La causalità giuridica nella responsabilità civile

Commento alla sentenza Cassazione Civile, Sezione III°, 16/10/2007 n.  21619

 

 

Autore: Marco Bona

La sentenza in esame  persegue un obiettivo preciso: fare il punto della situazione sul nesso di causa nella responsabilità civile ed offrire delle risposte chiare a tutta una serie di questioni di primaria importanza, tra le quali la definizione dei rapporti fra causalità penale e causalità civile, l'individuazione di linee guida unitarie per l'applicazione del criterio probabilistico, la nozione della "probabilità logica", l'inquadramento della "causalità da perdita di chance ". In breve, la Cassazione consapevolmente ha predisposto un vero e proprio decalogo sulla causalità civile, che, proprio per il suo intento chiarificatore, pare destinato a divenire un riferimento imprescindibile per l'evoluzione futura in materia e, dunque, merita di essere scrupolosamente vagliato.

 

Finalmente il decalogo della Suprema corte sulla causalità giuridica nella responsabilità civile 

La sentenza in commento, con relatore Travaglino [1] , si contraddistingue per diverse pregevoli statuizioni, ma soprattutto spicca per l'importantissimo risultato, qualitativamente mirabile, cui approda nel suo insieme: infatti, dopo disparati anni di dispute ed accese contrapposizioni, assestamenti vari ed autentiche rivoluzioni occorse in giurisprudenza sul versante del nesso di causa nel campo della tutela rimediale-risarcitoria, questa pronuncia riesce ad offrire agli interpreti un'efficace quadro di sintesi sulla causalità giuridica civile "oggi", razionalizzazione che, a prescindere dalla sua condivisibilità, era attesa e più che mai opportuna, ciò anche solo per fare il punto sullo stato dell'arte della giurisprudenza di legittimità nostrana in subiecta materia ed eventualmente procedere oltre con ulteriori riflessioni e proposte.

In particolare, del tutto consapevolmente la Suprema corte, con dovizia di argomentazioni e confrontandosi con l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale dell'ultimo decennio, fotografa e riassetta con notevole realismo il "diritto vivente" della causalità civile [2] , si prodiga a chiudere il cerchio intorno a questioni controverse, chiarisce le recenti novità della giurisprudenza civilistica (in particolare, il modello della "causalità da perdita di chance"), mette ordine fra categorie concettuali frequentemente confuse nella pratica dagli operatori (probabilità/possibilità), definisce con precisione il concetto della "probabilità logica" in sede civilistica, traccia regole piuttosto cristalline circa l'amministrazione del nesso di causa funzionale alla responsabilità contrattuale ed aquiliana, e, in definitiva, consegna ai civilisti il perfetto equivalente di tutto ciò che il noto precedente Franzese delle Sezioni Unite penali [3] rappresenta per i penalisti.

In breve, nonostante alcuni suoi profili possano legittimamente indurre a meditazioni di segno diverso, la decisione in esame, permeata da un forte anelito di chiarificazione e nomofilachia, ha tutta la parvenza di un precedente destinato a divenire "storico", cioè indirizzato a costituire un imprescindibile punto di riferimento per la futura gestione della causalità giuridica in seno alla responsabilità civile, ciò non solo in relazione alla responsabilità medica (ambito su cui verteva la vicenda da cui è scaturita questa sentenza e che si è più volte rilevato essere il terreno elettivo per l'evoluzione del nesso di causa), ma anche relativamente agli altri settori in cui la causalità civile muove i suoi passi snodandosi attraverso ragionamenti di tipo probabilistico (si pensi, ad esempio, al caso dei danni lungolatenti nel campo della responsabilità datoriale, alle varie ipotesi di danni da contagio, ai sinistri da anomalie stradali).

Peraltro, agevolerà siffatto verosimile successo di questa pronuncia l'attenzione dedicata dalla Cassazione ai riflessi di ordine pratico delle sue asserzioni sul contenzioso di ogni giorno e, in primis, sul versante, sempre problematico ed alquanto delicato, dei rapporti intercorrenti fra causalità giuridica e causalità scientifica/medico-legale.

La "scelta" di un modello per la gestione delle incertezze sul versante causale: i dilemmi

La Suprema corte, nella sentenza che qui si commenta, ha scelto di addivenire ad un nitido e preciso modello per la gestione del nesso di causa in seno alla responsabilità civile, e questa razionalizzazione sicuramente costituisce uno dei suoi indubbi meriti, ancorché, come si osserverà oltre, non tutti i nodi possano considerarsi sciolti ed alcune questioni rimangano sul tavolo.

Prima, però, di scendere ad esaminare nel dettaglio le linee-guida delineate dalla Cassazione, va qui debitamente approfondita, ancorché per sommi capi, l'espressione "scelta di un modello di causalità": infatti, sembra conveniente procedere ad alcuni chiarimenti in ordine a quali siano oggi i fondamenti della ricerca di un paradigma (ossia di un "linguaggio") per l'indagine causale, ciò anche per meglio comprendere i dilemmi che la Suprema Corte si è trovata ad affrontare.

Ciò premesso, s'impone una prima constatazione: qualsivoglia scelta di un modello per il nesso causale, sia essa effettuata a fini civilistici oppure in seno alla responsabilità penale, muove oggi dall'approdo, ormai pacifico, secondo cui l'incertezza così come le ipotesi di errori nelle decisioni [4] sono connaturate alla causalità [5] , non solo giuridica; basti qui ricordare come, non solo in Italia, si sia convenuto come l'accertamento dei fatti in seno ad un qualsiasi processo logico-induttivo sia più una questione di probabilità, che di certezze: "law, experience, and philosophy of induction tell us that fact-finding in adjudication is a matter of probability rather than certainty " [6] .

A ciò non fa eccezione alcun ambito d'indagine: senza qui scomodare il principio di indeterminazione di Werner Karl Heisenberg od altri sofisticati insegnamenti recenti o che affondano le loro radici nella notte dei tempi ed in altre scienze, non è certo una novità che la causalità sia il regno dei dubbi e delle mezze verità fattuali.

La causalità giuridica, però, è sicuramente paradigmatica quanto all'inevitabilità di livelli di incertezza nella ricostruzione dei fatti come pure costantemente confermato dagli studi condotti in diritto comparato [7] , è proprio con riferimento all'istituto in questione che ormai da considerevole tempo si è più disposti a concedere spazi a margini d'incertezza e di relativismo, cioè ad accettare che la ferrea logica della certezza, pur da taluni ancora di recente perorata in Italia (però con particolare riguardo per l'ambito penale) [8] , debba cedere il passo ad altri criteri di analisi (in primis, il criterio probabilistico) ed a categorie concettuali che si pongono sotto la soglia della certezza (quasi-certezza, probabilità, possibilità, credibilità, verosimiglianza, "common sense").

Al riguardo la stessa giurisprudenza di legittimità nostrana, non diversamente dall'esperienza giurisprudenziale di altri sistemi, è da tempo addivenuta alla conclusione, secondo cui il ricorso al giudizio di probabilità costituisce a tutti gli effetti "una necessità logica"[9] , ciò soprattutto nella causalità omissiva ove "si tratta di accettare o respingere l'assunto, secondo cui il danno si è verificato, perché non è stato tenuto il comportamento atteso "[10] . La Suprema Corte ha altresì evidenziato come del resto non si possa pretendere certezza neppure dalla scienza medica[11] .

Anche la Corte di Giustizia CE è ormai indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico[12] , ma al riguardo si potrebbero citare migliaia e migliaia di sentenze rinvenibili sia nei sistemi di civil law e sia nella tradizione di common law.

La costante ammissione che nella causalità giuridica vi sia inevitabilmente spazio per l'incertezza non significa, tuttavia, che incerte debbano altresì essere le regole ed i criteri che governano la verifica del nesso di causa: infatti, si tratta di rinvenire una disciplina della causalità tale da permettere una trattazione uniforme dei casi concreti, senza dare luogo a sorprese, discriminazioni e meri arbitri da parte delle corti.

Siffatta ricerca è certamente lungi dall'essere agevole e priva di ostacoli, come del resto è dimostrato dalla stessa storia, non solo giuridica, dell'istituto del nesso di causa. Infatti, ai fini dell'applicazione della categoria in esame, sia che la questione si ponga in ambito penale e sia che essa sia prospettata sul fronte della responsabilità civile, si presenta in buona sostanza il problema di scegliere quale sia il livello di incertezza da assumersi come ragionevolmente accettabile: ossia, l'indagine causale, affinché possa in concreto svolgersi, presuppone, a monte, che si sia selezionato un particolare modello di gestione delle incertezze. Ciò vale a dire che l'individuazione di un modello della causalità giuridica esige che si esprimano delle preferenze sulle modalità di amministrazione delle situazioni incerte.

Il diritto, come si è osservato sopra, non è ovviamente l'unico campo in cui si pone il problema della scelta di un metodo d'investigazione del nesso di causa. A questo proposito, rimanendo negli immediati dintorni del diritto, sia sufficiente richiamare gli sforzi compiuti in ambito medico-legale.

In campo giuridico, però, la causalità necessita di approdare a delle risposte risolutive, che non si esauriscono in una spiegazione, scientificamente motivata ed auspicabilmente imparziale, circa lo svolgimento dell'evento dannoso, bensì devono risolversi in una vera e propria decisione: se la medicina-legale e, più in generale, le altre scienze possono arrestarsi (anzi, dovrebbero) all'illustrazione neutrale delle cause di un determinato pregiudizio e non già decidere, ai fini di un giudizio di responsabilità, se "sussiste" o meno il nesso di causa, viceversa il diritto (cioè il magistrato), nei casi concreti, deve pervenire, anche quando operi secondo la logica della perdita di chance, a risolvere le eventuali incertezze in autentiche, per quanto spesso virtuali, "certezze", ossia in un responso in cui il rapporto causale o esiste giuridicamente (anche solo in termini presuntivi) oppure non è ravvisabile, essendo che tertium non datur.

A ciò aggiungasi che la decisione, che spetta esclusivamente alle corti assumere, è finalizzata ad esprimere una condanna, penale o civile, e dunque la causalità giuridica si trova inevitabilmente incastonata in un contesto ben più ampio finalizzato all'attuazione di determinati scopi, ove inevitabilmente il giudizio causale si trova ad interagire con altri istituti (ad esempio, la fattispecie del danno) e, comunque, è condizionato dalle questioni generali che si pongono nell'impostazione dei modelli di imputazione. Non solo. La decisione sulla causalità deve fare i conti con le risultanze istruttorie del processo e con le regole che presidiano l'istituto stesso della prova e la distribuzione degli oneri probatori. Se nelle altre scienze il criterio probabilistico può giocarsi interamente su un'applicazione neutrale dello standard della "preponderance of evidence", in diritto questo standard è affiancato dalla gestione giuridica delle prove e dei carichi probatori, ove, ad esempio, anche la causa ignota può condurre una corte ad una condanna, cioè ad un risultato diametralmente opposto a quello cui condurrebbe la causalità scientifica.

In breve, come anche puntualizzato con estremo realismo dalla pronuncia in commento (e questo è indubbiamente un suo indiscutibile merito), in seno alla causalità giuridica le preferenze sulle modalità di gestione delle situazioni causalmente incerte si rilevano dunque essere autentiche scelte di amministrazione della responsabilità, sia questa penale oppure civile. E così, come affermato dagli stessi giudici di legittimità nella decisione in esame, è ben evidente come la scelta di un modello per la causalità civile si inserisca nel contesto di una più lata ricerca che - ciò è sempre più evidente nel tort law moderno non solo nostrano - anela ad approdare "al risultato finale di costruire una credibile teoria della prevenzione efficiente del costo sociale dei danni ", cioè ad un accettabile sistema di allocazione dei danni.

In questo senso, come del resto si è più volte posto in debita luce sia da parte della dottrina e sia dalla giurisprudenza non solo nostrane[13] , il nesso di causa è allora un istituto la cui applicazione soggiace a vere e proprie scelte di policy of law[14] , e cioè, come insegnano anche altre esperienze, esso è vissuto "as a matter of policy or justice"[15] : optare per la regola della certezza quale filtro selettivo delle pretese di giustizia (penale o civile), oppure ragionare secondo schemi probabilistici od ancora sospingere la causalità sul terreno della teoria dell'aumento del rischio e, dunque, del sacrificio di chance sono tutte alternative che si pongono agli interpreti e che comportano ineluttabilmente delle scelte da parte di questi.

La stessa decisione in commento ha ricordato senza parafrasi questo fondamentale profilo della causalità giuridica: in ambito legale il nesso di causa "è destinato inevitabilmente a risolversi entro i (più pragmatici) confini di una dimensione "storica", o, se si vuole, di politica del diritto ".

Ciò in sintesi evidenziato, la pronuncia qui illustrata, come si evince dagli stessi passaggi logici della sua parte motiva, ha giustamente colto come allo stato la scelta di un modello giuridico del nesso di causa sostanzialmente implichi:

a) determinare se vi sia e vi debba essere un modello comune all'ambito penale ed a quello civile per amministrare le incertezze della causalità giuridica;

b) nel caso di una soluzione che conduca a tenere disgiunte causalità penale e causalità civile, stabilire se queste possano annoverare rispettivamente principi unitari per tutte le fattispecie su cui intervengano;

c) individuare i criteri di collegamento fra condotta ed evento dannoso, ossia quali categorie concettuali fra le varie disponibili ed ipotizzabili (certezza, quasi certezza, probabilità, credibilità, possibilità, verosimiglianza, senso comune, ecc.) possano intervenire e, dunque, quali siano le soglie di incertezza ed i margini di errori ammissibili in vista di una decisione di condanna o di assoluzione.

La sentenza in esame, ad inequivocabile dimostrazione del suo obiettivo di consegnare a interpreti ed operatori un vero e proprio package di regole tali da delineare un preciso identikit della causalità civile, ha affrontato consapevolmente e scientemente tutti questi dilemmi.

In questo commento si cercherà allora di illustrare quali siano di preciso le soluzioni individuate dai giudici di legittimità, senza però tralasciare di indagare altresì sulla condivisibilità delle stesse, valutazione che in tutta evidenza non è affatto agevole, ponendosi, proprio per il relativismo che contraddistingue il tema, il problema di individuare il parametro con cui misurare la correttezza o meno delle scelte in esame, e dunque il fondamento, giuridicamente persuasivo, delle stesse.

A quest'ultimo riguardo, giacché, come si osserverà oltre e come rilevato dalla stessa pronuncia in disamina, non è possibile avvalersi in siffatto giudizio di norme di diritto positivo che indichino quale sia la soluzione corretta per il nostro legislatore[16] , non resterà che affidarsi, come del resto optato anche dalla sentenza in esame, agli altri criteri (il criterio sistematico, il criterio storico-evolutivo, l'interpretazione costituzionalizzata), oltre che ad altri supporti ermeneutici, ossia il contributo del diritto comparato e degli insegnamenti che provengono da altre scienze e dalla filosofia stessa, queste ultime - lo si ribadisce - tutte comunque concordi nell'accettare che l'indagine causale sia tale risolversi in un giudizio affidato ad una logica aperta a vie diverse dalla certezza.

Causalità penale e causalità civile: due sotto-sistemi distinti nel decalogo della Cassazione

Si è sopra osservato come la scelta e la realizzazione di un modello della causalità ad hoc per la responsabilità civile implichino, quale primo passaggio logico, la soluzione della vexata quaestio dei rapporti intercorrenti fra causalità civile e causalità penale: la prima deve modellarsi sulla seconda, oppure occorre definitivamente prendere atto come anche su questo specifico versante responsabilità penale e responsabilità civile percorrano ormai vie diverse, come del resto in tutta una serie di altri ordinamenti di civil law e di common law?

La decisione ora in disamina, per l'appunto, si è in primis concentrata proprio sulla "applicabilità, o meno, in sede di giudizio civile, dei principi affermati dalle sezioni unite penali della Corte di legittimità con riferimento al reato omissivo improprio ".

La questione, invero, era ed è tuttora di primaria importanza: come si può ritenere che il nesso di causa in seno alla responsabilità civile debba seguire pedissequamente le medesime regole operanti nel sistema della responsabilità penale, come ben noto connotato da finalità e caratteristiche per certo diverse, e, soprattutto, contraddistinto da una logica della causalità necessariamente indirizzata all'alternativa tra "tutto o niente"?

Siffatto quesito sull'operatività del modello penalistico della logica "all-or-nothing", come si trae dai contributi dottrinali e giurisprudenziali degli ultimi anni, è tornato prepotentemente alla ribalta soprattutto in seguito alla fondamentale decisione Franzese[17] resa dalle Sezioni Unite penali, senza dubbio indirizzata a ridisegnare un modello della causalità giuridica, però ritagliato e pensato in tutto e per tutto ad hoc per soddisfare le esigenze ed i principi del diritto penale.

