IL RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE NEL NUOVO PROCESSO SOCIETARIO

 

Sommario: 1. Nuovo, originale, criptico con spunti di genialità, forse perfino utile. - 2. Lineamenti ed ispirazioni. - 3. Confronto con la Legge-delega. - 4. Confronto con la Costituzione e con il sistema; perché il giudizio comincia sommario e finisce ordinario. - 5. Introduzione del giudizio sommario. - 6. Costituzione del convenuto. - 7. Mancata costituzione del convenuto. - 8. Udienza ed accertamento sommario. - 9. Effetti della ordinanza di condanna; inidoneità al giudicato. - 10. Irrevocabilità ed immodificabilità della ordinanza di condanna. - 11. Ordinanza di accoglimento parziale dell'istanza sommaria e limiti della prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie. - 12. Impugnazione della ordinanza di condanna. - 13. Ancora sulla ordinanza negativa e sulla trasmigrazione della causa nelle forme ordinarie.

 

1. Nuovo, originale, criptico con spunti di genialità, forse perfino utile

Il procedimento sommario di cognizione, disciplinato dall'art. 19 del D. lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003 è il risultato più originale della intera riforma del processo societario. Elementi di ricercata arditezza lo staccano dai modelli, pur intuibili, e ne accentuano il carattere di scommessa sulle risposte della prassi. Non è insomma quel semplice référé all'italiana[1] che ci si poteva attendere, bensì qualcosa di più complesso.

La complessità è sul crinale: fra l'essere fine a sé stessa, e l'essere, almeno in misura  apprezzabile, utile alle strategie di tutela del singolo come alla funzionalità complessiva della macchina giudiziaria; consueto ed ideale connubio che il legislatore sembra qui aver avuto di mira in modo pressante. Presto per dirlo. Ma per nessuno degli altri "effetti speciali" escogitati dal legislatore del processo societario, come per il procedimento sommario, vi è curiosità di vederlo applicato e, se davvero funzionante, di meditarne l'estensione generalizzata o per lo meno a qualche altro ambito[2]. Del resto, un ulteriore strumento di tutela sommaria per il pagamento delle somme  e la consegna di cose mobili determinate, quale vuol essere quello apprestato dall'art. 19, potrà ben apprezzarsi anche nel quadro dei rapporti societari: soci o amministratori riottosi, esigenza che somme o beni o documenti passino di mano senza attesa dei tempi della cognizione ordinaria e senza sobbarcarsi alla dimostrazione di un periculum o alle strettoie della attuale tutela, cautelare o non cautelare, anticipatoria. E' però evidente che in molti altri settori esigenze consimili sono ancor più avvertite.

Il tutto, quanto alla espressione normativa, è assai stringato. L'interprete dell'art. 19 non solo è chiamato alla ardua collocazione sistematica del nuovo istituto, ma è costretto ad immaginarne e ricostruirne le sinapsi interne, più di un segmento essenziale lasciato del tutto oscuro ed il cui tracciato è di decisiva portata ai fini dell'assetto complessivo di questa originale tutela sommaria.

In ciò l'art. 19 è, sul piano estetico, l'esatto contraltare della disciplina dei procedimenti societari in camera di consiglio (art. 25-33). Lì molte, pompose e sovrabbondanti parole per fare ad ogni costo sistema e didattica legislativa, e non dire[3] quasi alcunché di nuovo[4],  qui tratti di penna fin troppo scabri[5].

 

2. Lineamenti ed ispirazioni

Questi i caratteri essenziali delineati all'art. 19. Entro il generale ambito di applicazione di cui all'art. 1 del D. lgs n. 5, e fuori dai casi in cui si tratti di accertare la responsabilità in ordine a rapporti societari e di ottenere conseguente condanna risarcitoria[6], le domande aventi ad oggetto pagamento di somme, anche se non liquide[7], o consegna[8] di cose mobili determinate[9] possono proporsi con ricorso, "in alternativa alle forme" della cognizione ordinaria. Competente è il giudice che lo sarebbe per questa, e che tuttavia decide in composizione monocratica. Disposta la comparizione delle parti in udienza, il giudice verifica allo stato degli atti la sussistenza dei fatti costitutivi dedotti dall'attore e la manifesta infondatezza delle eventuali contestazioni del convenuto, ed in caso positivo emana ordinanza di condanna, immediatamente esecutiva nonché titolo per la iscrizione di ipoteca. Altrimenti, e cioè in luogo della ordinanza di condanna, dispone la trasmigrazione del processo nelle forme della cognizione ordinaria fissando (all'attore) il termine ex art. 6 del Decreto n. 5/2003 per la prima replica. L'ordinanza è impugnabile unicamente innanzi alla Corte d'appello, ed anche in tale caso si avrà il passaggio, questa volta a partire dal secondo grado, alla cognizione ordinaria. Ove non impugnata, l'ordinanza sommaria mantiene gli effetti esecutivi e la idoneità alla iscrizione di ipoteca, ma non consegue quelli del giudicato sostanziale.

Alquanto remoti, rispetto a questo altri modelli di sommarietà.

Scontata - fuori dalla vicinanza nominale - la estraneità rispetto al procedimento  sommario del codice del 1865[10], questa sommarietà è ben diversa da quella che connota la fase monitoria del procedimento per decreto ingiuntivo: il contraddittorio è provocato in anticipo sul provvedimento, e per la emanazione di questo si prescinde dalla prova scritta così come da qualsiasi predeterminazione normativa della idoneità del supporto probatorio.

La sommarietà è ben diversa anche da quella che (almeno nel senso generico della contrapposizione alla cognizione piena) caratterizza il giudizio cautelare: si prescinde dal periculum; ma d'altra parte il viatico per l'ordinanza positiva non è il semplice fumus. Anzi, espresso con sintesi empirica, un canone di sommarietà giocato, come quello dell'art. 19, c. 2° bis, sulla verifica della sussistenza di fatti costitutivi e della manifesta infondatezza delle contestazioni suona: "in dubio pro negazione della ordinanza". E' già immaginabile, tuttavia, che proprio allo scopo di flettere in favore del ricorrente quest'asse, per lo meno al livello della precomprensione se non della motivazione giudiziale, la retorica forense non mancherà di enfatizzare elementi di periculum.

La sommarietà è, ancora, diversa da quella delle ordinanze anticipatorie in corso di causa: rispetto a quelle ex artt. 186 bis e ter  c.p.c. perché non è qui tipizzato sul piano probatorio il presupposto per l'emanazione della condanna e cioè per la sufficienza dell'accertamento sommario (in quei casi rispettivamente la non contestazione e la prova scritta, qui invece l'ordinanza può essere emanata anche in presenza di contestazione ed in assenza di prova scritta). Rispetto a tutte le ordinanze anticipatorie, compresa quella ex art. 186 quater, la differenza fondamentale è poi che qui l'ordinanza non anticipa un bel nulla: non è cioè destinata ad essere confermata o travolta da una sentenza nello stesso grado che si svolge a cognizione piena, poiché invece la cognizione piena si apre di regola solo quando e se l'ordinanza non sia emanata. Né d'altra parte l'ordinanza può sostituire integralmente quoad effectum il provvedimento conclusivo del giudizio a cognizione piena (come accade a certe condizioni per quelle ex artt. 186 ter  e quater); essa, invece,  non è mai idonea a conseguire gli effetti del giudicato.

Nondimeno, qualora si voglia aggiungere a quello sostanzialmente anodino del "sommario non cautelare" (enunciato, come fra breve si ricorderà, dalla stessa Legge di delega) un emblema qualificatorio di una qualche pregnanza, credo che il riferimento alla tutela anticipatoria[11], se convenientemente inteso[12], resti il più espressivo: anticipazione pur sempre ' con abbreviazione dei tempi necessari per il loro conseguimento ' di taluni effetti della sentenza, non già all'interno del medesimo processo, bensì nell'ambito di una medesima vicenda processuale, potenzialmente ancora aperta, visto il mancato formarsi del giudicato; anticipazione che, correlativamente e diversamente dalle altre, chiude il grado di giudizio: la sentenza sopravverrà se del caso in altro grado o in altro giudizio ancora possibile relativamente alla stessa vicenda contenziosa[13].

Fra i modelli comparatistici il richiamo ormai "ufficiale" (ed infatti contenuto anche nella relazione di accompagnamento al Decreto n. 5) è al référé franco-belga[14]; ma si potrebbe quasi a pari titolo evocare il Kort geding olandese[15]. In ogni caso la differenza risulterebbe significativa. Non solo manca, nel nostro art. 19, il presupposto dell'urgenza (come, per vero, la stessa relazione di accompagnamento opportunamente ricorda), ma soprattutto solo nel nostro istituto vi è il meccanismo di trasformazione diretta della fase sommaria in fase a cognizione piena, vuoi attraverso il passaggio interno al primo grado ed in sostituzione della ordinanza di condanna, vuoi attraverso la impugnazione di quest'ultima e l'apertura conseguente di un giudizio di secondo grado in tutto e per tutto ordinario.

