La clausola di prelazione societaria ed il contenuto della denuntiatio
Nota a:
Tribunale Roma, 8/07/2005
Cassazione Civ., sez. I°, 13/04/2005, n. 7663
Sommario:
1. Profili generali della clausola di prelazione societaria
2. Contenuto della denuntiatio
3. Rinunziabilità del diritto di prelazione
4. Efficacia della clausola di prelazione e del trasferimento in violazione della prelazione
1. Profili generali della clausola di prelazione societaria.
L'art. 2469 c.c., in tema di s.r.l., stabilisce al comma 1 la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi e a causa di morte, facendo salva una diversa disposizione dell'atto costitutivo.
Quest'ultimo inciso normativo trova la sua estrinsecazione nelle clausole limitative della circolazione delle partecipazioni, nell'àmbito delle quali deve certamente ricomprendersi la clausola di prelazione, la cui presenza nell'atto costitutivo obbliga il socio, che voglia alienare le propria quota, ad offrirla agli altri soci, i quali avranno diritto di acquistarle alle medesime condizioni concordate con i terzi.
Oggetto di attenta analisi è stato l'interesse perseguito mediante l'apposizione della clausola di prelazione.
Secondo autorevole dottrina (1) l'interesse in esame sarebbe riconducibile prevalentemente ai singoli soci, e consisterebbe nell'impedire modificazioni nel gruppo sociale, sia attraverso l'ingresso di terzi, sia mediante un mutamento delle rispettive partecipazioni. Si è, però, correttamente affermato (2) come, una volta inserita nell'atto costituivo, la clausola assuma uno specifico valore organizzativo, con la conseguenza che gli interessi con essa perseguiti sarebbero tanto riferibili ai singoli soci, quanto attinenti alla collettività dei membri della compagine sociale e, quindi, alla società medesima.
In base a tale orientamento la titolarità degli interessi tutelati acquisirebbe rilevanza ai fini della qualificazione della fattispecie come sociale o parasociale, cosicché la clausola di prelazione sarebbe riconducibile ad entrambe le categorie sopra citate, ponendo un requisito ulteriore per l'efficacia del trasferimento delle partecipazioni nei confronti della società (in ciò si estrinsecherebbe la socialità), ed allo stesso tempo attribuendo un diritto ai soci individualmente considerati (in ciò troverebbe esplicitazione la parasocialità).
La giurisprudenza di legittimità (3) ha ulteriormente sviluppato questa tesi, precisando che la clausola di prelazione, pur nascendo con un indubbio carattere parasociale, vista la rilevanza che assume in essa l'interesse individuale dei soci, una volta inserita nello statuto assume un carattere prettamente sociale. In altre parole, la clausola di prelazione mantiene la natura pattizia tra le parti e quindi, parasociale, divenendo allo stesso tempo elemento della struttura organizzativa della società e parte integrante dell'atto costitutivo.
La natura della clausola e degli interessi da essa tutelati ha assunto un valore determinante, nella giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario, anche ai fini della fissazione delle maggioranze necessarie per l'introduzione, la modifica o l'eliminazione della clausola in questione. Si riteneva (4), infatti, come l'introduzione dovesse avvenire all'unanimità, stante l'incidenza sul diritto individuale del socio alla libera circolazione della quota, mentre la modifica e la rimozione, riguardando oramai una clausola facente parte dell'atto costitutivo, fossero soggette alla regola maggioritaria. Di parere parzialmente diverso sembrava essere una parte della dottrina (5), che affermava come il diritto alla libera circolazione della quota, stante il disposto dell'art. 2355 c.c., non potesse essere elevato a diritto soggettivo indisponibile da parte della maggioranza.
A seguito del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, sembra trovare ulteriore conferma la tesi prospettata da tale dottrina. Si è, infatti, da più parti (6) rilevato che l'orientamento della riforma del diritto societario in tema di s.r.l. consente che con delibere a maggioranza si apportino rilevanti modificazioni ai diritti dei soci, mentre l'unanimità è prevista solo per la fattispecie di cui all'art. 2468, comma 3, c.c. che attiene ai particolari diritti spettanti ai soci e riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.