Più specificatamente, come anche ricordato dalla decisione in commento che peraltro ha opportunamente illustrato quale sia la corretta lettura del precedente Franzese (spesso equivocato da parte degli operatori e dalla medicina legale), le Sezioni Unite penali erano pervenute ai seguenti approdi:

1) all'adesione all' "orientamento intermedio dell'elevato grado di credibilità razionale dell'accertamento giudiziale ", cioè alla soluzione mediana nettamente distinta dalle due doctrine tradizionalmente concorrenti (da un lato, il rigoroso modello governato dai requisiti della "certezza" e della "certezza quasi prossima a cento"; dall'altro lato, il modello imperniato sulla probabilità statistico-scientifica[18] ) ed incentrata sulla nozione della "probabilità logica", criterio secondo cui non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica o scientifica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo, per l'appunto con "alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica", fermo restando il principio, strettamente connaturato alle esigenze del diritto penale, "in dubio pro reo "[19] ;

2) al deciso rigetto dell'operatività, in sede penale, della c.d. "tesi dell'aumento del rischio", impostazione bollata come "nozione debole" della causalità giuridica, poiché in "grave violazione" dei principi di legalità, tassatività e tipicità della fattispecie criminosa e della garanzia di responsabilità personale, venendo attribuito all'agente come fatto proprio un evento forse, non certamente, cagionato dal suo comportamento.

Le Sezioni Unite penali, ancorché con un manifesto obiter dictum, avevano peraltro dato per scontato che il principio di causalità penalmente rilevante, così come ridefinito, potesse trovare applicazione "anche nel distinto settore della responsabilità civile".

Siffatta asserzione delle Sezioni Unite penali, però, risultava già all'epoca contrastare con le regole e gli obiettivi della responsabilità civile[20] .

Il solco tra le due causalità è poi divenuto ancor più manifesto con l'importantissimo intervento della Cassazione civile nella decisione n. 4400/2004, la quale sì ritenne di recepire, tra l'altro del tutto condivisibilmente, la categoria concettuale della "probabilità logica" sviluppata in sede penale dal precedente Franzese (ossia una probabilità smarcata dalla causalità scientifica e statistica), ma al contempo dischiuse le porte alla via imperniata sulla "perdita di chance", attribuendo così nella causalità civile un ruolo di primario spicco proprio alla teoria dell'aumento del rischio che la sentenza Franzese aveva appena bandito dalla responsabilità penale.

In questi ultimi anni sia la dottrina[21] , tolte alcune isolate eccezioni[22] , e sia la giurisprudenza civilistiche, nonché sul versante penalistico lo stesso Stella[23] , hanno viepiù evidenziato, del resto riprendendo autorevoli contributi del passato già chiari sul punto[24] , come la questione dell'accertamento del nesso di causa si presenti effettivamente in modo diverso in seno alla responsabilità civile.

La stessa Suprema corte (n. 11609/2005)[25] , in questo solco di affrancamento della causalità civile dal versante penale, è poi pervenuta, pur continuando ad affermare la coincidenza tra le due causalità quanto all'analisi del nesso tra condotta ed evento dannoso, a rilevare come ormai la causalità penalmente rilevante mal si concili con gli approdi della responsabilità civile: "l'insufficienza del tradizionale recepimento in sede civile dell'elaborazione penalistica in tema di nesso di causa è emersa con chiarezza nelle concezioni moderne della responsabilità civile "[26] .

La giurisprudenza di merito[27] recente, ancor più lucidamente, non ha esitato a rilevare quanto segue: nel campo della responsabilità civile non "vi sono margini per l'applicazione del criterio di accertamento del nesso di causa proprio del campo penalistico à, perché completamente diverse sono le regole operazionali che presiedono alla rilevazione del nesso di causa tra i due settori. In sede penale la verifica dell'ipotesi accusatoria impone di non fermarsi al mero dato percentuale offerto dalla legge di copertura, accertando, nel quadro di una valutazione a compasso allargato, se non vi siano elementi concorrenti o assorbenti e se l'omissione si pone come condizione necessaria dell'evento con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica". In sede civile la ricerca del nesso di causale è orientata diversamente in considerazione della preminente funzione riparatoria, non senza considerare l'ulteriore divaricazione fra ambito contrattuale ed extracontrattuale (si pensi alla stretta relazione fra criterio di imputazione e nesso di causa ed al mescolarsi delle esigenze di compensazione e di deterrenza), sì che anche l'impossibilità di effettuare un giudizio controfattuale ànon dovrebbe portare ad esonerare da responsabilità il convenuto "[28] .

Indubbiamente, dunque, a fronte di tutti questi interventi e dei tentennamenti della giurisprudenza (spaccata tra declamazioni e attuazioni concrete del paradigma causale civilistico ormai smarcate dal diritto penale), si attendeva un chiarimento da parte della Suprema corte e, sul punto, la decisione in esame è stata per certo puntuale, esaustiva, estremamente cristallina e convincente, pervenendo alla seguente netta conclusione: "il modello di causalità sì come disegnato funditus dalle sezioni unite penali mal si attaglia a fungere da criterio valido anche in sede di accertamento della responsabilità civile ", e cioè "le esigenze de-costruttive e ri-costruttive dell'istituito del nesso di causa sottese al sottosistema penalistico non sono in alcun modo riprodotte (né riproducibili) nella diversa e più ampia dimensione dell'illecito aquiliano ".

In particolare, la Cassazione, traendo spunto dai rilievi dottrinali e giurisprudenziali, ha evidenziato come causalità penale e causalità civile si distinguano sotto due profili:

a) sotto il profilo morfologico: in primis, mentre il baricentro della disciplina penale è "sempre e comunque rivolto verso l'autore del reato/soggetto responsabile", in seno alla responsabilità civile il riferimento è costituito dalla figura del danneggiato; in secondo luogo, tanto il diritto penale poggia sul principio di tassatività delle fattispecie criminose, tanto fa "da speculare contralto il sistema aperto ed atipico" della responsabilità civile (a ben osservare, non solo quella aquiliana, bensì anche quella contrattuale);

b) sotto il profilo funzionale: in primo luogo, mentre la valutazione del nesso di causa fondata sull'accertamento di un aumento del rischio "inquieta l'interprete penale, perché realmente trasforma surrettiziamente la fattispecie del reato omissivo improprio da vicenda di danno in reato di pericolo (o di mera condotta) ", questa preoccupazione "non pare esportabile in sede civile", ove l'atipicità delle fattispecie di inadempimento delle obbligazioni non sono tassative ed il baricentro è spostato interamente sul versante dei pregiudizi; in secondo luogo, nella responsabilità civile la causalità civile persegue scopi diversi da quelli della responsabilità penale, ossia, potendo peraltro interagire con maggiore disinvoltura con altre discipline (anche economiche e sociali), è indirizzata a "costruire una teoria della prevenzione efficiente del costo sociale dei danni", e cioè ragiona secondo una "logica" diversa, quella della "traslazione del danno", sviluppando così "legami di senso e di struttura" che sono totalmente estranei al diritto penale.

E' da notarsi come la Suprema corte, con queste sue osservazioni, abbia affermato l'indipendenza della causalità civile da quella penale non solo sul fronte della verifica del collegamento tra evento dannoso e danni risarcibili, bensì, superando suoi recenti precedenti[29] , anche su quello dell'imputazione dell'evento di danno.

Siffatte conclusioni, apprezzabili per la loro completezza, paiono del tutto ineccepibili, e, come giustamente posto in luce dalla Suprema corte, è la stessa evoluzione della responsabilità civile, a partire dal campo della responsabilità medica, che dimostra il solco che oggi divide causalità penale e causalità civile.

Alle argomentazioni addotte dalla sentenza Cass. n. 21619/2007 si può peraltro aggiungere come la causalità civile si muova su piani nettamente diversi dall'ambito penalistico in relazione all'atteggiarsi della prova del nesso di causa: nella responsabilità civile, sia essa aquiliana oppure contrattuale, l'accertamento del rapporto causale soggiace a meccanismi probatori non rinvenibili in alcun modo in seno alla responsabilità penale, con la conseguenza che, in seno ai giudizi civili, un evento dannoso può essere imputato anche allorquando il rapporto causale sia, in via presuntiva, solo presumibile/verosimile e non sia stata fornita alcuna controprova da parte del soggetto convenuto circa fattori interruttivi della sequenza causale presunta tra la sua condotta ed il danno occorso alla vittima. In altri termini, nella responsabilità civile il nesso di causa vive e si sviluppa in un contesto di "ragionamento probatorio" non assimilabile in alcun modo al sistema penale, dal che si può dedurre come in tutta evidenza, se in seno alla causalità civile possono ben operare meccanismi presuntivi, nella tutela risarcitoria della persona la sussistenza del nesso causale non necessita di essere dimostrata, come invece in penale, "oltre ogni ragionevole dubbio"[30] .

Tutto ciò, come anche colto dalla decisione in commento, non significa che tra causalità civile e causalità penale non vi possano essere significativi punti di contattato. Alcune precisazioni della sentenza Franzese, infatti, possono trovare ampiamente concordi pure gli interpreti della responsabilità civile[31].

Tuttavia, è ormai chiaro come altri principi della causalità penale, proprio perché strettamente ancorati alle garanzie che l'ordinamento e la legge penale pongono a tutela dei soggetti imputati di un determinato reato, non possano trovare applicazione nelle azioni risarcitorie, soprattutto laddove entrino in funzione meccanismi presuntivi se non vere e proprie inversioni dell'onere probatorio. Il riferimento è, in particolare, al principio del "ragionevole dubbio" puntualmente richiamato dalle Sezioni Unite penali, per cui "l'insufficiente, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio ".

Un modello unitario per il sottosistema del nesso di causa civilistico?

Una volta addivenuta alla condivisibile conclusione circa la configurabilità e la piena legittimità della causalità civile quale autentico "sottosistema" del nesso di causa ben distinto dal sottosistema della causalità penale, la pronuncia in esame ha poi affrontato il problema, centrale ed alquanto scivoloso, della possibilità di individuare per la responsabilità civile dei criteri tali da governare in modo uniforme la verifica del nesso di causa intercorrente fra, da un lato, il comportamento imputato al soggetto convenuto e, dall'altro lato, l'evento dannoso[32]: "resta l'interrogativo sui criteri idonei a tracciare le linee-guida del corretto accertamento del nesso di causa ".

Sul punto la decisione in esame ha correttamente premesso come in materia si debba tuttora registrare, nonostante diversi secoli profusi da parte di più scienze nella ricerca del bandolo della matassa, un' "inquietante disomogeneità di criteri e di pensiero ", stato dell'arte che continua a connotare anche i contributi della dottrina e della giurisprudenza nostrane.

La Cassazione ha altresì evidenziato come il problema della causalità giuridica si prospetti in campi tra loro nettamente differenti, dall'infortunistica in generale alla responsabilità professionale a tutta una serie di "singole quanto complesse vicende, umane e processuali", aree contraddistinte da "peculiarità specifiche", che "mal si attagliano ad unitarie e articolate generalizzazioni teoriche".

In particolare, la sentenza in commento ha lucidamente individuato nel contesto odierno le seguenti "macroaree di conflitto":

1) "il concetto di (e le differenze tra) causalità materiale e causalità giuridica";

2) "il criterio di collegamento da adottare (alto grado di probabilità, probabilità, serie ed apprezzate possibilità, semplice possibilità - con riguardo a quella peculiare fattispecie costituita dalla c.d. "perdita di chance" -) tra la condotta e l'evento di danno";

3) "la collocazione del fortuito nell'area della colpa ovvero nel territorio causale";

4) i rapporti fra causalità e colpa ("la commistione, ovvero la rigida separazione logica e cronologica, tra gli elementi strutturali dell'illecito: la colpa, il nesso causale").

Sempre a dimostrazione di quanto la causalità civile sia ancora in alto mare la Suprema corte ha altresì evidenziato come il diritto positivo non consegnerebbe agli interpreti "nulla di realmente definito à sul tema della causalità in sé considerata", limitandosi il codice civile a disciplinare all'art. 1223 c.c. la questione relativa al nesso di causa che non lega la condotta all'evento dannoso, bensì quest'ultimo ai danni-conseguenza (nello specifico, secondo quanto ritenuto dalla decisione in commento, l'art. 1223 c.c. si riferirebbe ad "un problema che non è più di causalità, ma di ammontare del danno risarcibile").

Infine, a questo quadro, peraltro ampiamente noto agli addetti ai lavori, la Cassazione ha aggiunto la pluralità di teorie del nesso di causa elaborate, soprattutto a partire dall'ottocento, in sede penale e civile[33].

Orbene, dinanzi a siffatta realistica e per certo non incoraggiante fotografia della "causalità civile oggi" la Cassazione non si è comunque persa d'animo, sforzandosi al contrario di individuare un "principio guida" per l'applicazione dell'istituto in questione, in particolare ravvisandolo nella regola secondo la quale l'autore della condotta, cui si imputa l'evento dannoso, si trova a rispondere "delle conseguenze che "normalmente" discendono dal suo atto", "a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità di agire ". In altri termini, la Suprema corte ha piazzato sull'altare la teoria della regolarità causale e del novus actus interveniens, affiancando ad essa la teoria dello scopo della norma violata[34].

Questo impegno prodigato dalla pronuncia in esame per rinvenire una chiave di lettura unitaria è sicuramente apprezzabile, ma non si può certo prendere per buono siffatto approdo senza approfondire se davvero la teoria della regolarità causale possa oggi effettivamente offrire "il" "principio guida" da lungo tempo ricercato dalla dottrina e dalle corti non solo italiane.

Sotto alcuni profili la sentenza in commento non è priva di ragioni. In primo luogo, è inoppugnabile come, perlomeno dagli anni ottanta del secolo da poco archiviato in avanti, la causalità civile, soprattutto con riferimento alle condotte omissive, si sia venuta a discostare sempre di più dal tradizionale criterio della condicio sine qua non. Giurisprudenza e dottrina, infatti, hanno soventemente manifestato una notevole propensione a privilegiare soluzioni di volta in volta inquadrate ed argomentate come debitrici della doctrine della regolarità causale o della teoria della causalità adeguata o di entrambe[35]. In secondo luogo, è indubitabile che la doctrine del novus actus interveniens giochi un ruolo viepiù essenziale in seno alla causalità odierna, soprattutto in un contesto in cui è ormai chiaro - soprattutto nella responsabilità contrattuale e nelle responsabilità speciali - come la gestione della prova del nesso di causa sia sempre di più spalmata su entrambe le parti, e cioè all'attore spetti dimostrare come sia verosimile la relazione causale (il c.d. principio della "astratta idoneità della condotta al nocumento") ed al convenuto tocchi spezzare tale legame adducendo ragioni, fattuali e giuridiche, che portino ad escludere la sussistenza del nesso causale così postulato (ragioni normalmente rubricate sotto i c.d. "fatti interruttivi"), con il giudice che, alla fine di siffatta contesa processuale, raggiunge, attraverso il giudizio probabilistico, le sue conclusioni, soppesando, in ciò anche alla luce di quanto i regimi di responsabilità stabiliscono circa la distribuzione degli oneri probatori, da quale parta penda la bilancia[36].

Tuttavia, alla fotografia scattata dalla Cassazione mancano all'appello teorie del nesso di causa che hanno giocato e tuttora conservano, quali prospettive d'interpretazione e d'applicazione del modello probabilistico, un ruolo nevralgico nell'evoluzione dell'odierna causalità giuridica (in primis, la doctrine della signoria sul fatto e la teoria fondata sul concetto di precauzione, ossia centrata sull'idea del rischio oggettivamente prevenibile[37]). In breve, il fotogramma in questione è una foto di classe che annovera diversi assenti lungi dal passare inosservati.

Peraltro, ad onor del vero si sa bene che, in difetto di una disposizione di legge che indichi espressamente a quale teoria/criterio di verifica il legislatore abbia accordato la sua preferenza, nessuna doctrine si giustifica più delle altre. In altri termini, si può allo stato asserire come nel nostro ordinamento le diverse teorie del nesso di causa abbiano tutte - ciò per certo nel campo civilistico - piena ed incontrovertibile legittimazione ad intervenire nel ragionamento che conduce alla decisione: tutte, cioè, offrono argomenti idonei a dotare di una motivazione giuridica un giudizio pro o contro la sussistenza di un rapporto causale. E si aggiunga che non solo, come si è detto, concorrono più teorie fra loro estremamente variegate, ma si contrappongono pure più modi d'interpretare e d'applicare ogni singola teoria.

A chi scrive, dunque, sembra che, se proprio non s'intendesse "rinunciare all'arbitrario presupposto che il problema della causalità giuridica àdebba necessariamente venire risolto con una formula semplice e unitaria "[38] e se viceversa si desiderasse, anche solo per comprensibili ragioni di razionalizzazione, rinvenire un principio idoneo a descrivere, in senso unitario, l'approdo attuale della causalità civile nostrana, questo sarebbe piuttosto da individuarsi non già in una particolare teoria del nesso di causa, bensì nella regola operazionale secondo cui la prova del collegamento tra condotta ed evento dannoso si può presumere raggiunta, ogniqualvolta - in assenza di un diverso giudizio controfattuale (generalmente imperniato, nella responsabilità civile, sulla dimostrazione da parte del convenuto di un fattore interruttivo, e cioè solitamente sulle prove fornite dal debitore circa la sussistenza di una "causa non imputabile") - la condotta imputata risulti essere astrattamente idonea a cagionare l'evento dannoso[39], ove l'espressione "astrattamente idonea" sta ad indicare che si tratta di una valutazione inevitabilmente disposta a concedere margini di incertezza, giudizio - evidentemente di carattere probabilistico - che sarebbe del tutto arbitrario ancorare alla sola doctrine della regolarità causale (in teoria, un giudice scrupoloso e puntiglioso, nel tirare le somme sull'evidence a sua disposizione, potrebbe formulare la sua determinazione sull'idoneità, svolgendo il giudizio probabilistico alla luce delle varie idee e filosofie sulla causalità per poi contemplare il risultato finale nel suo insieme).