Semmai, un embrione di questa originale caratteristica si ritrova nella ordinanza di pagamento, estesa anche ai crediti risarcitori, emanata dall'ufficiale giudiziario svedese[16]. Se il debitore nulla eccepisce, l'ufficiale giudiziario emette l'ordinanza; altrimenti informa l'istante e questi può tramutare entro un termine di decadenza il procedimento in processo ordinario davanti al giudice. Ma ancor qui la differenza è di notevole momento: nel nostro procedimento sommario la trasmigrazione nelle forme ordinarie, quale alternativa all'ordinanza di condanna, non ha luogo se il ricorrente lo vuole, bensì ope iudicis; e ci si dovrà chiedere la ragione di questo apparente arretramento della dispositività.

In realtà, più che in questo o quel modello comparatistico, il background "europeo", e perciò à la page, del nostro nuovo istituto andrebbe ricercato, pur attraverso connessioni indirette e non so quanto consapevolmente avvertite dal legislatore del nuovo processo societario, nella Direttiva comunitaria sui termini di pagamento del 2000[17] e nel suo auspicio che alla domanda giudiziale di pagamento non contestata il sistema processuale interno offra una via di conseguimento del titolo esecutivo tendenzialmente in non più di novanta giorni (è scontata naturalmente la diversità di ambito applicativo, visto che la Direttiva si riferisce ai soli crediti da transazioni commerciali).

Non che l'art. 19 sia imperniato sul presupposto della non contestazione. Ma ove contestazione non vi sia il ricorso sommario ex art. 19 sembra attualmente, se gli uffici risponderanno in modo decentemente fisiologico, il sistema di più rapido conseguimento del titolo esecutivo. Non sono tali né il ricorso ingiuntivo classico, oltretutto necessitante la prova scritta[18], né la richiesta ex art. 186 bis: entrambi scontano spazi temporali non riducibili oltre una certa misura e non del tutto calzanti rispetto all'auspicio della Direttiva (tempi di emanazione e notifica del decreto ingiuntivo, termine per la proposizione della opposizione a decreto ingiuntivo, termine a comparire pur abbreviato, durata necessaria perché si pervenga, pur con richiesta di anticipazione, alla prima udienza del giudizio di opposizione o del giudizio ordinario) prima che il giudice possa, verificata la non contestazione dell'avversario, formare il titolo esecutivo.

E' questa una delle ragioni per cui da un lato, e sul piano della politica del diritto, merita di essere presa in seria considerazione l'ipotesi di estendere, dopo opportuno vaglio ma anche prima di qualsiasi e futuribile riforma globale del c.p.c., il procedimento sommario "societario" ad altri settori della tutela civile (estensioni di altre caratteristiche del nuovo processo societario suscitano ben maggiori riserve e richiedono comunque maggior ponderazione[19] e tempi più lunghi). D'altro lato, e sul piano della strategie forensi, pur chi abbia già la prova scritta dovrà riflettere, caso per caso e mano a mano che la esperienza applicativa sul nuovo istituto si affini, se convenga la via monitoria classica (ricorso, tempo di emanazione del decreto  ben raramente esecutivo, notifica di questo, termine per l'opposizione, opposizione nella forma del rito societario, costituzione dell'opposto e sua richiesta immediata, ex art. 2, c. 3° del D. lgs. n. 5, del provvedimento cui all'art. 648 c.p.c. e, solo in esito a questo, formazione del titolo), ovvero se esperire quella sommaria ex art. 19 (ricorso, decreto di fissazione di udienza, notifica, udienza, formazione del titolo). Ed è chiaro che decisiva in proposito potrà essere la prognosi sulle difese avversarie: a misura che si immagini una difesa notevolmente lontana dal livello della eccezione fondata su prova scritta o di pronta soluzione aumenteranno le chances realistiche di ottenimento della ordinanza sommaria e parrà preferibile impiegare meno tempo.

 

3. Confronto con la Legge-delega

Quanto al background ufficiale e diretto dall'art. 19, vale a dire l'art. 12, c. 2° lett. d della Legge di delega n. 366/2001, esso contemplava "un giudizio sommario non cautelare improntato a particolare celerità ma con il rispetto del principio del contraddittorio", conducente all'emanazione "di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato".

Nella complessa vicenda in due tempi della riforma ' rectius della creazione ' del rito societario, è questo un raro caso in cui il compito demandato al legislatore delegato è esattamente definito nei suoi contorni della Legge di delega, ed il delegato a tali contorni si è scrupolosamente attenuto limitandosi a colorarli. Chiedersi se qui vi sia eccesso dalla delega o indeterminatezza di quest'ultima è davvero sterile.

La relazione di accompagnamento, a proposito dell'art. 19 del Decreto ed in riferimento all'art. 12, c. 2° lett. d della Legge di delega, pasticcia alquanto[20]. La relazione ritiene infatti che quella disposizione della Legge-delega abbia avuto, oltre all'art. 19 del Decreto, un altro figlio: il procedimento c.d. abbreviato ex art. 24, c. 4° del Decreto, vale a dire la pronuncia immediata nel merito a seguito di semplice richiesta cautelare in corso di causa ove il giudice ritenga che quest'ultima sia comunque matura per la decisione.

In realtà il c.d. giudizio abbreviato è figlio della generale previsione ex art. 12, c. 2° lett. a ("concentrazione del procedimento e riduzione dei termini", e cioè dei tempi "processuali")[21]. Non ha invece nulla a che vedere con l'art. 12, c. 2° lett. d, ove si dice di giudizio sommario non cautelare: il giudizio abbreviato non è sommario e si inserisce sul tronco di un giudizio cautelare. Né i due istituti hanno nulla in comune fra loro.

L'unico aspetto che li avvicina è il passaggio automatico da una fase all'altra; dalla fase sommaria a quella ordinaria; dalla fase cautelare e quella decisoria nel merito.

Sono passaggi, però, che avvengono in situazioni diverse  ed anzi sotto un certo profilo opposte: nel caso del c.d. giudizio abbreviato il giudice passa direttamente alla decisione di merito quando, nonostante si trovi in fase cautelare, ci vede già abbastanza chiaro; nel caso del sommario il giudice passa alla fase ordinaria quando vuole vederci chiaro. Certo vi è, sotto questo denominatore comune apparente, che ha forse tratto in inganno il relatore, un piccolo denominatore comune reale corrispondente appunto al semi-automatismo  del passaggio, prescindente dalla volontà di parte e rimesso alla discrezionalità  vincolata  dal giudice: è la preoccupazione del legislatore di non perder tempo, di fare in modo che l'iniziativa processuale della parte metta capo, anche al di là del suo stesso contenuto ed intendimento originario, a qualcosa di utile per la funzione giurisdizionale complessivamente considerata[22].


4. Confronto con la Costituzione e con il sistema; perché il giudizio comincia sommario e finisce ordinario

Piuttosto, la filosofia del procedimento  sommario è di molto più imparentata a quella che retrosta ad altra rilevante modifica della tutela cautelare: la stabilità dei provvedimenti di urgenza e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori a prescindere dalla instaurazione del giudizio di merito (art. 23, c. 1° del Decreto n. 5).

La filosofia comune è questa: il giudicato non è l'unico possibile ed imprescindibile obiettivo della iniziativa processuale della parte a tutela del diritto soggettivo. Si tratta di rilievo empirico, la cui corrispondenza al buon senso è intuitiva, e le cui implicazioni costituzionali e sistematiche non sono così rilevanti e problematiche come a tutta prima potrebbe apparire.

Quando si consideri in particolare, ed a proposito dell'art. 19, la sequenza ipotizzata dal legislatore e consistente nell'accertamento sommario - attraverso udienza, ma con discrezionalità istruttoria da camera di consiglio - e nella emanazione di ordinanza mai idonea al giudicato sostanziale, credo non sia necessario, e proprio a cagione di tale inidoneità, evocare funditus la nota ed in altri contesti certo non sottovalutabile problematica relativa alla cameralizzazione dei giudizi contenziosi di cognizione sui diritti ed alla legittimità costituzionale di tale cameralizzazione[23].

Né dunque occorre chiedersi se i dubbi di costituzionalità possano fugarsi, come in altri casi (non in tutti) da un lato sulla base della ben nota affermazione della Consulta secondo cui costituzionalizzato è il contraddittorio non il contraddittorio nelle forme ordinarie; d'altro lato sulla base dell'opera ricostruttiva della giurisprudenza ordinaria che, con meccanismi interpretativi di costituzionalizzazione additiva, adatta le forme della camera di consiglio alla tutela dei diritti[24] (così evitando anche i dubbi che oggi potrebbero derivare dal novellato art. 111 Cost. e dalla garanzia del "giusto processo regolato dalla legge", per "legge" potendo ben intendersi anche il diritto vivente).

