Procedura Civile
NEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO, IL CREDITORE OPPOSTO PUO' MODIFICARE LA DOMANDA ORIGINARIA PROPOSTA IN SEDE MONITORIA
Nell'opposizione a decreto ingiuntivo al creditore opposto è consentito modificare la propria domanda originaria -nel senso di specificare e meglio chiarire e persino mutare causa petendi e petitum- ai sensi dell'art. 183 c.p.c. al fine di adeguare la pretesa azionata in sede monitoria, non potendosi considerare nuova una domanda che non sia ulteriore o aggiuntiva a quella proposta nell'atto introduttivo, in base ai principi di economia dei mezzi processuali e di ragionevole durata dei processi.
Vai alla Ordinanza Cassazione Civile, Sez. III, 21 Marzo 2024 n. 7592
LE SEZIONI UNITE SPIEGANO COME VA ECCEPITA EX ART. 246 C.P.C. L'INCAPACITà DI UN TESTE A TESTIMONIARE
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 06/04/2023 n. 9456, hanno chiarito come e quando la parte contro la quale è diretta una prova testimoniale deve eccepire, a pena di decadenza, l’incapacità del teste ai sensi dell’art. 246 c.p.c. In particolare, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., sono stati affermati i seguenti principi di diritto:
1) L’incapacità a testimoniare disciplinata dall’articolo 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicché, ove la parte non formuli l’eccezione di incapacità a testimoniare prima dell’ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova;
2) Ove la parte abbia formulato l’eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità che, ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., l'interessato ha l’onere di eccepire subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità;
3) La parte che ha tempestivamente formulato l’eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l’eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d'impugnazione.
Vai alla Sentenza Cassazione S.U. 06/04/2023 n. 9456
LE SEZIONI UNITE CHIARISCONO QUANDO IL C.T.U. HA FACOLTA’ DI ACQUISIRE DOCUMENTAZIONE NON PRESENTE NEGLI ATTI DI CAUSA
In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il massimo consesso della Cassazione ha dettato i seguenti principi di diritto:
- il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio;
- l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice, viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.;
- l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso;
- in materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c. il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni.
Vai alla sentenza Cassazione Sezioni Unite, 28/02/2022 n. 6500
Vai alla sentenza Cassazione Sezioni Unite, 01/02/2022 n. 3086
REQUISITI PER IL DISCONOSCIMENTO DI UN DOCUMENTO PRODOTTO IN COPIA NEL GIUDIZIO
Con la sentenza n. 24634/2021, il Giudice di legittimità ha ribadito l'insegnamento secondo cui il disconoscimento formale della conformità della copia all’originale deve avvenire, a pena di inefficacia, attraverso una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all'originale (conf.: Cass. 3227/2021; Cass. 25404/2020; Cass. 24730/2020; Cass. 22577/2020; Cas. 20770/2020). In particolare, alla disciplina del disconoscimento della scrittura privata non si applica l'art. 215 c.p.c., e pertanto il disconoscimento della conformità della copia all'originale non contempla l'inutilizzabilità del documento in difetto di istanza di verificazione. Ai fini del disconoscimento di cui all'art. 2719 cod. civ., la Giurisprudenza richiede l'ulteriore requisito della specifica indicazione degli "aspetti differenziali" tra copia prodotta ed originale.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sez. 1°, 13/09/2021 n. 24624
I POTERI DEL C.T.U. NELL’ACQUISIRE, SENZA LA PREVENTIVA AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE, ULTERIORI DOCUMENTI
La Corte di Cassazione, con la sentenza 5 febbraio 2020 n. 2671, ha precisato come sia possibile per il CTU acquisire nuovi documenti, non prodotti dalle Parti nei termini di rito, “purché integri ed affidabilissimi”.Rientra cioè nel potere del consulente tecnico d'ufficio attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli (Cass. n. 13686/2001; Cass. n. 3105/2004; Cass. n. 13428/2007; Cass. n. 1901/2010; Cass. n. 4644/1989), sempre che non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti poiché, in tal caso, l'attività svolta dal consulente finirebbe per supplire impropriamente al carente espletamento, ad opera delle stesse, dell'onere probatorio, in violazione dell'art. 2697 c.c. (Cass. n. 26893/ 2017; Cass. n. 12921/2015). Ciò premesso, la Corte ammette una eccezione e consente che il CTU esamini documenti mai prodotti in giudizio, “purché integri ed affidabilissimi”. Si tratta di una tesi criticabile, atteso che, come la stessa Cassazione ha negli anni ripetuto, la consulenza tecnica è strumento di valutazione della prova acquisita (Cass. Civ. Sez. III 13 marzo 2009 n. 6155; Cass. Civ. Sez. III 12 febbraio 2008 n. 3374; Cass. Civ. Sez. II 30 maggio 2007 n. 12695; Cass. Civ. Sez. Lav. 22 febbraio 2006 n. 3881; Cass. Civ. Sez. III 14 febbraio 2006 n. 3191; Cass. Civ. Sez. III 19 gennaio 2006 n. 1020; Cass. Civ. Sez. III 30 novembre 2005 n. 26083; Cass. Civ. Sez. III 30 novembre 2005 n. 26083; Cass. Civ. Sez. I 23 novembre 205 n. 24589; Cass. Civ. Sez. III 22 giugno 2005 n. 13401; Cass. Civ. Sez. Lav. 05 maggio 2005 n. 9353; Cass. Civ. Sez. Lav. 21 aprile 2005 n. 8297; Cass. Civ. Sez. III 06 aprile 2005 n. 7097; Cass. Civ. Sez. Lav. 19 agosto 2004 n. 16256; Cass. Civ. Sez. III 01 aprile 2004 n. 6396; Cass. Civ. Sez. II 21 luglio 2003 n. 11332; Cass. Civ. Sez. III 06 giugno 2003 n. 9060; Cass. Civ. Sez. III 16 maggio 2003 n. 7635; Cass. Civ. Sez. III 26 febbraio 2003 