 

Questo modello dell'astratta idoneità, quale chiave di lettura della causalità civile odierna (ampiamente condivisa nelle altre esperienze giuridiche perlomeno a livello di regola operazionale), non costituisce ovviamente un principio-guida perfetto o particolarmente risolutivo o dotato di chissà quali pregi e virtù, ma, come si è già puntualizzato, la causalità giuridica (per certo quella civile) ha sempre mal tollerato e tuttora rifugge le formule sintetiche che tutto vogliono spiegare e incasellare, giacché in ogni caso, come peraltro colto dalla stessa sentenza in commento che sul punto ha mostrato un apprezzabile senso di autentico realismo, si tratta di un giudizio inesorabilmente destinato "a risolversi entro i (più pragmatici) confini di una dimensione "storica", o, se si vuole, di politica del diritto " e, quindi, inevitabilmente soggetto ad adattamenti alle fattispecie concrete, essendo che il giudice, in questo suo esercizio di policy of law, "di volta in volta individuerà i termini dell'astratta riconducibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni in capo all'agente ".

Proprio queste ultime pragmatiche considerazioni conducono a lasciare da parte l'intrico costituito dai vari modi di concepire teoricamente e ideologicamente la gestione delle incertezze attraverso il criterio probabilistico ed a concentrare l'attenzione su quest'ultimo, cioè sulla vera essenza del ragionamento del giudice civile direzionato a valutare l'idoneità della condotta a cagionare l'evento dannoso complessivamente inteso

Del resto, le indicazioni, che invero si attendevano dalla Suprema corte per poter ragionare su una proposta concreta, da parte degli stessi giudici di legittimità, di un modello unitario per la causalità civile, riguardavano proprio l'atteggiarsi del criterio probabilistico, e, più nello specifico, i contenuti del parametro costituito dalla "probabilità logica", la definizione di espressioni in continua lizza tra loro e, al contempo, in reciproca attrazione ("probabilità" e "possibilità"), un chiarimento sulla figura della perdita di chance e dei suoi problematici rapporti con gli schemi "ordinari".

A questo riguardo, la Cassazione, con la decisione in esame, non ha certo deluso le aspettative di precisazioni: essa, infatti, si è sforzata non poco di consegnare agli interpreti un quadro chiaro in merito a tutte queste problematiche. In particolare, come ora si illustrerà, la pronuncia in commento ha individuato "tre categorie concettuali" distinte ("quasi certezza", "probabilità" e "possibilità"), ripartendole e razionalizzandole in una "scala discendente" che verosimilmente diverrà un tema di dibattito prediletto nelle prossime stagioni convegnistiche, ciò soprattutto negli accalorati seminari e convegni sulla sempre pulsante responsabilità medica.

I criteri di collegamento tra condotta ed evento dannoso nella prospettiva del "doppio binario": la distinzione fra "causalità civile ordinaria" e "causalità da perdita di chance"

Indubbiamente uno dei passaggi più pregevoli ed attesi del decalogo consegnato dalla sentenza in commento si rinviene nella "scala discendente" che essa, con estrema chiarezza, ha delineato ed entro cui ha dislocato le tre categorie concettuali ("alto grado di credibilità razionale", "probabilità relativa", "possibilità") ritenute funzionali alla ricostruzione, in seno alla causalità civile, del collegamento intercorrente tra la condotta e l'evento dannoso.

In particolare, la decisione in esame ha distinto nella suddetta "scala discendente" fra due "dimensioni di analisi" del rapporto causale ai fini civilistici: in questa prospettiva scende idealmente dalla c.d. "causalità civile "ordinaria" " alla c.d. "causalità da perdita di chance ".

Siffatta distinzione, invero, non costituisce una novità per la nostra giurisprudenza di legittimità, ma andava sicuramente chiarita ed affinata da parte della Suprema corte, giacché i precedenti intervenuti sul punto avevano lasciato aperte alcune questioni piuttosto rilevanti.

Proprio a questo riguardo, prima di passare a analizzare le peculiarità della pronuncia che qui si commenta, può essere utile soffermarsi sulla sentenza dei giudici di legittimità che ebbe per prima a dischiudere la causalità giuridica all'idea della c.d. "perdita di chance", ossia la decisione resa dalla Cassazione in B. c. Gestione Liquidatoria USSL 68 di Rho (Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400), seguita poi da altre pronunce (Cass., sez. III, 21 giugno 2004, n. 11488[40]).

Nello specifico, la decisione Cass. n. 4400/2004, occupandosi di un caso di responsabilità medica relativo ad un decesso occorso per errore diagnostico dei sanitari, aveva già tracciato due distinte logiche, ciò in particolare con riguardo per la ricostruzione e l'imputazione degli eventi dannosi associati a condotte di tipo omissivo: 1) la via imperniata sul nuovo criterio della probabilità logica; 2) il percorso centrato sulla figura della c.d. "perdita di chance".

In ordine al primo criterio, i giudici di legittimità avevano suggellato la propria adesione al nuovo modello probabilistico tracciato dalle Sezioni Unite penali, ancorché, come si è già ricordato, limitatamente alla nozione di "probabilità logica": "al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l'evento dannoso, quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli ". Nello specifico, il concetto di probabilità, in adesione all'indirizzo affermato dalle Sezioni Unite penali, risultava ormai modellato sulla base del criterio causale della "ragionevole o logica probabilità", cioè definitivamente sganciato dal requisito della ravvisabilità di determinate soglie percentuali di probabilità scientifica o statistica[41].

In relazione al secondo criterio, la Suprema Corte era stata già ampiamente chiara nell'affiancare al primo modello uno alternativo, per l'appunto imperniato sulla figura della c.d. "perdita di chance" e, dunque, sulla c.d. "teoria dell'aumento del rischio" (a quest'ultimo riguardo, infatti, la decisione n. 4400/2004 precisò come questo secondo criterio possa operare, ogniqualvolta, essendo "certo che il medico ha dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o in ogni caso inadeguata, è possibile affermare che, in presenza di fattori di rischio, detta carenza (che integra l'inadempimento della prestazione sanitaria) aggrava la possibilità che l'esito negativo si produca ").

Più nello specifico siffatta operazione condotta dalla Cassazione risultava già inequivocabile su di un punto importantissimo e rivoluzionario: al modello probabilistico fondato sull'accertamento del nesso di causa tra condotta e danno alla persona, veniva sostanzialmente accostato un secondo criterio di imputazione della responsabilità, individuato nella figura del danno da perdita di chance (o "possibilità"). In particolare, nella decisione Cass. n. 4400/2004 risultava chiaro come si fosse dinanzi ad un modello di analisi dell'evento dannoso per certo diverso da quello governato dal criterio della probabilità logica[42]: in primis, questa diversità risultava confermata dal dato che i giudici di legittimità erano venuti a proporre siffatto percorso alternativo per quei casi in cui, difettando secondo il primo modello la prova che la condotta del soggetto imputato dell'evento dannoso (morte o danno alla salute) lo avesse causato, fosse tuttavia imputabile alla condotta stessa di avere aumentato il rischio del verificarsi del pregiudizio accusato dalla vittima (per la Cassazione, infatti, il criterio della perdita di chance opera, laddove "non è possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta ").

In pratica, si poteva legittimamente trarre dalla decisione Cass. n. 4400/2004 come - per i casi in cui manchino i presupposti per risarcire il danno tradizionalmente inteso - si offrisse alla vittima un percorso alternativo, per l'appunto fondato sul rapporto causale tra la condotta e la perdita di chance subita.

Che l'analisi dell'evento dannoso, così come ridefinita dalla decisione n. 4400/2004, si presentasse, a tutti gli effetti a "doppio binario", emergeva inoltre con ogni evidenza dalla netta distinzione già in allora tracciata dai giudici di legittimità - attraverso il principio della domanda (art. 99 c.p.c.) - tra due domande, da un lato la domanda per perdita di chance di salute, dall'altro lato la domanda, "tradizionale", per la lesione della salute (ossia, il danno finale o da "perdita del risultato"). Sul punto specifico, infatti, la Suprema corte così si espresse: "la domanda per perdita di chances è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato ".

Il "doppio binario" delineato dalla Cassazione presentava, però, alcuni profili tutti da verificare e che, soprattutto, finivano per rendere equivocabile una distinzione già di per sé oggettivamente difficile da attuare nella pratica. In particolare si poteva dubitare della scelta della Suprema corte di porre il criterio imperniato sulla figura della perdita di chance totalmente al di fuori della causalità giuridica.

Per la decisione n. 4400/2004, infatti, nell'ambito della prima domanda risarcitoria (quella per il danno da mancata realizzazione del risultato finale) la "collocazione logico giuridica dell'accertamento probabilistico attiene alla fase di individuazione del nesso causale ", mentre nel secondo caso il criterio probabilistico avrebbe riguardato il "momento della determinazione del danno ": "in buona sostanza nel primo caso le chances substanziano il nesso causale, nel secondo caso sono l'oggetto della perdita e quindi del danno " (tra l'altro inquadrato come "danno emergente").

Più specificatamente, come del resto si ebbe modo di rilevare all'indomani della decisione n. 4400/2004[43], si poteva censurare l'inquadramento operato dai giudici di legittimità, osservando come - pur essendo sicuramente incontestabile che nel caso della domanda risarcitoria avente per oggetto le chance perdute l'analisi funzionale al giudizio di responsabilità punti direttamente sul versante dell'accertamento del danno medesimo - sia innegabile come per questa via si realizzi semplicemente una perfetta coincidenza tra fase relativa all'individuazione del nesso di causa e la prova del danno. In altri termini, contrariamente a quanto concluso dalla decisione n. 4400/2004, si poteva ritenere come la prova della perdita di chance, lungi dall'esaurirsi in una mera questione di determinazione del danno, a monte "sostanzi" il nesso di causa, ossia a tutti gli effetti si sia dinanzi a due modelli distinti della causalità giuridica civilisticamente rilevante.

In senso diverso dall'impostazione seguita dalla pronuncia n. 4400/2004 si propose, dunque, un inquadramento alternativo, sostenendo che la distinzione tra i due percorsi in questione potesse meglio apprezzarsi, cogliendola congiuntamente su due versanti (entrambi necessari), la prospettiva del nesso causale e quella della configurazione del risultato finale conseguibile (cioè, essenzialmente del quantum debeatur)[44]. In pratica, pur traendosi ampiamente spunto dalla decisione n. 4400/2004, si suggeriva, anche al fine di scongiurare confusioni concettuali fra il parametro della "probabilità" e quello della "possibilità", di addivenire all'individuazione di due distinti modelli della causalità civile: il primo fondato sul criterio della probabilità logica e funzionale al risarcimento dell'evento danno inteso come mancato raggiungimento del risultato finale (la salute o la vita); il secondo avente per oggetto non già il rapporto eziologico intercorrente tra la condotta attiva od omissiva e le conseguenze ultime dell'inadempimento e cioè il "danno finale" (morte o danno biologico), bensì l'accertamento, in termini di possibilità, della (sola) perdita di chances di salute o di vita, ossia, in buona sostanza, di un danno concettualmente autonomo (la vanificazione di chances di vita o di salute) rispetto al danno complessivamente inteso (la lesione del bene vita o dell'integrità psicofisica) e non cumulabile con quest'ultimo.

Ciò premesso sui problemi che la decisione Cass. n. 4400/2004 aveva lasciato sul tavolo e sull'opportunità di una nuova e chiarificatrice pronuncia di legittimità, la sentenza in commento si è sicuramente mossa nella stessa direzione che si ebbe a suggerire, consegnando un quadro decisamente più nitido rispetto al suo pur apprezzabilissimo precedente.

Nel decalogo, che la decisione Cass. n. 21619/2007 ha predisposto, è, infatti, manifesta la coesistenza di due diverse modalità di affrontare la questione del nesso di causa in ambito civilistico. In particolare, come si è anticipato, la decisione in esame ha strutturato la seguente "scala discendente" e distinto tra due diverse "dimensioni di analisi" del nesso di causa "nell'orbita del sottosistema civilistico":

a) "à la causalità civile "ordinaria", attestata sul versante della probabilità relativa (o "variabile")", la quale "obbedisce alla logica del "più probabile che non "" ed ha per oggetto "il danno da lesione alla salute ";

b) "à la causalità da perdita di chance, attestata tout court sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato terapeutico, da intendersi, rettamente, non come mancato conseguimento soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, intesa tale aspettativa (la guarigione da parte del paziente) come "bene", come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute ".

Nello specifico, la Cassazione, facendo ricorso ad un'espressione decisamente felice e esteticamente efficace, ha presentato queste due distinte "causalità civili" quali differenti "dimensioni di analisi", entro le quali è possibile svolgere l'indagine sul nesso di causa relativamente ad un medesimo evento dannoso, diversificandola a seconda che vi siano indicazioni o a sostegno della logica del "più probabile che non" (ossia il criterio della probabilità logica o relativa) oppure nel senso della logica del "sacrificio di possibilità" (criterio della perdita di chance).

Siffatta nitida impostazione presenta indubbiamente diversi pregi rispetto all'approdo precedente.

Un primo risultato positivo del modello delineato dalla pronuncia Cass. n. 21619/2007 risiede nel rendere decisamente più chiara l'alternativa, che si pone nella ricostruzione dell'evento dannoso inteso come sequenza tra una determinata condotta ed un'altrettanta specifica situazione di pregiudizio: se processualmente non è certo/quasi-certo oppure non è "più probabile che non" (probabilità logica) che la condotta abbia cagionato nel caso concreto la modificazione della salute riportata dalla vittima ovvero la morte di questa, la lettura dell'evento dannoso, posto che sia stata stimolata l'indagine istruttoria anche sotto questo profilo[45] e che sia ravvisabile il pregiudizio in questione, può essere reimpostata sostenendo che la condotta ha cagionato una perdita di chance, ossia inequivocabile è che la causalità civile possa essere rimodellata centrandola su una tipologia di evento dannoso diverso.

In altri termini, la Cassazione ha affinato la costruzione del modello binario di gestione del nesso di causa, rendendo ben più chiaro, rispetto al precedente Cass. n. 4400/2004, come tra le due vie corrano sostanziali differenze, ossia che non solo i danni sono diversi, ma altresì che "differente è il nesso di causa che il giudice deve accertare "[46]. Si tratta peraltro di un modello perfettamente spendibile, ancorché con tutte le difficoltà del caso, nella pratica di tutti i giorni, ove manifesto è come l'attore possa allora, perlomeno generalmente, agire in via principale per l'accoglimento della prima domanda (il risarcimento del danno intero alla salute) e, in via subordinata, per l'evento dannoso ricodificato sulla perdita di chance.

Un secondo pregio, che si può rinvenire nell'impostazione delineata dalla decisione in esame, è che essa, nel tracciare un deciso solco fra le due "dimensioni di analisi" della causalità civile, ha così mantenuto debitamente disgiunte le due "categorie concettuali" della "probabilità" e della "possibilità", che nella pratica sono state spesso fonte di confusione fra gli operatori (sia giuristi e sia medici legali)[47], ivi compresi gli stessi magistrati, come del resto dimostra alla perfezione la stessa vicenda processuale esaminata dalla sentenza in commento, ove i giudici del merito, ad avviso della Suprema corte, denotarono per l'appunto "di confondere il danno da lesione alla salute da quello da perdita di chance ", ciò sino a ridurre in via equitativa della metà il quantum dei danni patrimoniali e non, pur avendo - si osservi bene - ritenuto sussistente il nesso di causa alla stregua del ragionamento modellato sulla causalità "ordinaria", ossia del "più probabile che non".

Che in effetti, sia più che opportuno tenere, sia idealmente e sia al lato concreto, del tutto disgiunte le due categorie concettuali in questione, ciò attraverso la differenziazione tra le due causalità, discende dalla semplice constatazione per cui, continuandosi altrimenti a confondere fra "probabilità" e "possibilità" (ossia a porle su una stessa linea di ragionamento), si finirebbe per cadere nell'equivoco, ricorrente in primis in ambito medico-legale ed anche in altre esperienze giuridiche, che sia solo ed esclusivamente un problema di misura del parametro probabilistico a determinare il passaggio dalle ipotesi di risarcimento integrale (del danno alla salute o da morte) alla prospettiva della riduzione del quantum debeatur, cioè dal danno consistente nella menomazione della salute (ossia, secondo il lessico ricorrente nella dottrina e nella giurisprudenza statunitense, un qualsivoglia "final harm") al pregiudizio discendente dalla perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza. Invero, la "possibilità" non è una particolare accezione della "probabilità", e cioè non descrive una misura ridotta di probabilità. Ragionare in termini diversi condurrebbe in una serie di controversie a dover relegare le ipotesi di risarcimento integrale del danno ai soli casi in cui la "probabilità" equivalga a "quasi certezza" del nesso dì causa, il che contrasterebbe con il principio di diritto, ormai consolidatosi nella giurisprudenza di Cassazione, per cui, al fine della riparazione dei danni alla salute e da morte "al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l'evento dannoso, quello della probabilità ditali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli ". In altri termini, una volta ammessa la piena autonomia della causalità da perdita di chances rispetto al modello probabilistico che ragiona sempre in termini di "all-or-nothing", non dovrebbe essere più possibile continuare ad applicare indistintamente le suddette categorie concettuali.