Qui il discorso è altro: il giudicato ' a seguito del solo accertamento sommario - non vi è e può non esservi perché l'art. 24 Cost. costituzionalizza la tutela giurisdizionale effettiva, non la tutela da impartirsi necessariamente con il giudicato. Ed in questa occasione, come già in altre che non hanno creato problemi di sorta (si pensi alla tutela cautelare), il legislatore ordinario ha ritenuto che per essere effettiva la tutela giurisdizionale dovesse comprendere anche questo accertamento con prevalente anzi esclusiva funzione esecutiva[25] e senza formazione del giudicato. Visto che il giudicato non si forma - e quando cioè la vicenda ex art. 19 si conclude in fase sommaria - non occorre insomma chiedersi se il procedimento sommario ponga problemi di costituzionalità analoghi a quelli della estensione del rito camerale ai giudizi contenziosi. Qui vi è quel tanto di contraddittorio previsto dalla legge - nel rispetto perciò anche dell'art. 111 Cost. novellato - che basta alla formazione di un titolo esecutivo giudiziale non idoneo al giudicato[26].

Parallelamente, non credo neppure[27] si debba collocare l'art. 19 nel novero delle radicali negazioni o relativizzazioni specificative della c.d. correlazione necessaria fra provvedimenti decisori su diritti (e tutela giurisdizionale dei diritti) e giudicato[28].

Quanto al rapporto fra giudizio sommario ex art. 19 e cosa giudicata, va inoltre ribadito che l'iniziativa processuale dell'attore in via sommaria è comunque idonea ex post a mettere capo al giudicato sostanziale: se l'ordinanza è emanata attraverso la sua impugnazione; se l'ordinanza non è emanata attraverso il passaggio, senza soluzione di continuità, disposto dal giudice e non rimesso a nuova iniziativa dell'attore, alle forme ordinarie.

Se relativizzazione vi è, insomma, rispetto alla "correlazione necessaria", essa è insignificante; perfino più insignificante di quella, del tutto innocua, che si ha nel caso di ordinanza ex art. 186 bis c.p.c., permanentemente esecutiva dopo l'estinzione del processo, ma non idonea al giudicato. Anche l'ordinanza sommaria ex art. 19 è come tale capace di permanere indefinitamente efficace sebbene inidonea al giudicato, ma essa è soggetta ' a differenza della ordinanza ex art. 186 bis c.p.c. ' ad impugnazione ordinaria, all'esito della quale potrà constatarsi, né più e né meno, che l'iniziativa, originariamente sommaria dell'istante, ha dato comunque luogo ad un giudicato sostanziale. Vero è, insomma, che la richiesta tutela del diritto soggettivo, pur non essendo impartita con la forza del giudicato, non è ' nel caso dell'art. 19 - neppure interinale bensì indefinitamente permanente; ma quella tutela può essere ribaltata o confermata con la efficacia del giudicato sostanziale, sol che una sola parte lo voglia, ed all'interno della stessa vicenda processuale, vale a dire attraverso la impugnazione dell'ordinanza.

Che poi il legislatore del nuovo processo societario, allorché ha immaginato il passaggio immediato dalle forme sommarie a quelle ordinarie attraverso la semplice impugnazione dell'ordinanza, avesse in mente questa o quella esigenza di politesse sistematica si esita a credere. E si dirà oltre quali possano essere state le ragioni immediate della previsione di quel meccanismo.

Quanto all'altra ipotesi di passaggio dalle forme sommarie a quelle ordinarie, e cioè al passaggio semi-automatico ' perché svincolati perfino dalla iniziativa di parte ' che si ha allorché l'ordinanza non sia emanata, esso merita fin d'ora una ultima considerazione, sempre in punto di inquadramento generale del procedimento sommario[29].

Si poteva strutturare tale procedimento in modo che tutto finisse in fase sommaria con l'ordinanza positiva o negativa, o per lo meno che la fase ordinaria cominciasse solo a richiesta dell'attore il quale si fosse  visto rifiutare l'ordinanza in via sommaria (v. il cennato modello svedese).

Perché invece si è previsto il passaggio ope iudicis?

Credo si tratti, in prima approssimazione[30], di una previsione a tutela del convenuto contro le iniziative avventurose, strumentali o di semplice disturbo dell'attore. L'attore non punta al giudicato, punta al titolo esecutivo, ma deve  essere responsabilizzato (il processo è una cosa seria comunque): a quel titolo esecutivo deve puntare seriamente, e deve sapere che se non lo ottiene rischia di essere per sempre inchiodato, con la formazione del giudicato nella fase a cognizione piena, alla sua iniziativa così come egli l'ha proposta.

D'altra parte, l'automatismo del passaggio responsabilizza anche il convenuto, perché, una volta operato il passaggio, la fase a cognizione piena non ricomincia ab origine, bensì (di regola, come vedremo) dalla memoria dell'attore ex art. 6. Il che vuol dire che la comparsa di costituzione che il convenuto ha depositato in fase sommaria equivale a comparsa di risposta ai fini della cognizione piena. Anche il convenuto deve sapere che nel costituirsi in fase sommaria non gli è sufficiente solo quel tanto che basta a impedire l'emanazione dell'ordinanza di condanna. Egli deve piuttosto ponderare ed esporre le sue prospettazioni difensive già in vista della cognizione piena.

Questo equilibrio di fondo è in concreto assai delicato e deve guidare tutta la lettura dell'art. 19. Mi pare ' e ne dirò fra breve - che proprio le ultime non felicissime modifiche adottate, dopo la entrata in vigore del D. lgs. n. 5/2003, con il D. Lgs. correttivo del 6 febbraio 2004, n. 37 lo abbiano in qualche modo alterato.

 

5. Introduzione del giudizio sommario

La scelta della monocraticità in fase sommaria trova più che ragionevole supporto nella Legge-delega, la quale in termini generali  consentiva l'eccezione alla regola della collegialità per le controversie societarie in considerazione "della natura degli interessi coinvolti". Qui il bilanciamento degli interessi che giustifica la monocraticità vede da un lato l'esigenza dell'attore alla celere formazione di un titolo esecutivo, d'altro lato la protezione del convenuto, e del medesimo attore, rispetto alla formazione del giudicato. Ben inteso se ha luogo il trasferimento alle via ordinarie, con possibilità dunque di formazione del giudicato, la collegialità riprende il sopravvento, salvo il caso contemplato dall'art. 1, c. 1°, lett. e e c. 3° del Decreto.

La azione sommaria si propone con ricorso[31], che ha sicuramente effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione ed impeditivo della decadenza[32].

Poiché tale azione può comunque dar luogo alla cognizione ordinaria, o in primo grado o in sede di impugnazione della ordinanza, il deposito del ricorso in cancelleria determina la litispendenza[33], a differenza di quanto accade per il deposito del ricorso cautelare ante causam. Se è vero che la litispendenza non è che la faccia anticipata del giudicato ed insieme una delle chiavi dell'armonia fra giudicati, essa perdurerà, nel nostro caso, fino a quando non passi in giudicato la sentenza che pronuncia sulla domanda in sede di cognizione piena, ovvero fino a quando non divenga inimpugnabile la ordinanza che accoglie la domanda, di guisa che si sia certi che nessuna pronuncia a cognizione piena può più sopravvenire in quello stesso processo su quella domanda.

Chi avesse dubbi riguardo a questo assunto ' che è di non poca importanza ai fini dell'esatto inserimento del nuovo istituto del sistema ' troverà ragione di fugarli anche nella espressione dell'art. 19, c. 1°, secondo cui "le controversie (....) possono essere proposte" (si sarebbe detto meglio "instaurate") "in alternativa alle forme di cui agli art. 2 e seguenti, con ricorso .....". Questa "alternatività" - altrimenti pleonastica perché già assorbita dal "possono" ' sottolinea l'impossibilità di agire contemporaneamente in via sommaria ed in via ordinaria. Tale contemporanea proposizione - tutt'altro che consona ad una logica deflattiva - è del resto uno degli inconvenienti che il sistema del référé ha palesato addirittura innanzi alle corti del Granducato del Lussemburgo[34], che si stenta ad immaginare oberate come le nostre.

La notifica del ricorso sommario al convenuto ha luogo ad istanza dell'attore unitamente al decreto giudiziale di fissazione della udienza per la comparizione delle parti. Nella originaria versione l'art. 19, c. 2° non fissava al giudice alcun termine per la determinazione della data di comparizione, né fissava alcun termine all'attore per la notifica del ricorso e del decreto, bensì si limitava a stabilire che il convenuto dovesse costituirsi dieci giorni prima della udienza di comparizione.

Questa elastica soluzione, evidentemente ispirata a quella che regola la fase introduttiva del giudizio cautelare ante causam, appariva assai opportuna: si prendeva atto che le controversie non sono tutte uguali e che può esser saggio affidare al giudice, caso per caso, la determinazione congrua - entro limiti di ragionevolezza orientata dal carattere sommario del procedimento - dello spazio temporale da lasciare al convenuto per replicare alla iniziativa avversaria.

