IL TESTAMENTO
Indice:
Richiami generali e funzione del testamento
Le disposizioni patrimoniali
Le disposizioni non patrimoniali
Caratteri del testamento
Interpretazione del testamento
La capacità di disporre per testamento
La capacità di ricevere per testamento
L'incapacità di ricevere per testamento
Gli elementi accidentali del testamento
La divisione del testatore
Le invalidità testamentarie
Il testamento orale o nuncupativo
La diseredazione
Richiami generali e funzione del testamento
La successione ereditaria può essere legittima o testamentaria, a seconda che sia regolata dalla legge o dalla volontà del de cuius manifestata nel testamento.
Mentre la successione legittima trova il suo fondamento nella tutela dell'interesse superiore della famiglia, quella testamentaria risponde all'esigenza di garantire la piena realizzazione dell'interesse individuale del testatore, anche non economico, di dare una destinazione al suo patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
Essa, infatti, è stata definita come quel fenomeno di successione a causa di morte che l'ordinamento giuridico ricollega alla presenza di un valido ed efficace negozio testamentario del de cuius, dal quale sono fatte dipendere l'individuazione del destinatario e la determinazione dell'oggetto della successione medesima.
L'autonomia testamentaria, per quanto ampia, incontra, tuttavia, alcuni limiti giustificati dalla necessità di assicurare a determinati soggetti, legati al testatore da particolari vincoli familiari, una parte del patrimonio ereditario: con il testamento, ad esempio, non si può intaccare né la quota dell'asse che la legge riserva ai legittimari ( art. 457, comma terzo, Codice civile ) - i quali, se lesi o pretermessi, possono agire in riduzione e far caducare le disposizioni lesive ( artt. 553 e seg. Codice civile )-, né imporre pesi o condizioni sulla stessa.
Per il resto, la volontà del testatore è sostanzialmente libera, potendo le disposizioni testamentarie avere un contenuto anche bizzarro o capriccioso, purché lecito (vedi, tra gli altri, art. 626 Codice civile ), e non dovendo le stesse essere socialmente meritevoli ( art. 1322 Codice civile ), come previsto, invece, per le clausole contrattuali.
Il testatore, pertanto, in attuazione dell'ampia autonomia riconosciutagli, è libero non solo di stabilire chi siano i chiamati ed in quale modo lo siano, ma anche di prevedere accanto ai legati tipici, disciplinati dalla legge, una serie infinita di legati atipici.
Egli, inoltre, può disporre anche solo di una parte del patrimonio o di alcuni beni, trovando attuazione, relativamente alla parte non oggetto delle disposizioni testamentarie, le norme ed i criteri di devoluzione c.d. legittima.
Nel rapporto tra le due successione testamentaria e quella legittima ( art. 457, comma secondo, Codice civile ), prevale la prima, dal momento che non si fa luogo alla successione legittima se non quando manchi in tutto o in parte quella testamentaria.
Il testamento, infine, può contenere disposizioni patrimoniali e non patrimoniali.
Le prime sono previste dal I comma dell' art. 587 Codice civile , che definisce il testamento come l'atto "con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse".
Le seconde sono contemplate dal II comma dello stesso articolo, dove si legge che "le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale".
LE DISPOSIZIONI PATRIMONIALI
Le disposizioni di carattere patrimoniale costituiscono il contenuto tipico del testamento, la cui funzione primaria, quella di indirizzare la vocazione dei beni ereditari attraverso la designazione di uno o più beneficiari.
Sono classicamente patrimoniali le disposizioni attributive della qualità di erede o di legatario, nonché le disposizioni a queste complementari.
Erede è colui che succede in universum ius (o, meglio, in locum et ius) defunti, colui cioè a favore del quale è devoluta l'universalità dei beni del testatore o una quota di essi, come stabilisce l' art. 588, comma I, Codice civile , a norma del quale "le disposizioni testamentaria, qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore".
Legatario, invece, è colui che succede a titolo particolare, al quale, cioè,, secondo l'impostazione tradizionale,sono assegnati beni in modo determinato.
Quest'ultima affermazione, tuttavia, se da un lato ha il pregio della chiarezza, ha dall'altro il torto di cogliere solo un aspetto del complesso fenomeno: la dottrina, infatti, ha da tempo precisato che la predetta assimilazione tra legato e successione a titolo particolare è riferibile solo all'ipotesi normale in cui il legato si concreta nell'attribuzione diretta della titolarità di un bene o di alcuni beni determinati già facenti capo al de cuius.
In altre ipotesi di legato, manca, invece, un nesso di derivazione immediata del diritto trasmesso con la posizione giuridica del disponente.
A titolo di esempio si possono ricordare i casi di legato obbligatorio: legato di cosa dell'onerato o di un terzo ( art. 651 Codice civile ), legato di cosa genericamente determinata ( art. 653 Codice civile ), legato di alimenti ( art. 660 Codice civile ), legato di rendita vitalizia ( art. 1872 Codice civile ) etc.
Ma anche tra i legati ad efficacia immediatamente dispositiva se ne possono individuare alcuni in cui non si realizza un fenomeno di successione in senso tecnico: valga per tutti l'esempio del legato di liberazione da debito ( art. 658 Codice civile ).
La dottrina si mostra così propensa ad una definizione in termini negativi ed afferma che si ha legato tutte le volte in cui non si è in presenza di un'istituzione di erede, anche nella forma dell'institutio ex re certa. Ricorre quest'ultima figura quando il testatore, pur assegnando beni certi e determinati, ha inteso attribuirli come quota del patrimonio, considerandoli, cioè, nel loro rapporto con il tutto.
L'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni, infatti, non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando sono considerati come quota del patrimonio ( art. 588, comma secondo, Codice civile ).
Le disposizioni patrimoniali di genere diverso dall'istituzione di erede e dal legato - come ad esempio il riconoscimento di un debito - sono valide nei limiti entro cui lo sarebbero quali atti unilaterali negoziale tra vivi.
Sono riconducibili inoltre alla patrimonialità del testamento le disposizioni che, pur non avendo consistenza economica, regolano strumenti preordinati alla individuazione di essa, come le norme che riguardano il terzo arbitratore o il terzo incaricato di redigere il progetto di divisione fra i coeredi ( art. 733 Codice civile ).
Una distinzione importante da farsi, in ordine, al requisito della patrimonialità, riguarda la fondazione: quando, infatti, la stessa viene costituita con testamento, occorre differenziare l'atto costitutivo della fondazione che presenta i caratteri di atto mortis causa non patrimoniale cui il testamento presta la sua forma, dall'attribuzione patrimoniale che è costituita dalla dotazione, la quale ha contenuto chiaramente patrimoniale e si può presentare come istituzione a titolo universale o a titolo particolare.
Disposizione indirettamente patrimoniale, infine, è la riabilitazione dell'indegno, vale a dire di colui che per la sua condotta ( art. 463 Codice civile ) verso il defunto non è ritenuto meritevole di succedere e come tale è escluso dalla successione, secondo l'orientamento dominante in dottrina che, richiamandosi al noto brocardo per cui l'indegno potest capere sed non potest retinere, nega che l'indegnità integri un'ipotesi di incapacità, sia pure relativa, a succedere.