A ciè è stato ulteriormente aggiunto (7) come la possibilità di introdurre a maggioranza clausole di gradimento senza condizioni o addirittura d'intrasferibilità, desunta chiaramente dall'attribuzione al socio del diritto di recesso, consente di ritenere a fortiori che siano approvabili a maggioranza le clausole di prelazione, che rappresentano un minus rispetto alle prime.
Occorre, però, precisare che l'argomento a fortiori non sembra inattaccabile, in quanto l'introducibilità a maggioranza delle clausole di mero gradimento trova la sua ratio nella previsione del diritto di recesso, qualificabile come strumento di tutela per il socio, disposto al fine di evitare il ricorso all'unanimità, che costituirebbe un eccessivo intralcio all'operatività della società. Tale strumento non è applicabile, però, alle clausole di prelazione nelle s.r.l., stante il disposto dell'art. 2469, che attribuisce il diritto di recesso esclusivamente nell'ipotesi di clausole d'intrasferibilità o che subordinino il trasferimento al mero gradimento di organi sociali o terzi o che pongano limiti che in concreto impediscano il trasferimento a causa di morte, non facendo la benché minima menzione alle clausole di prelazione, né potendo esse essere ricomprese in quelle elencate dalla norma. Si vuole, in altre parole, rilevare, come non sia possibile, al fine di affermare il superamento dell'unanimità anche per l'introduzione delle clausole di prelazione, far riferimento a quelle di gradimento, in quanto in tale ultima ipotesi la non necessità del consenso di tutti soci trova la sua ragione nella tutela sostitutiva costituita dal diritto di recesso.
L'introducibilità delle clausole di prelazione a maggioranza sembra, quindi, continuare a trovare fondamento nelle corrette argomentazioni formulate dalla dottrina anteriormente alla riforma.
Occorre, infine, rilevare come alcuni Autori (8) hanno precisato che il diritto di recesso non si possa escludere per ogni tipo di clausola di prelazione ed in particolare per quelle cosiddette improprie. Tali clausole si caratterizzano per la circostanza che il socio è obbligato ad offrire la propria partecipazione agli altri soci ad un prezzo predeterminato da un collegio di arbitratori o dal consiglio d'amministrazione. In tali ipotesi non può negarsi a priori il diritto di recesso, in quanto occorrerà individuare la finalità con la quale è stata redatta la clausola. Se essa risponde esclusivamente al principio di una equa determinazione del prezzo, per evitare manovre fraudolente da parte del venditore, non sembra invocabile da parte del socio il diritto di recesso, stante la sussistenza della certezza oggettiva ed aprioristica di poter disinvestire. Qualora, invece, la clausola di prelazione impropria sia stata inserita nell'atto costitutivo con il solo scopo di deprezzare la partecipazione per impedire al socio l'uscita dalla società, sembra corretto attribuire il diritto di recesso, in quanto unico mezzo di tutela di fronte ad una clausola che, seppur surrettiziamente, impedisce l'alienazione della partecipazione.
2. Contenuto della denuntiatio.
La prima delle massime in commento, al fine di stabilire la necessità dell'indicazione del terzo acquirente nella denuntiatio, afferma come occorra, attraverso l'utilizzazione dei criteri d'interpretazione del contratto, verificare se la clausola sia posta o meno a tutela dell'interesse del socio ad impedire l'ingresso in società di soggetto a lui non gradito.
La denuntiatio, secondo l'orientamento prevalente, non è l'enunciazione della mera intenzione di vendere la propria quota, ma integra una vera e propria proposta contrattuale.
