DIFFIDA AD ADEMPIERE "EXCEPTIO INADIMPLETI CONTRACTUS" ED IMPORTANZA DELL'INADEMPIMENTO
COMMENTO ALLA SENTENZA CASSAZIONE 04/05/94 N. 4275
E' frequente imbattersi in controversie di scarso significato economico, dietro le quali si agitano problemi giuridici delicati; ed e facile osservare come, proprio per la scarsa convenienza di un prolungato litigio su simili questioni, la prassi solitamente eviti di adire il giudice di legittimita. Il caso che ha originato la sentenza qui annotata costituisce una eccezione a questo normale modo di procedere, giacche una lite di quel genere ha dato modo alla Corte di Cassazione di pronunciarsi nuovamente su alcuni rilevanti problemi in materia di risoluzione del contratto per inadempimento. Cio non significa, peraltro, che la decisione assunta sia immune da un limite ricorrente nelle controversie bagatellari, e cioe dalla tendenza a risolvere la questione adattando a forza orientamenti sperimentati, senza soffermarsi su risvolti che meriterebbero qualche approfondimento maggiore.
IL FATTO
Per illustrare il senso delle precedenti affermazioni e bene muovere riferendo schematicamente i termini della controversia.
A acquista dalla casa editrice B una enciclopedia in piu volumi, da pagare in rate mensili. Qualche giorno dopo la scadenza della prima rata, A, che non ha ancora effettuato il relativo pagamento, riceve i libri e si avvede che l'editore ha inviato due copie del nono volume, ma non il volume ottavo; segnala l'accaduto a B, ma l'inerzia di quest'ultimo induce l'acquirente ad inviare una diffida ad adempiere. Il termine di quindici giorni contenuto nella diffida scade infruttuosamente, ma poco dopo A riceve l'ottavo volume dell'opera; tuttavia, si tratta di un volume di una precedente edizione, e quindi diverso da quelli gia consegnati per formato, impaginazione, veste grafica di copertina e caratteristiche editoriali.
Quindi A cita l'editore davanti al Tribunale perche sia accertata l'avvenuta risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1454 c.c.; B si costituisce in giudizio riconoscendo che, pur avendo provveduto ad inviare il volume mancante non appena ricevuta la diffida, per un errore del magazzino era stato recapitato un esemplare di una precedente edizione; eccepisce pero che il contratto di vendita prevedeva a suo favore la facolta di sospendere la consegna in caso di mancato pagamento da parte dell'acquirente e che tale facolta poteva essere fatta valere nel caso di specie, dal momento che A non aveva provveduto a versare le rate di prezzo dovute a far tempo dal mese successivo al conferimento dell'ordine.
In corso di causa B offre formalmente ad A la consegna dell'ottavo volume; A rifiuta, cosi come aveva respinto analogo volume inviato per posta.
Il Tribunale ritiene convincente la difesa di B e respinge le domande dell'acquirente; la Corte d'Appello ribalta la decisione del primo grado; la Cassazione censura infine la pronuncia di appello, esaminando la figura della diffida ad adempiere sotto un duplice profilo: quello dei rapporti con l'exceptio inadimpleti contractus e quello delle connessioni col requisito della gravita dell'inadempimento previsto dall'art. 1455 c.c. ai fini della risoluzione.
DIFFIDA AD ADEMPIERE ED ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO
La pronuncia delle Corte di Cassazione nega l'efficacia della diffida intimata dall'acquirente osservando in primo luogo, che, poiche quest'ultimo non aveva provveduto a pagare la rata di prezzo scaduta, risultava a sua volta inadempiente e quindi, per l'operare del principio inadimplenti non est adimplendum, non poteva pretendere nulla dal venditore, ne tantomeno ottenere la risoluzione del contratto mediante l'invio della diffida ad adempiere. In astratto la decisione e del tutto razionale e si uniforma del resto ad una posizione giurisprudenziale piuttosto solida in merito ai rapporti tra gli istituti regolati dagli artt. 1454 e 1460 c..c. [1]; la dottrina, per parte sua, pare accettare il principio per cui al contraente primo inadempiente, che tenti di sciogliersi dal rapporto intimando la diffida alla controparte, possa essere opposta con successo l'eccezione di inadempimento al fine di impedire l'effetto risolutorio [2].