n. 2887; Cass. Civ. Sez. II 30 gennaio 2003 n. 1512; Cass. Civ. Sez. III 31 luglio 2002 n. 11359; Cass. Civ. Sez. II 15 aprile 2002 n. 5422; Cass. Civ. Sez. Lav. 02 gennaio 2002 n. 10; Cass. Civ. Sez. III 07 marzo 2001 n. 3343; Cass. Civ. Sez. Lav. 12 dicembre 2000 n. 15630; Cass. Civ. Sez. Lav. 17 agosto 2000 n. 10916; Cass. Civ. Sez. III 10 marzo 2000 n. 2802; Cass. Civ. Sez. Lav. 10 luglio 1999 n. 7319; Cass. Civ. Sez. III 29 marzo 1999 n. 2957; Cass. Civ. Sez. Lav. 04 febbraio 1999 n. 996; Cass. Civ. Sez. II 14 gennaio 1999 n. 321; Cass. Civ. Sez. II 05 maggio 1998 n. 4520; Cass. Civ. Sez. II 15 gennaio 1997 n. 342; Cass. Civ. Sez. Un. 04 novembre 1996 n. 9522; Cass. Civ. Sez. Lav. 05 luglio 1996 n. 6166; Cass. Civ. Sez. Lav. 16 marzo 1996 n. 2205; Cass. Civ. Sez. Lav. 10 gennaio 1996 n. 132; Cass. Civ. Sez. Lav. 26 ottobre 1995 n. 11133; Cass. Civ. Sez. III 04 marzo 1995 n. 2514; Cass. Civ. Sez. II 31 marzo 1990 n. 2629; Cass. Civ. Sez. II 07 aprile 1987 n. 3351; Cass. Civ. Sez. II 31 marzo 1987 n. 3105; Cass. Civ. Sez. Lav. 24 marzo 1987 n. 2849; Cass. Civ. Sez. II 06 ottobre 1984 n. 4991; Cass. Civ. Sez. II 19 marzo 1984 n. 1881; Cass. Civ. Sez. Lav. 26 ottobre 1983 n. 6323; Cass. Civ. Sez. Lav. 18 gennaio 1983 n. 453; Cass. Civ. Sez. III 13 dicembre 1979 n. 651). In mancanza di allegazioni e prove, la CTU non dovrebbe neppure essere ammessa, piuttosto che essere ammessa al fine di esaminare documenti che, non trovando ingresso dal portone dell’art. 183 c.p.c., entrerebbero dalla finestra della CTU. Con la sentenza in esame, la Cassazione giunge ad ulteriore approdo in punto di competenza qualificata del CTU. Infatti, con una decisione che farà discutere, precisa che l'iscrizione negli albi dei consulenti tecnici, ripartiti per categorie, non pone un limite al potere di scelta discrezionale che spetta al giudice, il quale può nominare “qualunque persona” -iscritta o meno all'albo o, se iscritta, inserita nell'una piuttosto che nell'altra categoria- che reputi provvista di competenza specifica in relazione alla questione tecnica da risolvere, fermo restando il potere della parte di muovere censure alla consulenza effettuata, denunciandola come erronea ovvero inidonea per incompetenza tecnica della persona nominata (Cass. n. 1428/1983). Il Giudice di legittimità si spinge ancora più avanti: non costituisce motivo di nullità della consulenza neppure il fatto che l'ausiliario abbia attinto elementi di giudizio dalle cognizioni e dalle percezioni di un proprio collaboratore, nel rispetto del contraddittorio e sotto il controllo delle parti tempestivamente avvertite e poste in grado di muovere le loro osservazioni; ferma restando la necessità che l'operato del collaboratore non sostituisca integralmente quello del consulente, ma questi elabori il proprio documento peritale in modo da farvi contenere anche autonome considerazioni (Cass. n. 21728/2006; Cass. n. 16471/2009; Cass. n. 4257/2018).
Vai alla Sentenza Cassazione, 2° Sezione Civile, 05/02/2020 n. 2671
LA LIQUIDAZIONE EQUITATIVA PUÒ AVVENIRE NON SOLO QUANDO È INDETERMINABILE L’AMMONTARE, MA ANCHE QUANDO LA PROVA DEL DANNO SIA PARTICOLARMENTE DIFFICOLTOSA
Con la sentenza n. 23661 del 27/10/2020, la terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha stabilito che il danno alla salute e la concreta lesione all’onore e alla personalità possono essere risarciti in via equitativa, purché la relativa pretesa venga quantomeno allegata e concretamente posta all’attenzione del Giudice al fine di un ristoro liquidato in via equitativa. In particolare, il Giudice di legittimità ha precisato che laliquidazione equitativa dei danni ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. è rimessa al prudente criterio valutativo del Giudice di merito non soltanto quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, ma anche quando la stessa, in relazione alla peculiarità del caso concreto, si presenti particolarmente difficoltosa.
Vai alla Sentenza Cassazione, Sez. III, 27/10/2020 n. 23661
LA CASSAZIONE INDICA LE DISTINZIONI TRA MUTATIO ED EMENDATIO LIBELLI
La Suprema Corte, con la sentenza n. 834/2019, chiarisce le seguenti distinzioni tra i due istituti: a) si ha "mutatio libelli" quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un "petitum" diverso e più ampio oppure una "causa petendi" fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al Giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte; b) si ha, invece, semplice "emendatio" quando si incida sulla "causa petendi", in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul "petitum", nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa già fatta valere. Peraltro, la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova "causa petendi" in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto, non dà luogo ad una domanda nuova, come tale inammissibile in appello.
Vai a Cassazione Civile, Sez. Lavoro, sentenza 15/01/2019 n. 834
IN CASO DI LITISCONSORZIO, LA NOTIFICA DELLA SENTENZA FA DECORRERE, ANCHE PER LA PARTE NOTIFICANTE, IL TERMINE BREVE PER IMPUGNARE
Il principio per il quale, nel processo con pluralità di parti, stante l'unitarietà del termine per l'impugnazione, la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l'inizio del termine per la proposizione dell'impugnazione contro tutte le altre parti, trova applicazione soltanto quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ovvero nel caso in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale. Non invece quando si versi nella distinta ipotesi di plurime cause che avrebbero potuto essere trattate separatamente e, solo per motivi contingenti, sono state trattate in un solo processo, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio.