Questa tesi è stata contestata da autorevole dottrina (9) che ha rilevato come non vi sarebbe alcun motivo per cui l'alienante, che ha ricevuto una proposta vantaggiosa da un terzo, debba rinunciare, nei confronti degli aventi diritto alla prelazione, al ruolo eventuale di accettante, affrontando così il rischio di una sicura conclusione del contratto. Si è ulteriormente specificato che, qualificare la denuntiatio come proposta contrattuale, sarebbe lesivo dell'interesse del soggetto passivo del rapporto di prelazione a verificare se anche il soggetto attivo sia disponibile ad offrire le medesime condizioni del terzo e, quindi, a decidere solo in un momento successivo se addivenire o no alla stipulazione.
A ciò, però, si è correttamente obiettato (10) come da tutta la normativa in tema di prelazione legale, a cui quella volontaria e, quindi, anche quella in materia societaria, fa certamente riferimento, si desume in maniera evidente come in capo all'alienante sussista un vero e proprio obbligo di offrire, con la conseguenza che la denuntiatiodeve essere qualificata come vera e propria proposta contrattuale.
Sembrano, inoltre corrette le considerazioni di chi (11) ha rilevato come, nell'ipotesi in esame, l'oblato ha solamente la possibilità di addivenire o no alla stipula del contratto, ma non di controproporre altre clausole o condizioni, e questa situazione è tipica dell'accettazione.
La configurazione della denuntiatio come vera e propria proposta contrattuale determina, di conseguenza, la necessità che essa sia completa e contenga tutti gli elementi del contratto che s'intende concludere.
Nell'àmbito di tali elementi non è ben chiaro se debba essere ricompresa anche l'indicazione del terzo intenzionato ad acquistare la partecipazione sociale.
Parte della dottrina (12), ponendo in rilevanza le finalità di controllo che persegue la clausola di prelazione, cioè la possibilità per l'avente diritto d'impedire il trasferimento ad un soggetto non gradito, ha affermato in tutte le ipotesi di prelazione, tanto legale che volontaria, l'essenzialità nella denuntiatiodella menzione del nome del soggetto acquirente, sussistendo per entrambe i tipi di prelazione il medesimo regime giuridico di base.
Di opposto parere è parte della giurisprudenza di merito (13) che ha affermato come il patto di prelazione in materia societaria non obbligherebbe l'alienante a comunicare agli altri soci il nominativo del terzo proponente se non quando l'imponga una norma di legge o una clausola dello statuto. Secondo tale orientamento non potrebbe ravvisarsi l'esistenza di un interesse degli altri soci a conoscere il nominativo del terzo aspirante all'acquisto, poiché funzione della prelazione in campo societario sarebbe esclusivamente quella di consentire ai soci favoriti di accrescere la loro ingerenza nell'amministrazione della società ma non quella di permettere loro il controllo sulla qualità delle persone che intendono entrare in società.
Nettamente predominante tanto in dottrina (14) che in giurisprudenza (15) è l'orientamento, a cui si è correttamente conformato il giudice di merito nella sentenza in commento, che ha rilevato come l'indicazione del terzo sia necessaria, quando, valutate le circostanze del caso concreto ed esaminata la volontà posta alla base della clausola di prelazione, emerga chiaramente la rilevanza dell'intuitus personae.
Si è ulteriormente precisato come tale indicazione non solo consentirebbe di tutelare l'interesse della società al mantenimento dell'omogeneità della compagine sociale, ma permetterebbe altresì un corretto esercizio del diritto di prelazione, in quanto la serietà dell'offerta potrebbe assumere una rilevanza determinante anche in base all'identità del soggetto offerente.
La tematica della menzione del terzo acquirente nella denuntiatio sembra per le s.r.l, alla luce della riforma del diritto societario, assumere contorni più chiari e definiti. A seguito del D.Lgs. n. 6 del 2003 la s.r.l. non è più qualificabile come mero sottotipo della s.p.a., avendo al contrario assunto un'autonoma rilevanza per l'impronta marcatamente personalistica impressale dal Legislatore, che l'ha fortemente avvicinata alle società di persone. L'importanza che, quindi, è venuto ad assumere l'intuitus personaenella società a responsabilità limitata, sembra poter condurre, in considerazione dell'orientamento consolidato sopra citato della Suprema Corte, ad affermare la necessaria menzione del terzo acquirente in sede di denuntiatio.