Tuttavia, se da un simile piano astratto si scende a considerare piu da vicino la fattispecie decisa, si puo osservare come, dietro ad una enunciazione di principio in se corretta, si profilino particolarita tali, da consigliare valutazioni piu articolate. Si evince infatti dalla motivazione che il contraente diffidato, pur essendo a sua volta creditore della rata di prezzo non pagata, aveva ripetutamente fatto offerta dell'adempimento tardivo, sino a rinnovarla in sede di giudizio: il che avrebbe potuto sospingere i giudici ad indagare un risvolto rimasto invece insondato, e cioe se l'eccezione di inadempimento, con i suoi effetti preclusivi della risoluzione di diritto, possa operare anche in costanza di un comportamento del contraente che, offrendo di eseguire la propria prestazione, contraddica l'intenzione di avvalersene.
Il risultato a cui perviene la sentenza in commento sembra presupporre una risposta positiva a tale quesito; in altri termini, i giudici parrebbero aver ritenuto irrilevante la circostanza che il contraente abbia tentato infruttuosamente di adempiere, anziche rimanere inerte ed invocare l'eccezione, quasi che fosse di per se l'inadempimento di colui che intima la diffida a precludere la risoluzione, e non l'opposizione della exceptio inadimpleti contractus da parte del contraente diffidato. Si tratta di una prospettazione che nasconde, forse inconsapevolmente, una concezione della eccezione di inadempimento che la dottrina ha da tempo ritenuto inadeguata [3]; secondo tale tesi, in un contratto a prestazioni corrispettive il diritto del contraente ad ottenere la controprestazione avrebbe tra i propri elementi costitutivi l'aver adempiuto la propria obbligazione [4] e pertanto la parte tenuta ad eseguire per prima, sinche non onora il proprio debito, non potrebbe pretendere nulla dall'altro contraente non perche paralizzata nell'esercizio del proprio diritto da una eccezione, ma perche priva dello stesso credito. In questa prospettiva, quindi, l'eccezione operebbe automaticamente sul piano sostanziale allo stesso verificarsi dell'inadempimento [5] e pertanto, condotto il discorso sino alle estreme conseguenze, il giudice dovrebbe essere tenuto a rilevare l'eccezione d'ufficio, anche qualora la parte non la invochi in giudizio, ne risulti dagli atti del processo che l'abbia fatta valere stragiudizialmente [6].
Non sembra tuttavia che una concezione di questo genere possa trovare giustificazione alla luce dei dati normativi; l'art. 1460 c.c. indica con chiarezza che il rifiuto dell'adempimento costituisce una scelta discrezionale del contraente, il qualche ha una semplice facolta di non eseguire; e d'altra parte, l'art. 1460, secondo comma, sarebbe privo di senso se l'adempimento risultasse non dovuto al semplice verificarsi della fattispecie legale, dal momento che il giudizio di buona fede puo riferirsi ad un comportamento o ad un atteggiamento delle parti, ma non certamente al ricorrere delle condizioni costitutive del credito.
Non e un caso, del resto, che l'opinione assolutamente dominante ravvisi nella exceptio inadimpleti contractus un atto volitivo, col quale si contrappone all'altrui pretesa una contropretesa capace di paralizzare la richiesta di adempimento [7]; tanto che si equipara talvolta l'invocazione dell'eccezione all'esercizio di un diritto potestativo [8], o comunque al ricorso ad una facolta, alla quale si puo anche rinunciare, pur quando si siano verificati fatti che legittimerebbero il ricorso ad essa [9].
Sulla base di queste premesse appare ovvio che, proprio perche atto lasciato alla discrezionalita del contraente, il ricorso all'eccezione debba essere in qualche modo manifestato; ma se tale conclusione risulta pressoche obbligata, e piu complesso stabilire se la scelta del momento in cui sollevare l'exceptio sia totalmente rimessa al contraente fedele.
A questo proposito, e possibile immaginare tre ipotesi, a seconda che: a) il contraente sollevi l'eccezione stragiudizialmente, allorche gli venga richiesto l'adempimento, e la riproponga in corso di causa; b) il contraente sollevi l'eccezione stragiudizialmente, ma non la invochi piu una volta convenuto in giudizio; c) il contraente sollevi l'eccezione solamente in sede giudiziaria, senza essersene mai avvalso in precedenza.