L'indegno, peraltro, se non espressamente riabilitato, può comunque succedere se è stato contemplato nel testamento e nei limiti della disposizione testamentaria, purché il testatore conoscesse la causa di indegnità ( art .466 Codice civile ).
LE DISPOSIIZONI NON PATRIMONIALI
Accanto alle disposizioni patrimoniali, il testamento può anche (ovvero esclusivamente) contenere disposizioni di carattere non patrimoniale, ai sensi dell' art. 587 Codice civile per il quale possono costituire oggetto dell'atto di ultima volontà le disposizioni non patrimoniali che "la legge consente siano contenute in un testamento".
Alcune di esse sono espressamente disciplinate dal codice - come ad esempio il riconoscimento di figlio naturale (art. 254 Codice civile); la designazione del tutore del minore da parte del genitore ultimo esercente la potestà ( art. 348 Codice civile ); la nomina del curatore per l'amministrazione dei beni lasciati al minore ( art. 356 Codice civile ); la designazione del tutore dell'interdetto o del curatore dell'inabilitato ( art. 424 Codice civile ); la designazione dell'esecutore testamentario - ma non è da escludere che il testatore possa avvalersi del negozio mortis causa anche per disposizioni non patrimoniali non tipicamente contemplate, con il solo limite della liceità dei motivi che le ispirano.
Il testamento, così, può racchiudere l'espressione di una volontà non dispositiva, come quando di esso ci si serva per raccomandazioni concernenti il comportamento secondo sani principi, ovvero per l'invocazione ad evitare dissidi in ordine alla divisione dei beni.
Siffatte dichiarazioni, se non siano tecnicamente oggetto di condizione o modus, non producono alcuna conseguenza giuridica, sostanziandosi in una mera raccomandazione morale, ovvero in un semplice consiglio.
Con riferimento alle disposizioni di carattere non patrimoniale assume particolare rilievo la distinzione, evidenziata dalla dottrina, tra il testamento come "atto", secondo la definizione "anodina" usata dal legislatore all' art. 587 Codice civile , ossia come documento o "carta" formata nel rispetto dei tipici e solenne requisiti formali di cui agli artt. 601 - 619 Codice civile , ed il testamento come negozio come negozio che pone il regolamento della vicenda successoria dell'autore.
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, infatti, possono essere di per sé atti negoziali o non negoziali di ultima volontà, ma non integrano mai un negozio testamentario e, pur se contente in un unico "atto documentale", possono richiedere capacità diverse rispetto a quella prevista per testare: così, ad esempio, il riconoscimento di un figlio naturale contenuto in un testamento olografo redatto dall'infrasedicenne sarà valido anche se per il testamento (come negozio) occorre aver raggiunto la maggiore età.
Giova ora soffermarsi singolarmente sulle disposizioni non patrimoniali che appaiono più rilevanti o ricorrenti.
Riconoscimento di figlio naturale
Tale disposizione può essere contenuta in qualsivoglia forma di testamento (art. 254 Codice civile); se è adottata la forma olografa, occorrono, naturalmente, l'autografia, la data e la sottoscrizione ( art. 602 Codice civile ).
Non è richiesta nessuna forma particolare, essendo necessario, unicamente, che la volontà di riconoscere risulti in modo in equivoco.
Il riconoscimento di figlio naturale è irrevocabile; se racchiuso in un testamento, la relativa disposizione ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento sia stato revocato ( art. 256 Codice civile ).
Ai sensi dell'art. 46, comma II, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante il regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, il notaio, nei venti giorni successivi alla pubblicazione del testamento olografo o del testamento segreto o del passaggio del testamento pubico dal fascicolo a repertorio speciale degli atti di ultima volontà a quello generale degli atti tra vivi, deve inviare copia del testamento all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale si trova l'atto di nascita del riconosciuto, al fine della trascrizione dei registri dello stato civile.
Oltre che il riconoscimento di un figlio naturale, il testamento può contenere anche la volontà di legittimare, sempre che ricorrano le condizioni indicate all' art. 258 Codice civile : tale volontà espressa nell'atto mortis causa importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo (art. 254 Codice civile ).
Designazione di tutore, di curatore e di curatore speciale
Il genitore, che ha esercitato per ultimo la potestà, può designare con testamento il tutore del figlio minore di età, pur restando la nomina di competenza del giudice tutelare, il quale, per gravi motivi, può non attenersi all'indicazione testamentaria ( art. 348 Codice civile ).
Il notaio, che procede alla pubblicazione di un testamento contenente la designazione di un tutore o di un protutore, deve darne comunicazione al giudice tutelare entro dieci giorni.
Il genitore superstite può designare con testamento il tutore dell'interdetto ed il curatore dell'inabilitato ( art. 424 Codice civile ).
Infine, chi dispone con testamento a favore di un minore di età, anche se questi è soggetto alla potestà dei genitori, può nominargli un curatore speciale per l'amministrazione dei beni devolutigli ( art. 356 Codice civile ).
Nomina di esecutore testamentario
Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari, i quali hanno il compito di curare che siano esattamente eseguite le sue disposizioni di ultima volontà ( artt. 700, comma primo, e 703 Codice civile ).
Esecutori testamentari possono essere designati i soggetti - persone fisiche o giuridiche - che hanno la piena capacità di obbligarsi ( art. 701 Codice civile ); è altresì consentito al testatore di disporre delle sostituzioni.
La scelta della nomina può essere determinata da varie ragioni: sfiducia verso gli eredi controinteressati alla esecuzione di legati o di oneri, particolare fiducia verso la persona nominata esecutore, difficoltà delle questioni da risolvere, etc.
L'investitura dell'esecutore testamentario avviene con l'atto di nomina, qualificato dalla dottrina come atto di volontà accessorio, unilaterale, solenne, mortis causa e revocabile, il quale è seguito da un formale atto di accettazione della persona designata.
Secondo l'orientamento prevalente, avallato dalla stessa relazione al progetto preliminare del codice, l'istituto in esame si concreta in un ufficio di diritto privato senza funzione rappresentativa perché l'esecutore testamentario agisce in nome proprio e nell'interesse obiettivo dell'esatta realizzazione della volontà testamentaria; l'ufficio è di regola gratuito, salvo che il testatore non abbia previsto un compenso a carico dell'eredità.
Possono essere nominati esecutori testamentari anche gli eredi ed i legatari, ai quali, tuttavia, è precluso di procedere alla divisione dell'eredità, dal momento che l' art. 706 Codice civile stabilisce che il testatore può disporre che l'esecutore testamentario, quando non sia erede o legatario, possa procedere alla divisione, tra gli eredi, dei beni dell'eredità.
Nel caso in cui manchi la designazione di un esecutore testamentario, compete agli eredi di dare attuazione alle disposizioni di ultima volontà.
