non introduce un meccanismo di capitalizzazione degli interessi maturati dall'appaltatore. Questo il principio che si trae dalla sentenza n. 11519/07, la quale si è richiamata al principio già posto dalle Sezioni unite (nella sentenza n. 9653/01), secondo cui, a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli articoli 35 e 36 del Capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche ( DPR 1063/62), è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola dell'anatocismo dettata dall'articolo 1283 c.c., dovendo escludersi che il debito per interessi, anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 co. 2° c.c. Tale principio è stato confermato anche da Cass. n. 10692/05, a tenore della quale gli interessi spettanti all'appaltatore di opere pubbliche, a norma degli artt. 35 e 36 del capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche, non riguardano solo il ritardo nel pagamento delle rate di acconto e di saldo del corrispettivo, ma anche il danno ulteriore per il ritardo nel pagamento dei medesimi interessi, la previsione del 3° comma del citato art. 35 non essendo limitata al pagamento del corrispettivo, ma estendendosi anche all'obbligazione accessoria, quale è quella di pagare gli interessi, con l'effetto di comprendere in essa il ritardo nel pagamento degli interessi medesimi. Il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura, del resto, come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex articolo 1224 co. 2° c.c., ma resta soggetto ai limiti entro cui è consentito riconoscere l'anatocismo di cui all'articolo 1283 c.c. Norma, quest' ultima, derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli articoli 35 e 36 del citato capitolato.
Vai alla sentenza Cassazione, Sez. I°, 17/05/2007 n. 11519
IN CASO DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, NON SI PUO' PRESCINDERE DA UNA COSTITUZIONE IN MORA FORMALE
Qualora il debitore sia una P.A., il creditore ha l'onere di procedere ad una formale costituzione in mora, anche nel caso in cui la prestazione debba essere apparentemente eseguita al domicilio dello stesso creditore. In particolare, la Cassazione ha escluso l'applicabilità -nei confronti della P.A.- dell'art. 1219 comma 2° n. 3 cod. civ., il quale prevede un'ipotesi di mora operante automaticamente ed a prescindere da un formale atto di costituzione. Pertanto, ai fini della costituzione in mora di una P.A., è necessaria un'intimazione o richiesta fatta per iscritto, come espressamente previsto dal 1° comma dell'art. 1219 cod. civ. Aggiungasi che, a tale riguardo, l'intimazione o richiesta scritta non può essere integrata dall'emissione delle fatture, non accompagnate da una formale e precisa richiesta di pagamento. L'emissione delle fatture, invero, non assume rilevanza nemmeno sotto il profilo della scadenza del termine, in quanto, se fosse stato effettivamente fissato un termine per l'adempimento, troverebbe applicazione l'art. 1183 cod. civ.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sez. I°, 15/01/2009 n. 806
IL CONSIGLIO DI STATO CHIARISCE LA NATURA DELL'INTERESSE LEGITTIMANTE IL DIRITTO DI ACCESSO
Nel vigore della previgente disciplina, il Consiglio di Stato aveva raggiunto la conclusione che l'interesse legittimante l'accesso non richiedesse l'esistenza in capo all'istante di una situazione giuridica azionabile in giudizio; risultando sufficiente la titolarità di una posizione differenziata, non necessariamente coincidente con un diritto soggettivo o con un interesse legittimo. L'accesso, così come delineato dagli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990, secondo l'interpretazione dominante, non si configurava come un'azione popolare volta al controllo generalizzato sull'attività della pubblica amministrazione, ma costituiva uno strumento di tutela individuale di interessi particolari. Con la sentenza n. 6545/07, il C.d.S. ribadisce la validità di tale soluzione interpretativa pure a seguito delle modifiche -introdotte alla disciplina dell'accesso- dalla L. n. 15/2005. Alla luce del 2° co. del nuovo art. 22 L. n. 241/1990, l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Tale disposizione, quindi, "conferma il fondamento costituzionale del diritto di accesso, configurandolo (non diversamente dalla precedente disciplina) come strumento con il quale il singolo contribuisce al perseguimento del principio del buon andamento, dell'imparzialità e anche della trasparenza dell'attività amministrativa (art. 97 Cost.)". Il rilievo costituzionale del diritto all'accesso impone che l'espressione «situazione giuridicamente tutelata» di cui al nuovo art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990 debba essere interpretata in un modo sostanzialmente equivalente a quello cui era giunta la giurisprudenza antecedentemente all'entrata in vigore della riforma. In tale ottica, il termine "tutelata" non indica l'esigenza che la situazione soggettiva sia suscettibile di immediata tutela giurisdizionale, con conseguente limitazione alle posizioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Deve, invece, ritenersi che la posizione giuridica che legittima l'accesso sia tutelata in quanto essa sia semplicemente qualificata dall'ordinamento giuridico. In conclusione, anche successivamente alla riforma del 2005, la posizione giuridica legittimante l'accesso può essere qualsiasi interesse differenziato e protetto dall'ordinamento, purché serio e non emulativo, anche se non immediatamente azionabile in giudizio.
