Corte di Cassazione

Sezione II° civile

Sentenza 3 maggio-13 giugno 2007, n. 13845

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 1° agosto 1994 la s.n.c. Giorgis, con sede in Peveragno, convenne innanzi al Tribunale di Cuneo la s.r.l. Gemap chiedendo il risarcimento dei danni asseritamente subiti per la cattiva esecuzione dei lavori di riparazione effettuati dalla convenuta di un generatore di corrente. Alla stessa era stata richiesta la sostituzione della scheda che regolava la tensione. I tecnici inviati per la verifica avevano sottoposto il generatore ad un carico eccessivo e si era reso necessario il trasporto della macchina presso l'officina della convenuta dove era stata eseguita la sostituzione del regolatore elettronico di tensione, dell'avvolgimento del motore e di sei diodi. Dopo la messa in uso, il gruppo elettrogeno aveva mostrato l'inconveniente, prima mai manifestatosi, di una tensione in uscita superiore ai valori normali. I tecnici della Gemap non avevano risolto il problema e l'attrice aveva subito l'interruzione del normale ciclo produttivo, con un danno ammontante a Lire 201.205.000. La convenuta resistette alla domanda e chiese in riconvenzionale il pagamento del saldo per Lire 3.391.500.

La domanda venne respinta dal Tribunale per carenza di prova sul nesso eziologico tra gli inconvenienti manifestatisi e gli interventi della convenuta. Venne accolta la domanda riconvenzionale.

L'appello proposto dalla soccombente Giorgis s.n.c. venne accolto dalla Corte di appello di Torino, con sentenza del 5 maggio 2000. Ritenne la Corte che gli episodi verificatisi dopo la sostituzione del "regolatore di tensione" fossero attribuibili alla riparazione male eseguita, posto che il regolatore di corrente compaund, il cui cattivo funzionamento, secondo il c.t.u., avrebbe potuto determinare le sovratensioni, «non era qualcosa di diverso dal regolatore di tensione».

Con atto notificato il 28 febbraio 2001 la Gemap chiese la revocazione di detta sentenza per errore di fatto consistito nell'avere la Corte di appello ritenuto che «il regolatore di corrente e quello di tensione fossero lo stessa cosa».

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 13 agosto 2002 ha revocato quella del 5 maggio 2000 e, decidendo nel merito, ha respinto l'appello proposto dalla Giorgis s.n.c. avverso la sentenza del Tribunale.

La Corte piemontese ha osservato:

a) era erronea l'affermazione che il regolatore di corrente era la stessa cosa del regolatore di tensione posto che pacificamente il gruppo elettrogeno era dotato di entrambe le componenti;

b) la sentenza della Corte era stata influenzata dalla equiparazione-identificazione dei due apparecchi, giungendo alla conclusione che le cause della sovratensione non potevano che attribuirsi al cattivo funzionamento dell'unico apparecchio «che regolava sia la corrente che la tensione e sul quale era intervenuta la Gemap che lo aveva riparato»;

c) che tale errore di fatto aveva determinato la non corretta valutazione della consulenza tecnica nella quale si affermava che «non essendo stato possibile l'esame del regolatore di corrente, rimosso dalla Gemap, non era più possibile accertare se le sovratensioni erano imputabili al cattivo funzionamento di quest'ultimo o al cattivo funzionamento del regolatore di tension»".

Quanto al merito, la Corte di appello ha ritenuto che la sentenza di primo grado dovesse essere confermata data la impossibilità di accertare la causa delle sovratensioni, come era risultato dai rilievi del c.t.u., e non essendo necessario un nuovo accertamento che non avrebbe consentito di individuare l'apparecchio non correttamente funzionante. Nessun altro incombente istruttorio era stato richiesto e non sarebbe stato risolutivo l'accertamento sulla interdipendenza dei due apparecchi né era rilevante la circostanza che le sovratensioni si erano manifestate dopo le riparazioni.

Avverso detta sentenza, notificata il 6 giugno 2003, ha proposto ricorso per cassazione la Giorgis s.n.c. con tre motivi illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Gemap s.r.l.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, denunziandosi violazione dell'art. 395 c.p.c., si sostiene l'insussistenza dello specifico errore di fatto revocatorio poiché dalla sentenza revocata risultava che la Corte di appello era perfettamente consapevole della differenza tra il regolatore di corrente ed il regolatore di tensione e che la ratio decidendi non era consistita nella pretesa identificazione tra i due apparecchi.