Divieto di pubblicazione di opera inedita ed autorizzazione alla pubblicazione di epistolari
Sebbene possa manifestarsi con uno scritto differente dal testamento, quest'ultimo può contenere sicuramente la volontà di vietare la pubblicazione di un'opera inedita, ovvero quella di fissare un termine prima del quale detta opera non possa essere pubblicata ( art. 24, legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d'autore).
Analogamente, il testamento può contenere il consenso alla pubblicazione di corrispondenze epistolari, di memorie familiari e personali ( art. 93, legge cit. ).
Disposizioni concernenti il funerale, la sepoltura ed il cadavere
Disposizioni non patrimoniali sono anche quelle concernenti i funerali ed il divieto di prelievo di parti di cadavere.
La volontà che le spoglie mortali del testatore siano cremate può essere espressa con chiarezza nel testamento e può essere rafforzata efficacemente mediante la previsione di un modus o di una penale testamentaria.
Giova ricordare, per quanto riguarda il diritto primario al sepolcro, consistente nel diritto di essere seppellito (ius sepulchri propriamente detto) o di seppellire altri in un determinato sepolcro (ius inferendi in sepulchrum), che lo stesso può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito oppure oneroso, anche per atto a causa di morte e quindi mediante testamento.
Per quanto attiene poi all'edificio della cappella funeraria, la disposizione testamentaria con cui si provvede alla sua manutenzione, senza alcuna modalità integrativa relativa alla celebrazione di riti di suffragio e di devozione, non ha fine di culto o di religione e non può, perciò, venire considerata alla stregua di una disposizione a favore dell'anima.
CARATTERI DEL TESTAMENTO
Personalità
Il testamento è un negozio strettamente personale, in quanto la volontà testamentaria non può che essere manifestata, esclusivamente e direttamente, dal testatore, come si desume da varie norme del codice: tra queste, a titolo di esempio, è possibile ricordare la norma sull'olografia del testamento ( art. 602 Codice civile ), quella relativa alle modalità di consegna del testamento segreto ( art. 605 Codice civile ), quella relativa alla dichiarazione della "sua" volontà da parte del testatore al notaio nel caso di testamento pubblico ( art. 603 Codice civile ).
Nessun dubbio, pertanto, circa l'impossibilità di delegare ad un rappresentante la possibilità di fare testamento, ovvero di ricorrere ad un nuncius.
Il testamento è altresì un atto unipersonale, potendo racchiudere la volontà di un unico testatore.
E' discussa in dottrina la validità del testamento per relationem, in cui la volontà espressa non sia autosufficiente ma fa rinvii (relatio), per la determinazione del suo contenuto, ad una fonte esterna.
Al riguardo occorre distinguere tra la relatio formale e la relatio sostanziale:si ha la prima quando l'autore manifesta nel testamento la sua volontà ed il richiamo ad una fonte esterna è finalizzato solo all'esatta determinazione dell'oggetto o del soggetto; si ha la seconda, invece, quando il testatore delega, per la determinazione dell'oggetto o del soggetto, una volontà estranea.
In altri termini, nella relatio formale il de cuius rimanda a fatti o circostanze che esigono una semplice presa di cognizione, ossia una semplice attività di accertamento del loro accadere; nella relatio sostanziale, al contrario, un soggetto estraneo, incaricato dal testatore, ha il compito di scegliere l'oggetto del lascito o della persona del successore.
La relatio formale è in linea di principio ammessa perché il negozio testamentario risulta completo nei suoi elementi essenziali, con la sola eccezione del soggetto o dell'oggetto che, sebbene non determinati, sono pur sempre determinabili attraverso il rinvio alla fonte esterna.
L'unico limite è rappresentato dal principio di certezza ( art. 628 Codice civile ), per il quale è nulla ogni disposizione testamentaria fatta a favore di persona che sia indicata in modo da non poter essere determinata.
Diversamente, la relatio sostanziale non è consentita, salve le eccezioni, espressamente disposte, di legato di cui il beneficiario è rimesso all'arbitrio di un terzo ( art. 631 Codice civile ), di legato determinato per arbitrio altrui ( art. 632, comma primo, Codice civile ), di legato rimuneratorio ( art. 632, comma secondo, Codice civile ), di legato di genere ( art. 653 Codice civile ) e di legato alternativo ( art. 665 Codice civile ), dal momento che il principio di personalità, vigente in materia, vuole riconosciuta solo al testatore la legittimazione a determinare le vicende del fenomeno successorio.
L'unilateralità
Il testamento è un negozio unilaterale e, di conseguenza, si perfeziona con la manifestazione di volontà del solo testatore.
A livello sostanziale, l'unilateralità è garantita dal generale divieto dei patti successori, contenuto nell' art. 458 Codice civile , che vieta, sotto pena di nullità, i patti successori istitutivi, dispositivi e rinunziativi, i quali sono, in realtà, veri e propri contratti ereditari (patti successori istitutivi) o addirittura atti inter vivos (patti successori dispositivi o rinunciativi).
Il testamento contenente un patto successorio non può essere sanato, sebbene sia discussa la natura giuridica dell'invalidità dell'atto mortis causa stilato in esecuzione di un patto successorio obbligatorio: se cioè esso sia colpito da nullità per illiceità del motivo, come sostenuto da parte della dottrina e della giurisprudenza prevalente, o da annullabilità per errore di diritto, secondo l'opinione della maggior parte degli autori.
A livello formale, il principio della unilateralità è confermato sia dalla nullità, ai sensi dell' art. 589 Codice civile , del testamento collettivo, nelle due forme del testamento congiuntivo e reciproco - non potendosi utilizzare lo stesso documento per veicolare la volontà testamentaria di due o più soggetti congiuntamente -, sia dalla nullità della condizione di reciprocità sancita dall' art. 635 Codice civile .
Non sono, invece, da considerarsi vietati né i testamenti simultanei, ossia redatti su un medesimo foglio ma distinti e distintamente sottoscritti (in quanto in tal caso, il testamento è congiuntivo solo in apparenza esistendone in realtà due collegati tra loro solo formalmente), né i testamenti corrispettivi con i quali due persone dispongono si a vantaggio reciproco (testamenti c.d. corrispettivi reciproci) o di un terzo (testamenti c.d. congiuntivi), ma lo fanno con due atti mortis causa separati.
Al più, in quest'ultimo caso, potrebbe esservi il sospetto di captazione con conseguente impugnativa ai sensi dell' art. 624 Codice civile .
Non recettizietà
Per la validità ed efficacia del testamento non è richiesto che le sue disposizioni siano comunicate alle persone indicate nell'atto.
In contrario non vale obiettare che per realizzare pienamente la successione occorra l'accettazione dei chiamati, sia perché, col verificarsi della morte, il testamento realizza di per sé l'effetto che la legge gli attribuisce, sia perché l'effetto successorio finale è il prodotto di una serie di fattispecie di cui l'atto del testatore ne costituisce la prima e più importante, ma non l'unica.