Vai alla sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI, 18/12/2007 n. 6545
IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
La Commissione incaricata, ai sensi dell'art. 25 L. n. 65/2005, ha ultimato la redazione della bozza del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che, recependo la direttiva 2004/17/CE (procedure di appalto nei c.d. settori speciali) e la direttiva 2004/18/CE (procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), disciplina, in 257 articoli, l'intera materia esistente sui contratti tra pubblica amministrazioni e privati. Tra le novità rilevanti, si segnalano: A) l'assoggettamento dei settori servizi e forniture alla competenza istituzionale riconosciuta all'Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici; B) l'eliminazione della separazione tra progettazione ed esecuzione dei lavori (le amministrazioni potranno decidere di affidare soltanto l'esecuzione dell'opera, oppure bandire una gara unica per la progettazione e la realizzazione dei lavori); C) l'introduzione di alcuni nuovi istituti previsti dalle direttive comunitarie, quali, l'accordo quadro ed il dialogo competitivo (particolare forma di affidamento, utilizzabile anche nel project financing, che prevede la partecipazione delle imprese già nella fase preliminare e che sarà limitata agli appalti complessi, cioè a quelli in cui la stazione appaltante "non è oggettivamente in grado di definire... i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, o non è oggettivamente in grado di specificare l'impostazione giuridica e/o finanziaria di un progetto"); D) la possibilità di utilizzare la procedura degli affidamenti diretti di lavori e servizi (c.d. in house) per gli affidamenti a società a totale partecipazione pubblica, a condizione che l'ente pubblico abbia sulla società un controllo analogo a quello sui servizi interni e che la società realizzi con le amministrazioni appaltanti la maggior parte della propria attività; E) l'innalzamento, da 200 a 500 mila euro, del limite per i lavori in economia; F) il raddoppio del tetto della licitazione privata semplificata. Il Codice, prima dell'entrata in vigore (entro il 31 gennaio 2006), dovrà ottenere i pareri della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari.
Vai alla bozza di Codice dei Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
IL TAR LAZIO DICHIARA ILLEGITTIMA LA DELIBERA DEL COMUNE DI ROMA ISTITUENTE IL C.D. "FASCICOLO DEL FABBRICATO"
L'introduzione del fascicolo del fabbricato è avvenuta sulla base della legge della Regione Lazio del 12/09/02 n. 31. Secondo l'art. 1 di tale normativa, i Comuni del Lazio hanno facoltà d'istituire un fascicolo per ogni fabbricato esistente o di nuova costruzione, in relazione alla necessità di conoscere lo stato di conservazione del patrimonio edilizio, d'individuare le eventuali situazioni di rischio per gli edifici pubblici e privati e di programmare eventuali interventi di ristrutturazione e di manutenzione degli stessi, onde prevenire rischi di eventi calamitosi. L'art. 3 di tale L.R. prevede l'emanazione di un regolamento in materia, da parte della stessa Regione. Il Comune di Roma ha però ritenuto d'emanare il provvedimento istitutivo di detto fascicolo prima dell'emanazione del Regolamento regionale. Il Tar Lazio, accogliendo il ricorso proposto dalla Confedelizia, ha riconosciuto che non sussistono serie ragioni d'urgenza o d'indifferibilità che costringessero il Comune, secondo gli ordinari canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell'agire amministrativo, a provvedere immediatamente, senza attendere la necessaria intermediazione dell'atto-fonte regolamentare; con conseguente violazione del principio di gerarchia delle fonti, posta in materia dall'art. 3 L. 31/02.