Il motivo non è fondato.

Dalla sentenza revocata non emerge affatto che la Corte di appello fosse cosciente che regolatore di tensione e regolatore di corrente fossero due cose diverse e che la confusione sia, quindi, da attribuirsi ad un errore di giudizio, e ciò nonostante che la Corte abbia usato due diverse terminologie per indicare l'apparecchio che ha ritenuto essere unico (regolatore di corrente compound e regolatore di tensione), attribuendo al malfunzionamento di questo la causa degli inconvenienti. Dalla consulenza tecnica risultava che il generatore era dotato di entrambe le apparecchiature (vedi sent. rescindente a pag. 9) e tale affermazione non viene smentita, per cui è evidente che la Corte di appello, avendo trattato i due apparecchi come fossero una cosa sola, aveva fatto una affermazione smentita dagli atti.

Tale errore è(ra) stato decisivo perché, essendo pacifico che la Gemap intervenne (sostituendolo) sul regolatore di tensione e che il c.t.u. aveva affermato che «le cause delle sovratensioni possono essere ascritte al regolatore di corrente», la sentenza revocata aveva concluso che la causa delle sovratensioni non poteva che essere ravvisata nel cattivo funzionamento dell'(unico) apparecchio su cui era intervenuta la Gemap, che regolava sia la corrente che la tensione, dando rilievo all'affermazione del c.t.u. sull'erroneo presupposto che regolatore di corrente (su cui non era intervenuta la Gemap) e di tensione (oggetto dell'intervento) fossero la stessa cosa.

2. Col secondo mezzo si denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per essersi la sentenza di revocazione basata su un mero inciso della motivazione della sentenza revocata, peraltro contraddetto da «altre affermazioni rinvenibili nella parte motiva».

Neppure questa censura e fondata.

La decisività della erronea identificazione dei due (diversi) apparecchi non è, intanto, sminuita dal fatto che l'affermazione fosse posta tra parentesi, atteso il rilievo che tale affermazione, a prescindere dalla collocazione grafica, comunque assume(va) nel contesto della ratio decidendi. Non è esatto, inoltre, che l'affermata unicità dell'apparecchio fosse contraddittoria e smentita con/da altre affermazioni contenute nella sentenza stessa, sicché - come già detto - deve escludersi che la Corte di appello aveva ritenuto le identità delle due cose pur essendo conscia della differenza.

3. Col terzo mezzo, denunziandosi ulteriore vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, si sostiene che, nell'affermare la impossibilità di accertare le cause del difetto, la Corte di appello, nella sentenza oggetto del presente ricorso, non aveva tenuto conto delle contestazioni del consulente tecnico di parte e delle considerazioni tecniche svolte dalla ricorrente in comparsa conclusionale, nella quale si era ampiamente dimostrato che il regolatore di tensione non aveva le caratteristiche tecniche adeguate. Le obiezioni formulate non avevano trovato adeguata risposta nella motivazione della Corte, che non aveva neppure accennato alle tesi prospettate dalla Giorgis s.n.c.

Il motivo, prima che infondato, è inammissibile.

La consulenza tecnica non viene adeguatamente censurata né lo è la sentenza che su di essa si è basata.

Per quanto concerne le denunziate carenze della consulenza tecnica, occorre ribadire il principio secondo cui «la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l'ha recepita) ha, innanzitutto, l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio.

In definitiva, le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso».

Ebbene, nella specie, il ricorrente non ha riportato né i brani della consulenza contestati né le critiche ad essa mosse, sottraendosi all'osservanza del principio di autosufficienza del ricorso.

D'altra parte è principio consolidato che «spetta al giudice di merito scegliere le risultanze probatorie ritenute decisive, sicché la Corte di appello ben poteva basarsi sugli accertamenti dell'ausiliare atteso che la consulenza tecnica, pur avendo di regola la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già provati nel processo, può legittimamente costituire fonte oggettiva di prova qualora sia stata disposta non soltanto per valutare i fatti stessi, ma anche per accertare quelli rilevabili soltanto con l'ausilio di un perito» (Cass. 5344/2004).

La consulenza tecnica di parte, per altro verso, costituisce semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, rispetto alla quale il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso (Cass. 14 novembre 2002, n. 16030; Cass. 6753/2003; 2707/2004; 7078/2006).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Consegue la condanna della ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 3600,00, di cui Euro 3500,00 per onorario, oltre spese fisse, Iva, Cpa ed altri accessori di legge.