3. Rinunziabilità del diritto di prelazione.
Non si dubita che il diritto di prelazione in materia societaria sia un diritto disponibile e come tale suscettibile di rinuncia da parte del suo titolare. A tal proposito la Corte di Cassazione (16) ha rilevato come, qualora lo statuto di una società accordi a ciascun socio la prelazione, in caso di vendita di azioni di altro socio, facendo carico al secondo di dare comunicazione della proposta ed attribuendo al primo la facoltà di accettarla entro un determinato termine, il diritto di questi è suscettibile di rinuncia, vertendosi in materia di diritti disponibili, e tale rinuncia ha effetto anche nei confronti di chi successivamente acquisti i titoli del rinunciante. Tale pronuncia precisa, inoltre, come il diritto in esame sia rinunciabile dopo la comunicazione della denuntiatio, presupponendo, pare, il recepimento dell'orientamento che configura la nascita del diritto di prelazione solo a seguito dell'adempimento della suddetta comunicazione.
Anche la sentenza in commento ribadisce tali affermazioni, sostenendo la rinunciabilità del diritto di prelazione, trattandosi di una posizione attiva, vertente in materia disponibile, che non incide né sull'atto costituivo né sullo status correlato alla partecipazione sociale, ed affermando l'esercitabilità dell'atto abdicativo dopo la comunicazione della denuntiatio. Il giudice di merito pone, inoltre, delle specifiche condizioni affinché tale rinuncia possa essere validamente esercitata.
Si afferma, infatti, come essa debba riferirsi ad una progettata alienazione del bene ed il rinunciante debba essere a conoscenza di tutte le condizioni di vendita, potendosi avere una consapevole rinuncia solo nell'ipotesi in cui il titolare del diritto sia in grado di valutare tutti gli aspetti positivi o negativi della sua scelta.
Se in ordine alla rinunciabilità del diritto di prelazione non sussistono dubbi, ben più problematica è la questione riguardante il momento in cui può essere esercitata la rinuncia.
Parte della giurisprudenza di legittimità (17), seppur non specificamente in tema di prelazione societaria, si è orientata in maniera difforme dalla sentenza in commento e dalla sopra citata pronuncia della Suprema Corte, affermando la possibilità di una rinuncia, anche preventiva rispetto alla denuntiatio. Si è, infatti, contestato che il diritto in esame nasca solo ed esclusivamente con la notificazione della denuntiatio, in quanto esso sorge ben prima, segnando la comunicazione della proposta d'acquisto solo il momento in cui il diritto di prelazione diviene attuale. Nell'àmbito di tale orientamento è stato, inoltre, precisato che, affinché la rinuncia sia validamente esercitata vi deve, comunque, essere un progetto concreto e determinato di alienazione in cui già sono stabiliti gli elementi essenziali del negozio, di cui il rinunziante dovrà essere a conoscenza. Ciò trova giustificazione nella considerazione che, se la prelazione è il diritto di essere preferito a parità di condizioni rispetto ai terzi, non vi può essere rinuncia all'esercizio di tale diritto se non si conoscono i termini dell'accordo intercorso tra il soggetto passivo ed il terzo acquirente, in quanto solo ed esclusivamente nel momento in cui essi vengono stabiliti il diritto diventa attuale.
Di diverso avviso sembra essere un recente orientamento della Suprema Corte (18) che in materia successoria ha affermato come la rinuncia possa essere validamente esercitata anche di fronte ad un generico progetto di vendita in cui non siano specificati in maniera chiara e definita i termini dell'operazione, in quanto il diritto di prelazione nascerebbe ben prima della denuntiatio o della definizione dell'affare. A ben vedere, però, questa tesi suscita qualche perplessità, in quanto la prelazione presuppone la sussistenza di un accordo circa i termini del negozio di trasferimento tra il soggetto obbligato ed il terzo acquirente, altrimenti non sarebbe possibile individuare quella parità di condizioni di fronte alla quale il prelazionario può esercitare il suo diritto ed allo stesso modo può rinunziarvi.