Mentre non pare vi siano dubbi sulla efficacia della difesa dell'eccipiente nell'ipotesi sub a), piu incerta e la soluzione per il caso sub b), dal momento che la mancata riproposizione della eccezione potrebbe essere interpretata come una rinuncia alla stessa, salvo che non si riconosca al giudice il potere di tenerne ugualmente conto, se dagli atti di causa risulta l'avvenuto ricorso allo strumento in parola [10]: tuttavia, ai fini del discorso che si sta conducendo qui, ci si permette di non andare oltre l'enunciazione di tale problema, per concentrare l'attenzione sulla fattispecie sub c), che appare particolarmente interessante per la valutazione della decisione in commento.
A questo fine, e necessario muovere constatando che il legislatore ha inteso assoggettare il rifiuto di adempiere ad una valutazione di buona fede, cosi come indica l'art. 1460, secondo comma, c.c. Al riguardo, l'interpretazione giurisprudenziale dominante ha per anni compresso tale valutazione entro i ristretti confini del giudizio sulla gravita dell'inadempimento posto a fondamento dell'eccezione; in altri termini, la giurisprudenza ha a lungo limitato la sfera di applicazione del secondo comma dell'art. 1460 ai casi in cui la scarsa importanza dell'inadempimento dell'altro contraente non potesse giustificare il rifiuto di adempiere [11], finendo cosi per sovrapporre in questo campo lo stesso tipo di indagine richiesta dall'art. 1455 c.c. in tema di risoluzione. Tale posizione ha attirato ben presto le critiche della dottrina, propensa ad un ampliamento del vaglio del giudice che, conformemente alla lettera della norma, giunga a valutare tutte le "circostanze" della vicenda contrattuale [12], cosi da tener conto sia della natura delle contrapposte prestazioni, sia del comportamento delle parti [13], sia almeno secondo alcuni - dell'elemento soggettivo [14]. Tale atteggiamento estensivo ha finito per penetrare di quando in quando anche nella giurisprudenza: cosi, dando rilievo al comportamento pregresso delle parti, i giudici hanno escluso la liceita del ricorso all'eccezione dilatoria in un caso in cui il creditore, dopo avere in precedenza indotto la controparte ad adempiere secondo modalita difformi da quelle previste nel contratto, aveva contravvenuto a tale prassi ed aveva invocato l'exceptio pretendendo di far valere la pattuizione fino a quel momento disattesa [15]; mentre, con alcune pronunce particolarmente rilevanti per il problema qui in discussione, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che nell'indagine volta ad accertare la sussistenza del requisito della buona fede "assume importanza non secondaria la circostanza che la giustificazione del rifiuto di adempiere sia resa nota alla controparte solo in occasione del giudizio, e non durante lo svolgimento dei tentativi per la spontanea esecuzione del contratto" [16].
Questo processo di ampliamento ha dunque prodotto una sorta di divaricazione nell'ambito di applicazione del secondo comma dell'art. 1460 c.c.: da un lato, esso specifica la portata del primo comma, indicando che il rifiuto di prestare deve essere diretto alla stretta salvaguardia dell'equilibrio contrattuale compromesso dall'inadempimento [17]; dall'altro investe l'esame delle circostanze in cui l'eccezione viene sollevata, cosi da tener conto del modo e del momento della sua invocazione, dell'eventuale comportamento contraddittorio del contraente che la utilizza, della prassi di tolleranza o acquiescenza all'inadempimento [18]. In tal modo, se si fa applicazione del precetto inteso nella seconda delle accezioni descritte, risulta logico affermare che esso non si limita a vietare atteggiamenti emulativi a danno dell'altro contraente o un impiego dell'eccezione diretto strumentalmente a mascherare proprie inadempienze, ma impone a chi eccepisce un dovere di rendere chiari alla controparte sia la decisione di sospendere l'adempimento, sia i motivi che la giustificano [19]; risultato questo che, anche indipendentemente dalla specifica regola contenuta nell'art. 1460, secondo comma, c.c. sarebbe comunque ricavabile dalle disposizioni piu generali degli artt. 1175 e 1375 c.c. [20].