Con il secondo motivo di ricorso, la Confedilizia deduceva l'illegittimità del contenuto del fascicolo di fabbricato così come sancito dalla deliberazione impugnata e dal successivo regolamento, poiché tali atti introducono per proprietari privati adempimenti ulteriori e più gravosi rispetto a quanto stabilito dalla L.R. 31/02. Il Tar ha riconosciuto illegittimi sia la previsione dell'obbligo di fornire dati urbanistico-tecnici in gran parte acquisiti o promananti dal medesimo Comune sia l'obbligo di fornire informazioni sulla situazione geologica-geotecnica-agroforestale, sulla presenza di servitù e sulla giacitura del terreno; sia la previsione di misure agevolative in materia tributaria. In particolare, il Tar riconosce che la ratio della L.R. 31/02, che rientra nell'ambito delle norme sulla sicurezza del territorio e dell'edilizia, non può essere quella di pervenire, anche attraverso la collaborazione dei cittadini, a completare la conoscenza, relativa a singole unità abitative, che la fitta trama pianificatoria talvolta non può acquisire. Risulta pertanto illegittimo il tentativo di scaricare gli oneri di tale conoscenza sui soggetti privati che non possiedono la mole dei dati dell'assetto del territorio e devono così acquistarli dal mercato e riversarli ad amministrazioni già deputate, per missione loro affidata dalla Legge, ad acquisire ed elaborare in via autonoma i dati stessi. In altri termini, il fascicolo di fabbricato deve costituire, secondo i canoni di proporzionalità, razionalità ed adeguatezza, lo strumento più adatto, in ogni occasione e per tutti i tipi di edifici, per massimizzare l'obiettivo della pubblica e privata incolumità, soprattutto in presenza delle complesse regole cui ciascun fabbricato è già da tempo sottoposto per la sicurezza degli impianti elettrici, idrici, di riscaldamento, del gas, ecc. Ma nel contempo, il contenuto del fascicolo non può legittimamente essere il duplicato dei dati già acquisiti o esistenti presso la P.A. e che sono richiesti solo perché essa non è in grado di ordinarli e valutarli correttamente.
Vai alla sentenza TAR Lazio - Roma, Sez. II°, 13/11/06 n. 12320
PUNIBILITA' DEL DANNO DA INUTILE RESISTENZA IN GIUDIZIO DELLA P.A.
La Corte dei Conti ha ravvisato che la scelta effettuata dagli amministratori convenuti, lungi dal poter essere considerata insindacabile nel merito della sua discrezionalità, ha esposto il Comune ad un danno erariale invero attuale, a nulla rilevando che allo stato sia ancora pendente il giudizio di opposizione all'ordinanza del Tribunale Civile che aveva condannato l'ente al pagamento.
La prima parte della motivazione si dedica alla eccezione della difesa relativa alla presunta violazione della disposizione di cui all'art. 23 della legge n. 144/1989, con conseguente rottura del rapporto organico tra ordinatore di spesa e terzo fornitore, che se fondata avrebbe giustificato la resistenza in giudizio del Comune per un debito ad esso estraneo. Il Collegio ha ritenuto insussistente tale eccezione perché dall'esame degli atti di causa emergeva che i lavori erano stati regolarmente autorizzati e collaudati. Poi il Collegio si dedica all'altra delle maggiori eccezioni presentata dalle difese e respinge l'affermazione ivi fatta, che la scelta di resistere in giudizio, siccome frutto di una valutazione del tutto discrezionale, è sottratta a qualsiasi sindacato di merito da parte della magistratura contabile. Il principio della insindacabilità delle scelte discrezionali -introdotto dall'art. 3, comma 1°, punto 1, lett. a) del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito con la legge di conversione 20 dicembre 1996 n. 639, di modifica dell'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20- rende necessarie alcune considerazioni. Ratio della norma è che il giudice contabile, nel valutare le condotte degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici al fine di accertare la loro eventuale responsabilità amministrativa per danno erariale, non può sostituirsi alla stessa amministrazione e ripercorrere l'iter argomentativo seguito nelle scelte discrezionali già operate, essendo tenuto infatti a rispettare la sfera di autonomia decisionale nella gestione degli interessi da amministrare. L'insindacabilità delle scelte amministrative è in perfetta sintonia con uno dei principi cardine del nostro ordinamento pubblicistico, quello che prevede la cosiddetta separazione dei poteri, per cui non può essere ammessa alcuna ingerenza od invasione della funzione giurisdizionale negli ambiti di competenza della cosiddetta amministrazione attiva e dunque deve essere esclusa ogni possibilità per il giudice di ricostruire e a suo modo ripercorrere i passaggi motivazionali che hanno portato l'amministratore pubblico ad adottare una scelta piuttosto che un'altra. In presenza di una lesione causata all'integrità patrimoniale dell'ente amministrato, il Collegio ha ritenuto però che l'insindacabilità delle scelte amministrative non possa essere spinta fino al punto da costituire un'area entro la quale ogni atto o fatto di amministrazione attiva possa essere sottratto al sindacato giurisdizionale. Opinando in tal senso, infatti, si giungerebbe all'inammissibile conseguenza di ammettere che i principi del buon andamento dell'azione amministrativa e della tutela dell'integrità erariale possano configurarsi non più come insopprimibili valori dell'ordinamento pubblicistico, ma come mere petizioni di principio, dai contorni e dagli scopi non ben definiti. Pertanto, la insindacabilità delle scelte discrezionali trova senz'altro affermazione in presenza di atti all'evidenza adeguati rispetti ai fini pubblici che si intende perseguire; ma in presenza di condotte che denotano il ricorso dell'amministratore a scelte tanto illogiche quanto palesemente inadeguate rispetto agli interessi in gioco, sì da risolversi in decisioni sostanzialmente arbitrarie, il giudice ha viceversa il diritto-dovere di conoscere siffatti comportamenti, ben inteso con il solo obiettivo di appurare l'inadeguatezza delle decisioni adottate, inopinatamente foriere, per quel che interessa la Corte dei conti, anche di danno all'erario (cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. Unite 6.5.2003, n. 6851).