L'infelice restyling operato con il D. Lgs. correttivo n. 37/2004 trasporta ad un apposito comma 2° bis[35] il contenuto della seconda parte del precedente c. 2°; modifica la prima parte di questo, che occupa per intero l'attuale c. 2°: il giudice fissa a non oltre sessanta giorni la comparizione delle parti con decreto da notificarsi almeno trenta giorni prima della data d'udienza al convenuto, al quale resta imposta la costituzione non oltre dieci giorni prima dell'udienza.

La sclerosi attuale ha l'origine "politica" di tutte le sclerosi di tal genere: vi è qualcuno, nel panorama di chi deve varare, accogliere e digerire le nuove leggi processuali, che crede nella (e qualcuno da seguitare ad illudere circa la) virtù magica, nel senso dell'efficienza, dei tempi contingentati, predefiniti e più "brevi" possibile.

Il convenuto, fra la notifica del ricorso e del decreto di comparizione che egli riceve ed il termine per la costituzione, ha venti giorni soltanto per organizzare le proprie difese (nel rito ordinario societario ne ha almeno sessanta). Ma se dalla cognizione sommaria si passa alla cognizione ordinaria, quest'ultima prende avvio dalla replica dell'attore ex art. 6. Ergo: la costituzione del convenuto in fase sommaria vale comparsa di risposta - con le inerenti preclusioni aggravate proprio dalle modifiche del febbraio 2004[36] - ai fini del giudizio ordinario. E' una nuova possibilità strategica per l'attore: cominciare in via sommaria - pur sapendo che l'ordinanza sommaria sarà negata e si sfocerà nel giudizio ordinario - allo scopo preminente di stringere il convenuto all'angolo. Ma è lecito? E' razionale ed intenzionalmente voluto dal legislatore?

Si potrebbe obiettare che proprio la eventualità della trasmigrazione dal sommario all'ordinario ha indotto il legislatore delle ultime modifiche ad attribuire al convenuto termini a difesa certi, sottraendo la loro determinazione alla discrezionalità giudiziale. Si eviterebbe così il rischio che per controversie relativamente semplici il giudice addirittura abbrevi quei termini a difesa. Ma è questo un rischio davvero remoto. E con il nuovo testo si rinuncia poi alla opportunità che ciò accada convenientemente per cause davvero semplicissime; e si ipotizzano termini a difesa tutt'altro che confacenti rispetto alla generalità delle controversie. Insomma: se proprio non si intendeva riporre fiducia nel prudente apprezzamento del giudice, i termini a difesa unici e predeterminati per il convenuto andavano parametrati con maggiore ampiezza in relazione alle cause di media o notevole complessità[37], tutt'altro che infrequenti in materia societaria.

 

6. Costituzione del convenuto

Tutta la problematica è in parte ridimensionata quando si ponga mente alla effettiva portata del dovere di costituzione del convenuto almeno dieci giorni prima della udienza di comparizione, la cui violazione non è sanzionata da alcuna apposita decadenza ai fini dell'art. 19 e cioè della fase sommaria[38]. Il convenuto può costituirsi anche in udienza senza incorrere ' relativamente alla fase sommaria - nella contumacia né in preclusioni di sorta: ed il discorso riguarda evidentemente e soprattutto le eccezioni. La sanzione della violazione del "dovere" di costituirsi dieci giorni prima si risolverà nell'eventuale apprezzamento della condotta processuale; apprezzamento che, de facto, potrà risultare particolarmente significativo nella sede di un accertamento sommario ed allo stato degli atti[39].

Se il processo trasmigra in primo grado nelle forme ordinarie, le barriere preclusive imposte al convenuto corrispondentemente alla comparsa di risposta in quella sede (art. 4, c. 1° del Decreto), scatteranno verosimilmente in coincidenza con l'udienza sommaria. Parrebbe invero troppo complicato arretrarle ' sia pure ai soli fini della cognizione piena ed ordinaria ' ai dieci giorni prima della udienza sommaria. Ricostruzione questa astrattamente concepibile, ma alquanto farraginosa: potrebbe aversi un convenuto contumace rispetto alla cognizione piena, non contumace rispetto alla cognizione sommaria.

Conviene dunque ragionare nel modo seguente: l'atto di costituzione del convenuto in fase sommaria equivale a posteriori - se cioè vi sia trasmigrazione al processo ordinario - a comparsa di risposta nel senso dell'art. 4, ma la sua tempestività ai fini delle decadenze ex art. 4, c. 1° non si verifica con riguardo al termine nominalmente imposto dall'art. 19, c. 2° (dieci giorni prima dell'udienza sommaria), bensì con riguardo all'ultimo momento (l'udienza) entro il quale è possibile al convenuto costituirsi in fase sommaria senza conseguenze in punto di preclusioni o contumacia. Altrimenti detto: un convenuto che si costituisca all'udienza sommaria si costituisce in quella sede tempestivamente dal punto di vista delle preclusioni e della contumacia; quando il suo atto di costituzione si trasforma a posteriori in comparsa di risposta ex art. 4, si tratta di una comparsa di risposta tempestiva anche ai fini del processo ordinario.

Le decadenze corrispondenti alla comparsa di risposta riguardano, in base all'art. 4, c. 1° per come modificato nel febbraio 2004, la proposizione della riconvenzionale e la  chiamata di terzi. Certo - e salvo il caso di riconvenzionale "sommaria", della quale cioè il convenuto espressamente richieda l'accoglimento con ordinanza ex art. 19[40] - la domanda riconvenzionale, pur se non conoscibile in via sommaria, sarebbe inserita nell'atto di costituzione in fase sommaria solo in vista della eventuale trasformazione di questa in giudizio di cognizione ordinario; e lo stesso potrebbe dirsi per alcune ipotesi di chiamata di terzo, e per lo meno per tutte le chiamate in garanzia. Si tratterebbe insomma di iniziative non direttamente funzionali alla cognizione in fase sommaria, ed in quella - dal punto di vista del convenuto ' alla reiezione della richiesta sommaria dell'attore. Ha senso imporre al convenuto, a pena di decadenza, una attività processuale funzionale solo se e quando il processo trasmigri nelle forme ordinarie?[41]

Chi vedesse in ciò, per così dire, un eccesso di principio di eventualità, sosterrà ' e la cosa è tutt'altro che implausibile ' che se il processo trasmigra nelle forme ordinarie, e l'attore notifica la memoria ex art. 6, il convenuto può ancora e nello scritto successivo, vale a dire nella seconda memoria difensiva ex art. 7, proporre domande riconvenzionali e chiamate di terzi la cui esigenza si è prospettata solo all'esito della trasformazione del processo in cognizione ordinaria.

Anche ove si adotti questa tesi, il meccanismo di fondo che governa le forme della cognizione ordinaria societaria parrebbe consentire all'attore di confinare la posizione processuale del convenuto a quella esposta con la costituzione in fase sommaria: basterebbe che l'attore chiudesse il gioco subito e notificasse, piuttosto che la memoria di replica ex art. 6, immediata istanza di fissazione di udienza ex art. 8.

Che una simile opzione strategica possa all'occorrenza non prospettare controindicazioni per l'attore non avrei dubbi: nei soli casi, per altro, in cui l'attore ritenga di aver esposto a sufficienza le proprie ragioni nel ricorso sommario e di averlo altresì corredato con adeguato supporto probatorio, e l'ordinanza sommaria non sia seguita (e dunque abbia avuto luogo la trasmigrazione nelle forme ordinarie) unicamente perché il giudice ha ritenuto non potersi formare un convincimento sommario proprio a fronte della complessità e rilevanza delle prove costituende da assumere.

Che una simile opzione resti poi praticabile de iure avrei invece molti dubbi.

In prima approssimazione, è vero, non si può ritenere che il disposto ex art. 11, c. 3° - secondo cui, quando il giudice ritiene necessaria una cognizione non sommaria, "assegna all'attore i termini di cui all'art. 6" - significhi che il processo debba necessariamente proseguire nelle forme ordinarie attraverso la memoria di replica ex art. 6, e che cioè non sia dato all'attore, entro quei termini - fissati in tal caso dal giudice e non dal convenuto - scegliere fra le due possibilità offerte dall'art. 8: replicare o avviare la causa sui binari della decisione. Il problema è che proprio ai sensi dell'art. 8, c. 1°, l'attore può notificare l'istanza di fissazione di udienza "entro venti giorni dalla data di notifica della comparsa di risposta del convenuto cui non intende replicare". Ed anche il termine ultimo per la notifica dell'istanza di fissazione, da parte dell'attore che la faccia seguire, senza replica, alla comparsa di risposta del convenuto, è computato ex art. 8, c. 4° con riferimento alla data di notifica della comparsa di risposta: notifica che nel nostro caso non vi è, visto che l'atto di costituzione del convenuto, pur tenendo luogo della compara di risposta nel rito ordinario, è stato a suo tempo, nel giudizio nato come sommario, depositato in cancelleria o in udienza e non notificato. Far coincidere, ai fini del calcolo dei termini ex art. 8, quel deposito a notifica darebbe luogo ad ulteriori e pressoché insolubili complicazioni.