Appare condivisibile l'affermazione contenuta nella quarta massima nella quale si sostiene l'ammissibilità di una rinuncia per comportamenti concludenti, non essendo richiesta la forma solenne.
Di parere diverso, per ciò che riguarda la prelazione agraria e quella urbana è la Suprema Corte (19) che ha affermato la necessità della forma scritta ai sensi dell'art. 1350 n. 5, in quanto il diritto di prelazione è rivolto al trasferimento della proprietà di un bene immobile.
Tale orientamento è stato contestato dalla dottrina prevalente (20) che ha correttamente rilevato come l'art. 1350 n. 5 prevede la forma scritta per la rinuncia ad un diritto di cui già si è titolari, mentre con la rinuncia alla prelazione si dismette semplicemente la possibilità di rendersi acquirenti di quel diritto. Né potrebbe sostenersi che il rifiuto di una proposta contrattuale, qual è la denuntiatio, dovrebbe rivestire la medesima forma che la legge richiede per l'accettazione. È ben noto, infatti, come le prescrizioni di carattere formale abbiano natura eccezionale e come tali non siano estensibili al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge.
Le argomentazioni della Suprema Corte sembrano, comunque, non poter trovare applicazione nell'ipotesi della rinuncia alla prelazione in caso di trasferimento di quote di s.r.l., in quanto per tale negozio, secondo la dottrina prevalente, non sussiste la necessità della forma ad substantiam. A ben vedere, infatti, nonostante la L. n. 310 dell'agosto del 1993 abbia stabilito che il trasferimento delle quote di s.r.l., per essere iscritto nel libro soci, debba risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata e debba essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione ha sede la società, la dottrina prevalente (21) e la giurisprudenza (22) ritengono che non si tratti di forma ad substantiam. Si è, infatti correttamente rilevato che, seppur alla luce della ratio legis l'intenzione del Legislatore fosse stata quella d'imporre la forma a pena di nullità, tale intenzione non è stata trasposta nel dettato normativo, che richiede una forma specifica solo ed esclusivamente ai fini del deposito nel registro delle imprese.
Mancando, quindi, una chiara disposizione legislativa impositiva della forma ad substantiam, e stante il divieto di estendere le prescrizioni formali al di là delle ipotesi espressamente previste, si è affermata la libertà di forme per il trasferimento delle partecipazioni di s.rl.
Da tutto quanto detto, quindi, risulta tanto più corretto l'orientamento espresso nella sentenza in commento che ammette la possibilità di una rinuncia alla prelazione mediante comportamenti concludenti.
4. Efficacia della clausola di prelazione e del trasferimento in violazione della prelazione.
L'efficacia della clausola di prelazione e la sorte della cessione della quota societaria effettuata in violazione di essa hanno dato luogo a diverse interpretazioni. Parte della dottrina (23) ha affermato come la clausola di prelazione avrebbe esclusivamente efficacia obbligatoria, in quanto, stante il perseguimento d'interessi esclusivamente individuali, essa sarebbe equiparabile ad un patto parasociale.
La conseguenza di tale ricostruzione è che l'unica tutela del socio leso nel diritto di prelazione consisterebbe nell'azione risarcitoria, non essendo possibile inficiare il trasferimento al terzo.
Una dottrina più risalente (24) è giunta alle medesime conclusioni sulla scorta, però, di diverse argomentazioni. Tale Autore ha affermato come dagli artt. 1379 e 1372, comma 2, si desumerebbe un principio generale per cui solamente la legge e non anche l'autonomia privata può imporre limitazioni aventi efficacia reale alla libera circolazione dei beni. Sulla base di ciò questa dottrina ha rilevato come, non sussistendo tale imposizione legislativa per le clausole di prelazione, se ne debba necessariamente negare la natura reale.
L'orientamento prevalente (25) sostiene, invece, come l'inserimento nello statuto della clausola di prelazione eleva quest'ultima a regola dell'ordinamento societario, conoscibile da parte di tutti per la pubblicità a cui essa è sottoposta, e dotata di efficacia reale.