Il problema non è costituito, quindi, dalla soccombenza o meno dell'ente in giudizio; bensì dalla necessità di accertare di volta in volta se gli amministratori, nel momento in cui hanno deciso di costituire l'ente nel giudizio, avessero il dovere e la possibilità di valutare ex ante l'epilogo di quel giudizio in modo da procedere ad una scelta quanto più possibile ponderata alla luce delle eventuali conseguenze di natura finanziaria che avrebbero interessato il Comune (cfr. Corte dei conti Sez. IIa Centrale 18.1.2001, n. 36). La scelta di resistere quando l'ente sia citato in un giudizio civile non costituisce certo l'oggetto di un atto vincolato a cui gli amministratori non possono sottrarsi e, conseguentemente, non v'è dubbio che la costituzione in giudizio di un ente locale esprima un atto di amministrazione attiva che, al pari degli altri, impone un'attenta, quanto prudente ponderazione degli interessi in gioco al solo fine di prevedere le possibili conseguenze in termini di vantaggi e di svantaggi patrimoniali per il Comune.
Vai alla sentenza della Corte dei Conti - Sezione Calabria 25/01/2005 n. 74
SPETTA LA REVISIONE PREZZI ANCHE NELL'IPOTESI DI ANTICIPATA CONCLUSIONE DEI LAVORI
Vai alla Sentenza Cassazione - sez. 1° Civile - 19/04/05 n. 8198
LA VARIANTE IN C.O. NON PUO' PRESCINDERE DA CIRCOSTANZE SOPRAVVENUTE ED IMPREVEDIBILI
La Cassazione, con la sentenza n. 13643/04, ribadisce il principio che, in tema di appalto di opere pubbliche, «le ragioni di pubblico interesse o necessità che - ai sensi dell'articolo 30, comma secondo Dpr 1063/62 - legittimano l'ordine di sospensione dei lavori vanno identificate in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute non previste (né prevedibili) dall'Amministrazione con l'uso dell'ordinaria diligenza, così che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell'Amministrazione medesima». Nel caso che sopravvenga la necessità di approvare una «perizia di variante» - aggiunge poi la Suprema corte - tale emergenza non deve essere ricollegabile ad alcuna forma di negligenza od imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell'ente appaltante, il quale è tenuto, prima dell'indizione della gara, a controllarne la validità in tutti i suoi aspetti tecnici e ad impiegare la dovuta diligenza nell'eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell'opera così come progettata. In caso di lavori sospesi dall'Amministrazione per l'esecuzione di una perizia di variante originariamente non prevista, l'eventuale acquiescenza dell'appaltatore oltre un termine finale ricavato in via equitativa sul parametro costituito dall'articolo 30 DPR 1063/62, non può giustificare il comportamento dell'Ente appaltante.