Sembra dunque doversi concludere che successivamente alla fissazione del termine ex art. 6, mediante la quale il giudice trasforma il processo sommario in ordinario, non potrà mai aversi immediata richiesta di fissazione di udienza ad opera dell'attore.

Questi dovrà bensì riprendere la parola in sede ordinaria, ed appunto con la memoria di replica, per poi passarla al convenuto; il quale, ben si intende, potrà chiudere il gioco subito dopo la notifica della memoria dell'attore cui non intenda a propria volta replicare, e potrà farlo, come potrà farlo lo stesso attore, una volta decorsi invano i termini fissati a quest'ultimo per la notifica della memoria ex art. 6.

Con ciò resta impedita all'attore anche la possibilità di precludere al convenuto, attraverso la immediata proposizione di istanza di fissazione di udienza, le eccezioni non rilevabili d'ufficio che quegli non abbia ancora sollevate nella comparsa di costituzione in fase sommaria.

Non che altre ricostruzioni del complesso intreccio ' non so quanto presente al legislatore e soprattutto al legislatore dalle ultimissime modifiche del febbraio 2004 - fra gli art. 19, 6 ed 8 del D. lgs. n. 5 non siano plausibili. Ma questa mi sembra adeguatamente garantista nei confronti del convenuto ' a fronte del ristretto spazio temporale che gli è concesso onde prendere posizione in fase sommaria ' e perciò da preferire.

 

7. Mancata costituzione del convenuto

Se il convenuto non si costituisce neppure all'udienza egli è sicuramente "contumace" sia rispetto alla cognizione sommaria, sia rispetto alla eventuale cognizione piena.

Tutto sta a chiarire il senso ed il regime di siffatta contumacia.

In relazione alla fase sommaria una formale declaratoria di contumacia ex art. 291 c.p.c. ha ben poco significato, poiché è praticamente inconcepibile che in quella fase ed ai fini di ogni suo possibile  esito possa operare il regime protettivo del contumace (da mancata costituzione) previsto appunto dagli artt. 291 ss. c.p.c.

Ciò non vuol dire che la condotta consistente nella mancata costituzione in fase sommaria resti nella medesima fase indifferente. Né può ritenersi che l'effetto di tale condotta consista ' ad instar di quanto accade ex art. 186 bis c.p.c. ' nell'impedire l'emanazione della condanna sommaria; conclusione questa contraria a qualsiasi criterio di lettura sistematica e razionale del complesso delle disposizioni dell'art. 19.

Sembra invece ragionevole applicare, in via perfino estensiva[42] più che analogica, il regime della contumacia "speciale" ex art. 13 c. 2°[43] e ritenere che il giudice debba considerare i fatti costitutivi  dedotti dall'attore come non contestati[44].

Naturalmente, non è detto che il giudice renda allora automaticamente l'ordinanza di condanna a carico del convenuto, perché a tale scopo quei fatti non contestati devono essere altresì "concludenti" vale a dire idonei, nel quadro giuridico di riferimento, a giustificare l'accoglimento della pretesa (v. sempre l'art. 13 c. 2° nonché il buon senso). Ove essi non lo siano resta però il problema di stabilire se il giudice debba emanare apposita e conclusiva ordinanza di rigetto, ovvero disporre la trasmigrazione del giudizio nelle forme ordinarie inchiodando così l'attore alla sua incauta iniziativa ed esponendolo a possibile giudicato di rigetto, piuttosto che alla semplice ordinanza di rigetto inidonea al giudicato. La serietà che connota questa seconda soluzione la lascia preferire, come si avrà modo di ribadire più avanti esponendo anche altre ragioni di carattere generale.

Se il processo trasmigra nelle forme ordinarie, invece, vi sarà spazio solo limitato per l'applicazione, diretta questa volta e non estensiva o analogica, del regime di contumacia speciale ex art. 13. Il quale ha di regola come presupposto che a seguito della mancata tempestiva notifica della comparsa di risposta del convenuto l'attore, piuttosto che replicare con la memoria ex art. 6, proponga immediata istanza di fissazione di udienza ("in quest'ultimo caso" - recita l'art. 13, c. 2° - "i fatti affermati dall'attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati"). Anche una volta stabilita l'equivalenza funzionale tra mancata costituzione in forma sommaria e mancata notifica della comparsa ai fini della fase ordinaria, mancherebbe, per l'applicazione dell'effetto ex art. 13, c. 2°, l'altro elemento del presupposto, visto che, come si è rilevato al paragrafo precedente,  non sembra consentita all'attore ' di seguito alla ordinanza con cui il giudice, ai sensi dell'art. 19, in luogo della condanna sommaria, fissa i termini ex art. 6 ' la immediata notifica della istanza di fissazione di udienza.

Né del resto è verosimile che l'attore vi provveda, piuttosto che cercare di risalire la china avvalendosi della memoria ex art. 6, quando si sia visto rifiutare l'ordinanza sommaria nonostante la mancata contestazione del convenuto, rispetto a fatti che, dunque, il giudice del sommario non ha ritenuto concludenti.

E' chiaro che se il convenuto seguiterà a non costituirsi, e non risulterà al Tribunale del giudizio ordinario l'esistenza di alcuna risposta e di alcuna contestazione del convenuto, la regola della ficta confessio introdotta dall'art. 13, c. 2° tornerà ad applicarsi.

Nulla esclude, invece, che il giudice del sommario, in una con l'ordinanza che fissa i termini ex art. 6 e dispone la trasmigrazione sul versante della cognizione ordinaria, dichiari, ed in vista di questa, altresì la contumacia "comune" ex art. 291 ss. c.p.c. del convenuto non costituito in fase sommaria; contumacia che andrebbe comunque dichiarata dal Tribunale della cognizione ordinaria una volta che l'udienza si svolga e si constati che il convenuto non si è mai costituito[45].

 

8. Udienza ed accertamento sommario

All'udienza il giudice verifica (art. 19, c. 2° bis): a) se "i fatti costitutivi della domanda" sono "sussistenti" e b) se la (eventuale) "contestazione del convenuto" è "manifestatamene infondata". Ove la verifica sia positiva su entrambi i fronti pronuncia l'ordinanza sommaria di condanna.

Che il legislatore si affidi qui alla discrezionalità vincolata del giudice è evidente. Quanto sia vincolata tale discrezionalità, e quanto possa e debba essere sommario l'accertamento presupposto alla condanna o alla sua negazione, l'interprete può provare a dire per linee generali, consapevole di essere nel regno del "caso per caso". Oltretutto, sui connotati specifici di quel presupposto stenterà a sedimentarsi perfino una qualche nomofilachia  impugnatoria locale (di Suprema Corte nemmeno a parlarne), visto che il provvedimento non è impugnabile o reclamabile in quanto ordinanza sommaria  (così come, invece, l'ordinanza cautelare e reclamabile in quanto tale). Essa è bensì impugnabile innanzi alla Corte d'appello con apertura di un grado, il primo, di cognizione piena sull'originaria domanda, nel corso del quale dunque non si indagherà sul se il giudice del grado precedente abbia o meno fatto corretto governo dei suoi poteri di accertamento sommario, salvo quel poco che potrà anche implicitamente emergere in proposito dalla pronuncia interinale del giudice della impugnazione sulla richiesta di inibitoria.

 In termini generali può dirsi che:

a) la manifesta infondatezza (concetto nominalmente indeterminato, ma ormai ampiamente decifrato), riferita alla contestazione del convenuto, evoca immediatamente il fumus di quella contestazione: se essa - eccezione o semplice difesa - si prospetta dotata di una plausibilità corrispondenza a ciò che integrerebbe fumus boni iuris in fase cautelare, allora non può dirsi manifestamente infondata. Importante rilevare ' e se ne vedranno fra breve le conseguenze applicative ' è che il legislatore ha chiaramente voluto che anche la manifesta infondatezza delle contestazioni del convenuto, o il suo contrario, sortissero della verifica in udienza ed a seguito della eventuale istruttoria che in essa può svolgersi[46].

b) Discrezionalità meno decifrabile (autentico concetto valvola o indeterminato) si annida sul versante della verifica della prospettazione dell'attore; "ritenga sussistenti i fatti costitutivi della domanda" recita l'art. 19, c. 2° bis, ma è chiaro che la espressione va intesa nel quadro di un giudizio che la rubrica del cap. III (occupato del solo art. 19) definisce a "cognizione sommaria", e si conferma perciò come espressione autoreferenziale: il giudice non accentra tout court i fatti costitutivi come sussistenti o insussistenti, bensì li accerta "sommariamente" come tali, o ' se si vuol rimanere all'interno del lessico del c. 2° bis ' li ritiene "sussistenti o insussistenti", per ciò che gli appare prima facie ed in base a quel che è possibile verificare nel corso dell'udienza.

c) Pur quando si intenda semplificare, ricondurre la nuova esperienza a retaggi familiari e concludere perciò che anche in questo giudizio sommario all'attore incombe di asseverare il semplice fumus (di tipo cautelare) della propria pretesa, resta fermo che ciò può non bastare: se il convenuto si costituisce e contesta, il semplice fumus di tale contestazione, il suo non essere cioè manifestamente infondata, ristabilirà una parità tale da rendere opportuna ' secondo il legislatore - la cognizione ordinaria. Il che appunto non accade di regola in sede cautelare, ove la non manifesta infondatezza delle contestazioni del resistente non è tale da escludere il fumus asseverato dall'istante. Da ciò l'assioma cui si è fatto cenno in apertura a proposito del nuovo art. 19: in dubio pro negazione dell'ordinanza sommaria.