La distinzione tra "probabilità" e "possibilità" non si gioca sul piano delle indicazioni espresse in percentuali, bensì sul diverso versante del tipo di evento di danno considerato: un conto è la "dimensione di analisi" del nesso di causa direzionata a verificare se la condotta abbia cagionato il danno alla salute o la morte, ben altra prospettiva - lo si ribadisce - è esaminare, laddove non si sia risolta in senso positivo la prima disamina, se la stessa condotta abbia privato il danneggiato di chance di evitare l'evento negativo.

Infine, altro pregio del modello affinato dalla Suprema corte nella decisione in esame è di tenere concettualmente separate due figure che necessitano di non essere confuse: da un lato, la "perdita di chance" come "dimensione di analisi" del nesso di causa e cioè come modo di concepire l'evento dannoso, dall'altro lato, il "danno da perdita di chance" come particolare voce risarcitoria, cioè, a tutti gli effetti, come danno-conseguenza il cui accertamento richiede che a monte si sia già risolta la questione del collegamento tra condotta ed esito negativo di questa.

Mentre a quest'ultimo riguardo la decisione Cass. n. 4400/2004, soffermandosi sulla questione della configurabilità della "perdita di chance" quale danno emergente, aveva dato luogo a non poche confusioni addentrandosi in considerazioni in realtà relative al diverso tema del "danno da perdita di chance", viceversa la sentenza in esame risulta cristallina nel presentare la "perdita di chance" come una "dimensione" autonoma della causalità, che si distingue concettualmente dal particolare pregiudizio da perdita di chance che, quale categoria risarcitoria (generalmente a carattere patrimoniale), può conseguire ad un qualsivoglia illecito o inadempimento contrattuale. Un conto, infatti, è considerare la perdita di chance quale particolare voce di danno, che, tra i vari pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali configurabili, può conseguire ad un evento dannoso (si pensi, ad esempio, al caso dell'investimento di un pedone che si sta recando ad un concorso, oppure al lavoratore che lamenti, adducendo l'illegittimità di una procedura di selezione dei dipendenti per accesso ad una qualifica superiore, di non avere conseguito una promozione, od alla perdita di chance derivante in capo ad un'impresa dalla mancata partecipazione ad una procedura di gara di appalto)[48], ben altra questione è quella connessa alla perdita di chance quale particolare forma descrittiva dell'evento dannoso stesso a prescindere dalle voci di danni-conseguenza in concreto risarcibili. Per il "danno da perdita di chance" si tratta di accedere ad altri tipi di ragionamento che evidentemente non attengono all'individuazione del collegamento tra la condotta e l'evento dannoso (ove si tratta di scegliere se imputare l'evento dannoso ad una condotta), ma al nesso tra quest'ultimo e le conseguenze lamentate, ove si tratta non già di addebitare l'evento dannoso tout court considerato, bensì, risolto a monte il problema dell'imputabilità dell'evento dannoso, di selezionare ex art.1223 c.c. le voci di pregiudizio risarcibile e vengono in rilievo le problematiche in più occasioni trattate dalla giurisprudenza (in primis, lavoristica).

Il "doppio binario" nella pratica: causalità medico-legale e causalità giuridica a confronto (il non problema dell'assenza di indicazioni percentuali da parte dei consulenti tecnici)

Il modello a "doppio binario" tracciato dalla sentenza in commento contribuisce significatamene a chiarire quali rapporti intercorrano tra le varie categorie concettuali, che presidiano all'indagine sul nesso di causa, e le due "dimensioni di analisi" del nesso di causa: se si ragiona in termini di "certezza", "quasi-certezza" o "probabilità" e l'evento dannoso oggetto dell'accertamento causale è la menomazione della salute lamentata dal danneggiato oppure il decesso, si ricade nella prima "dimensione", ("causalità civile ordinaria"); se, invece, l'indagine causale assume a riferimento le possibilità della vittima di conseguire un risultato diverso (quello normalmente conseguibile), la "dimensione di analisi" è quella della "causalità da perdita di chance".

E', in ogni caso, evidente come a determinare la "dimensione di analisi" sia il particolare modo di concepire l'evento dannoso su cui va a puntare l'indagine causale: la differenza fra le due vie non è affatto una questione di maggiore o minore livello di certezza/probabilità, bensì essa è dettata dal danno finale che si pone quale oggetto dell'indagine causale. In particolare, l'individuazione di una perdita di chance richiede al giudice di accertare se sia stata raggiunta la prova dell'esistenza della privazione di chance di un esito diverso: ossia, mentre nella "causalità civile ordinaria" il magistrato deve convincersi dell'esistenza del collegamento tra condotta e danno alla salute, nella "causalità da perdita di chance" il giudice deve persuadersi della sussistenza di un determinato evento dannoso, cioè della ravvisabilità, nel caso concreto (tenendo, dunque, conto delle patologie della vittima, della sua età e di altri fattori consimili), della perdita di possibilità per la vittima di accedere ad esiti favorevoli[49]. In altri termini, in entrambe le dimensioni di analisi si ha un vero e proprio bilanciamento tra certezze ed incertezze, ma nella "causalità civile ordinaria" questo ha per oggetto il nesso di causa[50], mentre nella "causalità da perdita di chance" incide sul convincimento del magistrato circa l'esistenza dell'evento dì danno.

Ciò posto, è allora evidente come nella pratica di tutti i giorni l'applicazione di questi diversi modelli avrà a giocarsi sui dati - fattuali, scientifici, statistici, d'esperienza - a disposizione del magistrato per l'effettuazione di questi tipi di bilanciamento.

Nello specifico, le corti si troveranno a fare i conti con le indicazioni che proverranno dai consulenti tecnici, in primis, nel campo del danno alla persona e della responsabilità medica, da parte dei medici legali: ciò imporrà alle corti di interpretare con attenzione le formule peritali, atteso che, se già nel passato queste non si conciliavano del tutto con le categorie concettuali della causalità giuridica, ora la situazione è ancora più complessa, denotando la medicina legale, piuttosto comprensibilmente, una certa qual difficoltà nell'assorbire le recenti evoluzioni della giurisprudenza (in particolare, taluna medicina legale è portata a ritenere che il salto dalla "causalità ordinaria" alla "causalità da perdita di chance" dipenda dalle percentuali di probabilità di volta in volta individuate, cosicché il secondo tipo di causalità, intesa come un minus della prima, troverebbe sfogo in corrispondenza di valori che raggiungano soglie inferiori a quelle ritenute necessarie per affermare la riconducibilità del danno alla salute alla condotta imputata al convenuto, conducendo così la seconda via ad un risultato risarcitorio sempre e comunque "consolatorio"[51]).

Si porrà allora il problema, certamente non nuovo, di come gestire in diritto le indicazioni peritali. Su questo punto specifico, la sentenza in esame, mostrando di avere ben presente la non coincidenza fra "causalità scientifica" e "causalità giuridica"[52], ha opportunamente rilevato come il giudice non sia in alcun modo vincolato dalle "formule peritali" utilizzate dai consulenti tecnici.

In particolare, la Cassazione ha tenuto a precisare che il magistrato, non essendo vincolato alla "formula peritale", non deve "trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico ", e cioè non deve fermarsi alle "forme espressive" utilizzate dai consulenti tecnici oppure alle percentuali da questi indicate, e parimenti non può arrestarsi alla mancata effettuazione da parte dei periti di una stima delle percentuali di probabilità.

Anzi, sempre secondo la decisione in commento, il giudicante può procedere ai bilanciamenti sopra prospettati anche laddove i periti non abbiano indicato precise misure o particolari percentuali.

Su quest'ultimo profilo, come risulta dalla sua ratio decidendi, la pronuncia in esame è stata, invero, assolutamente cristallina, giustappunto avendo condiviso la decisione dei giudici del merito, i quali, mostrando di ragionare secondo la logica del "più probabile che non", avevano ritenuto la concreta predicabilità della sussistenza del nesso di causa tra la condotta omissiva di un medico di guardia, che aveva mancato di avviare tempestivamente al trattamento in camera iperbarica un sub con chiari sintomi da decompressione, e l'evento lesivo lamentato dal danneggiato (paraparesi da malattia da decompressione), pur essendosi le consulenze tecniche espresse in termini meramente "possibilistici", senza percentualizzare la prospettiva di una miglior riuscita del trattamento medico omesso (nello specifico, stando a quanto riportato dalla stessa Cassazione, i periti avevano specificato "l'impossibilità di percentualizzare a priori la probabilità di completa guarigione o di esiti meno gravi in caso di trattamento " tempestivo).

Questo approdo della Suprema Corte è decisamente apprezzabile, se sol si considera come troppo spesso nella pratica le corti si siano di fatto spogliate della responsabilità della decisione, lasciando la determinazione delle controversie in mano ai periti. E', comunque, da sottolinearsi come con questi rilievi non s'intenda ridimensionare il ruolo della consulenza tecnica, che però dovrà sempre di più mirare a fornire dati, il più possibile esaustivi e sostenuti da una bibliografia oggettivamente selezionata (oggi spesso mancante nelle relazioni peritali), e non già "personali convincimenti".

La misura-base dei risarcimenti nelle due causalità civili

I giudici di legittimità hanno correttamente ricondotto la questione della determinazione della misura di incidenza dell'inadempimento sull'evento dannoso al diverso "tema del criterio risarcitorio" da adottare ai fini dell'individuazione della base per procedere alla soluzione del quantum debeatur: in pratica, una volta ritenuto sussistente il nesso di causa o percorrendo la prima via oppure passando attraverso la seconda "dimensione di analisi", la misura-base del risarcimento diviene una questione affidata ai consueti criteri risarcitori.

Ciò che va precisato e che purtroppo la decisione in esame non ha avuto modo di affrontare (non avendo le parti impugnato la sentenza di merito laddove, pur essendo stata ritenuta l'esistenza del nesso di causa sulla base del criterio del "più probabile che non", era addivenuta in via equitativa a ridurre della metà il quantum debeatur), è come si atteggi diversamente la questione del "criterio risarcitorio" a seconda che si approdi al risarcimento tramite la "causalità ordinaria" oppure ragionando in termini di "causalità da perdita di chance".

Nel primo caso, i danni patrimoniali e non patrimoniali da lesione della salute o da morte dovrebbero essere risarciti al 100%, senza che si possa dare luogo a riduzioni di sorta: in questa prospettiva, infatti, il nesso di causa tra condotta e lesione della salute o privazione della vita è ritenuto a tutti gli effetti sussistente, e dunque sarebbe estremamente iniquo procedere ad un ridimensionamento del quantum in via equitativa, o in proporzione del grado di probabilità o secondo altri criteri[53].

Nella seconda ipotesi, invece, il risarcimento, ancorché con le dovute eccezioni e cautele[54], non dovrebbe prescindere dalla misura delle chance in concreto perse dal danneggiato, giacché è il particolare atteggiarsi dell'evento dannoso a determinare questo legame[55] .

Al riguardo, andrebbe operato un distinguo fra due casi: da un lato, l'ipotesi in cui si conosce solo il livello iniziale di chance che il paziente aveva, quale individuo statisticamente appartenente ad una determinata classe di individui affetti da una determinata patologia e con stesse condizioni di salute, di riportare un determinato beneficio da una determinata operazione, dall'altro lato il caso in cui si può altresì ragionevolmente individuare in quale misura la condotta del sanitario abbia diminuito le chance iniziali che la vittima, come tutti gli altri membri della sua classe, aveva, ove in questo secondo caso occorrerebbe considerare nella valutazione anche questa ulteriore informazione[56].

Nella maggior parte dei casi, comunque, dovrebbero tornare estremamente utili le percentuali scientifiche e statistiche indicate dai consulenti (come ovvio, necessariamente corredate dai riferimenti del caso a studi e contributi, giacché non ha senso che i periti diano o siano costretti a "dare i numeri").

Pur tuttavia, possono ben immaginarsi dei casi in cui sia sì individuata una non trascurabile privazione di una chance, ma non sia determinabile la sua esatta misura. Per queste fattispecie, però, non si rinviene alcun motivo per negare l'operatività della clausola generale, di cui all'art. 1226 c.c., che, come noto, ammette che il danno sia risarcibile anche laddove la sua misura non sia provata o determinata "nel suo preciso ammontare", in questo caso potendosi e, anzi, dovendosi comunque dare luogo alla valutazione in via equitativa[57].

La "scala discendente" della "nuova" causalità civile: un modello condivisibile

Alla decisione in esame si può serenamente attribuire l'indubbio merito di aver operato una notevole chiarificazione delle due "dimensioni d'analisi" della causalità civile, approdo che peraltro, ad avviso di chi scrive, risulta sospingere il modello italiano verso una posizione di affinamento del ragionamento probabilistico decisamente più avanzata rispetto ad altre esperienze, tra cui in primis il common law inglese[58].

Tuttavia, è piuttosto evidente come non sia sufficiente elaborare un modello chiaro e dotato di una logica precisa: al contempo, infatti, occorre che le sue fondamenta siano solide in senso giuridico, e cioè che l'impostazione regga "in diritto", perlomeno quello "vivente". In altri termini, non basta soffermarsi a notare come la Suprema corte abbia fatto chiarezza per concludere che il quadro, che essa ha pur autorevolmente delineato e che sorge dal ruolo nomofilattico ritagliato dal legislatore in capo alla stessa, sia de plano condivisibile, fondato e, quindi, da seguire.

In particolare, attesa la non vincolatività dei precedenti nostrani, è necessario domandarsi se le scelte operate dai giudici di legittimità per la gestione delle incertezze della causalità giuridica siano persuasive e cioè abbiano un solido fondamento. Il rischio è che altrimenti si possa dare luogo al consolidamento di una mera sovrastruttura concettuale facilmente attaccabile quale proposta artificiosa, frutto di una eccessiva "fantasia creatrice"[59] e, in definitiva, del tutto priva di una sua base, ancorché magari interessante e dotata di un suo certo qual fascino.

Il limitato spazio concesso da una semplice nota di commento non può permettere sul punto riflessioni approfondite ed esaustive, ma alcuni flash appaiono alquanto opportuni, soprattutto a fronte dei rilievi critici alla figura della perdita di chance che non sono mancati né tra i giuristi[60] e né tra la medicina-legale [61].

Ciò premesso e cominciando dall'esaminare la validità della prima impostazione della "nuova" causalità civile, quella cioè ridefinita dalla pronuncia in commento come "ordinaria", si può osservare come essa trovi la sua giustificazione più tradizionale nella conclusione, della quale si è già riferito, per cui la rinuncia al parametro della certezza quale unico criterio selettivo delle pretese risarcitorie è un approdo del tutto inevitabile, ossia il ragionamento causale non può che concedere spazi al modello probabilistico (peraltro, la "quasi-certezza" in realtà è già "probabilità", "credibilità", "verosimiglianza").

Se si accetta questa idea dell'inevitabilità di soglie di incertezza nel giudizio causale (e sarebbe antistorico non farlo), allora la questione del fondamento della prima via della causalità civile si pone con riferimento al più specifico profilo della legittimità del livello di probabilità ritenuto tale da determinare l'esistenza del collegamento causale: in particolare, come si giustifica la regola del "più probabile che non" affermata con estrema nitidezza dalla decisione qui in commento?

Una premessa può facilitare la risposta a questo quesito. Le ragioni, che, dopo anni di incondizionata fiducia nelle percentuali scientifiche-statistiche, hanno condotto i giudici di legittimità a rimodellare la causalità penale e la causalità civile puntualizzando che "non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza " [62] sono molto chiare: il giudizio di causalità è stato inquadrato come "ragionamento probatorio" [63], che, in quanto tale, necessita di amministrare le indicazioni peritali o quelle scientifiche/statistiche, non già di essere dominato da queste.

Orbene, siffatto passaggio della giurisprudenza degli ultimi anni, proprio per queste sue ragioni, ha posto in luce la vera essenza della logica della probabilità quale criterio della causalità giuridica e, soprattutto, ciò che giustifica gli esiti del giudizio relativo al nesso di causa condotto senza inseguire il "mito" della certezza: necessariamente il giudizio probabilistico, quale "ragionamento probatorio", deve trovare conforto giuridico nelle norme che disciplinano le prove, ossia giustificarsi sul piano probatorio, ricordandosi qui che le prove possono essere anche presuntive e che, soprattutto, sono affidate al convincimento del magistrato, cioè al suo "prudente apprezzamento" (art. 116 c.p.c.).

In ragione di questo inquadramento, dunque, l'applicazione concreta della logica probabilistica (ossia l'individuazione di una determinata soglia di probabilità) può ritenersi giuridicamente giustificata, laddove l'accertamento del nesso di causa non risulti contrastare con i principi che governano la valutazione delle prove.

