Gli strumenti di tutela del consumatore
nel rapporto contrattuale

Tratto da
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO NEL CODICE DEL CONSUMO
di Roberto Di Napoli
Maggioli Editore, 2007

La disciplina sulla pubblicità ingannevole - come è stato più volte ricordato - è finalizzata alla tutela di molteplici interessi, tra i quali, la tutela del mercato, dei concorrenti e dei consumatori ad una pubblicità corretta. Si ricorderà, anzi, che il diritto dei consumatori ad una corretta pubblicità è stato riconosciuto come diritto fondamentale sin dagli anni '70 e, come tale, è, attualmente, sancito dall'art. 2 del codice del consumo. La normativa codicistica, tuttavia, pur disciplinando dettagliatamente il procedimento dinanzi all'Autorità Garante della concorrenza e del mercato, non regolamenta, gli ulteriori rimedi esperibili dal consumatore nell'ipotesi in cui sia parte di un rapporto obbligatorio avente la sua fonte in un contratto stipulato a seguito della stessa pubblicità dichiarata ingannevole. Appare necessario ricordare, infatti, che il procedimento davanti all'Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha come unico fine la tutela degli interessi pubblici sopra ricordati; i provvedimenti eventualmente adottati all'esito del procedimento - ossia, quelli previsti dal legislatore attraverso la norma di cui all'art. 27 cod. consumo - si esauriscono, pertanto, nel divieto della pubblicità non ancora portata a conoscenza del pubblico, della continuazione di quella già diffusa
o dei suoi effetti (si ricorda, ed esempio, il potere dell'Autorità di ordinare anche la pubblicazione della pronuncia o di una dichiarazione rettificativa).
L'articolo 27 fa espressamente salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale a norma dell'art. 2598 cod. civ. o, relativamente alla pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione delle norme a tutela del diritto d'autore, dei marchi d'impresa, delle denominazioni d'origine e degli altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. È pacifico, tuttavia, che interessati a tali azioni - e dunque legittimati - saranno esclusivamente gli imprenditori concorrenti i quali, qualora sussistano i presupposti di cui agli artt. 2598 e segg. cod. civ., potranno adire il giudice ordinario al fine di ottenere la tutela inibitoria o risarcitoria a causa degli atti di concorrenza sleale eventualmente compiuti.
La tutela dei consumatori dai pregiudizi subiti a causa di una pratica commerciale ingannevole resta, pertanto, affidata agli ordinari rimedi previsti dal codice civile con le conseguenti difficoltà nell'applicazione di istituti e discipline elaborate in un momento storico e in una realtà economico-sociale in cui la nascita di rapporti contrattuali tra le parti era, quasi sempre, preceduta da un effettivo scambio di informazioni e da un procedimento di formazione della volontà che rendeva marginale la configurabilità, in concreto, delle fattispecie di errore o di dolo previste dall'art. 1427 c.c. quali causa di annullamento del contratto. La stessa disciplina prevista dal codice civile, come è noto, pur offrendo uno strumento di tutela alla parte caduta in errore o a ciò indotta a causa dei raggiri usati (dolo), salvaguarda anche gli interessi della controparte al fine di rispettare l'affidamento di questi. È noto, infatti, che, affinché un contratto possa essere annullato per errore, occorre, innanzitutto, che questo sia essenziale, ossia, che cada su uno degli elementi di cui all'art. 1429 c.c. nonché che sia riconoscibile dall'altro contraente, ovvero rilevabile "(...) in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti (...)" da "(...) una persona di normale diligenza (...)". Il dolo, invece, ai sensi dell'art. 1439 c.c., è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti (o da un terzo purché conosciuti dal contraente che ne ha tratto vantaggio) siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato (dolo determinante). Pur tralasciando di menzionare i diversi orientamenti della giurisprudenza e della dottrina emersi, al riguardo, nel corso degli anni, (110) ci si limita a ricordare che le principali difficoltà emerse nella individuazione, in concreto, di una causa di annullamento del contratto sono derivate dalla diversa interpretazione data dai giudici, nelle diverse pronunce, ai "raggiri" idonei, ex art. 1439 cod. civ., a determinare l'altrui consenso; al concetto di dolus bonus, ossia alle vanterie, alle esagerazioni normalmente presenti, da sempre, nel comportamento di uno dei contraenti che, facilmente avvertibile dalla controparte, non è, perciò, ritenuto causa di annullamento del contratto; alla diversa interpretazione, secondo alcuni "in astratto", secondo altri "in concreto", che doveva essere data al comportamento del deceptor (l'ingannatore) o del deceptus, ossia della vittima del dolo, al fine di valutare se i raggiri potessero essere stati determinanti il consenso; nonché, ai fini della valutazione dell'errore - vizio, alla scusabilità dell'errore e, cioè, alla diligenza del soggetto caduto in errore che, in realtà, come è stato attentamente osservato, non è richiesto dalla normativa di cui agli artt. 1429 - 1431 cod. civ. (che, si ripete, subordinano l'annullabilità del contratto all'essenzialità e alla riconoscibilità dell'errore).