Vai a Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza 21/12/2018 n. 33152
OLTRE LA 1° UDIENZA DI TRATTAZIONE NON SI POSSONO PIU' PRODURRE DOMANDE OD ECCEZIONI CHE SIANO CONSEGUENZE DELLA RICONVENZIONALE O DELLE ECCEZIONI FORMULATE DAL CONVENUTO
Con ordinanza n. 30745 del 26 novembre 2019, la Cassazione ha ricordato che la memoria di cuiall'art.183, comma 6, n. 1, c.p.c. consente all'attore di precisare e modificare le domande "già proposte", ma non di proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni formulate dal convenuto. Queste ultime, infatti, vanno proposte -a pena di decadenza- entro e non oltre la prima udienza di trattazione
Vai all’ordinanza Cassazione civile, sez. VI-3, 26/11/2019 n. 30745
LE SEZIONI UNITE CHIARISCONO L’ESATTA PORTATA DEL REQUISITO DELLA SPECIFICITA’ DEI MOTIVI DI APPELLO
Il massimo consesso di legittimità ha chiarito l'esatta portata degli artt. 342 e 434 c.p.c., così come riformati dal D.L. 22/06/2012 n. 83 convertito con modificazioni dalla L. 07/08/2012 n. 134. Tale riforma, infatti, ha reso il requisito della specificità dei motivi d'appello nel giudizio ordinario e in quello di cassazione oggetto di interpretazioni contrastanti che sono state finalmente uniformate dalle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione con la sentenza n. 27199/2017. La Corte ha sancito che il nuovo testo dei predetti articoli esige oggi che "le questioni e i punti contestati nella sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze". Quindi, i motivi dell'atto d'appello devono comporsi di due parti: una parte volitiva e una parte argomentativa. Con particolare riferimento a quest'ultima, l'effettiva ampiezza e la specificità delle doglianza è connessa con la motivazione assunta dal giudice di primo grado. Di conseguenza, se la tesi della parte non è stata da questi vagliata, l'atto di appello può anche limitarsi a riprendere, con i dovuti adattamenti, le linee difensive di primo grado; mentre se il giudice del primo grado ha puntualmente confutato determinate argomentazioni, l'atto di appello necessita di una formulazione più rigorosa e specifica, dalla quale emerga –pur senza particolari forme sacramentali- che l'appellante abbia compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa (circostanza che comunque non deve necessariamente tradursi nella prospettazione di un progetto alternativo di sentenza).
Le Sezioni Unite hanno inoltre precisato che l'atto di appello è rimasto una revisio prioris instantiae e non si è trasformato in un mezzo di impugnazione a critica vincolata; con l’effetto che nell’appello (quale giudizio di merito) non può riconoscersi una sorta di “anticipato” ricorso per cassazione.
Vai alla sentenza Cassazione SS.UU. 16/11/2017 n. 27199
LA CASSAZIONE RIBADISCE LA DIFFERENZA (E GLI EFFETTI IN APPELLO) TRA MUTATIO LIBELLI E SUA SEMPLICE EMENDATIO
Con la sentenza n. 834 del 15/01/2019, il Giudice di legittimità ha ribadito il seguente principio di diritto: si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente; di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo. Si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. La mutatio libelli, e non la semplice emendatio, determina la inammissibilità dell’appello.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 15/01/2019 n. 834
LA CASSAZIONE FISSA I CRITERI INTERPRETATIVI DEL RISARCIMENTO DANNI DA RESPONSABILITA' PROCESSUALE AGGRAVATA
Il Giudice di legittimità, con l’ordinanza n. 26515 del 09/11/2017, ha fissato i parametri interpretativi per la configurabilità della responsabilità processuale aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c. comma 2°. Per tale responsabilità è necessario che siano accertate sia l’infondatezza della pretesa fatta valere in giudizio, sia la violazione del canone di normale prudenza nell’agire in giudizio, in relazione alla fattispecie concreta. Ai fini dell’affermazione di tale violazione, il giudice deve verificare, con valutazione ex ante, la consapevolezza dell’interessato della presumibile infondatezza della propria pretesa, dando rilievo, oltre che agli orientamenti giurisprudenziali esistenti al momento della proposizione della domanda, anche ad eventuali esiti alterni delle fasi di merito, e all’esito di eventuali istanze cautelari o volte alla sospensione dell’esecutività della sentenza. In caso di trascrizione della domanda giudiziale, deve accertare se la trascrizione sia stata effettuata fuori dai casi consentiti o imposti dalla legge, o se fosse consentita o obbligatoria, non potendosi considerare violazione dell’obbligo di agire con la normale prudenza l’esclusivo dato della avvenuta trascrizione della domanda giudiziale nel caso in cui essa sia imposta dalla legge allo scopo di rendere opponibile ai terzi l’esito positivo del giudizio.
Vai a Cass. Civ., Sez. III, Ordinanza 09/11/2017 n. 26515
INAMMISSIBILE IL RICORSO IN CASSAZIONE NON INNOVATIVO
Il ricorso contro una sentenza che si è conformata alla Giurisprudenza di legittimità e senza motivi rilevanti che possano mutare l’orientamento giurisprudenziale deve essere dichiarato inammissibile e non manifestamente infondato. L’importante principio è stato espresso dalla Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 7155/2017 la quale ha sciolto il dissidio giurisprudenziale riguardante se un ricorso immotivatamente contrario alla giurisprudenza di legittimità debba essere dichiarato inammissibile ovvero manifestamente infondato. Ciò alla luce del fatto che per l’accesso al giudizio di legittimità è condizione imprescindibile che il ricorso offra elementi innovativi e rilevanti tali da modificare la giurisprudenza di legittimità a cui si è conformata la decisione impugnata. I Giudici partono dal dettato normativo che prevede, in caso di difformità del ricorso ai precetti di cui all'art. 360bis c.p.c., l’inammissibilità (la quale –insegnano le SSUU- può riguardare solo alcuni dei motivi e non necessariamente l’intero ricorso). La S.C. chiarisce infine che la valutazione della condizione di conformità, indispensabile per l’ammissibilità del ricorso, deve essere compiuta al momento della decisione; e ciò al fine di evitare una pronuncia di inammissibilità laddove nel frattempo intervenga un mutamento di orientamento giurisprudenziale rispetto al momento in cui è stato presentato ricorso.