La non recettizietà non è inficiata neppure dalla determinatezza dei soggetti controinteressati i quali non sono i destinatari dell'atto ma solo lo strumento per attuare la regolamentazione della situazione post mortem.
Revocabilità
Il testamento è un negozio illimitatamente revocabile. Il principio della revocabilità, in quanto diretto a garantire l'assoluta libertà del testatore nella regolamentazione dei propri interessi dopo la morte, è di ordine pubblico e non ammette deroghe: l' art. 679 Codice civile sancisce l'inammissibilità della rinuncia alla facoltà di revoca e la inefficacia di ogni clausola contraria.
La revoca può essere rimessa alla volontà del soggetto ovvero essere prevista dalla legge come nel caso dell' art. 687 Codice civile "per sopravvenienza di figli", siano essi legittimi o naturali riconosciuti o la cui paternità sia accertata giudizialmente.
La revoca volontaria, comunemente definita come quale quell'atto con cui si manifesta una volontà di contenuto contrario rispetto a quella di un precedente negozio che viene così privato dei suoi effetti, può essere espressa o tacita.
La prima, espressa, può farsi sia con un nuovo testamento (che, considerata l'espressione generica della norma, può essere indifferentemente olografo, pubblico, segreto o speciale, e limitarsi a contenere anche la sola clausola revocatoria) sia con atto ricevuto da un notaio alla presenza irrinunciabile di due testimoni, in cui il testatore personalmente di revocare, in tutto o in parte, la disposizione anteriore.
La revoca tacita, invece, è prevista in quattro ipotesi tassativamente indicate dal legislatore: testamento posteriore ( art. 682 Codice civile ), distruzione di testamento olografo ( art. 684 Codice civile ), ritiro del testamento segreto (art. 685 Codice civile), alienazione e trasformazione della cosa legata ( art. 686 Codice civile ).
In tali casi, la volontà di revocare non risulta manifestata esplicitamente ma si desume da un comportamento concludente del de cuius.
Quanto specificamente all'ipotesi di testamento posteriore, la revoca tacita si fonda sull'incompatibilità delle disposizioni contenute nel testamento successivo rispetto a quelle del testamento precedente, incompatibilità che può essere oggettiva, quando, indipendentemente da un concreto intento di revoca, sia materialmente impossibile dare contemporanea esecuzione alle disposizioni o ad alcune delle disposizioni contenute nel testamento posteriore, oppure intenzionale, quando, indipendentemente da una impossibilità materiale e dal contenuto del testamento successivo, sia dato ragionevolmente dedurne la volontà del testatore di revocare in tutto o in parte il testamento.
L'inefficacia del testamento posteriore non elimina la revoca in esso contenuta, la quale non cessa di produrre i suoi effetti rispetto alle precedenti disposizioni testamentarie ( art. 683 Codice civile ).
Nell'ipotesi, poi, in cui due testamenti di pari data contengano disposizioni incompatibili tra loro, essi si eliminano a vicenda.
La revoca del testamento può, a sua volta, essere revocata nelle stesse forme richieste dall' art. 680 Codice civile , vale a dire con un nuovo testamento o con un atto ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni, in cui il testatore dichiari di revocare, in tutto o in parte, la revoca precedente ( art. 681 Codice civile ).
Eliminata questa, rivivono automaticamente le disposizioni revocate, senza che occorra una loro ripetizione nel nuovo testamento.
Oggetto di discussione in dottrina ed in giurisprudenza sono l'ammissibilità sia di una revoca tacita di una revoca espressa, sia di una revoca espressa di una precedente revoca tacita.
La prima figura è generalmente ritenuta inammissibile dal momento che la revoca tacita di una revoca espressa sembrerebbe ridursi alle ipotesi indicate agli artt. 684 e 685 Codice civile , nelle quali si esclude si possa riscontrare, in presenza di testamento posteriore di diverso contenuto, quella incompatibilità da cui la legge fa derivare la revoca tacita delle disposizioni testamentarie.
Al contrario, la giurisprudenza non dubita della possibilità di una revoca espressa di una revoca tacita, sebbene parte della dottrina non manchi di rilevare la necessità, nel caso concreto, di indagare la volontà del testatore al fine di accertare se egli abbia inteso solo revocare il precedente testamento, o anche contraddire i fatti che vi si accompagnavano.
Non rappresenta un'eccezione al principio della revocabilità la normativa che stabilisce la irrevocabilità del riconoscimento e della legittimazione del figlio naturale, contenute in un testamento ( artt. 256 e 285 Codice civile ), perché, come detto, si tratta di disposizioni non patrimoniali che integrano atti post mortem e non negozi mortis causa.
Programmaticità
Il testamento è un tipico negozio programmatico perché detta un eteroregolamento, non impegnativo o precettivo, di natura prescrittivi, il quale, solo se sarà accettato, avrà valore vincolante e dovrà essere rispettato.
Quest'ultima circostanza ha indotto parte della dottrina a ritenere sempre necessaria l'accettazione al fine di rendere impegnativo e definitivo il programma esplicitato nel testamento.
Gratuità
Mentre il testamento è sempre un atto a titolo gratuito in quanto realizza un'attribuzione senza corrispettivo a favore degli eredi e dei legatari, non è, invece, sempre una liberalità in quanto da esso può non discendere un arricchimento del beneficiario, come nel caso di un'eredità oberata dai debiti (damnosa hereditas).
Solennità
Il testamento è un negozio formale e solenne: richiede, infatti, ad sustantiam la forma scritta e l'adozione di una delle forme indicate negli artt. 601 e ss.
Il rigido formalismo imposto dal legislatore risponde sia alla necessità di conseguire certezza della volontà del testatore, eliminando i dubbi che inevitabilmente potrebbero aversi ammettendo una prova testimoniale o presuntiva, sia all'esigenza di assicurare una maggiore ponderazione e serietà delle scelte dispositive, garantendo contemporaneamente la libertà di testare.
Interpretazione del testamento
Il principale problema ermeneutico legato al testamento è rappresentato dalla sostanziale mancanza nel codice civile di un'organica disciplina in merito: alla sovrabbondanza di norme interpretative in tema di contratti fa riscontro, infatti, una completa assenza di disposizioni esplicite di tal natura in materia testamentaria, specie per quanto riguarda le dichiarazioni ambigue e lacunose.
Parte della dottrina, alla luce del dettato dell' art. 1324 Codice civile , che si riferisce ai soli atti unilaterali tra vivi, propende per l'applicazione in via analogica dei criteri ermeneutici previsti per i contratti agli atti mortis causa, mentre altra parte degli autori hanno nega valenza a questo procedimento in considerazione della diversa struttura dei due negozi: nei contratti, infatti, il nucleo centrale è rappresentato dall'iniziale conflitto d'interessi tra le parti e dal requisito del consenso, mentre nel testamento domina l'aspetto della piena autonomia della volontà dell'autore.