Dovrebbero essere sufficienti questi brevi cenni per comprendere, dunque, come non sempre è agevole fornire la prova degli elementi richiesti dalla legge ai fini dell'annullamento del contratto a causa di errore-vizio o di dolo. Allo stesso modo, si comprenderà come, nell'ipotesi in cui il consumatore abbia stipulato un contratto, indotto in errore dalla pubblicità ingannevole, non è possibile affermare, in astratto, che ciò sia sufficiente per ottenerne l'annullamento. L'ingannevolezza, in effetti, il più delle volte, determina una falsa rappresentazione del bene o servizio pubblicizzato, delle sue qualità, delle sue caratteristiche o dell'identità dell'altro contraente, ovvero, comporta l'errore su uno degli elementi essenziali. Ben può verificarsi, inoltre, che se non fosse stato "attratto" dalla pubblicità ingannevole, il consumatore, non avrebbe contrattato.
Occorre, tuttavia, precisare che, in concreto, al fine di valutare se può essersi realizzata una fattispecie di annullamento del contratto per errore o per dolo è indispensabile procedere, volta per volta, ad un attento esame della situazione complessiva in cui il consumatore ha contrattato, valutando, ovviamente, in primis, la pubblicità che si asserisce abbia indotto in errore. Al fine di ritenere sussistente un'ipotesi di annullamento per dolo sarà necessario, dunque, valutare se, in concreto, vi sia un nesso di causalità tra i "raggiri" utilizzati attraverso il messaggio pubblicitario ingannevole e la determinazione a contrattare.
Appare utile menzionare, a tal proposito, una recente pronuncia (Tribunale di Firenze, 19 aprile 2005) (111) con cui, in un'ipotesi di pubblicità avente ad oggetto un prodotto finanziario e dichiarata ingannevole dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato, il giudice ordinario, ritenendo che detta pubblicità e la mancanza di trasparenza nel comportamento avessero influito sulla volontà della parte, indotta, perciò, alla sottoscrizione del contratto, ne ha dichiarato l'invalidità rilevando che "La pubblicità ingannevole e l'assenza di trasparenza nel comportamento della banca hanno certamente artato la volontà contrattuale dell'attore inducendolo alla sottoscrizione del contratto"(112).
In altre ipotesi, invero, la giurisprudenza, già da tempo, aveva attribuito rilevanza al comportamento complessivo e al modus operandi del contraente, pronunciando l'annullamento del contratto stipulato, tra l'altro, in seguito ad una pubblicità la cui ingannevolezza era stata, poi, dichiarata dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato; la decisione dell'Autorità, secondo il giudice, costituiva "elemento indiziario idoneo a far presumere l'induzione in errore del consumatore ai fini dell'annullamento del contratto stipulato a seguito di tate campagna pubblicitaria"(113). In tale pronuncia, il giudice aveva accertato l'errore in cui era stata indotta la parte a causa del "collaudato modus operandi" di una società consistente, in particolare, nella telefonata finalizzata ad ottenere un appuntamento dal consumatore per la consegna di un omaggio e nell'effettiva consegna di quest'ultimo con la contestuale sottoscrizione di un modulo, però, avente ad oggetto l'acquisto degli aggiornamenti dei volumi enciclopedici dati in omaggio. Il giudice, nell'interessante pronuncia, attribuendo valore indiziario al provvedimento con cui l'Autorità Garante aveva dichiarato ingannevole la pubblicità diffusa dalla stessa parte, ha riconosciuto, oltre all'essenzialità dell'errore, la riconoscibilità dello stesso, considerato che la controparte era perfettamente consapevole della confusione che poteva derivare dalle circostanze in cui il contratto era stato stipulato; ulteriore rilievo, inoltre, ai fini dell'accertamento della riconoscibilità, è stato attribuito dal giudice anche alle numerose contestazioni che erano pervenute alla controparte in seguito alla sottoscrizione di altri contratti simili a quello per il quale pronunciava, pertanto, l'annullamento per errore (114).
Risulta evidente da quanto accennato, pertanto, che, in caso di stipulazione di un contratto in seguito a pubblicità ingannevole, per potersi valutare l'annullabilità per dolo, non si potrà prescindere dall'esame, in concreto, delle circostanze in cui il contratto è stato sottoscritto dovendosi tenere in considerazione, soprattutto, se i raggiri, le reticenze, le omissioni poste in essere mediante la pubblicità possano essere state determinanti la scelta economica del consumatore (115).