Vai alla sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili, 21/03/2017 n. 7155
EFFETTI DELLA NOTIFICAZIONE PRESSO IL PROCURATORE NON PIU' DOMICILIATARIO
Con la sentenza n. 14916 del 20/07/2016, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto relativamente a due questioni processuali: a) se sia nulla o inesistente la notificazione del ricorso per cassazione presso il procuratore della controparte costituita in primo grado, ma rimasta contumace in appello; b) se sia nulla o inesistente la notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso il procuratore del primo grado, cui poi il mandato sia stato revocato in grado di appello per essere conferito ad altro difensore. Il Giudice di legittimità ha elaborato la seguente massima:
1.La notificazione del ricorso per cassazione è inesistente, oltre all’ipotesi di mancanza materiale dell’atto, solo se l’attività posta in essere sia priva degli elementi essenziali idonei a ritenerla qualificabile come tale ed essi consistono: a) nell’attività di trasmissione da parte di un soggetto dotato, per legge, della possibilità giuridica di compierla; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti possibili della notificazione previsti dall’ordinamento, esclusi soltanto i casi di mera restituzione dell’atto al mittente e, dunque, di notifica solo tentata.
2.Non attiene agli elementi costitutivi essenziali della notificazione del ricorso per cassazione il luogo dove viene eseguita, i vizi della cui identificazione ricadono sempre, anche quando esso si riveli privo di collegamento con il destinatario, nell’ambito della nullità, suscettibile di sanatoria.
Vai alla sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili, 20/07/2016 n. 14916
NATURA DELLA IMMINENZA ED IRREPARABILITA' DEL PREGIUDIZIO NEL PROVVEDIMENTO D'URGENZA
LE SEZIONI UNITE CHIARISCONO QUALE SIA LA SORTE DEL PROCESSO ESECUTIVO A SEGUITO DI CADUCAZIONE DEL TITOLO DEL CREDITORE PROCEDENTE
Le Sezioni unite, a composizione di un contrasto, hanno enunciato il principio secondo il quale nel processo di esecuzione forzata, a cui partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato forza esecutiva, salvo che il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario. In particolare, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che sia necessaria la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell'interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento.
Vai alla sentenza Cassazione Sezioni Unite, 07/01/2014 n. 61
IL BENEFICIO DI PREVIA ESCUSSIONE RIGUARDA SOLO LA FASE ESECUTIVA
Nel caso di società di persone, il creditore (ed in particolar modo il fisco) può agire in tribunale e poi iscrivere ipoteca a carico del socio imprenditore anche se non ha ancora iniziato l’esecuzione forzata nei confronti della società. Solo se intende procedere con il pignoramento, il creditore deve prima aggredire la società e poi l’imprenditore. Tale obbligo però non sussiste per la fase antecedente, ossia quella dell’azione volta a procurarsi il titolo, cioè il diritto ad agire in esecuzione forzata. Pertanto, il creditore della società non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito sui beni della società senza esito positivo; ma ciò non gli impedisce di agire con un giudizio di cognizione al fine di munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio ed, eventualmente, iscrivere ipoteca sugli immobili di quest’ultimo. Una volta ottenuto il titolo, il creditore sarà obbligato a rispettare il “beneficio di previa escussione”, dovendo prima agire in via esecutiva contro la società e poi contro i soci.
Vai alla ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI°, n. 49 del 03/01/2014
NEL CASO DI COMUNIONE LEGALE DEI BENI, IL PIGNORAMENTO VA ESEGUITO ANCHE NEI CONFRONTI DEL CONIUGE NON DEBITORE
La 3° Sezione Civile della Corte di Cassazione, con un importante obiter dictum, ha chiarito che l'immobile oggetto di comunione legale tra i coniugi, se pignorato dal creditore di un solo coniuge, deve essere oggetto di vendita forzata per l'intero; con conseguente scioglimento della comunione legale, limitatamente al bene staggito, all’atto della sua vendita od assegnazione. Metà del ricavato lordo della vendita o dell’assegnazione del cespite andrà assegnato al coniuge non debitore, il quale non potrà subire le spese della procedura. Pertanto, l'unica soluzione possibile in caso di pignoramento da parte di un creditore personale di uno dei due coniugi dell'immobile rientrante nel regime di comunione legale ex artt. 177 e ss c.c. è quella di procedere alla vendita coattiva del cespite e di attribuire al coniuge non debitore la metà della somma ottenuta dalla medesima vendita. Il coniuge non debitore, pertanto, come contitolare, si trova nella medesima condizione dell'esecutato e dunque deve essere destinatario della notifica del pignoramento, non potendo il creditore procedere (pena la sua inammissibilità) con il pignoramento di una sola parte dell'immobile. A tale decisione gli ermellini giungono a causa della natura della comunione legale fra i coniugi che essendo comunione senza quote, per consolidata giurisprudenza e costante dottrina, rende impossibile non solo l'espropriazione ma anche che un terzo (di fatto il creditore pignorante) entri a far parte della medesima comunione soltanto per quella quota del bene oggetto di pignoramento di cui è divenuto aggiudicatario o assegnatario. Da parte sua il coniuge non debitore, essendo co-destinatario della notifica dell'atto di pignoramento potrà a sua volta esperire i rimedi dell'opposizione agli atti esecutivi e dell'opposizione di terzo all'esecuzione.
Vai alla sentenza Cass. Civ., Sez. III, 14/03/2013 n. 6575
Vai alla Circolare 20/05/2013 del Tribunale di Massa Carrara - Ufficio Esecuzioni Immobiliari
LE DELIBERE ASSEMBLEARI SUL BILANCIO NON POSSONO ESSERE IMPUGNATE INNANZI ALL'ARBITRO
Con l'ordinanza n. 18671/12, la Corte di Cassazione affronta una questione da sempre molto dibattuta nell'ambito del diritto societario specificando la competenza del Giudice ordinario per l'impugnativa della delibera assembleare sul bilancio. Viene anche ribadito che la competenza per materia si determina, ai sensi dell’art. 10 c.p.c. (dettato per la competenza per valore ma esprimente un principio generale e, come tale, applicabile anche in riferimento agli altri tipi di competenza), con criterio "a priori", secondo la prospettazione fornita dall'attore nella domanda.
Vai all'ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. VI°, 30/10/2012 n. 18671
IL GIUDIZIO DI ACCERTAMENTO DELL'OBBLIGO DEL TERZO: SUA NATURA ED OGGETTO
Il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, in quanto funzionalizzato all'individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione forzata, all'esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione ex art. 548 c.p.c., è rivolto esclusivamente all'accertamento dell'esistenza e dell'ammontare del diritto alla consegna delle cose od al pagamento delle somme dovute. Ne consegue che la sentenza con cui esso si conclude non spiega efficacia di giudicato su questioni estranee, come quelle attinenti alla esperibilità o alla validità del pignoramento o comunque ad una qualità del credito del debitore esecutato, come la sua impignorabilità, potendo esse costituire unicamente oggetto di opposizione all'esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. In definitiva, il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c. -che costituisce un autonomo giudizio di cognizione il cui oggetto solo in senso approssimativo è il diritto di credito del debitore esecutato verso il terzo debitore in quanto il diritto di credito pignorato si "autonomizza" al momento in cui viene effettuato il pignoramento mediante la notificazione dell'atto ex art. 543 c.p.c.- sorge incidentalmente nel corso del procedimento esecutivo ed è funzionalizzato all'individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione all'esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione del terzo. Ne consegue che unico legittimato a richiedere il giudizio di cognizione di cui all'art. 548 c.p.c. è il creditore esecutante il quale, pur perseguendo lo scopo di ottenere dal terzo debitore l'adempimento che costui doveva all'escusso, agisce non già in nome e per conto di quest'ultimo -come chi esercita l'azione surrogatoria-, nè chiede di sostituirsi nella posizione di (originario) creditore di quest'ultimo, bensì agisce "iure proprio" e nei limiti del proprio interesse. Il debitore esecutato non può proporre nella detta sede esecutiva una domanda concernente l'esistenza del proprio credito verso il terzo come esso è nel momento in cui il processo si svolge (e pertanto concernente oggetto diverso da quello proprio del giudizio ex art. 548 c.p.c.), ben potendo egli viceversa proporla in un diverso, autonomo e separato processo.
Vai alla sentenza Cass. Civ., Sez. III°, 04/10/2010 n. 20595
LA CASSAZIONE CHIARISCE GLI EFFETTI RICOLLEGABILI AL COMPORTAMENTO CHE LA PARTE PUO' ASSUMERE UNA VOLTA DEFERITOLE L'INTERROGATORIO FORMALE
LA CASSAZIONE ESAMINA IL MODELLO DI SENTENZA PREVISTO DALL'ART. 281 SEXIES C.P.C. E LA QUESTIONE DELLA DECORRENZA DEL CORRELATO TERMINE DI IMPUGNAZIONE
Nel caso di sentenza redatta a verbale o allegata allo stesso ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., la sua pubblicazione, al fine della decorrenza dei termini "ad opponendum", esige che la pronuncia sia stata letta in udienza e che di tale lettura si dia atto nel verbale immediatamente sottoscritto dal giudice. Dal difetto di tale adempimento consegue il mancato esonero per il cancelliere dall'osservanza delle attività comunicatorie ex art.133 c.p.c. (v. Cass. n. 18743/07). Il termine breve d'impugnazione, previsto dall'art. 325 c.p.c., decorre dalla notificazione della pronuncia anche per le sentenze emesse ex art. 281-sexies c.p.c., non potendosi ritenere equipollente alla notificazione, in quanto atto ad istanza di parte, la lettura del dispositivo e della motivazione in udienza che, unitamente alla sottoscrizione del verbale contenente il provvedimento da parte del giudice, caratterizza tale tipologia di sentenze (v., da ultimo, Cass. n. 12515/09). In tema di regolamento di competenza (fattispecie in concreto ricorrente nell’ordinanza in esame), nel caso in cui, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, il giudice abbia ordinato la discussione orale della causa e abbia pronunciato sentenza solo sulla competenza, al termine della discussione,
Vai all'ordinanza Cassazione civile 23/09/2010 n. 20092
NON E' NECESSARIO IL PREVENTIVO ANNULLAMENTO DELL'ATTO ILLEGITTIMO PERCHE' IL GIUDICE AMMINISTRATIVO ACCORDI AL PRIVATO IL RISARCIMENTO DELL'INTERESSE VIOLATO
Le Sezioni Unite, giudicando sui ricorsi avverso la decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12 del 2007, li dichiarano inammissibili ma ribadiscono il principio di diritto, enunciato nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363 c.p.c., secondo cui, proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento. Le Sezioni Unite, nel dare continuità all'indirizzo inaugurato nel 2006 (ordinanze nn. 13659, 13660 e 13911), danno conto dell'evoluzione del concetto di giurisdizione, dovuta a molteplici fattori (il ruolo centrale della giurisdizione nel rendere effettivo il primato del diritto comunitario; il canone dell'effettività della tutela giurisdizionale; il principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina; il rilievo costituzionale del principio del giusto processo; l'ampliarsi delle fattispecie di giurisdizione esclusiva, ecc.), e della conseguente mutazione del giudizio sulla giurisdizione rimesso alla S.C., tradizionalmente inteso a livello di pura qualificazione della situazione soggettiva dedotta, alla stregua del diritto oggettivo. Giurisdizione, nella Costituzione (artt. 24, 111 e 113), è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e, dunque, in un senso che comprende le diverse tutele che l'ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l'effettività dell'ordinamento. E' norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale (ripartito tra i diversi ordini di giudici a seconda del tipo di situazioni soggettive e di settori di materie), ma anche quella che dà contenuto a quel potere stabilendo le forme di tutela attraverso le quali esso si estrinseca. Pertanto, rientra nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, rimesso alle S.U., l'operazione che consiste nell'interpretare la norma attributiva di tutela, onde verificare se il giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 111 co. 8° Cost., la eroghi concretamente, e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione rispettandone il contenuto essenziale.
Vai alla sentenza Cassazione S.U. 23/12/2008 n. 30254
LE SEZIONI UNITE RISOLVONO IL CONTRASTO (TRA CRITERIO DEL "DISPUTATUM" E CRITERIO DEL "DECISUM") SULLA LIQUIDAZIONE DELLE SPESE PROCESSUALI
In tema di liquidazione delle spese processuali, in caso di riduzione della domanda in un grado di giudizio, sulla base di un'interpretazione sistematica dell'art. 6, primo e secondo comma, della Tariffa civile, il "disputatum" nel momento iniziale della lite non è risolutivo, dovendo tenersi conto dell'effettiva decisione (il "decisum") del giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa, salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel qual caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell'intera domanda. Nel caso in cui -una volta che la pretesa azionata sia stata delibata con sentenza non impugnata in questa parte e quindi sia passata in giudicato- rimanga però ancora una residua materia del contendere consistente soltanto nell'ammontare delle spese di lite, il dibattito processuale si concentra su queste che danno la misura dell'attività difensiva delle partì e che quindi rappresentano il "valore" della controversia residuale.
