Appalti pubblici: mere variazioni, perizia suppletiva, novazione del progetto originario (brevi riflessioni) *

 

L'art. 343 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F (legge ll.pp.), costituisce la disposizione normativa fondamentale in tema di jus variandi dell'amministrazione sui progetti di opere pubbliche già posti in esecuzione.

La norma in esame consente all'Amministrazione, ove se ne verifichi il bisogno, di introdurre nei progetti di lavori, già in corso di esecuzione, «variazioni od aggiunte» che non siano previste dal contratto e di provvedere a tale scopo «mediante una perizia suppletiva che servirà di base ad una distinta sottomissione o ad un'appendice al contratto principale».

La «distinta sottomissione» o la «appendice al contratto principale» non costituiscono atto genetico di un nuovo rapporto, ma fatto aggiuntivo dell'originario contratto.

Il successivo art. 344 pone il limite del c.d. quinto d'obbligo nei confronti dell'appaltatore che, in caso di richiesta delle varianti, è obbligato ad assoggettarsi alle stesse fino alla concorrenza di un quinto del prezzo di appalto - alle stesse condizioni - mentre al di là di tale limite ha diritto alla risoluzione del contratto.

Dal combinato disposto degli artt. 343 e 344 legge ll.pp., deriva che non occorre perizia suppletiva per aggiunte o variazioni che non superano il quinto dei lavori (mere variazioni ai sensi dell'art. 344).

In materia di pubblici appalti, il limite al c.d. jus variandi dell'Amministrazione, con la procedura della perizia suppletiva, va riferito alla necessità che si tratti di lavori originariamente non previsti e tuttavia indispensabili sotto un profilo tecnico o economico per il completamento e la funzionalità dell'opera. Sempre che le aggiunte o varianti non siano tali da snaturare la configurazione originaria dell'opera stessa (limite qualitativo).

La normativa dell'art. 343 suddetto non precisa in dettaglio i limiti qualitativi di tali variazioni. Utili indicazioni possono trarsi dall'art. 20 del Regolamento approvato con R.D. 25 maggio 1895 n. 350 e dall'art. 13 del Capitolato generale di appalto delle opere pubbliche, nella considerazione che la prima di dette norme si riferisce alla «manutenzione di tracciato, di forma, di dimensione e di qualità dei lavori» e «variazione nelle quantità delle singole categorie di opere», e che la seconda riguarda «tutte le variazioni ritenute opportune dall'amministrazione appaltante».

Un richiamo ancora più puntuale è contenuto sempre nell'art. 13 del Capitolato generale di appalto delle opere pubbliche, il quale pone il limite che non sia mutata «essenzialmente la natura delle opere comprese nell'appalto».

Presupposto necessario, perché si possa addivenire all'introduzione della perizia di variante e suppletiva, è che si sia verificato il «bisogno» di introdurre le variazioni non previste nel contratto.

Il termine usato dal legislatore, «bisogno», anche se estremamente generico, non può essere interpretato che in relazione ai generali principi di buon andamento dell'Amministrazione e di esigenza di assicurare il più pronto e puntuale adeguamento dell'opera da realizzare rispetto alle esigenze obiettive e ben delineate, in modo da offrire all'Amministrazione stessa, con criterio di efficienza e di economia, un rimedio immediato per far fronte alle maggiori ed impreviste esigenze, ma pur sempre entro i limiti (qualitativi) che disciplinano la materia. Non può, in altri termini, essere utilizzato il suddetto art. 343 indiscriminatamente, ma il bisogno di apportare le varianti deve essere sorretto dall'esigenza di non addivenire ad un mutamento tale - per le sue proporzioni e le sue caratteristiche - da snaturare la configurazione originaria dell'opera (mutamento che configurerebbe novazione del progetto originario).

Si tratta di evitare un comportamento elusivo dell'evidenza pubblica, consentendo all'Amministrazione di svolgere una procedura concorsuale per determinati lavori, per poi affidare nuovi e più rilevanti lavori (anche se riferibili allo stesso bene) alla stessa impresa risultata aggiudicataria in precedenza, ma con riferimento a una offerta diversa.

Ciò premesso, resta ovviamente fermo che anche l'affidamento dei lavori aggiuntivi all'appaltatore è inammissibile, se non risponde ai presupposti ed alle regole che disciplinano la stipulazione dei contratti a trattativa privata.

Tale quadro normativo è stato in parte modificato per effetto delle previsioni contenute nell'art. 25 L. 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni.

In virtù del sopravvenuto art. 25 cit., le variazioni, anche se soltanto quantitative, saranno ammissibili solo inerenti una delle ipotesi tassativamente previste.

Ferme restando le nozioni di lavori aggiuntivi e novazione del progetto originario elaborate dalla giurisprudenza con riferimento agli artt. 343 e 344 cit. e i limiti quantitativi e qualitativi ivi previsti. 

Dall'introduzione di variazioni e addizioni nel limite (quantitativo) all'appaltatore non compete diritto ad alcuno speciale compenso o indennizzo, oltre al corrispettivo dei lavori in cui consistono la variazioni o addizioni.

Nel caso di variazioni e addizioni oltre il suddetto limite, l'interesse dell'appaltatore è tutelato mediante il diritto potestativo allo scioglimento del contratto. Il diritto allo scioglimento del contratto non è che il mezzo offerto all'appaltatore per dargli modo di sottrarsi all'espansione dei suoi obblighi.

Anche secondo l'art. 25 cit. della legge 109/94, in caso di variazioni al di fuori dei casi ovvero dei limiti previsti, è dato all'appaltatore rifiutare la variazione e instare per la risoluzione del contratto.

Autore: Avv. Giovanni Maria di Lieto - tratto dal sito: www.giustizia-amministrativa.it

Pubblicato sul numero 12/2004 di www.giustamm.it ' Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato