L’articolo che segue, pubblicato il 01/09/2024, è liberamente tradotto in italiano dal blog https://www.blocal-travel.com/street-art/urban-insights/banksy-london-zoo-rewilding/
L’Autrice è una scrittrice specializzata in street art e graffiti.
Per chi vuole approfondire (in lingua inglese): https://www.blocal-travel.com/blog/
In calce un commento che, traendo spunto dal blog, affronta il problema di come l’opera di Street art possa essere tutelata dal quel diritto d’autore che è osteggiato dagli Street artists.
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Chi è che possiede la Street Art?
Sulla proprietà della street art, sulla mercificazione e sull’etica di preservare o vendere opere destinate a spazi pubblici.
Non appena sono atterrata a Londra, sono stata travolta da qualcosa di straordinario: l’improvvisa apparizione di nuovi pezzi di Banksy sparsi per la città.
Ogni giorno emergeva un nuovo lavoro, accolto da un mix di stupore, curiosità e il brivido giocoso di una caccia al tesoro.
Ma mentre ero lì, assistendo a tutto ciò per la prima volta, una domanda cruciale ha cominciato a prendere forma nella mia mente, una domanda che non avevo mai contemplato profondamente prima:
cosa succederà dopo?
Lo zoo di Londra di Banksy come caso di studio
Questa esperienza con la serie London Zoo di Banksy si è rivelata un affascinante caso di studio, non solo della street art in sé, ma delle complesse questioni che circondano la sua proprietà e conservazione.
Ogni pezzo di questa serie ha incontrato un destino diverso, determinato in gran parte dal tipo di superficie su cui è stato dipinto e da chi possedeva legalmente quella superficie. Mentre osservavo lo svolgersi di questi eventi, è diventato sempre più chiaro che il destino di ogni pezzo non riguardava solo l’arte: riguardava il potere, il controllo e chi poteva decidere il futuro di qualcosa che era diventato immediatamente un tesoro pubblico.
Alcune opere sono state rapidamente rimosse, sia dai proprietari degli immobili che dai ladri, entrambi gruppi motivati solo dal profitto.
Altre sono state preservate, visti come artefatti culturali da proteggere. Ma ciò solleva una domanda importante: è questo il modo in cui l’arte andrebbe vissuta?
Oppure preservare la street art, che abbraccia intrinsecamente l’effimero, contraddice la natura stessa della forma d’arte stessa, una forma definita dalla sua sfida alla permanenza?
Inoltre, questo svolgersi degli eventi ha evidenziato un’incertezza più ampia che circonda la street art: chi la possiede veramente?
È il proprietario dell’immobile che controlla legalmente il muro su cui si trova?
Il pubblico, che spesso sente un senso di proprietà comunitaria su queste opere?
O l'artista, il cui intento era quello di donare l'arte allo spazio pubblico, non di vederla rinchiusa o venduta?
Queste domande non sono solo teoriche: si sono svolte in tempo reale per me nell'ultimo mese a Londra.
Tuttavia, la storia non è nuova; è una narrazione che si è ripetuta in forme diverse, come evidenziato nel documentario "The Man Who Stole Banksy" (2018).
Questo film racconta il viaggio di un murale di Banksy rimosso dal muro di separazione a Betlemme.
La rimozione del murale e l’eventuale vendita sul mercato dell’arte sollevano dilemmi etici che rispecchiano da vicino il destino dei pezzi dello Zoo di Londra.
È giusto mercificare l'arte nata per provocare pensiero nel suo luogo originario?
E quando l’arte di strada viene venduta, chi ne trae veramente vantaggio?
L’artista, la comunità o l’individuo che controlla la superficie su cui è stata dipinta?
Un dilemma simile viene portato alla luce in "Banksy and the Stolen Girl" (2023) che racconta la storia del furto del murale del Bataclan di Banksy, "The Sad Girl".
Dipinto come omaggio alle vittime degli attacchi di Parigi del 2015, questo murale è stato rubato, innescando una battaglia legale sulla sua legittima proprietà. Come i pezzi dello zoo di Londra, questa storia sottolinea le complessità che circondano la proprietà della street art.
Chi ha il diritto di controllare un’opera d’arte creata in pubblico, spesso senza permesso, ma che da allora ha acquisito un significato culturale significativo?
Il fatto che un pezzo venga preservato, distrutto, mercificato o lasciato svanire nel paesaggio urbano dipende da una rete intricata di proprietà, intenti e percezione pubblica. E come ho potuto constatare lo scorso mese a Londra, la storia della street art è tutt’altro che semplice: è una storia di potere, di chi decide cosa succederà dopo.
Street Art e diritto d'autore
La street art, per sua stessa definizione, viene solitamente creata in spazi pubblici senza permesso, spesso illegalmente, sfidando le nozioni tradizionali di proprietà e diritti legali.
Sebbene la legge sul diritto d'autore sia concepita per proteggere il lavoro di un artista dall'uso non autorizzato, l'applicazione di queste protezioni alla street art solleva una serie di domande e complicazioni, in particolare quando si tratta di far rispettare il copyright in situazioni in cui l'opera d'arte non era destinata alla proprietà privata ma è stata invece creata. come “tesoro collettivo”.
La street art occupa una complessa zona grigia dal punto di vista giuridico.
Da un lato, come qualsiasi altro creatore in qualsiasi altro campo artistico, gli artisti di strada dovrebbero avere il diritto di controllare come viene utilizzato il loro lavoro.
La legge sul copyright protegge tradizionalmente questi diritti, consentendo agli artisti di mantenere il controllo sulle loro creazioni.
Tuttavia, la street art sfida fondamentalmente queste nozioni convenzionali di proprietà.
A differenza di altre forme d’arte, la street art è spesso vista come una forma di dialogo pubblico, un contributo al paesaggio urbano che è intrinsecamente legato alla sua posizione e al contesto.
Questa natura pubblica della street art complica la questione della proprietà. Molti artisti di strada riconoscono questa complessità; spesso dicono che non appena applicano la prima goccia di colore, l'opera d'arte cessa di appartenere a loro: appartiene alla strada, al pubblico.
In questo senso, la street art è considerata un dono per la comunità, qualcosa che deve essere condiviso e sperimentato collettivamente piuttosto che posseduto o controllato da una singola entità.
Tuttavia, questa prospettiva si scontra con la realtà giuridica, in particolare quando le opere di artisti famosi come Banksy vengono utilizzate per uso commerciale o rimosse dalle loro posizioni originali per essere vendute.
Inoltre, questa situazione solleva questioni etiche sulla mercificazione dell'arte che era destinata a rimanere nel suo contesto originale, provocando pensiero o servendo come dono alla comunità piuttosto che trasformarsi in una merce privata.
Questo ci porta a chiedere: chi trae veramente beneficio dalla street art?
E’ l'artista, la comunità o l'individuo che controlla la superficie fisica su cui è stata creata l'arte?
La tensione tra lo spirito ribelle ed effimero della street art ed il desiderio di proteggerla come proprietà civica – di proprietà della comunità piuttosto che dei singoli individui – evidenzia i limiti delle attuali leggi sul copyright. Queste leggi sono state progettate per forme d’arte permanenti, non per opere destinate a interagire con gli spazi pubblici, provocare pensiero e talvolta svanire.
Come si può proteggere l’integrità di queste opere quando non sarebbero mai state destinate a durare e quando la loro stessa creazione spesso sfida le norme legali?
Conclusione
Gli adattamenti legali sono essenziali per riconoscere la natura pubblica e spesso temporanea della street art, garantendo al tempo stesso che queste opere rimangano accessibili alle comunità per cui sono state create.
Questa evoluzione della legge deve trovare un equilibrio tra la protezione dei diritti degli artisti e la preservazione dell’essenza transitoria che definisce la street art, poiché la funzione della street art è centrale per la sua identità e il suo impatto.
I tentativi di preservare la street art, pur essendo ben intenzionati, possono privarla del suo contesto e del suo significato essenziali.