Le SSUU civili hanno precisato che il riferimento dell'art. 6 al valore della controversia, determinato a norma del codice di procedura civile, riguarda l'ipotesi in cui la domanda sia accolta integralmente e quindi ci sia corrispondenza tra disputatum e decisum. Ma se la domanda è accolta solo parzialmente, si impone sempre un adeguamento degli onorari all'effettiva portata della controversia, che è quella espressa dal decisum.
Vai alla sentenza Cassazione S.U. 11/09/2007 n. 19014
LE DIFFERENZE E GLI EFFETTI PRATICI TRA NOTIFICAZIONE INESISTENTE E NOTIFICAZIONE NULLA
LA NOTIFICA ALLE PERSONE GIURIDICHE
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha compiuto -nella sentenza n. 23212/09- un approfondito esame delle modalità di notificazione nei confronti di una persona giuridica. In precedenza, la giurisprudenza aveva chiarito che la notifica con le modalità di cui all'art. 140 c.p.c. è consentita anche nei confronti delle persone giuridiche solo nel caso di notifica presso la sede legale e non anche di notifica presso la sede effettiva (Cass. 10/04/2000 n. 4529) e che resta, invece, precluso il ricorso alle forme di cui all'art. 143 c.p.c. nei confronti della persona giuridica direttamente, per l'ipotesi di dimora, residenza e domicilio sconosciuti, difettandone i relativi presupposti, con conseguente nullità (non inesistenza) della notificazione stessa e con l'ammissibilità della relativa rinnovazione (Cass. 29/01/98 n. 904). Nel senso dell'inesistenza, invece, Cass. 11/01/94 n. 239., che aveva ritenuto l'inesistenza della notificazione, e non la mera nullità, per radicale difformità rispetto al modello di legge, e, qualora si fosse trattato di notificazione di atto d'impugnazione, l'inammissibilità della stessa, non trovando applicazione l'art. 291 del codice di rito. In precedenza, poi, si affermava l'applicabilità dell'art. 143 c.p.c., quando fosse stata indicata nell'atto la persona fisica avente la titolarità del potere rappresentativo (Cass., Sez. I, n. 6529 del 29/05/1992, secondo la quale nell'ipotesi opposta, di mancanza della medesima indicazione, è dato ricorrere alla notificazione ex art. 140 c.p.c. con le formalità previste per gli irreperibili, sulla base della sola impossibilità di notificazione dell'atto nella sede dell'ente.
Secondo la sentenza in esame 03/11/2009 n. 23212, invece, la notificazione si esegue in primo luogo con le modalità dell'art. 145 comma 1° c.p.c., cioé nella sede legale od effettiva mediante consegna al legale rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni ovvero, in mancanza, alla persona addetta alla sede. Se la notifica non può essere eseguita con tali modalità, e nell'atto è indicata la persona fisica che rappresente l'ente, in applicazione del 3° comma dell'art. 145 c.p.c. la notifica va eseguita nei confronti di tale persona, osservando le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c. In via ulteriore, con le formalità dell'art. 140 c.p.c., nei confronti del legale rappresentante indicato nell'atto o nei confronti della società. Se anche tali modalità si rivelino inapplicabili e nell'atto sia indicata la persona che rappresenta l'ente, la notifica sarà eseguibile nei confronti di questa, con le modalità di cui all'art. 143 c.p.c.
Vai alla sentenza Cassazione Sez. Lavoro 03/11/2009 n. 23212
La notifica dell'accertamento o della cartella di pagamento effettuata al portiere dello stabile dove ha sede l'azienda non è valida
La Cassazione sul punto richiama l'orientamento giurisprudenzale secondo cui "a norma del combinato disposto degli artt. 139 e 145 c.p.c., la notificazione alla persona giuridica non puo’ essere effettuata, in mancanza delle persone menzionate da quest’ultima norma, in mani del portiere dello stabile in cui essa ha sede ed il richiamo all'art. 139 cit. opera soltanto per l'eventualità che l'atto da notificare faccia menzione della persona fisica che rappresenta l'ente (Cass. nn. 5918/81, 9897/10)". La Corte aggiunge che "la conseguente nullita’ della notifica, poi, non puo’ certo ritenersi sanata a seguito dell’impugnazione della cartella di pagamento, essendo evidente che il raggiungimento dello scopo non puo’ che essere rappresentato dall’impugnazione dell’atto invalidamente notificato e non di un atto diverso, che nella definitivita’ del primo trovi soltanto il suo presupposto (Cass. n. 15849 del 2006)".
Vai all'ordinanza Cassazione Sez. Tributaria 28/02/2011 n. 4962
L'UFFICIO DEL MASSIMARIO DELLA CASSAZIONE RELAZIONA SUL NUOVO ART. 366 BIS C.P.C.
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA NON PUO' FONDARSI SUL RECEPIMENTO ACRITICO DELLE CONCLUSIONI DELLA C.T.U.
E' affetta da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, giacché il potere di detto giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime, in presenza delle riferite contestazioni, dalla spiegazione delle ragioni -tra le quali evidentemente non si annovera il maggior credito che egli eventualmente tenda a conferire al consulente d'ufficio quale proprio ausiliare- per le quali sia addivenuto ad una conclusione anziché ad un'altra, incorrendo, altrimenti, proprio nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (v., anche, Cass. n. 1975/2000).