Si ricorda, infine, che laddove, invece, i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso ma abbiano causato la sottoscrizione del contratto a condizioni diverse da quelle che sarebbero state pattuite senza i predetti raggiri il contratto è valido ma il contraente in mala fede è tenuto a risarcire i danni (dolo incidente; art. 1440 c.c.).
Ulteriore rimedio esperibile dal consumatore che abbia contrattato in seguito a pubblicità ingannevole è quello dell'azione per risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.
La giurisprudenza, infatti, negli ultimi anni (116), ha esteso l'ambito di applicazione di tale norma che, come è noto, sancisce l'obbligo di buona fede tra le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Il consumatore, pertanto, provando l'ingannevolezza della pubblicità, il danno subito in seguito ed a causa della scelta compiuta per effetto dell'inganno pubblicitario, potrebbe domandare il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito. Si pensi, a tal proposito, al danno che può subire un consumatore per effetto di una pubblicità diffusa da un gestore che promuova, ad esempio, ad un prezzo particolarmente conveniente o a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle offerte da altri concorrenti, la possibilità di abbandonare un operatore telefonico e sfruttare la nuova utenza anche per la navigazione su internet. Potrebbe verificarsi che, in caso di non corrispondenza al vero dei messaggi diffusi e di impossibilità tecniche di "distacco" dal precedente operatore nei tempi, invece, promessi, il consumatore che abbia sottoscritto il contratto per effetto della pubblicità ingannevole riceva un danno sia sotto il profilo patrimoniale (essendo costretto a pagare, ad esempio, il corrispettivo previsto dal "nuovo" contraente oltre al canone relativo alla vecchia utenza) sia sotto il profilo non patrimoniale (si pensi, ad esempio, allo stress derivante da inutili attese, al telefono, al call center nel tentativo di risolvere l'inconveniente; oppure, alla rinuncia alla navigazione su internet utilizzata anche come strumento di comunicazione - diritto, quest'ultimo, tutelato anche ex art. 15 Cost. - o di manifestazione del pensiero - art. 21 Cost. -). Si consideri, in ogni caso, che qualora il contraente non adempia a quanto pubblicizzato e riprodotto nel contratto, resta sempre ferma la possibilità di esperire l'ordinario rimedio della risoluzione contrattuale oltre, eventualmente, al risarcimento dei danni patiti.
Una tutela efficace del consumatore anche dagli effetti della pubblicità ingannevole, infine, è quella contenuta nella normativa di cui agli artt. 128 e segg. del codice del consumo. Il legislatore, infatti, con tali norme, ha inteso disciplinare, oltre alla garanzia dei prodotti, anche la conformità dei beni al contratto di vendita. Di particolare importanza, per quanto qui interessa, appaiono, in particolare, le disposizioni di cui agli artt. 128-130 applicabili al contratto di vendita nonché ai "contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre" (art. 128) che abbiano ad oggetto qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne i beni elencati nella disposizione di cui all'art. 128, ossia, quelli oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; l'acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; l'energia elettrica.
Il consumatore, attraverso tale disciplina con la quale, come detto, si è inteso, principalmente, garantire che i beni siano conformi al contratto (v., infra, cap. V), riceve una particolare tutela dal disposto di cui all'art. 129 lett. c) in quanto il legislatore, nel prevedere alcune circostanze che devono coesistere affinché i beni si possono presumere conformi, - con la conseguente applicazione, in difetto, dei rimedi previsti all'art. 130 (ossia la sostituzione o la riparazione oppure, in presenza dei presupposti di cui all'art. 130, commi 7-8-9, la riduzione del prezzo o la risoluzione contrattuale) - prevede anche i beni che "presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura". È evidente, quindi, che, l'esplicito riferimento, da parte della norma, ai beni difformi dalle "dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche (...) fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente (...), in particolare nella pubblicità sull'etichettatura", consentirà al consumatore di domandare, a sua scelta e senza spese, che il bene sia reso conforme al contratto mediante riparazione o sostituzione (art. 130, commi 3-6). Non vi è difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto, non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore.
Il venditore, al fine di liberarsi dal vincolo costituito dalle dichiarazioni pubbliche di cui al comma 2, lettera c), dovrà dimostrare che non era a conoscenza della dichiarazione e non poteva conoscerla con l'ordinaria diligenza; oppure che la dichiarazione è stata adeguatamente corretta entro il momento della conclusione del contratto in modo da essere conoscibile al consumatore; o che la decisione di acquistare il bene di consumo non è stata influenzata dalla dichiarazione. In difetto, si ripete, il consumatore potrà domandare, a sua scelta, la riparazione o sostituzione a meno che il rimedio richiesto sia, rispetto all'altro, eccessivamente oneroso per il venditore tenuto conto del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; dell'entità del difetto di conformità; o dell'eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
Le riparazioni o le sostituzioni, inoltre, devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore tenuto conto della natura del bene o dello scopo per il quale il bene è stato acquistato.