Vai alla Sentenza Cassazione, Sez. 1°, 07/2004 - 22/07/04 n. 13643
LEGITTIMA LA CLAUSOLA DEL BANDO DI GARA CHE PRESCRIVA IL RILASCIO DI UNA GARANZIA FIDEJUSSORIA A COPERTURA DI EVENTUALI MANCATI PAGAMENTI DI STIPENDI E CONTRIBUTI AI DIPENDENTI
Con la sentenza n. 291/06, il TAR Sicilia - Sede di Palermo ha considerato legittime, in materia di bando di gara per l'affidamento di appalto di servizio pubblico, sia una clausola che prescriva la produzione dell'impegno di un fideiussore a rilasciare garanzia a copertura di eventuali mancati pagamenti di stipendi e contributi per i propri dipendenti; sia una clausola del capitolato speciale d'appalto che impone l'obbligo della costituzione della predetta garanzia fideiussoria in capo al soggetto riuscito aggiudicatario dell'appalto. Infatti, in ragione della matrice comunitaria delle norme di rango primario che attualmente regolano la materia delle gare pubbliche, l'esercizio del potere amministrativo di scelta del contraente deve essere finalizzato non soltanto alla tutela dell'interesse patrimoniale dell'Amministrazione, ma anche alla tutela della concorrenza, intesa non già in una accezione puramente mercantile, ma come permeata da chiari accenti solidaristici, tra cui la garanzia per i crediti retributivi che incidono sulla effettiva concorrenzialità delle scelte di mercato.
Il Giudice amministrativa ha, inoltre, rilevato che -ove sia stata acclarata l'esistenza e la legittimità nella lex specialis di meccanismi volti a tutelare i diritti dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore, e, quindi, l'esistenza e la legittimità dell' interesse giuridicamente rilevante per l'Amministrazione committente a garantire i relativi crediti- nulla impedisce alla P.A., entro i limiti di ragionevolezza e di proporzionalità, di aggiungere alla disciplina legale, ed alla disciplina del bando relativa a diversi profili di tutela della sfera dei lavoratori dipendenti, la previsione di una garanzia per le obbligazioni retributive e contributive.
L'illegittimità per irragionevolezza di un provvedimento amministrativo va scrutinata in relazione alla intrinseca logicità -in astratto- del provvedimento medesimo rispetto allo scopo perseguito dalla norma attributiva. Il Tar Sicilia ha quindi ritenuto di poter trarre argomentazioni a favore della ragionevolezza -e, quindi, della piena legittimità- della clausola impugnata, dal fatto che nello stesso bando di gara, come in quasi tutti i bandi di gare pubbliche, era inserita anche la clausola (non censurata) secondo cui era imposto ai concorrenti di stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi per danni a cose e/o a persone e per sinistri relativi a persone, animali e cose. Ebbene non vi è valida ragione per ritenere ragionevole tale ultima clausola ed, al contrario, irragionevole quella sull'obbligo di stipulare una polizza a favore della garanzia del trattamento economico dei lavoratori; atteso che l'unica differenza tra le due clausole era costituita dalla diversa natura della responsabilità cui sarebbe chiamata l'Amministrazione in caso di inadempimento: extracontrattuale nel primo caso, contrattuale nel secondo.
Vai alla sentenza 01/02/2006 n. 291 del TAR Sicilia - Palermo - Sez. III
IL PAGAMENTO DA PARTE DELL'ENTE PUBBLICO E' DOVUTO ANCHE SENZA LA PREVENTIVA FATTURAZIONE DA PARTE DELL'APPALTATORE
Con la sentenza n. 14198/04, il Giudice di legittimità ha "escluso l'esistenza nell'ordinamento generale di un principio secondo cui i pagamenti da parte dello stato, per corrispettivi di opere in appalto pubblico, siano subordinati alla previa fatturazione". Secondo la Cassazione, infatti, un principio del genere non può desumersi né dall'articolo 277 del regolamento sulla contabilità dello stato (R.D. 827/24), né dagli articoli 6 e 21 del D.P.R. 633/72, in base ai quali la fatturazione non sorge prima del pagamento del compenso. Al contrario, la Direttiva europea 2000/35/CE sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita con il D.Lgs. n. 31/2002 (per quanto non applicabile al caso di specie sorto anteriormente all'entrata in vigore del dlgs) ha stabilito l'automatica decorrenza degli interessi moratori alla scadenza del termine legale senza la necessità della costituzione in mora del debitore. "Tali previsioni", ha concluso la Corte, "illustrano una evoluzione tendenziale della legislazione che mira a incentivare il pagamento delle somme dovute nelle transazioni commerciali tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni nel termine generale di 30 giorni a partire da un evento qualificato". E tale evento, spiegano i Giudici, può certo essere riferito alla data di ricevimento della fattura, ma non impone che la fatturazione sia condizione essenziale per l'adempimento.