In questa prospettiva si può allora ben apprezzare e condividere l'innovativa ridefinizione/precisazione del concetto di "probabilità logica" cui è pervenuta la decisione in commento: l'individuazione della soglia del "più probabile che non", svincolata da una stretta dipendenza dalle "formule peritali", e l'espressa aggettivazione di questa logica come "relativa (o "variabile")" non solo si risolvono in un più che doveroso richiamo alla responsabilità dei magistrati (i soli che alla fine devono decidere), ma rendono del tutto evidente, secondo una visione decisamente realistica, ciò che è insito nell'essenza del paradigma della probabilità logica, ove l'applicazione concreta del ragionamento probabilistico non può che variare da caso a caso a secondo del quadro probatorio che si prospetta al magistrato, il quale, nell'apprezzare prudentemente le prove, si trova a soppesare, alla fine dell'istruttoria, l'evidence, che pende a favore del danneggiato, con l'evidence che sorregge la tesi del convenuto, ed infine deve trasformare le incertezze in certezze, atteso che, come si è già rilevato, tertium non datur.

Il giudizio secondo la logica del "più probabile che non" non significa pertanto mero arbitrio o libero convincimento o puro esercizio di policy of law da parte del giudicante: siffatto giudizio, infatti, deve essere adeguatamente motivato sulla base delle prove raggiunte, della verifica controfattuale e dei criteri individuati dal legislatore per l'amministrazione delle prove e degli oneri probatori, cioè deve scaturire da un approfondito esame delle prove acquisite e dei carichi probatori adempiuti o non assolti.

Peraltro, siffatta concezione del "più probabile che non", che non genera affatto una nozione "debole" della causalità civile bensì pare debitamente stimolare quella "rettitudine della decisione" perorata quasi due secoli or sono da Jeremy Bentham (ove "rettitudine" è accuratezza nel "fact-finding", cioè nell'accertamento dei fatti e nel vaglio dei riscontri probatori) [64], non è affatto un'idea né balzana né isolata della nostra Cassazione: le corti inglesi, ad esempio, hanno spesso fatto applicazione del "more likely than not test" [65] proprio secondo una concezione realistica della probabilità strettamente connessa alla valutazione delle prove, ciò peraltro nella convinzione che la "causalità deve essere compresa dall'uomo della strada, e non come la potrebbe comprendere lo scienziato o il metafisico " [66], e per certo non vi è nulla di più convincente per le parti di un processo che spiegar loro gli esiti della controversia in termini di prove raggiunte oppure mancanti; se, infatti, le logiche proprie della causalità giuridica risultano per lo più impenetrabili dai non giuristi, viceversa un giudizio formulato in termini di bilanciamento dell'evidence finisce per il ricondurre la causalità ad un "linguaggio" facilmente comprensibile anche da parte dell'uomo della strada.

In definitiva, la "causalità ordinaria", per questo suo atteggiarsi, non ammonta unicamente ad una mera scelta di policy of law (peraltro, necessitata dalle evidenze addotte dalla storia giuridica e da quella di altre scienze o dalla filosofia circa l'inevitabilità di una "causalità incerta"), ma può trovare la stia essenza ed una sua valida giustificazione, decisamente affidabile, nei principi, anche di diritto positivo, che governano la prova nel diritto, sostanziale e processuale, civile: quando il giudice si trova a decidere sulla causalità deve convincersi, secondo "prudente apprezzamento" e, in buona sostanza, secondo equità [67] , che le prove a sostegno della tesi di una parte sopravanzano quelle a favore della tesi di controparte. In altri termini, il bilanciamento, effettuato attraverso le categorie concettuali del modello probabilistico, tra certezze ed incertezze, non è altro che la diretta espressione della gestione/valutazione delle prove secondo le regole probatorie tipiche dell'ordinamento, che ammettono ampiamente la prova presuntiva.

Se è possibile giustificare ed apprezzare in diritto la causalità modellata sul principio del "più probabile che non" facendo riferimento al principio della valutazione delle prove secondo "prudente apprezzamento" (art. 116 c.p.c.) ed alla prova presuntiva, vi è, però, da chiedersi quale fondamento si possa rinvenire per la "causalità da perdita di chance".

Il problema della giustificazione teorica di questo seconda "dimensione di analisi" del nesso di causa ruota intorno alla configurabilità della privazione di possibilità come evento dannoso meritevole di tutela risarcitoria, giacché, se la si ammette, non si vede quali altri ostacoli possano frapporsi, peraltro a fronte della "significativa (ed inquietante) rilevazione ermeneutica ... per cui nulla di definito emerge dalle fonti legislative, penali e civili, sul tema della causalità in sé considerata " [68], rilevazione che indica come nulla impedisca di accedere ad ulteriori doctrine del nesso di causa che siano conformi alle esigenze della responsabilità civile.

Sia qui sufficiente osservare come la figura della "perdita di chance" sia invero da tempo solida. A favore del suo inquadramento quale lesione di un bene autonomo e di un "diritto attuale" [69], e, dunque, quale situazione di danno suscettibile di risarcimento, si annovera, non solo in Italia e oltralpe [70] un incalcolabile numero di tomi e contributi. La nostra giurisprudenza, come pure dimostra la decisione in commento, è ormai sicuramente consolidata nell'ammettere come la chance, laddove effettiva e concreta, non costituisca una mera aspettativa, bensì un'entità tale da rilevare ai fini della determinazione dell'obbligazione risarcitoria [71]. Anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha accolto in alcune occasioni la categoria della perdita di chance quale modo di concepire il danno [72]. La ricerca comparatistica, poi, illustra come la doctrine favorevole al riconoscimento di una tutela risarcitoria nei casi di condotte produttive di un aumento del rischio del verificarsi di un determinato evento dannoso si sia fatta ampiamente strada, ancorché con tutte le diversità del caso, in vari ordinamenti più o meno vicini a noi geograficamente e culturalmente [73]. Anzi, proprio il diritto comparato denota come la perdita di chance abbia altresì avuto sviluppo in altre esperienze giuridiche non solo come voce di danno consequenziale, bensì anche come criterio del nesso di causa [74]. A ben osservare, infine, la nostra stessa Costituzione, al comma 2° dell'art. 3, concepisce la tutela del "pieno sviluppo della persona umana", ove in questo concetto pare sia lecito ricondurre la protezione delle possibilità che un individuo in concreto ha di progredire nel suo futuro.

In breve, pur non potendosi qui sviluppare una trattazione esaustiva sulla figura in questione, si può fondatamente affermare come, attesa la possibilità di configurare il sacrificio di possibilità come situazione di danno suscettibile di risarcimento, il modello della "causalità da perdita di chance" possa ben affermarsi, essendo peraltro lungi dal costituire un isolato salto nel vuoto da parte del nostro sistema risarcitorio. In altri termini, se la privazione di chance può essere concepita quale particolare evento pregiudizievole, non sì vede per quali ragioni non possa divenire fonte di risarcimento: dinanzi alla ravvisabilità di un inadempimento e di una situazione di danno (la perdita di possibilità di guarigione o di scongiurare la morte), il sistema della responsabilità civile può e deve sicuramente reagire.

Proprio a quest'ultimo riguardo vengono in rilievo i richiami effettuati dalla decisione in esame all'atteggiarsi della responsabilità civile quale sottosistema teso a realizzare un sistema efficiente di distribuzione dei rischi e di allocazione dei danni. Nello specifico, si può rilevare come la "causalità da perdita di chance" sia un modello sicuramente funzionale ad un'attuazione efficiente degli obiettivi della responsabilità civile: questa nuova chiave di lettura della causalità giuridica, infatti, permette, in presenza di una condotta riprovevole che, in quanto tale, legittima la pretesa di tutela, di scongiurare tanto situazioni di overcompensation (ad esempio,1'imputazione di un evento mortale pur a fronte di insoddisfacenti livelli di probabilità circa l'effettiva riconducibilità di tale evento alla condotta esaminata) quanto casi di negazione di qualsivoglia tutela risarcitoria [75]. Perlomeno nella maggior parte dei casi, la ricostruzione dell'evento dannoso in termini di perdita di chance conduce sì ad una limitazione del quantum debeatur della pretesa risarcitoria, ma a questa diminuzione corrisponde il conseguimento di un risultato - apprezzabile in termini di reazione dell'ordinamento ad una condotta giudicata negligente, imperita o imprudente - che altrimenti sarebbe precluso, sul piano causale, se si limitasse la "dimensione di analisi" del nesso di causa esclusivamente alla prima via.

Tutto ciò, però, non significa che la "causalità da perdita di chance", come da taluni pur prospettato, costituisca una versione "debole" del modello probabilistico, ossia assolva ad una sorta di funzione "consolatoria" della responsabilità civile con conseguente allargamento delle prospettive risarcitorie: questo modello, invero, non "regala" proprio nulla ai danneggiati, tenuti anzi a dimostrare che possedevano concrete e non trascurabili chance di guarigione. L'evento dannoso consistente nella perdita di chance richiede adeguato supporto probatorio ed implica pur sempre il convincimento del magistrato circa la sua riconducibilità alla condotta cui lo si imputa. Inoltre, non è per nulla escluso, come del resto si può evincere dalla sentenza di merito oggetto della pronuncia in commento, che nella prassi futura siffatta via possa condurre le Corti a risarcire solo parzialmente situazioni di danno che sino ad oggi, percorrendo il modello "all-or-nothing" (quindi, in applicazione del criterio probabilistico tradizionale), si sono risolte con risarcimenti integrali. Sussiste cioè il rischio concreto che in tutta una serie di casi la "causalità da perdita di chance" possa risolversi in un vero e proprio boomerang per i danneggiati, con una contrizione complessiva del quantum dei risarcimenti (in primis, nel campo della responsabilità medica), ciò soprattutto nel caso in cui la medicina legale - soprattutto quella più vicina alle assicurazioni ed ai medici - venisse a comprendere le potenzialità offerte dal nuovo modello in questa direzione e sviluppasse strumentalmente questo modello per degradare situazioni meritevoli di risarcimento integrale a casi di risarcimento parziale.

Sta di fatto che la seconda "dimensione di analisi" del nesso di causa è un'idea a sua volta ampiamente giustificabile secondo le logiche proprie della responsabilità civile.

Alla compatibilità fra "causalità da perdita di chance" e funzioni della responsabilità civile, nonché alla ragionevolezza ed alla sostanziale equità dei risultati cui può condurre questo modello se e in quanto applicato cum grano salis, si può qui aggiungere come per il profilo strettamente causale di questa "dimensione di analisi" può pure valere la stessa giustificazione dell'operatività della logica probabilistica: l'incertezza nella causalità è inevitabile, e, dunque, ciò che rileva è che la riconducibilità della perdita di chance alla condotta dell'asserito debitore sia l'esito del "prudente apprezzamento" del magistrato, valutazione delle prove che è pure espressione del principio della valutazione in via equitativa (manifesta nello stesso accertamento del pregiudizio in questione, su cui di fatto vengono traslate le incertezze registrabili sul piano causale).

Questo riferimento al profilo della prova induce, peraltro, ad operare un'ulteriore riflessione, anzi a raggiungere una conclusione circa la fondatezza della via della "causalità da perdita di chance". Infatti, poiché, come si è sopra illustrato, l'onere della prova del rapporto causale che grava sull'attore si gioca sulla dimostrazione dell'idoneità della condotta che si provi o - in campo contrattuale oppure ove la prova liberatoria si collochi comunque sul versante causale - si alleghi costituire un inadempimento o un illecito, si può logicamente sostenere come la prova della perdita di chance soddisfi la prova dell'astratta idoneità lesiva, con la conseguenza che spetta al debitore la dimostrazione di non avere cagionato l'evento dannoso. E' su queste contrapposte prove che in definitiva il giudicante sarà chiamato ad esprimersi o secondo la causalità "ordinaria", oppure, nel caso in cui non sia convinto secondo la logica del "più probabile che non" e l'azione contempli altresì il risarcimento delle chance perse, in base alla seconda "dimensione di analisi".

In breve, pertanto, a sua volta la "causalità da perdita di chance" può trovare fondamento nella disciplina della gestione delle prove e, in particolare, nell'atteggiarsi della distribuzione degli oneri probatori e dei meccanismi presuntivi operanti sul versante del nesso di causa: è, in altri termini, un modo - compatibile con le esigenze della responsabilità civile - di amministrare equitativamente le difficoltà probatorie di chi è comunque stato destinatario di una condotta produttiva della possibilità del suo danno [76].

Si segnala, peraltro, come si sia pure sostenuto in dottrina, sempre ragionando sul fronte della gestione delle incertezze nell'evidence, che l'imputazione dell'evento danno costituito dalla perdita di chance alla condotta colposa del soggetto evocato in giudizio possa pure giustificarsi sulla base della doctrine del danno evidenziale (la c.d. "evidential damage doctrine") [77]: "... anche se la condotta colposa del convenuto non ha effettivamente cagionato la lesione subita dall'attore, essa ha impedito all'attore di identificare la causa della lesione. Nello specifico, essa ha impedito all'attore sia di verificare e sia di scartare la possibilità che la sua lesione sia scaturita dalla condotta colpevole del convenuto. Questa privazione costituisce un danno evidenziale ", ed in quanto tale, poiché imputabile al debitore, non può che ricadere su quest'ultimo.

"Giudizio sulla relazione causale" e "giudizio sulla colpevolezza": separati in casa?

La Suprema Corte è intervenuta altresì sulla questione dei rapporti intercorrenti fra nesso di causa e "giudizio sulla colpevolezza" [78].

Questa problematica, come noto, pone gli interpreti dinanzi ad una lunga serie di quesiti, tra i quali vengono in rilievo soprattutto i seguenti:

a) il giudizio causale, perlomeno in una sua prima fase, si regge e deve sempre poggiarsi su un riscontro positivo espresso sul piano della c.d. "causalità materiale", verifica operata prescindendo da valutazioni di tipo giuridico?

b) l'indagine causale è condizionata da considerazioni relative ai doveri di precauzione gravanti sul soggetto imputato del danno, oppure è ermeticamente separata da analisi di questo tipo e, anzi, precede qualsiasi esame sul comportamento in astratto esigibile o in concreto tenuto dall'agente?

c) "regolarità causale" e "prevedibilità" sono concetti che si possono incrociare oppure che viaggiano su binari rigorosamente separati?

Il diritto comparato evidenzia come su queste questioni si contrappongano in seno a ciascun sistema risposte piuttosto variegate [79], peraltro con notevoli difficoltà per il comparatista a discernere sino a che punto le regole declamate dalle corti e le descrizioni fornite dagli altri interpreti nazionali trovino effettivamente riscontro nelle applicazioni concrete.

In particolare, se per un verso nei vari ordinamenti è dato rinvenire sul piano concettuale la distinzione tra due facce della causalità - quella "materiale"/"naturalistica" ("cause-in-fact", "Kausalität im nat³rlichen Sinne"), ove non troverebbero spazio considerazioni di stampo giuridico, e quella "giuridica" o "legale" ("legal cause","Kausalität im rechtlichen Sinne")-, per altro verso non è agevole cogliere indicazioni precise e stabili circa il concreto atteggiarsi dei rapporti intercorrenti tra questi due ambiti della causalità: anzi, a scorrere gli studi in materia viene in evidenza come la "prima tappa" della causalità (che, in realtà, dovrebbe essere mera osservazione dei fatti) si risolva in applicazioni, più o meno pasticciate, della doctrine della condicio sine qua non, che, stante le notorie insufficienze della stessa e la costante integrazione del ragionamento causale con altre teorie, denotano come si sia già in pieno campo giuridico [80].

Proprio a fronte di questo quadro non v'è allora da stupirsi delle perplessità avanzate dalla dottrina straniera [81] in ordine all'utilità e fondatezza della distinzione in questione, nello specifico essendosi fatto notare come la bipartizione tra le due causalità finisca con l'ingenerare l'impressione/illusione che il primo passo dell'indagine causale sia sempre quello della causalità materiale e che quest'ultima abbia implicazioni squisitamente tecniche, e cioè non sia in alcun modo espressione di scelte di "politica del diritto".

In definitiva, le analisi comparatistiche indicano come la nitidezza della bipartizione fra causalità materiale e causalità giuridica sia venuta ad annebbiarsi non di poco in decenni di sue applicazioni giurisprudenziali: una volta diramata la nebbia, non ci sarebbe da stupirsi se si giungesse a ritenere che nelle corti la causalità, quale "ragionamento probatorio", sia sempre "giuridica".

Orbene, il contesto italiano non sembra fare eccezione a questo quadro: anche in Italia, infatti, pare scorgersi una certa qual crisi del "mito" della causalità materiale; sempre di più, ancorché magari attraverso mezze ammissioni, si colgono segnali tali da indurre a pensare che pure il nostro modello si stia progressivamente avviando verso l'accettazione che la causalità, quando si trova ad albergare nel diritto e, soprattutto, nella vita giurisprudenziale della responsabilità civile, sia sempre "giuridica", cioè vero e proprio "ragionamento probatorio". Correttamente, in dottrina si è di recente sottolineata "l'inarrestabile "giuridicizzazione" del nesso di causalità materiale " [82].

Si tratta allora di comprendere a quale punto del fenomeno ora descritto sia pervenuto il modello italiano e come si atteggino oggi i rapporti fra causalità materiale e causalità giuridica, e cioè quando e quanto quest'ultima si faccia carico di problematiche che tradizionalmente, nella visione materialistica del nesso di causa, venivano collocate fuori dall'istituto in questione ed affidate ad altri tipi di giudizi (primo fra tutti, il giudizio sulla colpevolezza).

Ciò posto, in seno alla Sezione III della Suprema corte si continuano a registrare posizioni non coincidenti. In particolare, si stagliano, perlomeno a livello declamatorio, due distinti orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, da ultimo espresso dalla decisione in A. e altri c. Ministero della Salute (Cass. n. 11609/2005) [83], indubbiamente "vi è à un intreccio tra causalità e colpa ", ciò soprattutto con riferimento all'imputazione dei danni nelle ipotesi di condotte omissive. Infatti, in questi casi "la causalità nell'omissione non può essere di ordine strettamente materiale, poiché ex nihilo nihil fit ": dacché "il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta in quanto colposa e non la mera omissione materiale " e si tratta di operare un "giudizio ipotetico" ("l'azione ipotizzata e colposamente omessa avrebbe impedito l'evento? "), la verifica del nesso di causa finisce con l'intersecarsi con l'analisi dell'antigiuridicità della condotta, ciò traducendosi "spesso nell'affermazione dell'esigenza, per l'imputazione della responsabilità, che il danno sia una concretizzazione del rischio, che la norma di condotta violata tendeva a prevenire " ("è questa l'ipotesi per la quale si parla anche di mancanza di nesso causale di antigiuridicità "). In breve, in seno a questa prima impostazione, "benché à rimanga la distinzione tra accertamento della colpevolezza e quello della causalità ", l'indagine sul nesso di causa, perlomeno nel caso delle condotte omissive, non ha per oggetto semplicemente il collegamento fra l'evento lesivo ed una condotta naturalisticamente intesa, bensì il rapporto (giuridico) fra l'evento dannoso ed un comportamento connotato da antigiuridicità: "ne risulta à rafforzata l'esigenza di un'indagine sul nesso tra l'evento lesivo e la norma comportamentale o giuridica che avrebbe imposto al convenuto-danneggiante di attivarsi per evitarlo ", ove dunque la causalità, attraverso la teoria della signoria sul fatto e la doctrine del rischio oggettivamente prevenibile sviluppata dalla dottrina [84], diviene in tutto e per tutto "giuridica".

A questo primo orientamento pare contrapporsi l'altro filone, secondo cui "il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre, su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione di tipo sillogistico, tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora qualificabile come damnum iniuria datum) e l'evento dannoso ", con la conseguenza che "nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento si prescinde in prima istanza da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto oggettivata, da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto di previsione insito nella fattispecie della colpa (elemento qualificativo del momento soggettivo dell'illecito, elemento di analisi collocato in un momento successivo della ricostruzione della fattispecie) " [85] .

La sentenza qui in esame si colloca nel contesto di questo secondo indirizzo: in essa, infatti, i giudici di legittimità hanno tenuto nettamente disgiunti i due istituti, sia espungendo del tutto dalla tematica del nesso di causa i parametri di valutazione offerti dalle categorie della prevedibilità e dell'evitabilità, anche per quanto concerne la loro versione "oggettivata" [86], e sia accantonando la teoria della signoria sul fatto (non richiamata, come si è già indicato, tra i "principi-giuda").

Più specificatamente, per la decisione in commento la relazione tra causalità e colpa è assolutamente cristallina: "il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre - su di un piano strettamente oggettivo - tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora qualificabile come generatore di un damnum iniuria datum), e un evento dannoso ", con la conseguenza che "solo il positivo accertamento del nesso di causalità materiale à consente à la traslazione, logicamente e cronologicamente conseguente sul piano dimostrativo, verso la dimensione dell'illecito costituito dal suo elemento soggettivo, e cioè verso l'analisi della sussistenza o meno della colpa dell'agente (o, se del caso, del dolo), co-elemento di fattispecie la cui impredicabilità nella singola vicenda, pur in presenza di un nesso causale accertato, ben potrebbe escludere dell'illecito secondo criteri (storicamente "elastici") della prevedibilità ed evitabilità del fatto "). In definitiva, per la sentenza in esame "il nesso causale diviene la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto danno à, mentre tutto ciò che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale (o, se si vuole, di previsione e prevenzione à) andrà più propriamente ad iscriversi entro l'orbita soggettiva ", essendo del resto che un conto è ragionare in termini di probabilità e ben altra questione è assumere a parametro di giudizio la prevedibilità, giacché si tratta di "concetti afferenti dimensioni diverse di valutazione e di giudizio, se si consideri che anche ciò che è improbabile ben può essere prevedibile ".

Ciò illustrato, le sentenze ora richiamate, pur nelle loro diversità, denotano tutte come sia oggi riscontrabile nella giurisprudenza italiana un comune e ricorrente atteggiamento: si mantiene sì in vita l'idea che vi sia una causalità materiale indipendente da qualsivoglia considerazione giuridica, ma al contempo vengono aggiunti nuovi tasselli al processo di giuridificazione dell'istituto. Il primo orientamento sopra rilevato risulta sul punto del tutto esplicito, pur circoscrivendo siffatto processo alle fattispecie connotate dalla ravvisabilità di condotte omissive. La pronuncia in commento tanto afferma con vigore la supremazia della causalità materiale (il previo "positivo oggettivo accertamento" - così si legge - del "nesso di causalità materiale" costituirebbe un passaggio imprescindibile per poter accedere alla valutazione della colpa) quanto poi la abiura, come agevolmente si può trarre dallo stesso decalogo intelligentemente confezionato. In entrambi i casi, pertanto, la progressione è verso approdi sostanzialmente coincidenti.

Il perché vi sia questo richiamo da parte dei giudici di legittimità alla causalità materiale quale logica che governerebbe l'analisi del rapporto eziologico tra condotta ed evento dannoso, può trovare una spiegazione verosimile nell'attaccamento della giurisprudenza attuale - legame rinvenibile negli altri ordinamenti giuridici - al linguaggio più classico e risalente dell'istituto in questione. In altri termini, non sembra affatto improbabile che l'idea, secondo la quale la ricostruzione dell'evento dannoso sarebbe da concepirsi e da risolversi sempre in termini di causalità materiale e che questa dovrebbe sempre anteporsi a qualsiasi altra considerazione, accusi il peso della tradizione [87].

Sta comunque di fatto come ormai la giurisprudenza italiana, forse ancor più di altre esperienze (in primis, quella inglese ove gli inchini alla tradizione sono la regola), si stia muovendo verso un modello della causalità, che, pur evidentemente non prescindendo dalle inevitabili e necessarie considerazioni fattuali/naturalistiche, è governato dal diritto.

In particolare, tirando un po' le fila del discorso, pare potersi trarre il seguente quadro, perfettamente dimostrativo di quanto ormai siano da assumersi nelle debite proporzioni affermazioni, quali quelle espresse anche dalla pronuncia in esame, secondo le quali l'accertamento del nesso di causa sarebbe sempre del tutto impermeabile alla particolare estensione dei doveri di precauzione individuati a seconda delle tipologie di eventi dannosi e che il previo "positivo oggettivo accertamento" del "nesso di causalità materiale" sarebbe inevitabile per poter accedere a qualsivoglia considerazione di carattere giuridico:

1) come si è già rilevato, la giurisprudenza di legittimità, sul terreno della distribuzione dell'onere probatorio relativo al nesso di causa, ha da tempo sviluppato la regola secondo la quale, in capo all'attore, non è richiesta la prova positiva del nesso di causa (materialmente inteso), bensì la dimostrazione della astratta idoneità lesiva della condotta postulata come fonte del danno lamentato (o, secondo le stesse parole della decisione in esame, dell'"astratta riconducibilità delle conseguenze dannose à in capo all'agente"), peraltro ciò non solo esclusivamente sul versante della causalità omissiva, ma anche con riferimento a varie ipotesi di causalità attiva [88]; su questo versante tende evidentemente ad operare un'analisi imperniata sulla nozione della "regolarità", apparentemente scevra da valutazioni di tipo giuridico, ma, a ben osservare, il riconoscere come "non regolare" un determinato sviluppo di eventi significa dire che il convenuto non aveva alcun dovere di previsione e di prevenzione rispetto alla possibilità che quella data serie di eventi in fatto si producesse (la stessa decisione in esame, tra l'altro, ha inquadrato la questione dell'astratta idoneità in termini di "rispondenza, da parte dell'autore del fatto illecito, delle conseguenze che "normalmente" discendono dal suo atto à "); si aggiunga inoltre come la stessa pronuncia in commento lascia intravedere come non sempre il criterio della regolarità causale permetta di cogliere nel segno, ben potendosi prospettare conseguenze "improbabili" (ossia, non statisticamente "normali" o "tipiche" di una determinata attività), ma comunque evitabili dal soggetto cui si imputa il danno, cosicché si può affermare come già solo in punto di accertamento dell'idoneità lesiva, nel senso fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, può darsi il caso in cui l'analisi dei doveri di precauzione e dei rischi comunque riconducibili entro la sfera d'attività del convenuto possa e debba a pieno titolo intervenire in supporto al giudizio causale onde scongiurare conclusioni errate [89];

2) sempre in seno alla giurisprudenza della Cassazione è altresì ormai evidente come il giudizio casuale tenda vieppiù a giocarsi sull'interazione fra il quadro probatorio-presuntivo fornito dal danneggiato e le prove addotte dal convenuto circa la sussistenza di un fatto interruttivo, la cui configurabilità non prescinde dalla congiunta disamina di quale sia il novero di eventi, naturali o umani, che l'agente aveva il dovere di prevenire o che ricadono nella sfera di rischio su questo gravante: riconoscere efficacia liberatoria al fatto del terzo oppure alla forza della natura significa in tutta evidenza ammettere che il convenuto non aveva alcun dovere di prevenzione nei confronti del loro operare;

3) ed ancora, la Suprema corte, ogniqualvolta il modello di imputazione imponga al convenuto di dimostrare la causa non imputabile o il caso fortuito e quest'ultimo non raggiunga siffatta prova, ammette che si possa pervenire alla declaratoria di responsabilità anche nel caso in cui la causa rimanga ignota (ossia nulla si sappia sul versante della causalità materiale).

Proprio a fronte di queste indicazioni - che denotano la stretta dipendenza dell'accertamento causale da considerazioni tipicamente giuridiche - ed alla luce di quanto si è già puntualizzato circa l'atteggiarsi della causalità "ordinaria" e di quella da perdita di chance quali "ragionamenti probatori" (dunque, vincolati alla disciplina, sostanziale e processuale, delle prove), sembra allora potersi ricavare quanto segue:

a) il giudizio circa la ravvisabilità dell'astratta idoneità lesiva della condotta imputata al convenuto è già questione governata dalla causalità giuridica, e cioè essa non si risolve nella sola prospettiva della causalità materiale; del resto, a conferma di ciò, si osservi come la formulazione di questo giudizio presuppone che a monte si siano effettuate delle scelte sicuramente di carattere giuridico, ossia si siano individuate le soglie di probabilità che permettono di risolvere positivamente o negativamente siffatta verifica, oppure si sia ammessa come percorribile la prospettiva della causalità da perdita di chance (che peraltro ha senso di essere percorsa solo laddove la condotta si sia rilevata essere antigiuridica);

b) è corretto affermare che, ai fini della valutazione dell'astratta idoneità lesiva, si dovrebbe generalmente prescindere da qualsivoglia considerazione circa la prevedibilità od evitabilità dell'evento dannoso, ma, una volta ritenuta la condotta astrattamente idonea alla produzione dell'evento dannoso lamentato dal danneggiato (o in termini di lesione della salute oppure di perdita di chance), il giudizio causale, che il magistrato è chiamato ad esprimere, non si è ancora completato, dovendosi ancora esaminare, sulla base delle prove offerte dal convenuto, il versante dell'eventuale sussistenza di fatti interruttivi, ove la causalità è di nuovo lungi dal poter essere inquadrata come (solo) materiale; anzi, su quest'ultimo versante intervengono senza dubbio considerazioni relative all'estensione dei doveri comportamentali di precauzione gravanti sul convenuto.

Se questo è il quadro, allora pare fondato ritenere che i giudici di legittimità, laddove sostengono che la causalità materiale debba sempre trovare un riscontro positivo prima del passaggio alla disamina dei profili più propriamente giuridici ed affermano che le questioni circa l'estensione dei doveri di precauzione o l'evitabilità dell'evento dannoso si collocano fuori dal nesso di causa, stiano fornendo una descrizione della causalità non del tutto fedele al modello operazionale che gli stessi hanno sapientemente delineato: invero, il giudizio causale, nel suo concreto atteggiarsi, mostra oggi di essere giuridicamente concepito e di snodarsi in seno alla causalità giuridica.

In definitiva, risulta pertanto da sfatare definitivamente il "mito" della supremazia della "causalità materiale", e soprattutto che questa debba sempre trovare riscontro positivo prima di accedere ad ogni altra considerazione "giuridica".

Tuttavia, affermare che la causalità è a tutti gli effetti "giuridica" non significa de plano che si debba spalancare la porta a questioni tipiche della valutazione della condotta antigiuridica tenuta dal soggetto imputato del danno, né ciò aggiunge molto circa l'atteggiarsi dei rapporti intercorrenti tra "giudizio sulla relazione causale" e "giudizio sulla colpevolezza" e sul dilemma se il primo giudizio debba sempre precedere il secondo.

Indubbiamente è condivisibile quanto affermato dalla pronuncia in esame: che l'evento dannoso fosse prevedibile od evitabile dal convenuto è questione che non riguarda in alcun modo il giudizio sul nesso di causa e che va tenuta debitamente separata dal contesto della causalità giuridica, riguardando invero il diverso profilo della valutazione della condotta. Del resto, se il soggetto imputato del danno abbia violato o meno nel caso concreto i doveri di precauzione su di lui gravanti può assumere un peso più o meno determinante a seconda del regime di responsabilità applicabile, ove un conto è l'imputabilità degli eventi di danno in seno alla responsabilità contrattuale od ai regimi speciali di responsabilità extracontrattuale, ben altra questione è addebitare la produzione dei danni in applicazione dello schema di cui all'art. 2043 c.c., ove l'indagine sulla colpa, secondo la stessa scansione di questa clausola, dovrebbe precedere qualsiasi altra considerazione (se non c'è colpa, non vi è responsabilità, ed è pertanto inutile ragionare sul piano della relazione causale).

D'altro canto va però rilevato come i fattori della prevedibilità e dell'evitabilità, nella loro versione necessariamente "oggettivata" (cioè in termini di estensione dei doveri di precauzione), possano rilevare sul versante causale, ogniqualvolta la prova liberatoria punti sulla dimostrazione non già dell'assenza di colpa, bensì di un fattore interruttivo - qualificabile, a seconda dei casi, come "causa non imputabile" o come "caso fortuito" - del collegamento causale tra, da un lato, una condotta o una prestazione o un'attività o una determinata cosa e, dall'altro lato, l'evento dannoso. In questi casi i concetti della prevedibilità e dell'evitabilità, oggettivamente intesi (altrimenti, se concepiti in senso soggettivo, si ragionerebbe in termini di colpa), non sono allora estranei al giudizio causale.

Già su quest'ultimo versante, ossia sul piano oggettivo della prevedibilità, emerge allora come il riferimento ai doveri di prevenzione gravanti sul soggetto evocato in giudizio ed alla sfera di rischio a quest'ultimo ascrivibile possa svolgere un ruolo importante, se non risolutivo, in seno alla "causalità giuridica".

A ben osservare, però, è lo stesso ragionamento probabilistico, laddove operato ai fini dell'applicazione di una norma di responsabilità, ad esigere che vi sia un'adeguata considerazione dell'atteggiarsi del rapporto intercorso tra le parti: infatti, stante peraltro la "natura ontologicamente relazionale della causalità giuridica" [90], ha giuridicamente senso ammettere che nella formulazione di un giudizio di responsabilità civile si possa accedere ad una condanna, nonostante vi siano delle incertezze sul fronte della causalità, solo laddove a monte sia ritenuta ricorrere una situazione antigiuridica.

Al riguardo sol si osservi come la responsabilità civile, in ragione della sua funzione preventiva, dovrebbe estendersi unicamente a quelle conseguenze che l'ordinamento mira a scongiurare tramite l'imposizione di doveri di precauzione o, comunque, particolari modalità di allocazione dei rischi.

Questa prospettiva, ancorché qui solo succintamente abbozzata, conduce allora a concludere come il vaglio sulla relazione causale non possa prescindere dalla considerazione dell'atteggiarsi, in termini di doveri di prevenzione, del rapporto giuridico intercorso tra le parti, fermo restando come questa relazione vari sensibilmente a seconda delle fattispecie oggetto del giudizio di responsabilità.

La giurisprudenza straniera, peraltro, è addivenuta a queste stesse constatazioni. Ad esempio, la House of Lords in Kuwait Airways Corporation v Iraqi Airways Co (Nos 4 and 5) [91] ha affermato a chiare lettere che "non vi è un unico modello causale per la responsabilità civile ", ma "si hanno vari criteri causali a seconda del fondamento e degli obiettivi della responsabilità " e, dunque, "non è possibile separare le questioni inerenti l'estensione della responsabilità da quelle relative alla causalità ": queste "sono inestricabilmente connesse ", tant'è che "una persona non è mai semplicemente responsabile; una persona è responsabile per qualcosa e le regole, che determinano per che cosa una persona è responsabile, sono tanto parte del diritto sostanziale quanto le regole che determinano quali fatti danno luogo a responsabilità ".