Se dunque sussiste un dovere di tal genere, a maggior ragione dovrebbe apparire contrario a buona fede un impiego dell'eccezione dilatoria non solo procrastinato sino al momento del giudizio, ma addirittura contraddetto da indici da cui possa desumersi una intenzione del tutto diversa da quella di rifiutare il proprio adempimento; e di cio si e resa conto la giurisprudenza in un caso in cui, invocata da un assicuratore la sospensione della garanzia ai sensi dell'art. 1901, secondo comma, c.c., ha negato la facolta di sottrarsi al pagamento dell'indennizzo, qualora l'assicuratore, o mediante la ricognizione del diritto dell'assicurato, o attraverso l'accettazione del versamento tardivo del premio a sinistro gia avvenuto, abbia, sia pure tacitamente, manifestato una volonta in contrasto con quella di eccepire l'altrui inadempimento [21].
Quest'ultima posizione giurisprudenziale sembra particolarmente rilevante nella valutazione della sentenza che qui si commenta, dal momento che, come gia si e ricordato, l'eccezione di inadempimento pare essere stata sollevata in giudizio dopo che, in fase stragiudiziale, l'eccipiente aveva piu volte offerto la prestazione, senza pero riuscire a eseguire esattamente prima della scadenza del termine fissato nella diffida ad adempiere. Cio induce a concludere che l'intenzione di avvalersi dell'eccezione di inadempimento e stata contraddetta da un indice valutabile come rinuncia ad avvalersi della stessa; il che avrebbe potuto consigliare i giudici di considerare gli effetti della diffida senza tenere conto di una exceptio sollevata tardivamente. In altre parole, una piu approfondita valutazione della fattispecie avrebbe dovuto suggerire di limitare l'indagine al secondo degli aspetti presi in considerazione della sentenza, e cioe al ricorrere del requisito della gravita dell'inadempimento del soggetto diffidato.
DIFFIDA AD ADEMPIERE E GRAVITA' DELL'INADEMPIMENTO
Anche il secondo principio di diritto fatto proprio dalla sentenza annotata costituisce un dato pressoche pacifico in giurisprudenza: con esso viene ribadito il costante orientamento, secondo il quale la diffida ad adempiere puo condurre alla risoluzione, solo se l'inadempimento denunciato dall'intimante presenta i requisiti della gravita ai sensi dell'art. 1455 c.c. [22].
La dottrina dominante concorda con tale impostazione, argomentando, da una parte, la collocazione sistematica dell'art. 1454 c.c., che precede la disposizione dell'art. 1455, la quale appunto concede la risoluzione nelle sole ipotesi in cui l'inadempimento non sia di scarsa importanza, e osservando, dall'altra, che sarebbe illogico concedere la risoluzione per diffida, laddove la legge impedisce che si possa ottenere la risoluzione in via contenziosa [23].
In verita, non sono mancati i tentativi di dissociare la diffida ad adempiere dal giudizio sull'importanza dell'inadempimento, ma essi non paiono aver trovato accoglienza: cosi, non ha avuto seguito la tesi [24] che desumeva l'inapplicabilita dell'art. 1455 c.c. dall'operare automatico della risoluzione per diffida, essendo facile obiettare ad essa che non e tanto in discussione l'effetto della diffida, quanto l'individuazione dei suoi presupposti di operativita. Neppure e stata accolta una ricostruzione, pur autorevole, che negava la necessita di indagare sulla gravita dell'inadempimento nel caso in cui la diffida fosse stata intimata al debitore in ritardo [25], fondando tale conclusione su una asserita variabilita della ratio in base alla quale il codice richiede che l'inadempimento sia grave: secondo tale prospettazione, infatti, mentre di solito tale ragione consisterebbe nella tutela della buona fede, cosi da evitare che violazioni insignificanti vengano utilizzate per travolgere il contratto, in caso di ritardo essa sarebbe costituita dall'esigenza di rimediare all'assenza di un obbligo di preavviso al debitore inadempiente circa l'intollerabilita del ritardo, preavviso che invece sussisterebbe se venisse utilizzato lo strumento previsto dall'art. 1454 c.c. A tale impostazione e stato giustamente obiettato come non sia ravvisabile una duplicita di ratio in un singolo istituto [26]; e, d'altra parte, non si puo affermare che il preavviso possa mettere al riparo il debitore in mora da un uso strumentale e di mala fede della diffida, qualora effettivamente, anche decorso il termine concesso