Nonostante queste chiare argomentazioni, la giurisprudenza si mostra pienamente favorevole all'applicazione al negozio testamentario dei criteri previsti dagli artt. 1362 - 1371 Codice civile , in quanto sia conveniente ed utile per l'individuazione della reale e precisa volontà del de cuius.
L'interpretazione testamentaria, tuttavia, si caratterizza rispetto a quella contrattuale per una più intensa e penetrante ricerca della volontà concreta dell'autore, al di là della dichiarazione: così, ad esempio, in caso di incertezza circa il senso delle espressioni usate, occorre tener conto del complesso delle disposizioni testamentarie in rapporto alla sensibilità, alla cultura, all'ambiente di vita e alla tradizione familiare del testatore.
Il giudice, in situazioni del genere, può anche attribuire alle espressioni utilizzate un significato diverso da quello tecnico o letterale, quando risulti evidente dalla valutazione della scheda nel suo complesso, che tale diverso significato si presta ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del testatore.
Deve, invece, escludersi l'applicabilità delle regole interpretative previste per i contratti le quali limitano la rilevanza della volontà del disponente a tutela dell'affidamento dei terzi, essendo del tutto irrilevante in ambito testamentario il comportamento dei beneficiari.
Sono, pertanto, inapplicabili tutte quelle norme che implicano necessariamente la bilateralità del rapporto negoziale, quali, ad esempio, l' art. 1366 Codice civile , in tema di buona fede, e gli artt. 1368, 1369, 1370 e 1371 Codice civile , che individuano i criteri interpretativi c.d. oggettivi.
Trova applicazione, invece, il principio di conservazione sancito all' art. 1367 Codice civile , considerata l'impossibilità di rinnovazione del negozio da parte del suo autore: di conseguenza, ove il testamento consenta due interpretazioni delle quali una ne importerebbe la sua nullità, totale o parziale, deve essere preferita quella che eviti tale nullità, consentendo alla volontà del testatore di avere pratica e concreta attuazione.
La capacità di disporre per testamento
Il legislatore non dà la definizione di capacità di testare ma si limita a stabilire, al I comma dell' art. 591 Codice civile , che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge.
Il concetto di capacità viene, così, tradizionalmente, individuato nella idoneità giuridica del soggetto di disporre validamente delle proprie sostanze mediante testamento e ricondotto alla categoria della capacità giuridica, in considerazione della natura di atto c.d. personalissimo del negozio testamentario.
I soggetti che non hanno la capacità di testare, tassativamente individuati nel II comma del citato art. 591 Codice civile , sono: a) coloro che non hanno compiuto la maggiore età; b) gli interdetti per infermità di mente; c) coloro che, sebbene non interdetti, si provi essere stati per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento.
Dal tenore letterale della disposizione è dato desumere che l'inabilitato può validamente testare, in coerenza con il sistema e con le regole dettate in tema di testamento dei ciechi e/o sordomuti, i quali, pur potendo essere inabilitati, non perdono la capacità di testare sia pure con particolari formalità.
Diversamente, non può disporre mortis causa l'emancipato, il quale, pur avendo, nel nostro ordinamento, posizione analoga a quella dell'inabilitato, non ha, tuttavia, raggiunto l'età di diciotto anni richiesta dalla legge.
Il raggiungimento della maggiore età va calcolato secondo il computo civile e non quello naturale, trovando applicazione, in mancanza di specifica normativa speciale, il principio generale contenuto negli artt. 2963 Codice civile e 155 c.p.c. per il quale la scadenza del termine si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale.
L'incapacità naturale da luogo all'invalidità del testamento, senza che sia necessario, a differenza di quanto previsto dall' art. 428 Codice civile , il grave pregiudizio per l'autore.
Essa, peraltro, può colpire solo una parte delle disposizioni, come nel caso del testamento redatto da soggetto monomaniaco, vale a dire da colui che sia sano di mente al di fuori del campo cui si riferisce la mania: in questa ipotesi, infatti, qualora la mania non abbia influito sull'intero testamento, e questo può esistere senza la parte viziata, l'invalidità colpisce soltanto il contenuto determinato dall'idea fissa o delirante.
L' art. 591 Codice civile non definisce l'azione relativa al testamento compiuto dall'incapace, ma la previsione di un termine di prescrizione - che decorre dal giorno in cui sono state eseguite le disposizioni testamentarie - fa presumere che si tratta di un'ipotesi di annullabilità assoluta che può essere fatta valere da chiunque vanti un diritto successorio in dipendenza dell'annullamento del testamento.
La capacità di ricevere per testamento
La capacità di ricevere per testamento costituisce una species del genus capacità di succedere, come si desume dall' art. 462 Codice civile che, nel considerarle, entrambe, manifestazioni della capacità giuridica, stabilisce sia che sono capaci di succedere (e quindi anche di ricevere per testamento) tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione e sia che possono ricevere per testamento anche i figli nondum concepti di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore.
L'eccezionalità della successione dei nascituri è stata variamente spiegata, ora ravvisando nell'ipotesi dei nascituri concepiti una capacità giuridica anticipata, ora distinguendo tra concepiti e non concepiti ed attribuendo soltanto ai primi la capacità di succedere, ora, infine, ricorrendo alla teoria della finzione.
La conclusione dottrinale è quella di riscontrare nella istituzione di nascituri una fattispecie a formazione progressiva nella quale si ha un'eccezionale anticipo di alcuni degli elementi della fattispecie stessa, in quanto si consente che il chiamato non esista ancora al momento dell'apertura della successione.
L'apparente contrasto tra l' art. 462 Codice civile e l' art. 1 Codice civile , viene risolto attraverso il richiamo al comma secondo dell' art. 1 Codice civile , a mente del quale "i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita": in tal modo, si chiarisce che i diritti spettanti al nascituro saranno suoi se ed in quanto nascerà, i quali nell'attesa, si trovano in una posizione di aspettativa e di pendenza quanto alla titolarità, dovuta all'inattuale esistenza del soggetto destinatario.
Un discorso a parte riguarda la capacità di succedere delle persone giuridiche, non disciplinata organicamente dal legislatore il quale, negli articoli che la riguardano, si è limitato a trattare dell'accettazione ( art. 473 Codice civile ) e, fino all'abrogazione (avvenuta con la legge 22 giugno 2000, n. 192), degli enti non riconosciuti.
Le persone giuridiche possono succedere solo per testamento, non essendovi una successione legittima che le riguardi, tranne che a favore dello Stato, rispetto al quale, peraltro, è discusso il titolo della successione.
A seguito dell'abrogazione dell' art. 17 Codice civile ad opera dell' art. 13 della legge n. 127/97 (Bassanini bis), per l'accettazione dell'eredità loro devoluta - che deve avvenire, a pena di nullità, con il beneficio d'inventario - non è più richiesta l'autorizzazione governativa.