Vai alla Sentenza Corte Cassazione, Sez. 1° - 10/06 - 29/07/04 n. 14198
L'ENTE APPALTANTE DEVE AGIRE SECONDO BUONA FEDE ANCHE PER OTTENERE IL FINANZIAMENTO NECESSARIO PER ESEGUIRE I PAGAMENTI
Statuendo un principio che vale anche per gli appaltatori, la Cassazione ha stabilito che l'Ente appaltante può legittimamente rifiutarsi di pagare le prestazioni del progettista in assenza di erogazione del previsto finanziamento per l'opera; ma solo in presenza di una clausola contrattuale che condiziona il pagamento dell'onorario alla presenza del finanziamento, ed a patto che la pubblica amministrazione sia in grado di dimostrare di non aver trascurato nessun adempimento necessario per ottenere il finanziamento stesso e di essersi -in tal modo- comportata secondo buona fede.
Vai alla Sentenza Corte Cassazione - Sez. 1° - 28/07/04 n. 14198
IN VIGORE LE NUOVE DIRETTIVE EUROPEE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI
Sono entrate in vigore il 30/04/04 le Direttive n. 2004/18/CE e n. 2004/17/CE (G.U.U.E. 30/04/04 n. L134), in materia di appalti pubblici, dirette a riunire in testi unici, le direttive vigenti rispettivamente nel settore "classico" (forniture, servizi e lavori) e nei settori "speciali" (acqua, energia, trasporto e servizi postali).
Le due direttive contengono alcuni aspetti e principi molto innovativi degli istituti e delle procedure di appalto, che avranno un impatto diretto e indiretto sulle pubbliche amministrazioni e che potranno in prospettiva condizionare fortemente la legislazione e la prassi degli ordinamenti interni.
Tre sono gli obiettivi principali perseguiti dalle nuove direttive. 1°: la semplificazione e razionalizzazione normativa, attraverso la regolazione uniforme di aspetti procedurali e formali che, pur sostanzialmente analoghi, ricevevano ancora una disciplina differente a seconda dell'oggetto dell'appalto (come, ad esempio, per quanto riguarda le "soglie"). 2°: la modernizzazione, con particolare riferimento alla piena applicazione al settore degli appalti dell'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e telematiche anche nelle stesse procedure di gara (disciplina delle aste telematiche e centrali di acquisto). 3° : la flessibilità, con l'introduzione o il rafforzamento di procedure e istituti innovativi più flessibili che riconoscano una maggiore libertà di azione ai committenti pubblici, come nell'ipotesi dell'accordo quadro (in precedenza limitato ai settori speciali) o dell'appalto integrato (istituto nuovo, che trova applicazione soprattutto negli appalti particolarmente complessi dove l'amministrazione ha la necessità di chiarire e approfondire alcuni aspetti tecnici prima di avviare la procedura di gara).
Vai alla Direttiva Europea n. 2004/18 CE del 31/03/2004 (coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi)
Vai alla Direttiva Europea n. 2004/17 CE del 31/03/2004 (coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali)
L'ATTESTAZIONE DI QUALIFICAZIONE DI UN IMPRESA CESSIONARIA DI UN'AZIENDA O DI UN RAMO D'AZIENDA.
Con propria determinazione n. 11/2002, l'Autorità per la Vigilanza sui LL.PP. ha indicato i criteri e le procedure che le SOA debbono seguire in ordine al rilascio dell'attestazione di qualificazione in favore di un'impresa cessionaria di un'azienda o di un ramo d'azienda. Se non altro, ciò dovrebbe finalmente ovviare alla discordanza di interpretazioni (rectius: mera discrezionalità) con la quale le SOA adempivano alle richieste.
Vai alla Determinazione n. 11/2002 del 05/06/2002
L'AUTORITA' DI VIGILANZA FORMULA LE PRIME INTERPRETAZIONI DELLA L. 01/08/02 N. 166
L'Autorità di Vigilanza è intervenuta per chiarire le modalità applicative delle variazioni ed integrazioni introdotte dalla Legge 11/02/1994 n. 109 e successive modificazioni della L. 01/08/2002 n. 166 con la propria determinazione n. 27/2002. Successivamente, con la Determinazione n. 31/2002, ha fornito ulteriori importanti chiarimenti in ordine al sistema di qualificazione, al divieto di subappalto ed all'appalto integrato.
Ciò è stato reso necessario per i numerosissimi dubbi interpretativi determinatisi, tra l'altro, per l'assenza -nella L. 109/1994- di specifiche disposizioni transitorie.
Vai alla Determinazione n. 27/02 del 16/10/2002
Vai alla Determinazione n. 31/02 del 18/12/2002