Nel caso in cui, invece, sia la riparazione sia la sostituzione siano oggettivamente impossibili o eccessivamente onerose, oppure, la riparazione o la sostituzione non è stata effettuata entro il predetto congruo termine, oppure, la riparazione o la sostituzione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore, quest'ultimo potrà chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione (art. 130, comma 7). In tali casi, nel determinare l'importo che deve essere restituito o la riduzione del prezzo, si terrà conto dell'uso del bene (art. 130, comma 8).
Il consumatore decade, però, da tali diritti se non denuncia il difetto entro il termine di due mesi dalla scoperta a meno che il venditore ne abbia riconosciuto l'esistenza o lo abbia occultato. Il venditore, il quale avrà diritto di regresso (art. 131 cod. consumo) verso il produttore o il precedente venditore della catena distributiva per la loro eventuale azione od omissione, è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro i due anni dalla consegna del bene (vd. cap. V).
Appare doveroso ricordare, infine, che, mentre non è ammissibile l'azione del singolo consumatore davanti al giudice ordinario al fine di fare inibire gli atti di pubblicità ingannevole, è stata, recentemente, ribadita dalla Corte di Cassazione a sezioni unite la legittimazione attiva da parte delle associa
zioni dei consumatori e la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (117).

Note:

(110) Per un'accurata esposizione dei diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sull'annullabilità per errore o dolo fino ad alcune interessanti pronunce relative agli effetti dell'ingannevolezza della pubblicità sul contratto, vd. L. POLIMENO, I raggiri ex art. 1439, comma 1, c.c.: sviluppi e contrasti giurisprudenziali alla luce delle decisioni dell'Autorità garante, in Giust. civ., 1998, 3, 879, nota a sent. Pret. Bologna, 8 aprile 1997.
(111) Trib. Firenze, 19 aprile 2005, in Obbligazioni e contratti, 2005, 2, pag. 176.
(112) Trib. Firenze, 19 aprile 2005, op. et. loc. cit.
(113) Pret. Bologna, sent. 8 aprile 1997, in Foro it., anno 1997, parte I, col. 3064, con nota di D'AQUINO e in Giust. civ. 1998, I, 879, con nota di POLIMENO.
(114) Pret. Bologna, sent. 8 aprile 1997, cit. Si è affermato, in particolare, che la società venditrice era: "(...) perfettamente consapevole, facendo uso della normale diligenza (se non altro per esperienza diretta, atteso il rilevante numero di contestazioni insorte a seguito della conclusione di contratti similari e della conseguente quantità di cause civili (...)) - e tralasciando ulteriori possibili profili in tema di dolo, che possono ritenersi qui assorbiti dalle presenti considerazioni - della confusione che poteva derivare dalle circostanze in cui l'accordo era stato firmato, nonché dallo stesso contenuto materiale del modulo predisposto per la sottoscrizione".
(115) Si ricorda l'orientamento più volte manifestato dalla giurisprudenza, anche di legittimità, secondo cui gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio devono essere valutati, ai fini dell'accertamento del dolo, con riferimento alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire l'idoneità a sorprendere una persona di normale diligenza (Ex plurimis: Cass. civ., sent. 12 gennaio 1991, n. 257, in Foro it., Rep., 1991, voce "Contratto in genere", n. 555). In tal senso si è pronunciata anche la Suprema Corte a Sezioni Unite ribadendo che il dolo è causa di annullamento del contratto, ex art. 1439 cod. civ., quando i raggiri siano stati tali che, senza di essi, "l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia, quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 cod. civ. Ne consegue che a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima". (Cass. civ., sez. un., 11 marzo 1996, n. 1955, in Giust. civ. 1996, I, 1284).
(116) Si ricorda, tuttavia, sia pure in merito alle omissioni di informazioni nel collocamento di titoli mobiliari, la natura "precontrattuale" della cd. "responsabilità da prospetto" è stata affermata, già da tempo, dalla giurisprudenza di merito. Vd., ex multis, Trib. Milano, 11 gennaio 1988, in Banca borsa tit. cred. 1988, II,532; Corte app. Milano, 2 febbraio 1990, in Resp. civ. e prev., 1991, 116 (nota).
(117) Cass. civ., sez. un., ord. 28 marzo 2006, n. 7036.
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Tratto da
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO NEL CODICE DEL CONSUMO
di Roberto Di Napoli
Maggioli Editore, 2007