Sul piano operativo e pratico non si esclude certo una istruttoria deformalizzata - sostanzialmente di tipo camerale - in udienza: l'espressione "assunte sommarie informazioni" è rimasta, credo, involontariamente nella penna del legislatore[47]. Se vi è bisogno di testimoni, rectius di informatori, sarà buona norma condurli con sé, o se dal caso citarli prudenzialmente per l'udienza perfino prevenendo la loro formale ammissione, ed evitando così la necessità di un aggiornamento.

Neppure, però, si può escludere che la trattazione sommaria abbia luogo in più udienze ragionevolmente ravvicinate. Naturalmente est modus in rebus: la necessità di una protrazione dell'istruttoria è il più sicuro indice che la causa[48] richiede "una cognizione non sommaria" (art. 19, c. 3°).

Est modus in rebus anche riguardo al grado di approfondimento dell'istruttoria pur a prescindere della sua durata. Che rispetto alla fase sommaria sia ultroneo l'espletamento di una consulenza tecnica è facile dirlo. Può anche dirsi ' e ci si riallaccia qui ai termini generali relativi ai connotati della sommarietà ' che l'attore[49] debba offrire, piuttosto che la ragionevole verosimiglianza  delle allegazioni (che in astratto potrebbe bastare ed in qualche caso basta ad integrare il fumus propriamente cautelare), almeno un principio di prova precostituita, altrimenti essendo necessario un principio di prova costituenda (informatori). E' questo un assunto che trova fondamento nella stessa significativa contrapposizione fra "non manifesta infondatezza" delle contestazioni del convenuto, integrabile anche mediante semplice verosimiglianza in punto di allegazione e priva di riscontro probatorio in fase sommaria, e "sussistenza", sia pure da accertarsi in via sommaria, dei fatti costitutivi dedotti dall'attore.

Sulla stessa linea ' e con l'ulteriore avallo del c. 3°: "il giudice se ritiene che (...) le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizione non sommaria" nega l'ordinanza  e dispone la trasmigrazione nelle forme ordinarie - potrebbe opinarsi che in fase sommaria non trovi spazio istruttoria, foss'anche embrionale, sui fatti costitutivi delle eccezioni del convenuto[50]. Sol che allegati e purché concludenti e verosimili e non smentiti da prova documentale, essi comporterebbero la necessità di una cognizione non sommaria e perciò il diniego della ordinanza di condanna. Di quest'ultimo assunto, tuttavia,  non si può fare un dogma[51]. Né del resto l'art. 19, c. 3° può essere inteso in tale senso radicale: possono ben esservi "difese svolte dal convenuto", e fra esse anche eccezioni, la cui manifesta infondatezza, sebbene non evidente prima dell'udienza, traspaia all'esito di questa e dalle prove costituende (o principi di prova) in questa assunte. Insomma, si può anche affermare in linea teorica che, nella assenza o nella indifferenza del corredo documentale[52], la mancanza di informatori che asseverino i fatti costitutivi dedotti dall'attore conduce ben più facilmente al diniego della ordinanza di condanna di quanto alla sua emanazione non possa condurre la mancanza di informatori che asseverino i fatti costituivi della eccezione del convenuto. Ma non si può certo desumere quale guideline strategica e pratica per il difensore del convenuto la non necessità in fase sommaria di offrire un qualche supporto probatorio alla allegazione di fatto costitutivo di eccezione. Né si può immaginare che, ad esempio, sentendo informatori indicati dall'attore, il giudice non indaghi ove possibile, all'udienza sommaria, anche sul fatto costitutivo della eccezione del convenuto e non tragga proprio da questa indagine eventuale convincimento di manifesta infondatezza di quella contestazione, concedendo perciò la condanna sommaria.

Ove il processo, in assenza di ordinanza di condanna, prosegua per le vie ordinarie le prove documentali prodotte in fase sommaria resteranno ad esso acquisite. Le dichiarazioni rese all'udienza dai terzi informatori indicati dalle parti varranno invece quali semplici argomenti di prova[53].

 

9. Effetti della ordinanza di condanna; inidoneità al giudicato

L'ordinanza di condanna è titolo esecutivo giudiziale, nonché idoneo alla iscrizione di ipoteca giudiziale: il legislatore ha qui opportunamente evitato la dimenticanza in cui era a suo tempo incorso, rispetto alla esplicita previsione ex art. 186 ter c.p.c., nel confezionare gli artt. 186 bis e quater; dimenticanza ritenuta costituzionalmente legittima[54], ma per vero irrazionale: ad essa già la Commissione per la riforma del  c.p.c. presieduta da G. Tarzia aveva proposto di rimediare[55].

"All'ordinanza non impugnata non conseguono gli effetti di cui all'art. 2909 del codice civile" recita l'art. 19, c. 5°, con significativa diversità rispetto al tenore dell'art. 23, c. 6° del Decreto, relativo alla ordinanza cautelare societaria, permanentemente efficace ove non cominci il giudizio di merito, e la cui "autorità" non è "invocabile" "in nessun caso" "in un diverso processo". Per sottile che sia e sebbene in casi rari, la differenza, di palese ascendenza liebmaniana[56], è apprezzabile anche sul piano pratico[57]: della ordinanza cautelare non sarà invocabile in diversi processi neppure la generica efficacia "probatoria", per quanto ridotta rispetto a quella di una sentenza, sí invece della ordinanza sommaria, cui è negata soltanto l'efficacia del giudicato[58].

Nessun effetto di giudicato dunque sui rapporti pregiudicati dalla ordinanza; né sulle situazioni pregiudizialmente accertate in inscindibile correlazione con il contenuto condannatorio della ordinanza: ad es. la validità ed interpretazione della clausola statutaria da cui discende l'obbligo di pagamento o di consegna.

Quanto alla debenza delle somme o delle cose, essa resta nuovamente accertabile in autonomo giudizio ordinario instaurato dal creditore. Al quale non potrà essere opposto il difetto di interesse neppure ove chieda confermarsi la condanna questa volta con efficacia di giudicato, a meno che il pagamento o la consegna non siano già avvenuti, nel qual caso l'interesse nel nuovo giudizio sarà circoscritto all'accertamento.

La debenza resta altresì contestabile nella sede di cognizione ordinaria aperta da una azione di ripetizione di indebito o da una azione restitutoria[59]. Non invece in sede di opposizione all'esecuzione.

La prima affermazione è incontestabile se si vuol dar senso alla mancanza di effetti di giudicato. La quale non può riguardare solo i rapporti pregiudicati e quelli pregiudiziali e deve bensì riguardare anche il rapporto principale. Non opera quindi neppure una preclusione pro iudicato che renda in futuro incontestabile la debenza delle somme o delle cose[60]. Se tale, la preclusione pro iudicato corrisponderebbe esattamente, nella sostanza e nel contenuto, ad uno degli "effetti di cui all'art. 2909 del codice civile"[61] (pur se estratta in via sistematica da altre disposizioni piuttosto che fondata su questa); "effetti" che l'art. 19, c. 5° vuole tutti esclusi nella sostanza e nel contenuto invece che solo nominalmente.

La seconda affermazione discende dal principio generale secondo cui mediante l'opposizione all'esecuzione avverso titolo giudiziale non possono farsi valere ragioni che avrebbero dovuto farsi valere in sede di formazione del titolo e che possono dunque ribadirsi o farsi valere ex novo o attraverso i mezzi di impugnazione appositamente previsti, avverso quello, sul versante della cognizione.

Sembra questa una soluzione equilibrata, pienamente rispettosa del limite impeditivo degli effetti di giudicato, ma anche della "serietà" della ordinanza titolo esecutivo giudiziale: essa può essere contestata nel merito, non più in sede impugnatoria se divenuta impugnabile, ma pur sempre in sede di cognizione ordinaria, attraverso l'azione ripetitoria o restitutoria; non però attraverso l'opposizione alla esecuzione.     

E' inutile sottolineare che la opposizione alla esecuzione potrà invece essere spesa, come di consueto, per ragioni successive alla formazione del titolo e perciò tipicamente inerenti al "diritto a procedere alla esecuzione".