nell'intimazione, il ritardo appaia di scarsa rilevanza nell'economia complessiva del contratto. Piu recentemente, poi, la posizione maggioritaria e stata contestata sul presupposto che la ratio dell'art. 1454 c.c. non consisterebbe nella predisposizione di uno strumento che esoneri il creditore dall'attesa dei tempi del giudizio, ma piuttosto nella concessione di un rimedio attraverso il quale uscire dall'incertezza se il contratto avra esecuzione o rimarra definitivamente ineseguito; ratio che non implicherebbe il requisito della gravita dell'inadempimento [27]. Occorre tuttavia rilevare, che, seppure in via mediata, questa stessa interpretazione recupera la necessita di una indagine sulla correttezza dell'intimazione in omaggio alla contrapposta esigenza, sempre rilevante in materia di risoluzione, di tener fede al precetto pacta sunt servanda; essa dunque propone di utilizzare a tal fine lo strumento dell'exceptio doli, inteso come mezzo atto a scongiurare sia un uso della diffida mirante solo a sciogliersi da un vincolo di cui ci si e pentiti, sia un ricorso alla risoluzione quando non vi siano elementi tali da giustificare "una particolare necessita del creditore alla definizione del momento esecutivo" [28]; e sembra al proposito inevitabile che in una indagine del genere debba rientrare anche una valutazione sulla serieta del pregiudizio arrecato all'equilibrio contrattuale dall'inadempimento contestato al contraente diffidato.
Ad ogni modo, anche qualora si accedesse ad una simile prospettiva, non per questo si potrebbe affermare che la sentenza in commento abbia operato a torto, giacche la tesi appena riportata riconosce espressamente come la gravita dell'inadempimento continui a rilevare anche in tema di diffida qualora si verta in ipotesi non di totale inadempimento, ma di adempimento inesatto, poiche in tal caso l'interesse che il diffidante persegue non sarebbe quello della certezza del rapporto contrattuale, ma quello della soddisfazione del bisogno che l'ha spinto a contrarre, e pertanto sarebbe necessario valutare tale interesse alla luce dell'art. 1455 c.c. [29]; e dunque, dal momento che il caso deciso riguardava proprio un'ipotesi di inesatto adempimento, l'indagine sulla gravita risulterebbe comunque dovuta.
Attesa quindi la necessita di un simile vaglio, la pronuncia in commento ha dettato i criteri a cui ispirarsi in tale compito, affermando che occorre tenere conto "anche" degli aspetti soggettivi della fattispecie, cosi da rendere rilevanti sia l'interesse del creditore, sia il comportamento del debitore.
La massima si ispira a precedenti affermazioni della giurisprudenza, la quale, di fronte ad una contrapposizione dottrinale che vedeva da un lato chi sosteneva la necessita di ricostruire il concetto di inadempimento grave sulla scorta della presumibile volonta delle parti [30], e dall'altro chi invece proponeva una valutazione oggettiva, attenta alla interdipendenza tra le prestazioni ed allo squilibrio creato dall'inadempimento [31], ha da tempo assunto una posizione di una certa elasticita, accogliendo, al di la delle declamazioni, una tecnica di giudizio che contempera sia l'apprezzamento dell'elemento oggettivo, sia un ampio riguardo all'aspetto soggettivo, e cioe all'interesse del creditore all'adempimento, non disgiunto da una valutazione dei comportamenti tenuti dalle parti [32].
Certamente un criterio del genere, cosi elastico da apparire indeterminato, non puo non provocare una certa insoddisfazione [33], dal momento che di fatto rimette nelle mani del giudice di merito ogni effettiva decisione nel caso concreto; peraltro, i limiti di questo lavoro non consentono di andare oltre la denuncia di tale sensazione e suggeriscono di concentrare l'attenzione sulle peculiarita che paiono caratterizzare l'applicazione del criterio nel caso deciso. In particolare, un passo della motivazione ha ritenuto rilevante, al fine di escludere la gravita dell'inadempimento, il comportamento del debitore che, pur dopo la scadenza del termine assegnato con la diffida, aveva eseguito - sebbene inesattamente - la prestazione sostitutiva ed aveva poi piu volte offerto l'adempimento: il che, con tutta evidenza, postula che anche il comportamento successivo al termine in cui dovrebbe aver luogo la risoluzione possa essere considerato per determinare la gravita di un inadempimento pregresso.