Quanto agli enti non riconosciuti, essendo stato abrogato, dalla citata legge 22 giugno 2000, n. 192, l' art. 600 Codice civile (per il quale le disposizioni a favore dell'ente medesimo perdevano efficacia se entro un anno, dal momento in cui il testamento fosse stato eseguibile, non veniva fatta istanza per il riconoscimento), non vi è più alcuna differenza tra gli stessi le persone giuridiche: di conseguenza, gli enti sforniti di personalità, sulla base della nuova disciplina, sono tenuti ad accettare con il beneficio d'inventario e non necessitano di alcuna autorizzazione.
L'incapacità di ricevere per testamento
Essendo la capacità di ricevere per testamento una manifestazione della capacità giuridica, risulta improprio parlare di incapacità assoluta a succedere con riferimento a quei soggetti che non hanno più la capacità giuridica medesima (premorti) o non l'hanno ancora (nascituri).
E', invece, più esatto parlare di un'incapacità relativa a ricevere per testamento con riferimento ad una serie di ipotesi individuate dal codice civile, che colpisce, anzitutto, il tutore ed il protutore rispetto alle disposizioni testamentarie fatte a loro favore dalla persona sottoposta a tutela se poste in essere dopo la nomina e prima dell'approvazione del conto.
Si teme che questi soggetti, per l'ufficio ricoperto, possano influenzare a proprio vantaggio il testatore ( art. 596 Codice civile ) con la sola eccezione, del comma secondo dell' art. 596 Codice civile che considera valide le disposizioni a favore del tutore e del protutore qualora siano ascendenti, discendenti, fratelli, sorelle o coniugi del testatore, sul presupposto in questo caso che sia il vincolo d'affetto, che li lega al testatore, ad avere ispirato la disposizione testamentaria.
La legge tace circa la capacità del curatore dell'emancipato e dell'inabilitato e, nel silenzio, attesa la persistenza del principio generale di capacità posto dall' art. 462 Codice civile , si esclude l'applicazione dell' art. 596 Codice civile .
Sono, altresì, incapaci di ricevere per testamento il notaio, i testimoni e l'interprete in caso di testamento pubblico ( art. 597 Codice civile ), la persona che ha scritto il testamento segreto ed il notaio al quale il testamento segreto sia stato consegnato in un plico non sigillato ( art. 598 Codice civile ).
La ratio delle disposizioni deve ravvisarsi nell'esigenza di tutelare il testatore rispetto a persone che potrebbero condizionare la sua libera determinazione volitiva.
Le disposizioni testamentarie a favore dei predetti incapaci sono nulle anche se fatte sotto nome d'interposta persona ( art. 599 Codice civile ), quale può essere, con presunzione assoluta e come tale non soggetta a prova contraria, il genitore, il coniuge ed i discendenti dell'incapace, anche se chiamati congiuntamente con loro.
Nell'ipotesi di disposizione fiduciaria, con la quale il testatore dispone in favore di soggetto capace di ricevere, ma con l'incarico di trasferire i beni ad un incapace (c.d. interposizione reale di persona), l' art. 627 Codice civile , ult. comma, concede eccezionalmente, azione in giudizio per accertare il carattere fiduciario e per farne valere l'invalidità della disposizione in quanto diretta ad eludere lo scopo perseguito dalla legge con le norma sull'incapacità di ricevere.
GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL TESTAMENTO
La condizione
L'autonomia riconosciuta al testatore gli consente di apporre elementi accidentali al negozio mortis causa, i quali hanno la funzione di incidere, in vario modo, sui suoi effetti.
Dei tre tipici elementi accidentali (condizione, termine e modo) uno solo, la condizione, riceve una specifica disciplina.
Dispone l' art. 633 Codice civile che "le disposizioni a titolo universale o particolare possono farsi sotto condizione sospensiva o risolutiva", fermo restando il divieto dell' art. 549 Codice civile di imporre pesi o condizioni sulle quote spettanti ai legittimari.
L'evento dedotto in condizione, analogamente a quanto previsto in materia contrattuale, deve essere futuro ed incerto, perché qualora manchi lo stato di incertezza si è in realtà in presenza di una mera raccomandazione.
Problema che si è posto è quello di stabilire se l'evento dedotto in condizione debba essere futuro rispetto al momento di formazione del testamento oppure rispetto al momento di apertura della successione.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti non si discostano, in assenza di diversa disposizione di legge, dalla regola generale valida per ogni negozio giuridico, secondo la quale la futurità deve essere valutata con riferimento alla conclusione del negozio stesso.
E' stata così ritenuta valida la disposizione con la quale il testatore istituisce erede taluno a condizione che lo assista fino alla morte.
Una particolare disciplina è prevista per le condizioni negative di non fare o di non dare dall' art. 638 Codice civile che, conferendo utilità ad una disposizione condizionale altrimenti inefficace, stabilisce che se il testatore ha disposto sotto la condizione che l'erede (o il legatario) non faccia o non dia qualcosa per un tempo indeterminato, la disposizione si considera fatta sotto condizione risolutiva, salvo che dal testamento non risulti una diversa volontà.
La condizione si distingue in potestativa, casuale e mista; nulla è soltanto la condizione sospensiva meramente potestativa che non esprime nessuna effettiva manifestazione di volontà.
In caso di condizione sospensiva, la delazione ereditaria, secondo la tesi prevalente, è differita fino al verificarsi della condizione stessa e, di conseguenza, al momento di apertura della successione il chiamato viene a trovarsi in una situazione di aspettativa giuridica.
Nel caso, invece, di istituzione sotto condizione risolutiva, la delazione è immediata ma è destinata a risolversi qualora l'evento dedotto si verifichi. Realizzatasi la condizione, se sospensiva, la delazione diventa attuale ed i suoi effetti retroagiscono all'apertura della successione; se risolutiva, la delazione si considera come mai avvenuta.
Anche la mancanza della condizione opera diversamente: nel caso di condizione sospensiva il chiamato non viene mai alla successione e l'eredità si devolve ai c.d. chiamati ulteriori; nel caso di condizione risolutiva, la delazione si consolida e l'erede resta tale definitivamente.
Le condizioni impossibili od illecite
L' art. 634 Codice civile riproduce la regola sabiniana secondo la quale le condizioni impossibili e quelle contrarie a orme imperative, all'ordina pubblico e al buon costume si considerano non apposte, salvo che, ai sensi dell' art. 626 Codice civile , esse non abbiano costituito l'unico motivo determinante della disposizione e ciò risulti dal testamento.
Il fondamento della regola sabiniana va individuato nel favor testamenti, inteso come esigenza di conservazione della volontà del de cuius in quanto irripetibile, e, di riflesso, nel favore manifestato dal nostro legislatore per la successione testamentaria nei confronti di quella legittima.
L'illiceità può essere oggettiva o soggettiva: nel primo caso l'evento dedotto in condizione è di per se stesso illecito; nel secondo caso è illecito unicamente l'intento che, con l'apposizione della condizione, il testatore mira a realizzare.
A tal fine, pertanto, diventa essenziale indagare se la volontà del testatore fu quella di coartare o di assecondare la volontà e le aspirazioni dell'istituito.