What's next? (in attesa di applicazioni da parte della Giurisprudenza di merito)

Il decalogo tracciato dalla Cassazione nella sentenza in esame consegna agli interpreti una serie di indicazioni decisamente importanti e chiare, ma che andranno debitamente comprese, sperimentate ed affinate da parte delle corti di merito, essendo peraltro del tutto evidente come, tolte alcune eccezioni, la Suprema Corte abbia operato il passaggio dai vecchi modelli della causalità a quelli nuovi in ciò anticipando ampiamente i singoli fori.

In primo luogo, si tratterà di capire come le corti di merito sostanzieranno le categorie concettuali prospettate dai giudici di legittimità e come interpreteranno, alla luce del decalogo, le indicazioni provenienti dai consulenti tecnici, generalmente lungi dall'avere una qualche dimestichezza con il "nuovo" "linguaggio" della causalità ricodificato dalla Suprema Corte.

In secondo luogo, sarà da seguire con attenzione l'elaborazione dei criteri risarcitori in seno alle due "dimensioni di analisi", ciò soprattutto sul versante del risarcimento dei pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, ricondotti a perdite di chance, rilevandosi qui come, nel contesto di siffatta alternativa fra i due percorsi della "nuova" causalità civile, già si stia delineando, come del resto dimostrato dalla stessa sentenza del merito vagliata dalla Suprema corte nel precedente in commento, non tanto il rischio di casi di overcompensation quanto, viceversa, la prospettiva di fenomeni di undercompensation.

 


Note:


1) Del Cons. Giacomo Travaglino si richiama altresì, quale già significativo precedente sul tema della causalità civile, la decisione Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, in questa Rivista, 2006, 2, 257, con nota di F. Rolfi.

2) Sul tema del nesso di causa in responsabilità civile cfr. fra i numerosissimi contributi italiani dell'ultima decade: R. Pucella, La causalità "incerta ", Torino, 2007; D. Nicotra e B. Tassone, Autonomia e diversità di modelli nell'accertamento del nesso causale, in Danno e resp., 2007, 325 e ss.; G. Facci, Il nesso di causalità nella responsabilità medica, in AA.VV., La responsabilità sanitaria, a cura di F. Peccenini, Torino-Bologna, 2007, 81 e ss.; R. Bordon, Il nesso di causalità, Torino, 2006; L. Nocco, Causalità: dalla probabilità logica (nuovamente) alla probabilità statistica, la Cassazione civile fa retromarcia, in Danno e responsabilità, 2006, n. 12, 1239 e ss.; F. Rolfi, Il nesso di causalità nell'illecito civile: la Cassazione alla ricerca di un modello unitario, in questa Rivista, 2006, 2, 263-273; M. Bona, (Itinerari della giurisprudenza) "Nesso di causa ", in Danno e resp., 2006, 395-403; AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, a cura di M. Bona, Milano, 2005; M. Capecchi, Il nesso di causalità, II ed., Padova, 2005; M. Feola, Il danno da perdita di chances di sopravvivenza è accolto in Cassazione, in Danno e resp., 2005, n. 1, 49-56; G. Iadecola, Diversità di approccio tra Cassazione civile e Cassazione penale in tema di responsabilità medica, in Dir. pen. e proc., 2005, 113 e ss.; F. Stella, A proposito di talune sentenze civili in tema di causalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 1159 e ss.; U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, Padova, 2004, 209-245; M. Feola, Il danno da perdita di chances, Napoli, 2004; M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario del Codice civile Scialoja-Branca, Roma, 2004, 22 e ss.; G. Cipriani, IL nesso di causalità nella responsabilità medica, in Resp. civ. prev., 2003, 1104-1123; M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile del medico e del datore di lavoro a confronto con il decalogo delle Sezioni Unite Penali sulla causalità omissiva, in Riv. dir. civ., 2003, II, 361-416; G. Facci, Il nesso di causalità e la funzione della responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 2002, 144-145; AA.VV., I fatti illeciti. III. Causalità e danno, a cura di G. Visintini, Padova, 1999; G. Alpa, M. Bessone, V. Zeno-Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato Rescigno, 14, IV, Torino, 1999, 63 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 316 ss.; G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, II ed., Padova, 1999, 589 ss.; M. Capecchi, Il nesso di causalità materiale e il concorso di cause, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1999, 301 ss.; P. Ziviz, Il risarcimento per la perdita di chances di sopravvivenza, in Resp. civ. prev., 705-711; A. Veneziano e E. Giancotti, La causalità nella responsabilità extracontrattuale, in La responsabilità civile, a cura di P. Cendon, Torino, 1998, Vol. IX, 1 ss.; C. Salvi, La responsabilità civile, Milano, 1998, 169 e ss.; E. Giancotti, La causalità nelle responsabilità speciali, in La responsabilità civile, a cura di P. Cendon, Torino, 1998, Vol. IX, 63 ss.; P.G. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 144 e ss.; V. Carbone, Il rapporto di causalità, in G. Alpa e M. Bessone, La responsabilità civile - Aggiornamento 1988-1996, Torino, 1997, 51-96. 

3) Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002 - 11 settembre 2002, n. 30328, Pres. Marvulli - Rel. Canzio - P.M. Iadecola (conf.), in questa Rivista, 2003, 3, 348, con nota di B. Di Vito; in Danno e resp., 2003, 195, con nota di S. Cacace

4) Sulla causalità come problema di allocazione del rischio di errori da parte delle decisioni giudiziarie cfr. da ultimo A. Porat & A. Stein, Tort liability under uncertainty, Oxford, 2001, 16 e ss.

5) Al riguardo si rinvia alle pagine introduttive della recente opera di R. Pucella, La causalità "incerta ", cit., 1-22. 

6) Così A. Porat & A. Stein, Tort liability under uncertainty, cit., 16. 

7) Cfr., ancora da ultimo, C. van Dam, European Tort Law, Oxford, 2006, 266 e ss.

8) Cfr., per una panoramica di tale doctrine, cfr. M. Capecchi, Il nesso di causalità, cit., 249-250 (nota n. 25).

9) Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, in Danno e resp., 2005, 45, con note di M. Feola e L. Nocco; in Foro it., 2004, I, 1403; in I Contratti, 2004, 1091; in questa Rivista, 2004, 8, 1018, con nota di M. Viti; in La responsabilità civile, 2004, n. 3, 204, con nota di R. Partisani; in Riv. it. med. legale, 2004, 789, con note di G. Norelli, A. Fiori, F. Cascini e F. Ausania; in Cass. Pen., 2004, 2537, con nota di E. D'Alessandro. 

10) Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, cit.

11) Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, cit.

12) Cfr., ad esempio, Corte di Giustizia CE, sez. III, 3 luglio 2006, n. C - 295, in Foro amm. CDS, 2006, 7-8, 2096.

13) Cfr., ad esempio, ex plurimis H.L.A. Hart & T. Honoré, Causation in the law, IIed., Oxford, 1985, 88 e ss. 

14) Cfr., quanto si è avuto occasione di osservare in P.G. Monateri e M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile per danno alla persona, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, a cura di M. Bona, Milano, 2005, 2-6.

15) Così McGhee v. National Coal Board [1972] 3 All ER 1008, [1973] 1 WLR 1. 

16) In questi ultimi anni una cospicua parte delle corti nostrane e della dottrina ha sicuramente sfatato una volta per tutte, sia sul versante penale e sia su quello civile, uno dei tanti "miti" dell'istituto del nesso di causa, cioè che la causalità giuridica sia risolta, perlomeno nei suoi tratti essenziali, dalle fonti legislative. A questo riguardo espressamente la Cassazione (Cass., Sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, in questa Rivista, 2006, 2, 257, con nota di F. Rolfi) ha tenuto a evidenziare la "significativa (ed inquietante) rilevazione ermeneutica à per cui nulla di definito emerge dalle fonti legislative, penali e civili, sul tema della causalità in sé considerata ". In particolare, numerosi interventi giurisprudenziali e dottrinali di questi ultimi tempi hanno confermato che: 1) "l'art. 40 c.p. si limita a fissare l'equivalenza tra il non fare ed il cagionare quando sussista un obbligo giuridico di impedire " (così P.G. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 145); 2) "l'art. 41 fissa a sua volta dei principi giuridici attinenti non alla determinazione del nesso, ma alla sua interruzione " (P.G. Monateri, La responsabilità civile, cit., 145); 3) il codice civile "non organizza una disciplina articolata del nesso causale", ma "presuppone àche l'interprete conosca la nozione di causalità in cui usa i termini "cagiona", "cagionato", "compiuto", "commesso", "arrecato", "prodotto", "derivato", riferiti al danno (artt. 2043, 2044, 2045, 2046, 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053) " (G. Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 317). 

17) Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002 - 11 settembre 2002, n. 30328, cit.

18) Questo orientamento, come noto, nel passato ebbe a condurre la Cassazione penale in Silvestri e Leone, precedente ampiamente richiamato anche in sede di contenzioso civilistico, a ritenere sussistente il nesso "non già con certezza o elevate probabilità, ma solo con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento ", Silvestri, Cass. pen., sez. IV, 12 luglio 1991, n. 371, in Resp. civ. prev., 1992, 361, con nota di G. Giannini, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 358, con nota di V. Zeno-Zencovich.

19) "L'insufficiente, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva à rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio ".

20) Cfr. quanto si ebbe ad osservare all'indomani della decisione delle Sezioni Unite penali in M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile del medico e del datore di lavoro a confronto con il decalogo delle Sezioni Unite Penali sulla causalità omissiva, in Riv. dir. civ., 2003, II, 384 e ss.

21) Sul punto specifico cfr. ex plurimis: D. Nicotra e B. Tassone, Autonomia e diversità di modelli nell'accertamento del nesso causale, in Danno e resp., 2007, n. 3, 325 e ss.; R. Pucella, La causalità "incerta ", cit., 163; F. Rolfi, Il nesso di causalità nell'illecito civile: la Cassazione alla ricerca di un modello unitario, in questa Rivista, 2006, 2, 271; G. Iadecola, Diversità di approccio tra Cassazione civile e Cassazione penale in tema di responsabilità medica, in Dir. pen. e proc., 2005, 113 e ss.; M. Capecchi, Il nesso di causalità, II ed., cit., 156 e ss.; M. Feola, Il danno da perdita di chance, cit., 286 e ss. ("la logica all-or-nothing, che è propria del diritto penale, non riguarda il diritto civile"). Sulla necessità di tenere debitamente distinti nesso di causa civile e causalità penale cfr. inoltre ex plurimis: P.G. Monateri e M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile per danno alla persona, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, Milano, 2005, 1 e ss. Sia altresì concesso rinviare amplius a M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile a confronto con il decalogo delle Sezioni Unite penali in Franzese: vecchi e nuovi confini tra causalità civile e causalità penale alla luce della sentenza Cass. Civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400 sul danno da perdita di chance, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, Milano, 2005, 120 e ss.

22) Cfr. M. Rossetti, Allargati ancora in confini della responsabilità del medico. Ma è contrasto tra le sezioni civili e penali della Suprema corte, in Dir. e giustizia, 2004, n. 14, 35 e ss.

23) F. Stella, La vitalità del modello della sussunzione sotto leggi - A confronto il pensiero di Wright e di Mackie, in I saperi del Giudice - La causalità e il ragionevole dubbio, Milano, 2004, 23.

24) Cfr., in particolare, A. Veneziano e E. Giancotti, La causalità nella responsabilità extracontrattuale, cit., 3, i quali già posero in rilievo la "autonomia di funzione del giudizio sull'esistenza di un rapporto causale nell'accertamento della responsabilità extracontrattuale, rispetto alla funzione svolta dallo stesso giudizio in diritto penale "; V. Carbone, Il rapporto di causalità, in La responsabilità civile - Aggiornamento 1988-1996, a cura di G. Alpa e M. Bessone, Torino 1997, 51 e ss., 74 ss.; V. Zeno-Zencovich, Questioni in tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 362 e ss.

25) Cass., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, in Danno e resp., 2006, 3, 269, con nota di M. Capecchi, in Foro it., 2006, 3, 1, 793, in Guida al diritto, 2005, 26, 45, in Danno e resp., 2005, 8-9, 908. 

26) In questo stesso solco cfr. Cass., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11755, in Danno e resp., 2006, 12, 1238: "i criteri valutativi del nesso di causa adottati dalla nota, recente sentenza delle sezioni unite penali à [esplorano] un diverso territorio del diritto statuale, e cioè quello punitivo ".

27) Trib. Venezia, sez. III, 10 maggio 2004, in Danno e responsabilità, 2005, 426, con nota di F. Agnino.

28) Cfr. altresì, sempre fra la giurisprudenza di merito, Trib. Palmi, 11 febbraio 2006, n. 86, in Danno e resp., 2007, n. 3, 2007.

29) Cfr., ad esempio, Cass., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, cit.

30) Tale profilo è stato debitamente posto in luce, con specifico riferimento alla responsabilità medica, da G. Iadecola, Diversità di approccio tra Cassazione civile e Cassazione penale in tema di responsabilità medica, cit., 116. 

31) Ad esempio, la Cassazione civile, ivi compresa la stessa pronuncia in esame, ha ritenuto di condividere in pieno l'idea - centrale nel leading case delle Sezioni unite penali - della "probabilità logica" quale criterio probabilistico secondo cui, diversamente dalla "probabilità scientifica", non è consentito dedurre automaticamente dai coefficienti di probabilità espressi dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'esistenza del nesso causale.

32) Si noti che la decisione in esame ha dedicato diversi suoi passaggi alla differenziazione fra "da un lato à il nesso, che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una responsabilità "strutturale" (Haftungsbegrùndende Kausalitàt) " e, dall'altro, "il nesso che, collegando l'evento al danno, consente l'individuazione delle singole conseguenze dannose, con la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già accertata) responsabilità risarcitoria (Haftungsausfùllende Kausalitàt) ".

33) Per delle recenti sintesi delle varie teorie si rinvia, oltre che al quadro fornito in P.G. Monateri e M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile per danno alla persona, cit., 8 e ss., a R. Bordon, Il nesso di causalità, cit., 39 e ss.; M. Capecchi, Il nesso di causalità, cit., 58 e ss.

34) A queste conclusioni, invero, la Suprema corte, sempre con relatore il Cons.Travaglino, era già pervenuta in Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, cit. 

35) Non vi è di certo qui lo spazio per svolgere particolari approfondimenti, ma, come insegna la stessa storia della causalità (cfr., ad esempio, H.L.A. Hart & T. Honoré, Causation in the law, cit., 465), non andrebbe affatto data per scontata la perfetta equivalenza fra la teoria della regolarità causale e la doctrine della causalità adeguata.

36) In common law ciò è chiaro da lustri. Valga qui ricordare che già nel lontano 1774 Lord Mansfield, in Blatch v. Archer (1774) 1 Cowp 63, ER 969, dava come assodata, con riferimento al nesso di causa, la regola per cui l'onere probatorio non necessariamente dovesse gravare solo sull'attore, ma anzi vi fosse una sostanziale compartecipazione delle parti alla prova, con la corte investita del compito finale di raffrontare gli elementi di prova acquisiti nel procedimento con le rispettive possibilità probatorie in concreto ravvisabili in capo ad attore e convenuto: "It is certainly a maxim that all evidence is to be weighed according to the proof which it was in the power of one side to have produced, and in the power of the other to have contradicted ".

37) Su cui cfr. per ogni approfondimento U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 230 e ss. 

38) Così P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, 157.

39) Questa è sicuramente la regola nella responsabilità medica: cfr. ex multis Cass., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 583, in Zacchia, 2005, 382. Cfr., altresì, M. Rossetti, Errore, complicanza e fatalità: gli incerti confini della responsabilità civile in ostetricia e ginecologia, in Danno e resp., 2001, n. 1, 13: "il nesso causale tra condotta del medico e danno si presume, quando il sanitario abbia tenuto una condotta astrattamente idonea a causare il danno, anche in assenza di certezza circa l'effettiva eziogenesi dell'evento dannoso ". Questa regola trova, però, ampie conferme in tutta una serie disparata di campi che tendono a giocarsi sul versante della causalità. Si pensi, ad esempio, al caso della responsabilità per i danni da cose in custodia e, nello specifico alla responsabilità per i danni da anomalie stradali, ove le controversie vedono contrapposti l'attore, al quale è richiesto di dimostrare la presenza di un fattore dotato di "idoneità al nocumento" (cfr., da ultimo, Cass., sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651, in Foro it., 2006, 10, 1, 2801, in Danno e resp., 2006, 12, 1220, nota di P. Laghezza), ed il convenuto, chiamato a provare un fattore interruttivo non riconducibile allo stato della res (sia permesso rinviare al riguardo a M. Bona, La responsabilità dei custodi delle strade pubbliche, Milano, 2007, 144 e ss.). Si osservi, inoltre, come il concetto dell'idoneità lesiva non trovi conferme unicamente nei regimi di responsabilità connotati da inversioni dell'onere probatorio, ma anche in seno all'art. 2043 c.c.: cfr., ad esempio, Cass., sez. I, 22 novembre 2000, n. 15066, in Mass. Giur. it., 2000.