Problematico sarà semmai il caso della ordinanza abnorme perché emanata fuori dai limiti generali di applicabilità dell'art. 19, e cioè fuori dall'ambito delle controversie societarie quale definito ex art. 1 del Decreto, ovvero in relazione a controversia corrispondente ad "azione di responsabilità da chiunque proposta", ovvero ancora perché contenente condanna di oggetto diverso da quelli contemplati dall'art. 19 (ad es. ad un fare o ad un non fare).

Qui la ragione di contestazione (in rito) precede la formazione del titolo, ma non riguarda il merito del giudizio sommario, né pertanto dà luogo di per sé alla riforma di quel giudizio in sede di impugnazione ordinaria. Anche se dedotta in tal sede, quella ragione non comporta pronuncia d'appello puramente rescindente e non impedisce al giudice d'appello di statuire nel merito del rapporto[62], similmente a quanto accade in fase di opposizione a decreto ingiuntivo pur di fronte alla nullità formale di quest'ultimo. Che si perda così impropriamente ' perché in realtà fuori dalle ipotesi previste dall'art. 19 ' un grado di giudizio ordinario, è rischio che il legislatore ammette senza ledere alcun principio costituzionale, non essendo, notoriamente, costituzionalizzato il doppio grado. Se avesse voluto evitarlo avrebbe dovuto esprimersi, prevedendo espressamente appunto, per tali casi, la pronuncia d'appello solo annullatoria, come ha fatto mutatis mutandis per le ipotesi tassative di rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c.[63].

Non sembra dunque eretico affermare che siffatte ragioni di contestazione si rivolgono contro la formazione radicalmente illegittima, ed altrimenti irrimediabile in via diretta ed immediata, di un titolo esecutivo giudiziale che non può essere tale (a prescindere dal giudizio che esso incorpora), e che pertanto esse siano spendibili in sede di opposizione alla esecuzione.

La soluzione alternativa ' consistente nel riconoscere al giudice d'appello per lo meno il potere di revocare immediatamente sommaria l'ordinanza abnorme e proseguire poi per la cognizione ordinaria sul merito del rapporto ' rappresenterebbe essa pure una forzatura[64], e soprattutto costringerebbe chi fosse interessato alla sola negazione degli effetti esecutivi della ordinanza ad instaurare, entro termine di decadenza, un giudizio ordinario, quello di secondo grado, idoneo alla formazione del giudicato sostanziale sul rapporto; scelta questa che dovrebbe invece restare libera ed incondizionata di fronte alla ordinanza di condanna non idonea al giudicato.

Per quest'ultimo motivo, oltre che per quello della economia processuale, dovrebbe ritenersi che nei cennati casi di ordinanza di condanna abnorme la richiesta di inibitoria ex art. 283 c.p.c. al giudice di secondo grado resti una possibilità per il destinatario della condanna, possibilità alternativa appunto rispetto alla opposizione alla esecuzione.

 

10. Irrevocabilità ed immodificabilità della ordinanza di condanna

Di regola non si porrà neppure l'interrogativo circa la revocabilità o modificabilità della ordinanza da parte del giudice che l'ha emessa, per la assorbente ragione che questi si spoglia della causa con la sua emanazione[65]. Qualora invece - ove l'ipotesi si consideri ammissibile - ne disponga la prosecuzione nelle forme ordinarie su altro capo di domanda distinto da quello accolto con l'ordinanza, occorre più seriamente chiedersi - atteso che l'art. 19 nulla dice ' se l'ordinanza sia nondimeno revocabile o modificabile[66] in virtù di applicazione analogica degli artt. 186 bis, c. 3° e 186 ter, c. 3° c.p.c.. Tale applicazione analogica si scontra però con il fatto che l'ordinanza in questione è detta impugnabile con apposito ed unico mezzo, e perciò si scontra con il principio ex art 177, c. 3° c.p.c.[67].

In realtà proprio questa ragione, nonché la difficoltà di coordinare la contemporanea pendenza di un giudizio di appello avverso l'ordinanza e di un giudizio di primo grado che prosegue su oggetto distinto ma connesso rispetto a quello definito con ordinanza, e che potrebbe concludersi con accertamento funzionale alla pronuncia sul capo distinto, ma tale da ribaltare l'accertamento presupposto all'ordinanza[68], indurrebbe ad escludere radicalmente questa eventualità: che cioè il giudice di primo grado possa accogliere con ordinanza una domanda o un capo di domanda e disporre la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie su altra domanda o capo di domanda di condanna connesso per dipendenza dello stesso titolo.

 

11. Ordinanza di accoglimento parziale dell'istanza sommaria e limiti della prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie

Quest'ultimo accenno induce a focalizzare l'attenzione sulla questione del possibile oggetto della ordinanza rispetto alle domande di parte; questione da esaminarsi in stretta correlazione con quella dei limiti della prosecuzione del giudizio di primo grado nella fase ordinaria.

Il fatto che il giudice debba, con la ordinanza, pronunciare sulle spese di lite, non esclude la emanabilità di ordinanza di accoglimento parziale rispetto a domande cumulate. Il giudice ben potrà accogliere con ordinanza una sola delle domande. Così come ovviamente potrà accogliere parzialmente nel quantum l'unica domanda di condanna al pagamento di somme di denaro. La pronuncia sulle spese seguirà la misura dell'accoglimento.

Il problema è però quello di stabilire in quale sede di cognizione ordinaria sia possibile ribaltare il mancato accoglimento. Credo che questa sede debba essere tendenzialmente quella del giudizio d'appello, ovvero quella della nuova cognizione ordinaria in autonomo e separato giudizio di primo grado in cui l'attore - vista l'assenza di vincoli di giudicato - ripropone la domanda o le domande non accolte, o l'unica domanda anche per la parte in cui non è stata accolta in via sommaria.

Insomma, la prosecuzione dello stesso giudizio nelle forme ordinarie in primo grado è una alternativa tendenzialmente radicale rispetto alla emanazione della ordinanza di condanna: o l'una o l'altra cosa, non entrambe. Il giudice non dovrebbe ' neppure previa formale separazione delle cause ' accogliere una domanda con ordinanza e disporre la prosecuzione nelle forme ordinarie su altra domanda cumulata ma dipendente dallo stesso titolo, ed a fortiori non dovrebbe accogliere parzialmente nel quantum una domanda con ordinanza e disporre la prosecuzione nelle forme ordinarie riguardo alla debenza della somma residua.

Si eviterebbero così le interferenze fra il giudizio di cognizione in primo grado ed il giudizio di cognizione in appello a seguito di impugnazione della ordinanza.

Sarebbe invece possibile separare le cause corrispondenti a domande non dipendenti dallo stesso titolo, e provvedere su di una causa con ordinanza sommaria di accoglimento, sull'altra con sentenza previa prosecuzione nelle forme ordinarie.

Questa è naturalmente una soluzione semplificatoria, e per questa ragione preferibile[69].

Chi la considerasse eccessivamente schematica e costrittiva e volesse ammettere in ogni caso la separazione delle cause anche se connesse per il titolo, non avrà che da riscontrare che le conseguenziali interferenze sarebbero analoghe (ed andrebbero perciò analogamente risolte) a quelle che possono ingenerarsi in ipotesi di sentenza  definitiva parziale immediatamente impugnata e giudizio di primo grado che prosegue su altra causa prima riunita e poi separata ex art. 279, c. 2°, n. 5 c.p.c.

Resterebbe però ferma la impossibilità di accogliere parzialmente nel quantum, con ordinanza sommaria, l'unica domanda e disporre la prosecuzione nella fase ordinaria di primo grado sul residuo; il che darebbe luogo ' ove la ordinanza fosse impugnata in appello ' a patologica litispendenza.

 

12. Impugnazione della ordinanza di condanna

"Avverso l'ordinanza di condanna può essere proposta esclusivamente impugnazione davanti alla Corte d'Appello nelle forme di cui all'art. 20" (così l'art. 19, c. 4°).

Può aversi, dunque, ancora una volta un processo che si apre in fase sommaria e si chiude in fase ordinaria; qui più esattamente: un processo che si svolge in primo grado in fase sommaria ed in secondo grado in fase ordinaria. E' qualcosa di ben diverso da ciò che può accadere ex art. 186 quater c.p.c.: lì è un semplice provvedimento, l'ordinanza, che è idoneo a trasformarsi in un altro, la sentenza appellabile; qui l'ordinanza resta tale ed è il giudizio di secondo grado che cambia volto.

Nuovamente occorre chiedersi perché si sia escogitata la trasmigrazione diretta nelle forme ordinarie, questa volta su iniziativa della parte che impugna. Il che equivale a chiedersi perché si sia escogitato un secondo grado "ordinario" rispetto ad un primo grado sommario.

Non sembrano esservi ragioni inerenti alla Legge-delega ed alla limitatissima opportunità che essa consentiva di toccare l'appello. Tale limite valeva infatti solo per il giudizio ordinario, ed una volta messo mano al giudizio sommario nulla impediva al legislatore delegato di articolarlo in un doppio grado a carattere sempre sommario.