Non vi è, però, concordia di opinioni tra coloro che sostengono la tesi dell'efficacia reale in ordine alle conseguenze dell'alienazione effettuata in violazione della clausola di prelazione.
La giurisprudenza di legittimità (26) ha affermato come il trasferimento della partecipazione posto in essere senza rispettare il diritto di prelazione sarebbe affetto da nullità assoluta, poiché, stante quanto disposto dall'art. 2355, ci si troverebbe di fronte ad una prelazione stabilita dalla legge. Tale tesi è stata oggetto di forti critiche (27), in quanto si è rilevato come la nullità opera solo ed esclusivamente nel caso di violazione di norme imperative e non anche nell'ipotesi di violazione di patti negoziali, tra i quali certamente rientra la clausola di prelazione, che l'art. 2355 si limita esclusivamente a contemplare. Non è neppure possibile sostenere la sussistenza di un collegamento tra l'efficacia reale della clausola e la sanzione della nullità, in quanto, come è stato correttamente rilevato (28), la limitazione del potere di disporre, che è insito in ogni clausola di prelazione, non concerne gli elementi essenziali del negozio, ma è esterna ad essi e riguarda il soggetto che pone in essere il trasferimento.
Autorevole dottrina (29) ha sostenuto come le limitazioni derivanti dalla clausola di prelazione non incidono né sulla circolazione dell'azione né nei confronti della società, che non potrebbe rifiutare l'iscrizione nel libro dei soci dell'acquirente sulla base della violazione del patto di prelazione. Secondo tale tesi la posizione dei membri della compagine sociale sarebbe equiparabile a quella dei coeredi aventi diritto alla prelazione, con la conseguenza che la tutela per i soci sarebbe garantita dall'esercizio del diritto di riscatto nei confronti del terzo acquirente.
La dottrina prevalente sostiene, invece, la tesi dell'inefficacia dell'alienazione posta in essere in violazione della clausola di prelazione.
Nell'àmbito di quest'unico orientamento si sono formate due principali varianti. Alcuni Autori (30) hanno affermato la piena efficacia del trasferimento inter partes e l'inefficacia nei confronti della società. Tale tesi determinerebbe, non solo la possibilità per la società di rifiutare l'iscrizione dell'acquirente nel libro dei soci, ma anche la legittimazione esclusiva in capo ad essa ad agire giudizialmente al fine di far valere l'inefficacia del trasferimento. Altri Autori (31) e numerose pronunce di merito (32) hanno invece sostenuto l'inefficacia assoluta, tanto nei confronti dei soci che della società, dell'alienazione della partecipazione sociale in spregio della clausola di prelazione, con la conseguenza che anche i singoli soci potrebbero farne valere l'inefficacia.
In maniera conforme si è espresso, nella sentenza in commento, il Giudice di merito che ha rilevato come la violazione del patto di prelazione conduce alla dichiarazione d'inefficacia assoluta del contratto di vendita ed alla ricostituzione della situazione precedente in capo al socio pretermesso. Quest'orientamento pare corretto e condivisibile, in quanto sussiste una duplicità d'interessi lesi, quelli della società e quelli dei soci, a cui deve conseguire una sanzione operante nei confronti di entrambi i soggetti. Tale sanzione deve essere necessariamente individuata nell'inefficacia, non essendo possibile, per i motivi già precedentemente esposti, configurare un'ipotesi di nullità.
Autore: Dott. Salvatore Clericò, pubblicato su "Riv. notariato", 2006, 2, 546
Note:
(1) L. Ferri, Le società, in Tratt. di dir. civ., a cura di Vassalli, UTET, 1985, p. 486.
(2) Angelici, Azioni - gruppi, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 2, Torino, 1991, p. 190 ss.
(3) Cass., 26 novembre 1998, n. 12012, in questa Rivista, 1999, p. 755; Cass., 19 agosto 1996, n. 7614, in Giur. comm., 1997, II, p. 520; Cass., 15 luglio 1993, n. 7859, in Foro it., 1994, I, p. 406.