Queste opere sono pensate per esistere negli spazi pubblici, vissute negli ambienti previsti e spesso lasciate svanire naturalmente.
Rimuovendo o mercificando questi pezzi, rischiamo di minare le qualità stesse che rendono avvincente la street art: la sua transitorietà, il suo dialogo con il paesaggio urbano e il suo ruolo come forma fugace ma potente di espressione pubblica.
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Molto interessante la riflessione su come l’opera di Street art possa essere tutelata da quel diritto d’autore che è stato osteggiato dagli Street artists, compreso Banksy che disse: “Copyright is for losers” (Il copyright è per i perdenti); con ciò evidenziando la natura della Street Art, contraddistinta da gratuità e transitorietà nonché da contaminazioni artistiche laddove le opere si presentano come il risultato del confronto-scontro creativo di vari artisti.
La materia è regolata in Italia da una norma molto antica (Legge n. 633 del 22 aprile 1941) che ha subito nel tempo varie modifiche, da ultimo nel 2023, e che -grazie alla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche del 1986- ha esteso la protezione anche alle opere di strada, includendole tra le opere di arte figurativa, indipendentemente dal loro carattere effimero, purché siano “creative” e, quindi, espressive delle scelte libere e della personalità dell’Autore.
Vi è poi una distinzione di fondo tra la Street art ‘commissionata’ da un soggetto pubblico o privato per finalità politico-culturali, commerciali, oppure di collezionismo, e la Street art ‘indipendente’, ove la creazione, spesso di impegno civile, è realizzata dall’Artista in modo illegale.
Nel caso di opere d’arte urbana autorizzate, il diritto di proprietà sull’opera, salvo diverso accordo contrattuale, apparterrà al proprietario del supporto, in virtù del principio di accessione previsto dall’art. 936 cod. civ.
Il fenomeno dell’accessione determina che un’opera realizzata da un terzo, con materiali propri, sia incorporata al bene immobile su cui insiste, rientrando nella sfera di dominio del proprietario del supporto materiale.
Nonostante ciò, le opere sono tutelate dal diritto d’autore sin dal momento della creazione. I diritti restano in capo all’artista, salvo che la loro cessione sia espressamente concordata. In ogni caso, la cessione non può mai riguardare i suoi diritti morali, ossia i diritti di paternità e di integrità dell’opera. Se i diritti patrimoniali d’autore perdurano fino a 70 anni dopo la morte dell’Artista e possono essere trasferiti, lo stesso non può dirsi per i diritti morali d’autore, che sono perpetui, incedibili e irrinunciabili.
In considerazione di quanto sopra, riterrei che in Italia l’uso con finalità commerciali da parte del titolare del supporto o di terzi non sia libero, essendo subordinato alla necessaria preventiva approvazione dell’Artista.
Quest’ultimo, al fine di tutelare il proprio diritto morale all’integrità dell’opera, ha il diritto di opporsi a qualsiasi modificazione e ad ogni atto pregiudizievole dell’opera che lo danneggi nell’onore o nella reputazione (art. 20, comma 1°, Legge sul diritto d’autore).
Per quanto riguarda le opere dell’arte urbana indipendente, cioè realizzate in assenza di autorizzazione da parte dei proprietari dei supporti materiali il cui diritto dominicale sul bene viene ad essere compresso, proprio alla luce della Convenzione di Berna del 1986 (applicabile in Italia), riterrei irrilevante il carattere illecito dell’opera ai fini della tutela dell’Autore, cosicché il proprietario del supporto assume il diritto di proprietà anche dell’opera, e all’artista è riconosciuto il diritto d’autore.
Così si è espressa la Corte di Cassazione civile: “L’opera dell’ingegno può essere ottima o pessima, educatrice o corruttrice, o anche determinante ad azioni egregie o delittuose e può in conseguenza procacciare al suo autore fama o dileggio, ricchezza o miseria, e aprirgli le vie dei più alti onori, o le porte del carcere. Ma l’opera dell’ingegno, qualunque sia, sublime o non, rimarrà sempre inviolabile proprietà dell’autore”.