Tale conclusione rieccheggia l'idea diffusa, espressa in tema di risoluzione giudiziale, in base alla quale, se l'inadempimento consiste nel ritardo ed e di scarsa importanza, sarebbe comunque ammesso l'adempimento tardivo anche dopo la proposizione della domanda di risoluzione [34]; posizione che implica conseguentemente che anche l'offerta di adempiere tardivamente possa a ragione rientrare tra gli elementi utili all'indagine richiesta dall'art. 1455 c.c. E' tuttavia dubbio che un ragionamento del genere possa essere esteso alla diffida ad adempiere formulata contestando un inadempimento che non sia di carattere temporale, ma qualitativo [35]: l'operare automatico della risoluzione, infatti, fa si che, se l'inadempimento contestato e grave, alla scadenza del termine il contratto si risolva, con la conseguenza che sarebbe in ogni caso ininfluente ogni tentativo di adempimento tardivo; mentre, se l'inadempimento e privo dei caratteri indicati dall'art. 1455 c.c., la diffida e inefficace perche manca gia di uno dei suoi presupposti, e non perche il comportamento tardivo del contraente diffidato possa influire sulla valutazione di un dato di fatto gia realizzatosi.
Cio dunque finisce per ridurre a pura declamazione la massima espressa dalla decisione in commento, laddove essa estende l'indagine sulla gravita dell'inadempimento al comportamento successivo del contraente diffidato; la vera ratio decidendi appare in realta concentrarsi nella sola constatazione che l'inadempimento addotto in giudizio non poteva considerarsi grave in relazione alla sua oggettiva consistenza ed all'interesse vantato dal creditore.
Note:
1 Cass. n. 3301/1975, in Rep. Foro It., 1975, voce Contratto in genere, n. 315; Cass. n. 3400/1980, in Rep. Giust. Civ., 1980, voce Obbligazioni e contratti, n. 340; Cass. n. 1953/1989, in Rep. Foro It., 1989, voce Contratto in genere, n. 358; Cass. n. 4323/1989, ivi, 1989, voce ult. cit., n. 356.
2 M. Costanza, in A. Luminoso, U. Carnevali, M. Costanza, Della risoluzione per inadempimento, t. I, 1, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1990, p. 448; L. Bigliazzi Geri, Della risoluzione per inadempimento, t. II, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1988, p. 47; U. Natoli, voce Diffida ad adempiere, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, 511 n. 16; R. Aloisio, voce Diffida ad adempiere, in Enc. Giur. Treccani, X, Roma, 1988, 2; O.T. Scozzafava, Risoluzione del contratto e diffida ad adempiere, in Riv. Dir. Comm., 1982, II, 45. Recentemente D. Palmieri, in La risoluzione per inadempimento nella giurisprudenza, Milano, 1994, p. 368, si e espresso, seppure incidentalmente, contro tale posizione maggioritaria, sostenendo che l'automaticita dell'effetto risolutorio derivante dalla diffida escluderebbe l'operare della eccezione di inadempimento. In realta, tale argomentazione non appare persuasiva, dal momento che non e in discussione tanto l'effetto derivante dalla diffida ad adempiere - e con esso, il suo carattere automatico -, quanto lo stesso presupposto dell'impiego del rimedio in questione, e cioe il diritto del contraente di pretendere l'adempimento della prestazione dovutagli, esercitato attraverso l'intimazione; pretesa che puo essere certamente paralizzata dall'exceptio inadimpleti contractus, facendo venir meno tutte le conseguenze della diffida eventualmente intimata.
3 G.G. Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, 308 s.; F. Realmonte, voce Eccezione di inadempimento, in Enc. Dir., XIV, Milano, 1965, 234; L. Bigliazzi Geri, Profili sistematici dell'autotutela privata, II, Milano, 1974, 204 ss.; Id., Della risoluzione per inadempimento, cit., 2, n. 5; B. Grasso, Eccezione d'inadempimento e risoluzione del contratto, Napoli, 1973, 139 ss.