E' possibile ricordare alcune ipotesi tipiche di condizione illecita.
La condizione di reciprocità
E' nulla, ai sensi dell' art. 635 Codice civile , la disposizione a titolo universale o particolare fatta dal testatore a condizione di essere a sua volta avvantaggiato nel testamento dell'erede o del legatario.
Il fondamento della disposizione è la tutela della libera e spontanea determinazione del disponente, analogamente a quanto previsto in sede di divieto dei patti successori, con la differenza che nella figura in esame l'accordo tra il de cuius ed il beneficiario si presume con presunzione iuris et de iure.
Se, per contro, l'istituzione mira a rimunerare una passata istituzione, essa viene considerata valida quia in praeteritum, non in futurum, institutio collata est.
E', invece, da ritenere invalida la disposizione con la quale il testatore istituisca il beneficato a condizione che questi, a sua volta, nomini erede o legatario un terzo, potendosi riscontrare anche in tal caso un patto di reciprocità tra i due testatori.
Il divieto di nozze
E' illecita la condizione che impedisce le prime e le ulteriori nozze ( art. 636 Codice civile ).
La previsione ha l'evidente scopo di tutelare la libertà matrimoniale, che rappresenta uno dei diritti fondamentali della persona, espressamente garantito dalla Costituzione ( art. 2 Cost. ).
E' stato peraltro sostenuto che la condizione "se non si sposerà", apposta risolutivamente ad un lascito testamentario - ipoteticamente illecita - sia valida se dettata non dal fine di coartare la libertà matrimoniale del chiamato all'eredità, ma da quello, lecito, di provvedere alle sue esigenze di vita durante il periodo di celibato.
Nella stessa linea di tendenza, con riferimento ai divieti di nozze, con i quali il testatore non intende impedire il matrimonio ma limitare la scelta della persona da sposare, è stata dichiarata lecita la condizione che vieta all'istituito l'unione con una persona determinata o con una persona di un diverso ceto sociale, perché lascia al beneficiario ampio margine di libera autodeterminazione.
Il comma secondo dell' art. 636 Codice civile dispone che, tuttavia, il legatario di usufrutto, uso, abitazione, pensione, ovvero di altra prestazione periodica per caso o per il tempo del celibato o della vedovanza, non può goderne che durante il celibato o la vedovanza medesimi.
In queste ipotesi il matrimonio funziona come condizione risolutiva della disposizione e non come termine, atteso che le future nozze sono un evento incertus an et quando.
La clausola si sine liberis decesserit
Si tratta della clausola con la quale il testatore assoggetta l'istituzione alla condizione risolutiva della morte dell'onorato senza figli, disponendo in pari tempo una sostituzione ordinaria.
La clausola è molto discussa in dottrina ed in giurisprudenza per la possibilità che celi, in realtà, una sostituzione fedecommissaria vietata, dalla quale, peraltro, si differenzia perché le due vocazioni (dell'istituito e del sostituito) che la caratterizzano sono alternative e non già cumulative.
Nel caso di clausola si sine liberis decesserit, in altri termini, l'istituito è sempre uno soltanto: se si verifica la condizione, il suo effetto retroagisce fin dal momento dell'apertura della successione e la prima chiamata si considera come mai avvenuta.
La giurisprudenza ha ritenuto che la clausola in esame sia nulla solo se diretta ad eludere il predetto divieto di sostituzione fedecommissaria, come nel caso in cui dal testamento si possa arguire con certezza che il testatore, conoscendo l'impossibilità di generare dell'istituito (per vecchiaia, difetti fisici o altro) intendesse in realtà disporre una doppia chiamata, implicitamente imponendo al primo chiamato l'obbligo di conservare e di restituire.
Il termine
Il termine è un avvenimento futuro ed incerto dal quale si fa dipendere l'efficacia della disposizione, il quale va tenuto distinto dalla condizione, al di là delle parole usate dal testatore, per la certezza del suo verificarsi.
L' art. 637 Codice civile stabilisce che si considera non apposto ad una disposizione a titolo universale il termine dal quale l'effetto di essa deve cominciare o cessare, in ossequio all'antico principio romano semel heres sempre heres, per il quale una volta acquistata la qualità di erede non è più possibile perderla.
E', invece, ammessa, argomentando a contrario dall' art. 637 Codice civile , l'apposizione di un termine al legato, in quanto in tale ipotesi la titolarità del bene non passa ad altro soggetto ma o si estingue (legato di usufrutto) ovvero ricade nella sfera giuridica dell'eredità (legato di proprietà).
Non è, invece, consentito un legato con termine iniziale coincidente con la morte del primo legatario o con la morte dell'erede perché altrimenti si ricadrebbe nell'ambito della sostituzione fedecommissaria.
L'onere
L'onere o modo, che secondo il suo significato etimologico (modus= misura) si risolve in una limitazione della liberalità, è una disposizione con la quale il testatore impone all'erede o al legatario di dare, di fare o di non fare qualcosa nell'interesse del disponente o di terzi.
Quanto alla sua natura giuridica sono state elaborate in dottrina ed in giurisprudenza due distinte tesi: la prima qualifica l'onere come un elemento accidentale ed accessorio del negozio giuridico, che innesta sugli effetti tipici del negozio altri effetti, secondari rispetto ai primi; la seconda, più moderna, lo considera una disposizione autonoma mortis causa, la quale si pone accanto alla istituzione di erede ed al legato, argomentando dagli artt. 676, comma secondo, e 677, commi secondo e terzo, Codice civile che prevedono un'ampia ambulatorietà del modus.
L'onere si differenzia dalla condizione quanto alla struttura, perché è un negozio autonomo e non un elemento accidentale; quanto agli effetti, perché non li sospende; quanto all'interpretazione, perché può anche (ma non solo) rappresentare l'unico motivo determinante del negozio.
La sua differenza con il legato, invece, viene generalmente individuata nella indeterminatezza del destinatario, che non ricorre nel caso di istituzione a titolo particolare, sempre disposta a favore di uno o più soggetti determinati.
L'onere impossibile o illecito si considera non apposto; rende, tuttavia, nulla la disposizione se ne ha costituito il solo motivo determinante ( art. 647, comma terzo, Codice civile ).
La divisione del testatore
Il testatore può intervenire nella divisione dei beni ereditari (c.d. distributio hereditatis) mediante l'assegno divisionale semplice ( art. 733, comma primo, Codice civile ), l'assegno divisionale qualificato ( art. 734 Codice civile ), ovvero mediante designazione di un terzo arbitratore che effettui un progetto di divisione, preceduto da una stima dei beni ( art. 733, comma secondo, Codice civile ) o mediante assegnazione all'esecutore testamentario del compito di procedere alla divisione.
Quando il testatore stabilisce particolari norme per formare le porzioni, senza con ciò procedere egli stesso alla divisione dei beni, ma con il limitato intento di esercitare una qualche influenza nella formazione e nell'assegnazione delle porzioni, in sede di successiva divisione convenzionale o giudiziale, ricorre la figura dell'assegno divisionale semplice.