LA CASSAZIONE FISSA I FONDAMENTI E LA NATURA DELLA CONSULENZA TECNICA D'UFFICIO E DI PARTE
Con la sentenza n. 13845/2007, il Giudice di legittimità torna a precisare la funzione della consulenza tecnica d'ufficio, esprimendosi anche sul valore di quella di parte osservando che quest'ultima costituisce semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, privo di autonomo valore probatorio, rispetto alla quale il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso. Spetta al giudice di merito scegliere le risultanze probatorie ritenute decisive, atteso che la consulenza tecnica, pur avendo di regola la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già provati nel processo, può legittimamente costituire fonte oggettiva di prova qualora sia stata disposta non soltanto per valutare i fatti stessi, ma anche per accertare quelli rilevabili soltanto con l'ausilio del perito. La S.C. ribadisce altresì il principio che la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo di prova, ed il consulente può esaminare solo i documenti ritualmente prodotti in causa. Ciò non esclude che, nello svolgimento delle indagini affidategli, il Consulente tecnico può assumere informazioni da terzi ed acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti ed il giudice, purché si tratti di fatti c.d. accessori e non di fatti costitutivi della domanda o delle eccezioni, può utilizzarli per il proprio convincimento, anche se siano stati desunti da documenti non prodotti dalle parti. Il Consulente tecnico di ufficio, però, potrà tener conto di documenti non ritualmente prodotti in causa solo con il consenso delle parti, in mancanza del quale la suddetta attività dell'ausiliare è, al pari di ogni altro vizio della consulenza tecnica, fonte di nullità relativa soggetta al regime di cui all'art. 157 c.p.c., con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (cfr.: Cass., 19/08/02 n. 12231). Il principio del contraddittorio si applica anche alle indagini compiute dal consulente tecnico d'ufficio. Ai sensi degli artt. 194 co. 2° c.p.c. e 90 co. 1° disp. att. c.p.c., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre per le indagini successive tale obbligo non sussiste, incombendo alle parti stesse l'onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi. Tuttavia, ove il Consulente rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda, l'inosservanza dell'obbligo di avvertire nuovamente le parti può dar luogo a nullità della consulenza -peraltro relativa e quindi sanabile se non dedotta nella prima difesa o udienza successiva- ma solo se quella inosservanza abbia comportato in concreto un pregiudizio per il diritto di difesa (cfr.: Cass., sez. lav., 02/03/04 n. 4271; Cass. S.U., 18/03/98 n. 2481; Cass., 15/04/02 n. 5422).
Vai alla sentenza Cassazione, Sez. II, 13/06/2007 n. 13845
Vai al commento del Dott. Diego Chitò (tratto da www.altalex.com )
LE SEZIONI UNITE FANNO IL PUNTO SULL'ORDINANZA INGIUNTIVA IN CORSO DI CAUSA EX ART. 186 TER C.P.C.
Le S.U. puntualizza gli aspetti principali della complessiva disciplina caratterizzante l'ordinanza-ingiuntiva in corso di causa prevista dall'art. 186 ter c.p.c., ribadendone la sua revocabilità e modificabilità, con la conseguente inidoneità al giudicato, e sottolineando le peculiarità della sua regolamentazione nel caso di giudizio contumaciale. La disciplina contenuta nell'art. 186 ter cod. proc. civ., con riferimento all'ordinanza-ingiunzione di pagamento o di consegna in corso di causa, non contempla l'apertura di una fase autonoma di opposizione, svincolata dal giudizio di merito pendente nel quale è stata emessa, né la sua definitività con gli effetti del giudicato in caso di omessa opposizione, prevedendo piuttosto che il processo debba proseguire regolarmente, affinché la condanna provvisoria venga revocata, modificata o confermata dalla sentenza conclusiva, dalla quale è necessariamente destinata ad essere sostituita o assorbita. Infatti, detto provvedimento anticipatorio è assoggettato al regime delle ordinanze revocabili di cui agli artt. 177 e 178, primo comma, cod. proc. civ., e, come tale, è inidoneo ad assumere contenuto decisorio e ad incidere con l'autorità del giudicato su posizioni di diritto sostanziale. Di conseguenza, poiché gli eventuali vizi di tale ordinanza devono essere fatti valere nel giudizio di merito nel corso del quale viene adottata, la costituzione in giudizio del contumace a seguito dell'avvenuta notificazione dell'ordinanza medesima nei suoi confronti deve intendersi necessariamente come l'accettazione del contraddittorio in ordine alla controversia nel suo complesso.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sezioni Unite, 29/01/2007 n. 1820
LE SEZIONI UNITE DETTANO I CRITERI PER IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE FRA GIUDICE ORDINARIO E GIUDICE AMMINISTRATIVO
Le ordinanze delle Sezioni Unite n. 13659/06 e 13911/06 hanno esplicitato le regole in tema di riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo dopo l'avvento del d.lgs. n. 80/1998; evidenziando i seguenti principi:
1) l'attribuzione della tutela risarcitoria, non quale materia autonoma, bensì in funzione di pieno completamento della tutela per annullamento già attribuita al giudice amministrativo, conferma la scelta del legislatore ordinario di potenziare le forme di protezione delle situazioni giuridiche soggettive attribuite al privato;
2) un ruolo decisivo per il riconoscimento della pienezza della tutela in materia di interessi legittimi, tale da scardinare l'indirizzo pietrificato della Cassazione in tema di irrisarcibilità viene espressamente attribuito ai principi del diritto comunitario, all'interno dei quali si colloca la disciplina in materia di appalti (art.13 l.n.142/1992) che, in attuazione della dir.665/89/CEE, aveva previsto la possibilità di ottenere, dopo l'annullamento dell'atto di esclusione della gara pronunziato dal giudice amministrativo, il risarcimento del danno ad opera del giudice ordinario. E' tale disposizione che pone le basi per il revirement delle sezioni Unite, certamente facilitato proprio dal d.lgs. n. 80/1998, come diede del resto atto proprio Cass. S.U. n. 500/1999;
3) le pronunzie di incostituzionalità pronunziate con riguardo agli artt. 33 e 34 D.Lgs. n. 80/1998 - come novati dalla L. n. 205/2000 e dell'art. 53 d.p.r. n. 325/2001 - in materia di espropriazione per pubblica utilità - hanno segnato un ridimensionamento del trend legislativo dell'ultimo ventennio volto ad incrementare le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, richiedendo quale elemento indefettibile per il radicamento della giurisdizione amministrativa non solo l'esistenza di particolari materie, ma anche l'esercizio concreto del potere amministrativo;