La disciplina giuridica che ricostruisce il rapporto tra l’autore dell’opera realizzata in forma illecita ed il proprietario del supporto va riferita al richiamato art. 936 cod. civ., ai sensi del quale il proprietario potrà mantenere l’opera incorporata al supporto pagando un corrispettivo all’artista, oppure potrà rimuovere l’opera entro sei mesi dall’avvenuta conoscenza dell’incorporazione.
All’esito del bilanciamento tra i due diritti di rango costituzionale in gioco, quali il diritto di proprietà del bene (art. 42 Cost.) ed il diritto d’autore (art. 33 Cost.), a livello pratico prevale solitamente quello del proprietario, potendo egli disporre dell’opera ed esercitare su di essa i diritti derivanti dall’accessione.
Nell’ipotesi in cui l’opera venga rimossa e staccata dal supporto utilizzato o spostata dal luogo di creazione, discrezionalmente scelti dagli artisti, si dà luogo ad una lesione del diritto all’integrità dell’opera allorché tali atti comportino una modifica sostanziale del messaggio artistico originariamente sotteso all’opera, danneggiando l’onore o la reputazione degli artisti.
Gli Street artists che celano la loro identità reale dietro l’anonimato o uno pseudonimo non incorrono in una privazione o limitazione della protezione legale, potendo, in qualsiasi momento, sia rivendicare la paternità dell’opera (art. 20 Legge sul diritto d’autore), sia esercitare i diritti d’autore ad essa connessi.
Banksy, ad esempio, gestisce i diritti di utilizzazione economica sulle proprie opere mediante la Pest Control Office Ltd, la Società inglese fondata dallo stesso artista al fine di tutelare le proprie opere da sfruttamenti abusivi. Come si legge sul sito web della società “Pest Control Office is the only official body that can authenticate a genuine artwork by Banksy. We do this to prevent confusion, fraud and misattribution” (Pest Control Office è l’unico ente ufficiale in grado di autenticare un'opera d'arte originale di Banksy. Lo facciamo per evitare confusione, frodi e attribuzioni errate).
E, ancora: “Anybody is free to use Banksy’s images for non-commercial and personal amusement. Print them out in a color that matches your curtains, make a card for your gran, submit them as your own homework, whatever. But neither Banksy nor Pest Control Office license the artist’s images to third parties. Nobody can use Banksy’s images for any commercial purpose, including launching a range of merchandise or tricking people into thinking something is made or endorsed by the artist when it isn’t. Saying Banksy wrote ‘copyright is for losers’ in his book doesn’t give you free rein to misrepresent the artist and commit fraud. We checked”. (Chiunque è libero di utilizzare le immagini di Banksy per il divertimento personale e non commerciale. Stampatele in un colore abbinato alle vostre tende, realizzate un biglietto per vostra nonna, presentatele come vostri compiti, qualsiasi cosa. Ma né Banksy né Pest Control licenziano le immagini dell’artista a terzi. Nessuno può usare le immagini di Banksy per qualsiasi fine commerciale, incluso lanciare una gamma di prodotti o ingannare le persone inducendole a pensare che qualcosa sia stato prodotto o approvato dall’artista quando non lo è. Dire che Banksy ha scritto che ‘il diritto di autore è per perdenti’ non vi dà completa libertà di travisare l’artista o commettere frodi. Abbiamo verificato).
Sulla scorta di queste indicazioni normative, si ricava che le opere degli artisti “mascherati” sono protette in Italia dal diritto di autore in caso di violazioni purché costoro, per il tramite di validi rappresentanti, mantengano la facoltà e la legittimazione attiva di proporre azioni legali contro terzi utilizzatori non autorizzati e senza dover rinunciare alla loro identità segreta.
Questa rapida (e sommaria) carrellata del diritto italiano conferma, se possibile, l’assoluta necessità di adeguare la legislazione alle novità introdotte dalla Street Art, in particolare per quanto riguarda il “diritto della comunità” al mantenimento dell’opera; diritto oggi per nulla tutelato anche se è proprio ciò a cui presumibilmente lo Street Artist ha mirato.