40) La sentenza è riportata in Danno e resp., 2005, 23, con nota di R. De Matteis, in questa Rivista, 2005, 1, 33, con nota di A. di Majo.

41)  "Ciò che va specificato à è che non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi dell'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'esistenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva o in ogni caso colpevole del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica ". La Cassazione civile è poi tornata a confermare questo approdo in tutta una serie di sentenze tra le quali si evidenziano la già ricordata Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, cit., e, ancora da ultimo, Cass., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2305, in questa Rivista, 2007, 5, 641 con nota di S. Bastianon. Si segnala qui che pure la giurisprudenza penale è intervenuta a rimarcare questo importante profilo della "probabilità logica" fissato in Franzese. Il riferimento è, in particolare, a Cass. pen., sez. IV, 2 febbraio 2007, n. 4177, in www.altalex.it. 

42) In questo senso: G. Facci, Il nesso di causalità nella responsabilità medica, cit., 115; M. Feola, Il danno da perdita di chances, cit., 278.

43) Sia concesso qui rinviare a M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile a confronto con il decalogo delle Sezioni Unite penali in Franzese: vecchi e nuovi confini tra causalità civile e causalità penale alla luce della sentenza Cass. civ., se. III, 4 marzo 2004, n. 4400 sul danno da perdita di chance, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, Milano, 2005, 127-128.

44) "Sotto il primo profilo nell'ipotesi del danno da perdita di chances la soglia del giudizio sul nesso di causa scende, in termini probatori, dal criterio della probabilità a quello delle possibilità, sebbene - ciò va debitamente precisato - questo diverso atteggiarsi della prova non significa in alcun modo, come da altri opinato, liberare il danneggiato da qualsivoglia onere probatorio, giacché non solo il pregiudizio in questione non configura "una mera aspettativa di fatto", ma, altresì come del resto ogni danno, necessita di essere dimostrato nella sua effettiva sussistenza ed estensione (dunque, facendo ricorso a evidenze scientifiche, statistiche e, pertanto, oggettive) e à ciò si riflette sulla stessa prova del nesso di causa (attesa la collocazione di quest'ultimo all'interno della figura del danno da perdita di chance). Sul fronte del risultato finale la prima domanda conduce al risarcimento integrale del danno alla persona, mentre nel contesto della seconda domanda ad essere risarcito non è il danno alla persona, bensì un danno concettualmente autonomo à, il cui quantum evidentemente non potrà che essere proporzionato al grado di aumento del rischio ovvero alle possibilità di conseguire un risultato finale diverso da quello in concreto sperimentato dalla vittima ", M. Bona, Il nesso di causa nella responsabilità civile a confronto con il decalogo delle Sezioni Unite penali in Franzese: vecchi e nuovi confini tra causalità civile e causalità penale alla luce della sentenza Cass. civ., se. III, 4 marzo 2004, n. 4400 sul danno da perdita di chance, cit., 127-128.

45) Non necessariamente, come si trae dalla costante giurisprudenza della Suprema corte in tema di art. 112 c.p.c. e di mutatio libelli, deve esservi da parte del danneggiato la formulazione della specifica domanda fondata sulla figura della perdita di chance: ciò che rileva è che l'attore non abbia circoscritto la sua domanda esclusivamente alla prima via e che al contempo siano stati prospettati da questo, cioè dedotti, gli elementi di fatto idonei a sostanziare la via alternativa.

46) Così M. Feola, Il danno da perdita di chances, cit., 278.

47) Ricordano che "probabilità" e "possibilità" "non sono la stessa cosa" A. Fiori, F. Cascini, F. Ausania, La Cassazione civile accentua le differenze tra responsabilità medica penale e prospetta la risarcibilità autonoma della perdita di chance da colpevole inadempimento professionale, in Riv. it. med. leg., 2004, 809.

48) Su questo particolare pregiudizio si rinvia da ultimo alla monografia di D. Chindemi, Il danno da perdita di chance, Milano, 2007.

49) In questa direzione cfr. G. Facci, Il nesso di causalità nella responsabilità medica, cit., 116.

50) Si osservi come in seno a questo primo modello, per potersi dare luogo alla tutela risarcitoria del danneggiato, il bilanciamento in questione, secondo la logica del "più probabile che non", deve sempre condurre ad esprimere una misura probabilistica superiore al 51% (cui corrisponde, però, sempre un risarcimento al 100%), ove però è ormai chiaro come questa misura sia da intendersi espressione di una probabilità processuale e non già necessariamente scientifica e statistica (quest'ultima potrebbe anche essere inferiore).

51) Si legge, ad esempio, in E. Ronchi, Nesso causale e danno biologico nel colpevole ritardo diagnostico in oncologia: aspetti medico-legali, in Danno e resp. 2007, 245, che "la valutazione del nesso causale (che determina risarcimento integrale o "consolatorio" o nulla) ruota attorno alla stima di percentuali sottratte ". Al contrario - lo si ribadisce - a determinare in diritto la "dimensione di analisi" del nesso di causa non sono diverse soglie di percentuali di "probabilità" tratte da una stessa scala, bensì il particolare evento dannoso che si pone ad oggetto dell'indagine causale Peraltro, si potrebbe ben ipotizzare il caso in cui non sia in alcun modo possibile affermare, secondo il criterio del "più probabile che non", che l'evento menomazione della salute si sarebbe o meno verificato, ma sia possibile dire che il danneggiato ha perso, per effetto dell'inadempimento, chance calcolate in percentuali ben superiori alla soglia del 50%, di guarire, con un risarcimento, dunque, lungi dall'essere meramente "consolatorio". 

52) Sul punto sia concesso rinviare a M. Bona, Causalità materiale, causalità scientifica e causalità giuridica a confronto: quale ruolo ai consulenti tecnici nell'accertamento del nesso di causa?, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, Milano, 2005, 147 e ss.

53) Non si condivide, pertanto, la soluzione individuata dai giudici del merito intervenuti nella controversia oggetto della pronuncia della Cassazione qui in esame.

54) Si pensi, ad esempio, al caso del soggetto che, avendo realizzato di avere subito una perdita di chance di salute, viene a sviluppare una patologia psichica di estremo rilievo. Per altre ipotesi in cui non dovrebbe darsi luogo ad una matematica riduzione del quantum dei danni risarcibili in considerazione della misura della perdita di chance cfr. M. Bona e R. Ambrosio, Il nesso di causa e la perdita di chance nella responsabilità medica per omissioni ed errori nella diagnosi di malformazioni fetali e di patologie tumorali, in AA.VV., Il nesso di causa nel danno alla persona, a cura di M. Bona, Milano, 2005, 226 e ss. 

55) Cfr. in questo stesso senso G. Facci, Il nesso di causalità nella responsabilità medica, cit., 116.

56) In una direzione simile a quella ora prospettata cfr. A. Porat & A. Stein, Tort liability under uncertainty, cit., 196.

57) In questo senso cfr., da ultimo, Cass., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2305, cit., che, nell'affermare la risarcibilità del danno da perdita di chance di "ottenere migliori condizioni di polizza" prodotto dalle intese anticoncorrenziali poste in essere dalle assicurazioni, ha ritenuto la piena operatività del criterio della liquidazione in via equitativa: "sicuramente il giudice à può procedere alla liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 del codice civile. Quello in esame sembra un caso di scuola in cui il danno (ossia la maggior somma pagata rispetto al premio assicurativo che sarebbe stato pagato in assenza di pratica concordata) non può essere provato nel suo preciso ammontare, o comunque, la sua prova è altamente difficile. Correttamente il giudice, dunque, lo ha liquidato sotto forma di una percentuale del premio effettivamente pagato ".

58) Come correttamente rilevato da M. Feola, Il danno da perdita di chances, cit., 17, "una parte consistente dell'esperienza inglese à non ha dedicato al tema della perdita di chances una trattazione autonoma in termini di danno, essendo tale problematica esaurita nell'accertamento, on the balance of probabilities, della sussistenza del rapporto tra condotta ed evento 'finale'  ".

59) L'espressione è tratta da M. Rossetti, Il danno da perdita di chance, in Riv. giur. circolaz. trasp., 2000, 677.

60) Cfr., tra i vari contributi, R. Pucella, La causalità "incerta ", cit., 81 e ss.; M.F. Lo Moro BIglia, Il risarcimento della chance frustrata, Napoli, 2006; M. Rossetti, Allargati ancora i confini della responsabilità del medico, in Dir. e Giust., 2004, f. 14, 36.

61) Cfr., ad esempio, ex plurimis: G. Norelli, La "perdita di chance " di guarigione come danno conseguente alla condotta medica omissiva, in Riv. it. med. legale, 2004, 3-4, 798 e ss.; A. Fiori, F. Cascini e F. Ausania, La Cassazione civile accentua le differenze tra responsabilità medica penale e prospetta la risarcibilità autonoma della perdita di chance da colpevole inadempimento professionale, in Riv. it. med. legale, 2004, 3-4, 803 e ss.

62) Così Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, cit. e Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002 - 11 settembre 2002, n. 30328, cit.

63) Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002 - 11 settembre 2002, n. 30328, cit.

64) J. Bentham, Rationale of Judicial Evidence, Vol. 5 (ed. J. S. Mill, 1827) 1-8.

65) C. Van Dam, European Tort Law, Oxford, 2006, 275 e ss.

66) Così Yorkshire Dale Steamship Co Ltd v Minister of War Transport [1942] AC 691, 706 per Lord Wright.

67) Che l'equità sia un concetto lungi dall'essere estraneo alla causalità giuridica lo si ricava pure dal diritto comparato. Cfr., ad esempio, con riferimento al modello tedesco quanto riportato in A. Somma, Il nesso causale nella disciplina tedesca extracontrattuale, in AA.VV., i fatti illeciti. III. Causalità e danno, a cura di G. Visintini, Padova, 1999, cit., 907 ("à il ricorso all'equità viene inteso anche dai giudici come correttivo al principio dell'adeguatezza causale").

68) Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, cit.

69) Così la decisione in commento.

70) Cfr., per quanto riguarda il diritto francese, cfr. ex plurimis F. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese della responsabilità civile, 1996, 227 e ss.

71) Cfr., fra i numerosi precedenti più recenti, Cass., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2305, cit., che ha ritenuto risarcibile sotto forma di perdita di chance "la possibilità di ottenere migliori condizioni di polizza" nel caso di condotta anticoncorrenziale da parte delle imprese assicuratrici, nello specifico sottolineando come si tratti di un danno ammesso dalla giurisprudenza "in maniera consolidata".

72) Particolarmente significativo risulta il precedente Martins Moreira v. Portugal (1988) 13 E.H.R.R. 517.

73) Cfr. W. Van Gerven, J. Lever, P. Larouche, Cases, Materials and Text on National, Supranational and International Tort Law, Oxford, 2000, 459 e ss.

74) C. Van Dam, European Tort Law, cit., 293 e ss.

75) Al riguardo molto correttamente si è osservato, in commento alla sentenza n. 4400/2004, che "il danno da perdita di chance rappresenta uno strumento giusto ed efficiente, che tende a ripartire proporzionalmente il danno tra la vittima e il danneggiante ", M. Feola, Il danno da perdita delle chances di sopravvivenza o di guarigione è accolto in Cassazione, cit., 55. Cfr., altresì, R. Bordon, Il nesso di causalità, cit., 196. Il risultato corrisponde alle regole generali di giustizia, perché il comportamento del medico è stato comunque colpevole, e nell'incertezza su quello che sarebbe avvenuto se egli si fosse comportato diligentemente, è senz'altro equo riconoscere alla vittima della sua negligenza il risarcimento delle possibilità perdute ".

76) Non pare fuori luogo richiamare qui il celebre intervento di Lord Wilberforce in McGhee v. N.C.B. [1973] 1 W.L.R. at 6: "if one asks which of the parties, the workman or the employers, should suffer from this inherent evidential difficulty, the answer as a matter of policy or justice should be that it is the creator of the risk who, ex hypothesi, must be taken to have foreseen the possibility of damage, who should bear its consequences ".

77) A. Porat & A. Stein, Tort liability under uncertainty, cit., 195: "... even if the defendant's wrongful conduct did not actually cause the injury that the plaintiff sustained, it did prevent the plaintiff from identifying the cause of the injury. Specifically, it prevented the plaintiff from both verifying and eliminating the possibility that his injury had resulted from the defendant's wrongful conduct. This deprivation constitutes evidential damage ".

78) Sul tema cfr. da ultimo R. Pucella, La causalità "incerta ", cit., 42-53. Tra gli interventi dottrinali più significativi degli ultimi anni si segnalano qui U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 209-245, e P.G. Monateri, La responsabilità civile, cit., 144 e ss.

79) Cfr. per una prospettiva comparatistica sul tema: W. Van Gerven, J. Lever, P. Larouche, Cases, Materials and Text on National, Supranational and International Tort Law, cit., 395 e ss. Cfr., inoltre, B.S. Markesinis, The German Law of Obligations - Volume II - The Law of Torts: A Comparative Introduction, 3rd ed., Oxford, 1997, 95 e ss.

80) Al riguardo si è osservato come la causalità materiale finisca a sua volta per implicare valutazioni di tipo giuridico (nello specifico, se corretto è etichettare come "fattuale" la prima fase, tuttavia "this does not mean à that it cannot involve issues of valuation and therefore acuire strong normative overtones as well "), ciò soprattutto quando l'applicazione del parametro della condicio sine qua non risulti condurre a significative ingiustizie ("serious injustice"), B.S. Markesinis, The German Law of Obligations - Volume II - The Law of Torts: A Comparative Introduction, cit., 95-96.

81) B. S. Markesinis & S. Deakin, Tort Law, 4th ed., Oxford, 1999, 175-176.

82) L. Nocco, Causalità: dalla probabilità logica (nuovamente) alla probabilità statistica, la Cassazione civile fa retromarcia, cit., 1243.

83) Cass., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, cit.

84) Da ultimo, ampiamente argomentando sul punto, ha perorato "la necessità di governare il riscontro della causalità giuridica alla luce del concetto di precauzione ponendo al centro dell'indagine l'idea del "rischio prevenibile" ", U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 238.

85) Cass., sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2305, cit.

86) Questa versione, a riprova del contrasto che si registra in seno alla III Sezione, è stata invece perorata da Cass., Sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, cit.: "va à condiviso il principio secondo cui, per accertare se una condotta umana sia o meno causa di un determinato evento, è necessario stabilire un confronto tra le conseguenze che, secondo un giudizio di probabilità ex ante, essa era idonea a provocare e le conseguenze in realtà verificatesi, le quali, ove non prevedibili ed evitabili, escludono il rapporto eziologico tra il comportamento umano e l'evento, sicché, per la riconducibilità dell'evento ad un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato conseguenziale sussista un rapporto di sequenza, occorrendo invece che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, secondo un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente ".

87) A dimostrazione che questo tipo di lettura possa essere sostanzialmente corretta, si possono citare qui le stesse conclusioni raggiunte dalla Suprema corte nella decisione in commento, laddove questa ha contestualmente affermato a chiare lettere come la causalità si risolva entro i confini della "politica del diritto, che à di volta in volta individuerà i termini dell'astratta riconducibilità delle conseguenze dannose à in capo all'agente ", salvo la possibilità per quest'ultimo di dimostrare un fattore interruttivo. Lo stesso estensore della sentenza in esame ebbe già ad affermare, del tutto condivisibilmente, che "il nesso di causalità giuridica è quello per cui i fatti sopravvenuti, idonei di per sé soli a determinare l'evento, interrompono il nesso col fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti " Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997, cit. Sempre i giudici di legittimità, nel precedente sopra citato A. e altri c. Ministero della Salute (Cass., Sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, cit.) hanno rilevato come "l'omissione si pone come antecedente causale del danno solo perché una valutazione giuridica la rende tale ".

88) Si pensi, tanto per fare un esempio tra i tanti, all'ipotesi del tamponamento e della riconducibilità della lesione della salute del trasportato, al sinistro, laddove l'urto tra i veicoli sia stato di lieve entità; altro caso che sovviene è quello dell'automobilista che, senza colpirlo fisicamente, spaventa il pedone, che cade; si può altresì considerare l'ipotesi dell'induzione al suicidio.

89) Come osservato da P.G. Monateri, La responsabilità civile, cit., 168, "il grado di rarità degli eventi che possono venire imputati al danneggiante varia col variare della sua posizione giuridica rispetto alla vittima del danno, e quindi con i suoi doveri di prevenzione dell'evento ".

90) L'espressione è tratta U. Izzo, La precauzione nella responsabilità civile, cit., 240.

91) [2002] 3 WLR 1353, per Lord Hoffmann, p. 1388, para 128: "There is à no uniform causal requirement for liability in tort. Instead, there are varying causal requirements, depending upon the basis and purpose of liability. One cannot separate questions of liability from questions of causation. They are inextricably connected. One is never simply liable; one is always liable for something and the rules which determine what one is liable for are as much part of the substantive law as the rules which determine which acts give rise to liability ".

Autore: Marco Bona - tratto dal Corriere Giuridico, 1 / 2008, p. 35