I suoi effetti sono meramente obbligatori ed attribuiscono unicamente ai destinatari delle norme il diritto di pretendere che nella futura divisione siano rispettate le disposizioni del testatore.
Ha, invece, efficacia reale l'assegno divisionale qualificato, in quanto con esso il testatore predispone un'autentica divisione, in misura proporzionale alla quota spettante a ciascun coerede, così che all'apertura della successione non si determina alcuna comunione ereditaria, salvo per quei beni sopravvenuti nel patrimonio del defunto, o che lo stesso non abbia provveduto a distribuire.
Le invalidità testamentarie
Il testamento è invalido quando ricorre un vizio che ne produce la nullità o l'annullamento; è inefficace quando, pur essendo validamente concluso, o non produce gli effetti programmati ovvero quando i suoi effetti, già regolarmente prodotti, vengono successivamente a cadere.
Manca una disciplina organica dell'invalidità, al contrario di quanto disposto in materia contrattuale, e spetta perciò all'interprete procedere ad un inquadramento sistematico, applicando, nei limiti della compatibilità, le norme sui contratti.
La dottrina distingue le nullità del testamento in formali e sostanziali: le prime attengono ai difetti formali del tipo di documento testamentario che si è prescelto e lo rendono imperfetto ed inidoneo alla funzione veicolare della volontà testamentaria; le seconde, invece, riguardano l'essenza dell'atto per ciò che attiene o ai suoi profili soggettivo o a quelli oggettivi.
Esempi di nullità formali sono dati dalle ipotesi di nullità che possono riguardare il testamento olografo ( art. 606, comma primo, Codice civile ), il testamento pubblico o il segreto ( art. 606, comma primo, Codice civile ), i testamenti speciali ( art. 619, comma primo, Codice civile ).
Esempi di nullità sostanziale sono: patti successori ( art .458 Codice civile ), testamento congiuntivo ( art. 589 Codice civile ), testamento reciproco ( art. 589 Codice civile ), testamento a favore di soggetti incapaci di ricevere ( artt. 596 - 599 Codice civile ), disposizione, salvo eccezioni, rimessa all'arbitrio di un terzo ( art. 631, comma primo, Codice civile ), legato il cui oggetto è rimesso al mero arbitrio dell'onerato o di un terzo ( art. 632, comma primo, Codice civile ), testamento a condizione di reciprocità ( art. 635 Codice civile ), legato di cosa dell'onerato o di un terzo se non ricorrano determinati presupposti ( art. 651 Codice civile ), legato di cosa del legatario ( art. 656 Codice civile ), disposizione determinata da motivo illecito risultante dal testamento ( art. 626 Codice civile ), disposizione a favore di persona incerta ( art. 628 Codice civile ), disposizione a favore dell'anima qualora non siano determinati i beni ( art. 629 Codice civile ), onere impossibile ed illecito costituente il motivo determinante ( art. 647, comma terzo, Codice civile ).
Si ritiene applicabile, peraltro, al negozio testamentario, la norma sulla nullità parziale, nel senso che la nullità di singole clausole o di una parte della disposizione testamentaria non importa la nullità dell'intero negozio se risulta che il testatore lo avrebbe egualmente concluso senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Il testamento nulla non produce effetti, salvo il disposto dell' art. 590 Codice civile che non consente sia fatta valere la nullità della disposizione testamentaria da chi, conoscendo la causa della stessa, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione (conferma espressa) o dato ad essa volontaria esecuzione (conferma tacita).
Per quanto attiene all'annullabilità del testamento, la stessa può dipendere sia dalla mancanza della capacità di testare ( art. 591 Codice civile ), sia da vizi della volontà ( art. 624 Codice civile ), sia da difetti di forma quando non diano luogo a nullità.
Il testamento annullabile produce regolarmente i suoi effetti i quali, tuttavia, vengono eliminati ex tunc se interviene una pronuncia ufficiale d'annullamento.
L'azione di annullamento deve essere proposta nel termine di cinque anni, che, nei casi di annullabilità per incapacità di testare o per vizi di forma, decorre dal giorno in cui è stata data esecuzione alla disposizione stessa, mentre nei casi di annullabilità per vizi di volontà del testatore decorre dal giorno in cui si è avuta notizia dell'errore, della violenza e del dolo.
Si ritiene generalmente che l'eccezionale sanatoria prevista dall' art. 590 Codice civile per il negozio nullo sia applicabile anche al negozio annullabile.
Il testamento orale o nuncupativo
Il testamento orale - dal latino nuncupare, ossia nominare - viene dalla dottrina tradizionale considerato inesistente perché privo di quei requisiti minimi necessari per cui possa ravvisarsi una disposizione testamentaria.
In quanto tale, esso non potrebbe essere confermato, dal momento che l' art.590 Codice civile sembra presupporre che la volontà del defunto risulti in modo incontrovertibile, laddove, nel caso di specie, la volontà può essere ricostruita solo sulla base della semplice dichiarazione di terze persone.
La dottrina più recente, tuttavia, ammette la conferma e considera il testamento orale esistente ancorché invalido, in quanto frutto pur sempre di una volontà negoziale anche se espressa in una forma diversa da quelle richieste dalla legge.
La giurisprudenza, dal canto suo, con orientamento pressoché costante, reputa il testamento orale un negozio nullo ma esistente e, come tale, confermabile, argomentando dall'ampia formulazione dell' art. 590 Codice civile , e giungendo perfino ad affermare il principio secondo il quale il notaio che riceve un atto di conferma di un testamento orale non viola il disposto dell'art.28, n.1, legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n.89), anche se il contenuto del testamento medesimo non risulti ancora accertato in giudizio.
La diseredazione
La vigente normativa successoria non prevede un vero e proprio diritto di diseredazione, per cui è ancora aperta la questione se ed in quale modo una tale disposizione sia consentita nel testamento.
La diseredazione implica, indubbiamente, una volontà del de cuius di sfavore, se non di demerito o di ostilità, verso il successibile che vuole escludere, spesso accompagnata dalla enunciazione della ragione che ha generato la decisione.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi sul fatto che la diseredazione possa verificarsi solo ed esclusivamente in relazione ai successori non legittimari, i quali, salvo ricorrano le cause di indegnità, concorrono sempre alla successione.
Entro i predetti limiti, il problema che si è posto è se sia consentito all'autonomia privata di manifestarsi non solo con disposizioni testamentarie positive, ma anche negative.
L'orientamento prevalente, che si basa sul dettato dell' art. 587 Codice civile per il quale il testamento è l'atto con cui "taluno dispone di tutte le sue sostanze o di parte di esse", esclude che possa considerarsi valido un testamento contenente solo disposizioni negative, con la conseguenza che se il testatore voglia validamente escludere dall'eredità, in modo implicito o esplicito, un erede legittimo, potrà farlo solo attribuendo i beni ereditari ad altri soggetti nelle tipiche forma dell'istituzione di erede e del legato.