(4) Cass., 9 novembre 1993, n. 11057, in Vita not., 1994, p. 820; App. Roma, 7 dicembre 1989, in Foro it., 1990, I, p. 2027; Trib. Modena, 21 settembre 1996, in Soc., 1997, p. 84.
(5) Campobasso, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 247.
(6) Magliulo, in AA.VV., La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 216; AA.VV., Le massime del consiglio notarile di Milano, Milano, 2005, p. 29.
(7) AA.VV, Le massime, cit., p. 30.
(8) Maltoni, in AA.VV., La riforma, cit., p. 182.
(9) G. Gabrielli, voce Patto di prelazione, in Enc. giur., XXIII, 1990, p. 5.
(10) Catricalà, Funzioni e tecniche della prelazione convenzionale, in Riv. dir. civ., 1978, II, p. 546.
(11) Rubino, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo continuato da Mengoni, Milano, 1971, p. 67.
(12) Spallanzani, in questa Rivista, 1979, p. 1452 ss.
(13) App. Bologna, 25 gennaio 1978, in Giur. comm., 1982, II, p. 303; Trib Roma, 29 ottobre 1988, in Impresa, 1988, p. 3006.
(14) Per tutti Santoro Passarelli, Struttura e funzione della prelazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, p. 697 ss.
(15) Cass., 12 giugno 2001, n. 7879, in questa Rivista, 2002, p. 232; Cass., 12 marzo 1981, n. 1407, in questa Rivista, 1981, p. 706.
(16) Cass., 15 novembre 1993, n. 11278, in Giust. civ., 1994, I, p. 1583.
(17) Cass., 22 gennaio 1994, n. 624, in Vita not., 1994, p. 1368.
(18) Cass., 14 gennaio 1999, n. 310, in Notariato, 2000, p. 252.
(19) Cass., 4 marzo 2003, n. 3166, in Mass. Giust. civ., 2003, f. 3; Cass., 10 aprile 1996, n. 3313, in questa Rivista, 1996, p. 1447; Cass., 21 marzo 1995, n. 3241, in Mass. Giust. civ., 1995, p. 650.
(20) D'Orazi, Rinuncia alla prelazione, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, III, p. 816; Triola, La prelazione legale, Milano, 2003, p. 271.
(21) Laurini, La società a responsabilità limitata, Milano, 2000, p. 71; Campobasso, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 554, nota 1.
(22) Cass., 23 gennaio 1997, n. 697, in Soc., 1997, p. 647; Cass., 10 novembre 1998, n. 11296, in Giust. civ., 1999, p. 1717.
(23) Maccabruni, in Giur. comm., 1990, II, p. 96; Oppo, I contratti parasociali, Milano, 1942, p. 40.
(24) Messineo, Nullità ed inefficacia relative della clausola di gradimento nell'acquisto di azioni, in Riv. soc., Milano, 1962, p. 533 ss.
(25) Per tutti Campobasso, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 242 e Di Sabato, Società, Torino, 1995, p. 340.
(26) Cass., 21 ottobre 1973, n. 2763, in Giur. comm., 1975, II, p. 23; Cass., 10 ottobre 1957, n. 3702, in Giur. it., 1958, I, 1, p. 548.
(27) Trib. Milano, 23 settembre 1991, in Soc., 1992, p. 357.
(28) Carnevali, in nota a Trib. Bassano del Grappa, 17 febbraio 1993, in Soc., 1993, p. 978.
(29) Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile, Torino, 3, p. 486.
(30) Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, p. 268; De Ferra, La circolazione delle partecipazioni azionarie, Milano, 1964, p. 221.
(31) Campobasso, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 242 e Di Sabato, Società, Torino, 1995, p. 337.
(32) Per tutte Trib. Milano, 23 settembre 1991, in Soc., 1992, p. 357; Trib. Roma, 4 maggio 1998, in Vita not., p. 305.