4) è dunque, l'esercizio concreto del potere da parte della p.a. rispetto all'agire illegittimo della p.a. a radicare la giurisdizione del g.a.; che pure deve ritenersi sussistente quando la lesione lamentata dal privato è conseguenza di un comportamento inerte - ritardo nell'emissione di un provvedimento favorevole o silenzio - controvertendosi in tali casi su un'ipotesi di interesse pretensivo;
5) vanno invece radicati innanzi al giudice ordinario i casi di occupazione illegittima c.d. usurpativa, nei quali non vi è esercizio di potere per assenza, a monte, della dichiarazione di p.u. o perché essa è venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta scadenza del suo termine di efficacia;
6) anche al giudice ordinario vengono attribuite le ipotesi in cui si verta in tema di diritti incomprimibili da parte della p.a. - quali il diritto alla salute - o quando la lesione è solo indirettamente correlate all'esercizio del potere amministrativo;
7) le pronunzie in rassegna non fanno mai esplicito riferimento ai casi di occupazione acquisitiva, anche se nei punti 12 e 14 di Cass. 13659/06 si avverte come le Sezioni Unite abbiano espressamente considerato tali ipotesi, per come pure esaminate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 191/2006. E' dato ritenere che tali ipotesi, proprio perché sorrette dalla dichiarazione di p.u., sembrerebbero attratte alla giurisdizione amministrativa;
8) la giurisdizione amministrativa in tema di risarcimento del danno attribuita dall'art. 35 D.Lgs. n. 80/1998 in tanto può giustificarsi in quanto venga meno il sistema della pregiudizialità amministrativa che, secondo il Consiglio di Stato, imponeva quale presupposto ineludibile il previo annullamento dell'atto amministrativo per poter ottenere la tutela per equivalente. Le S.U. ribadiscono che il giudice al quale è assegnata la funzione di stabilire le regole del riparto, in tanto riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto questi fornisca la tutela risarcitoria anche a prescindere dal previo annullamento dell'atto. Se infatti si dovesse giungere ad un'applicazione diversa della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, si vedrebbe compromesso il sistema di tutela dell'interesse legittimo e con esso le istanze di effettività e concentrazione che costituiscono una chiave interpretativa del sistema di tutela. Se dunque il sistema della pregiudizialità aveva un senso al momento in cui si radicò nell'ordinamento nazionale, il pieno riconoscimento della portata sostanziale dell'interesse legittimo impone di attribuirgli una tutela tanto piena ed effettiva come quella riconosciuta al diritto soggettivo. Ne consegue che la legittimità del sistema di attribuzione alla giurisdizione amministrativa del contenzioso in tema di risarcimento per lesione dell'interesse legittimo non può che sganciarsi dal previo annullamento dell'atto, guardando la tutela risarcitoria al solo rapporto fra soggetto leso e p.a.
I principi di cui sopra sono stati applicati alle vicende sottese alla due pronunzie delle Sezioni Unite in esame, riconoscendo la giurisdizione del g.a. quando è stato messo in discussione l'esercizio concreto del potere della p.a. ed invece attribuendo al g.o. le vicende scollegate a tale esercizio.
Vai all'Ordinanza Cassazione SS.UU., 13/06/2006 n. 13659
Vai all'Ordinanza Cassazione SS.UU., 15/06/2006 n. 13911
ULTERIORE INTERVENTO DELLE S.U. SUI TEMPI DEL PERFEZIONAMENTO DELLA NOTIFICA
In tema di notifica dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, alla stregua di una interpretazione costituzionalmente obbligata delle norme in materia, la tempestiva consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario perfeziona la notifica per l'opponente, evitando al medesimo anche l'effetto di decadenza dal rimedio oppositorio nella ipotesi di non tempestivo o di mancato completamento della procedura notificatoria per la fase sottratta al suo potere di impulso: con la conseguenza, in tale ultimo caso, che è in potere della parte di rinnovare la notifica con il modulo, e nel termine, della opposizione tardiva di cui all'art. 650 c.p.c. (entro 10 giorni dal primo atto di esecuzione). Le Sezioni Unite -con la sentenza n. 10216/06- ribadiscono il principio, ormai presente nell'ordinamento processuale civile per effetto di una serie di pronunce della Corte costituzionale (sentt.. n. 69 del 1994, n. 358 del 1996, n. 477 del 2002, 28 e 97 del 2004, n. 154 del 2005), secondo il quale, relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante, il momento in cui essa deve considerarsi perfezionata per il notificante medesimo si distingue da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario. Sicchè, le norme in materia di notificazioni di atti processuali vanno interpretate nel senso che la notificazione si perfeziona, nei confronti del notificante, al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario.
Vai alla sentenza Cassazione Sezione Unite Civili 16/03 - 04/05/2006 n. 10216
UTILIZZABILITA' DELLE PROVE RACCOLTE IN ALTRO PROCESSO
Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell'unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse od anche altre parti- desumendo dalle risultanze di un altro processo (incluso quello penale) elementi sui quali fondare il proprio convincimento. Quando sia stata resa nel giudizio penale la confessione, essa, di norma, vale soltanto a fornire elementi indiziari, salvo che nel caso in cui, all'atto del compimento delle relative dichiarazioni, l'avversario non si sia già costituito parte civile, nella qual ipotesi produce l'efficacia di confessione piena, con la conseguenza di impedire l'ammissione dell'interrogatorio formale sui medesimi fatti che ne hanno formato oggetto. Diversamente deve ritenersi per il giuramento decisorio che deve essere ammesso anche quando abbia ad oggetto fatti accertati o esclusi dalle risultanze di causa o anche quando, da una prova di carattere privilegiato come la confessione giudiziale o stragiudiziale resa alla parte, risulti dimostrata una situazione di fatto contraria a quella che si intende provare con lo stesso giuramento; sempre che essa valga a risolvere totalmente o parzialmente la causa, a nulla rilevando che sia deferito in linea subordinata.
Vai alla sentenza Cassazione Civile - Sez. III - 06/04/2006 n. 8096
RILEVABILE D'UFFICIO L'INTERRUZIONE DELLA PRESCRIZIONE
Risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione il contrasto relativo alla eccezione di interruzione della prescrizione, espressione di due orientamenti diversi, l'uno che considera l'interruzione come eccezione in senso lato, rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del processo, l'altro che la considera eccezione in senso stretto, con la conseguenza della non rilevabilità d'ufficio. Con la sentenza n. 15661/05, le S.U. hanno composto il contrasto giurisprudenziale in ordine alla natura dell'eccezione di interruzione della prescrizione, ritenendola eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile d'ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti.
Vai alla sentenza Cass. Sezioni Unite 27/07/2005 n. 15661