5 Cio, secondo L. Bigliazzi Geri, Profili sistematici, cit., 206, n 27, ricondurrebbe l'eccezione di inadempimento al fenomeno della Unzumutbarkeit (inesigibilita in senso stretto) e dunque, quale sua sottospecie, alla impossibilita sopravvenuta; il che, con tutta evidenza, allontana la ricostruzione dal fenomeno legislativamente regolato dall'art. 1460 c.c., che costruisce l'eccezione di inadempimento come uno strumento lasciato alla scelta discrezionale del contraente fedele.
6 Si prescinde in questa sede dal problema se occorra riproporre in sede processuale l'eccezione gia invocata stragiudizialmente: al riguardo una tesi piu rigorosa (F. Realmonte, op. cit., 236) richiede che l'eccezione sia dichiarata nel processo, affinche il giudice ne possa tener conto; altra tesi piu elastica (L. Bigliazzi Geri, Della risoluzione per inadempimento, cit., 5 s.) ritiene che il giudice possa rilevare dagli atti di causa l'avvenuta invocazione dell'eccezione in sede extraprocessuale e tenerne conto anche qualora non sia stata esplicitamente riproposta.
7 L. Bigliazzi Geri, Della risoluzione del contratto, cit., 2, n. 5; Id., Profili sistematici, cit., 206 s.; B. Grasso, op. cit., 95; F. Realmonte, op. cit., 234.
8 Gia in tal senso G. Persico, L'eccezione di inadempimento, Milano, 1955, 11 ss.
10 Rinvio, a proposito delle soluzioni prospettate in merito dalla dottrina, alla precedente nota 6.
11 Cosi gia Cass. n. 2568/1949, in Rep. Foro It., p 1949, voce Obbligazioni e contratti, n. 256; Cass. n. 1042/1952, ivi, 1952, voce cit., n. 324; Cass. 14 giugno 1978, ivi 1978, voce Contratto in genere, n. 289; Cass. 9 luglio 1984, ivi 1984, voce cit., n. 241; Cass. n. 6576/1991, in Giust. civ., 1992, I, 1333.
12 F. Realmonte, op. cit., 230 ss.; O. Cagnasso, Eccezioni dilatorie e risoluzione per inadempimento nel contratto di somministrazione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1981, 421.
13 Cosi M. Zana, La regola di buona fede nell'eccezione di inadempimento, in Riv. Trim. Dir. proc. Civ., 1972, 1387 ss.
14 L. Bigliazzi Geri, Della risoluzione del contratto, cit., 35; F. Realmonte, op. cit., 231; M. Santilli, Inadempimento reciproco, rifiuto di cooperazione e regola di correttezza, in Foro it., 1978, I, 1536; nonche, seppure con temperamenti, M. Zana, op. cit., 1391.
15 Si trattava, in particolare, di un contratto di assicurazione, in costanza del quale l'assicuratore aveva sempre provveduto a riscuotere i premi presso l'assicurato, pur in presenza di clausola contrattuale che prevedeva il pagamento presso la sede dell'assicuratore; verificatosi il sinistro, la compagnia eccepi la sospensione della copertura assicurativa, ai sensi dell'art. 1901 c.c., ma la Cassazione ritenne contraria a buona fede l'opposizione dell'eccezione, facendo leva sulla circostanza che il mancato pagamento era dipeso dal fatto che la compagnia non si era recata a riscuotere il premio come era solita fare: Cass. n. 5639/1984, in Foro It., 1985, I, 2050. Non stupisca il fatto che la pronuncia citata colleghi il precetto di buona fede previsto dall'art. 1460, secondo comma, all'istituto della sospensione della copertura assicurativa previsto dall'art. 1901, secondo comma, giacche tale ultima norma e ritenuta una semplice specificazione della figura generale dell'eccezione di inadempimento: cfr. in tal senso Cass. n. 5639/1984, in Giur. It., 1985, I, 1, 436.
16 Cass. n. 3465/1988, in Rep. Foro It., 1988, voce Contratto in genere, n. 423; Cass. n. 5459/1986, ivi, 1986, voce cit., n. 373.
17 In tal senso, M. Costanza, Buona fede ed eccezione di inadempimento, in Giust. Civ., 1983, I, 2390 che osserva come il ricorso all'eccezione possa ritenersi giustificato solo ove la dilazione dell'adempimento rappresenti il solo mezzo a disposizione del contraente per realizzare lo scopo che intendeva raggiungere col contratto.
18 Cosi L. Nanni, La buona fede contrattuale nella giurisprudenza, in Contratto e Impresa, 1986, 546.
19 Cosi R. Sacco, in R. Sacco - G. De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, II, Torino, 1993, 647. Sembra corretto ritenere che la manifestazione della volonta di avvalersi dell'exceptio non debba essere necessariamente espressa, potendo risultare anche da fatti concludenti, purche non equivoci.
20 Infatti, la dottrina che - gia negli anni '50 - per prima si rese conto della questione, suggeriva di fondare un dovere di avviso dell'impiego dell'eccezione proprio sulla disposizione generale dell'art. 1375 (e, pur dubitativamente, dell'art. 1338): v. F. Carresi, In tema di buona fede contrattuale e di eccezione d'inadempimento, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1951, 1549.
22 V. in tal senso, Cass. n. 2979/1991, in Mass. Giust. Civ., 1991, citata anche in motivazione; nonche, tra le molte, Cass. n. 1203/1986, ivi, 1986; Cass. n. 4436/1986, ivi, 1986; Cass. n. 5311/1984, ivi, 1984; Cass. n. 1812/1981, ivi, 1981; Cass. n. 276/1981, ivi, 1981.
23 Cfr. U. Natoli, op. cit., 511; R. Aloisio, op. cit., 2; A. Dalmartello, Risoluzione del contratto, in Noviss. Digesto, XVI, Torino, 1969, 142; L. Mosco, La risoluzione del contratto per inadempimento, Napoli, 1950, 165; M. Costanza, Della risoluzione per inadempimento, cit., 434 ss.
24 Proposta da C. Casa, In tema di applicabilita dell'art. 1455 c.c., nonostante la diffida prevista dal precedente art. 1544 c.c., in Foro It., 1947, I, 262.
25 G.G. Auletta, Importanza dell'inadempimento e diffida ad adempiere, in Studi in memoria di F. Vassalli, I, Torino, 1960, 135.
26 A. Guarino, La diffida ad adempiere e la gravita dell'inadempimento in Studi in memoria di F. Vassalli, I, Torino, 1960, 965.
27 G. Collura, Importanza dell'inadempimento e teoria del contratto, Milano, 1992, 118 ss.
32 E' questa la conclusione a cui perviene l'indagine sui casi giurisprudenziali condotta da M.R. Spallarossa, Importanza dell'inadempimento e risoluzione del contratto, in Riv. Dir. Civ., 1972, II, 452, alla quale si rinvia per i ricchi rifermenti dottrinali e di giurisprudenza. Sul tema, cfr. inoltre P. Schimperna, Importanza dell'inadempimento nella risoluzione del contratto, in Giust. Civ., 1985, II, 507 ss. L'estensione dell'indagine relativa al requisito dell'art. 1455 agli aspetti soggettivi pare accolta anche dalla dottrina recente: cfr. G.G. Scalfi, voce Risoluzione del contratto, in Enc. Giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, 6.
33 Insoddisfazione puntualmente denunciata da G. Collura, op. cit., 18 ss.
34 G.G. Auletta, Importanza dell'inadempimento, cit., 147 ss.; U. Carnevali, in A. Luminoso, U. Carnevali, M. Costanza, Della risoluzione per inadempimento, cit., 103 s.; A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, 384; in giurisprudenza, Cass. n. 2057/1980, in Mass. Giust. Civ., 1980; Cass. n. 6672/1988, ivi, 1988; Cass. n. 7364/1991, ivi, 1991.
35 Cfr. peraltro A. Smiroldo, op. cit. 404, per il quale l'adempimento tardivo sarebbe precluso anche nella diffida intimata in seguito al ritardo, qualora il termine concesso al contraente inadempiente possa reputarsi congruo ai sensi dell'art. 1454.
Autore: Gianroberto Villa - "I Contratti" - Ipsoa, 5 / 1994, p. 515