  Il fatto è, tuttavia, che un doppio grado sommario è alquanto irrazionale: se un giudice ha deciso celermente  ed allo stato degli atti, il controllo demandato ad un giudice superiore deve sfociare quasi naturaliter nella cognizione approfondita ed ordinaria; altrimenti è inutile[70].

Che poi, del tutto felicemente, si sia disatteso il suggerimento di inserire, prima dell'appello, un primo grado di cognizione ordinaria in guisa di opposizione alla ordinanza di condanna[71] è dovuto a ragioni di economia processuale elementari ed alla parallelamente elementare constatazione della diversità fra provvedimento sommario ingiuntivo inaudita altera parte e provvedimento sommario emanato dopo la instaurazione del contraddittorio.

Chiarito ciò, può passarsi all'esegesi ed all'inquadramento sistematico dell'art. 19, c. 4°.

a) "Esclusivamente" vuol dire che è fuorigioco ogni altro mezzo impugnatorio, compresa l'opposizione di terzo e compreso il regolamento di competenza. Impedito il regolamento di competenza avverso la ordinanza  di accoglimento, esso va escluso per simmetria anche avverso eventuale ordinanza declinatoria della competenza (uno dei casi di ordinanza puramente negativa per ragioni di rito, ove lo si ritenga possibile: v. il paragrafo seguente).

Impugnabile è ovviamente la successiva sentenza della Corte d'appello  attraverso i mezzi previsti dal codice, ed in primo luogo attraverso il ricorso ordinario per cassazione[72].

b) "Impugnazione  di fronte alla corte d'appello nelle forme di cui all'art. 20" (del D. lgs. n. 5) non vuol dire necessariamente che si tratti di un vero e proprio appello con l'inerente divieto dei nova[73]. Si può ipotizzare, invece, una impugnazione sui generis da proporsi alla Corte d'appello e nella forma della citazione in appello, ma che costituisca pur sempre il primo grado di cognizione piena sull'oggetto della lite, nell'ambito del quale non vi sia, almeno quanto alle eccezioni e prove, alcun divieto di nova.

E' chiaro che la ratio di tale soluzione è ben diversa da quella secondo cui vi è piena libertà di contestazione del credito e (per entrambe le parti) di prova in fase di opposizione a decreto ingiuntivo: lì sarebbe assurda qualsiasi limitazione imposta ad un presunto debitore che non ha ancora interloquito, così come qualsiasi limitazione probatoria imposta ad un preteso creditore al quale il legislatore addita come sufficiente, ai fini del favorevole provvedimento sommario, un solo e particolare tipo di prova; qui le limitazioni riguardo ad eccezioni e prove nuove apparirebbero (non assurde ma) incongrue in termini di economia processuale, poiché indurrebbero chi volesse avvalersene in senso contrario alla ordinanza (inidonea al giudicato) a percorrere la via indiretta del nuovo giudizio ordinario di cognizione a partire dal primo grado, piuttosto che quella della impugnazione. La quale offre ' in termini di funzionalità generale ' il vantaggio di esaurire la lite con risparmio di un grado di giudizio ordinario. Inoltre la soluzione opposta e più severa non sarebbe forse incostituzionale, ma risulterebbe senz'altro penalizzante per  il convenuto e perciò poco opportuna.

Il divieto di nova permane però quanto alla domanda,  perché non ha senso che la perdita di un grado di giudizio ordinario si determini in relazione a domande non proposte neppure nel primo grado sommario. Non è da escludersi per altro ' e come si è già avuto modo di accennare - la istanza riconvenzionale del convenuto già in fase sommaria.

c) La cognizione innanzi alla Corte d'appello, a seguito di impugnazione, è piena ed ordinaria e non più sommaria, e come tale pienamente idonea alla formazione del giudicato sostanziale, con due fondamentali limiti derivanti dalla necessità del coordinamento razionale con l'ultimo comma dell'art. 19: aa) il giudicato sostanziale si forma sul contenuto di merito della sentenza d'appello, bb) ed in relazione  a quanto devoluto alla Corte d'appello con l'impugnazione principale o incidentale.

Insomma: solo la devoluzione alla Corte d'appello idonea a condurre ad una sentenza di merito è altresì idonea a determinare la formazione del giudicato sostanziale. Quel che è  alle spalle di questa devoluzione ' vale a dire la ordinanza in quanto tale, anche se non impugnata o impugnata irritualmente e perciò con conclusione in termini di inammissibilità o improcedibilità del giudizio impugnatorio - non passa mai in giudicato perché così vuole l'art. 19, c. 5°[74].

d) Quanto all'oggetto possibile della impugnazione, la sua definizione dipende anzitutto da una corretta interpretazione letterale e sistematica dell'art. 19, c. 4° e deve poi confrontarsi col tema dianzi esaminato dell'oggetto possibile dell'ordinanza. 

"L'ordinanza di condanna" dice l'art. 19, c. 4°, autorizzando perfino una tesi drastica ed apparentemente semplificatoria: è impugnabile l'ordinanza solo nella parte in cui condanna; essa è cioè impugnabile solo dal convenuto condannato, senza possibilità di impugnazione né principale né incidentale da parte dell'attore parzialmente soccombente alla stregua del confronto fra la sua istanza sommaria e l'ordinanza[75].

L'idea è però troppo drastica ed a ben vedere neppure semplificatoria. Perché se una volta emanata l'ordinanza di condanna si impedisce all'attore parzialmente soccombente di ottenere la riforma  in melius non lo si può tenere ancorato alla litispendenza, ed occorre invece consentirgli la riproposizione in via ordinaria della parte di domanda o della domanda non accolta in via sommaria; con il che i problemi di interferenza fra nuovo giudizio ordinario e giudizio, anch'esso ordinario di fronte alla Corte d'appello, implicanti entrambi, in ipotesi, la cognizione sul medesimo titolo, non sono affatto eliminati.

Il tenore letterale dell'art. 19, c. 4° va dunque valorizzato cum grano salis: l'ordinanza è impugnabile da entrambi, in via principale o incidentale, purché contenga condanna del convenuto, e cioè purché contenga accoglimento almeno parziale della domanda o delle domande dell'attore.

E' chiaro che, vuoi per il convenuto condannato, vuoi per l'attore che si sia visto accogliere solo in parte la domanda di condanna sommaria o accogliere solo una della domande di condanna sommaria, l'impugnazione della ordinanza resta una scelta strategica, la mancata adozione della quale non comporta la formazione di alcun giudicato sostanziale sfavorevole (v. sub c). Il convenuto ricorrerà alla impugnazione, di regola ed anzitutto, allo scopo di chiedere immediatamente l'inibitoria, nonchè di evitare la via in salita dell'azione ripetitoria o restitutoria, a buoi (rectius: denari o beni) già usciti dalla stalla. L'attore vi ricorrerà, di regola, quando e se si sia reso conto che val meglio giocarsi subito, innanzi ad ufficio giudiziario diverso e superiore, le carte della cognizione piena; ovvero vi ricorrerà in via incidentale perché provocato dalla impugnazione principale del convenuto.

Nulla esclude però che, ad esempio, il convenuto impugni l'ordinanza per la parte che lo condanna e l'attore riproponga in primo grado in sede ordinaria la domanda o le domande non accolte in sede sommaria. A quest'ultimo si potrà opporre la litispendenza o la continenza in caso di situazioni inscindibili (ad es. unica domanda sommaria ed ordinanza che la accoglie parzialmente e che sia impugnata dal convenuto: in tal caso il processo su tutta la domanda continua a pendere a seguito della sola impugnazione del convenuto). Ma altrimenti - ad es. ordinanza che accoglie una sola delle due domande proposte in via sommaria (senza separazione delle cause e senza prosecuzione immediata nelle forme ordinarie sulla domanda non accolta[76]) - la contemporanea pendenza dei due processi è possibile, perché dovrebbe valere la regola, dianzi enunciata[77], secondo la quale la litispendenza in relazione al processo iniziato nella forma sommaria viene meno anche quando divenga inimpugnabile l'ordinanza, e perciò, nella specie, anche quando l'attore in via sommaria decada dal potere di impugnare l'ordinanza nella parte in cui non ha accolto una delle due domande scindibili da lui proposte.

Corollario di ciò è che se il convenuto impugna l'ordinanza di condanna che ha accolto una domanda non sarà necessario attendere la scadenza del termine ex art. 343 onde verificare la decadenza dell'attore dalla impugnazione incidentale relativamente all'altra domanda non accolta, le quante volte l'attore la riproponga subito in via ordinaria. Tale impugnazione varrà infatti acquiescenza rispetto alla ordinanza sommaria; sebbene si tratti appunto ' e per le ragioni già esposte sub c) ' di acquiescenza che non comporta la formazione del giudicato sostanziale.

La scindibilità fra le domande originariamente proposte in via sommaria, che può dar luogo, secondo quanto si è esposto, alla contemporanea pendenza di un giudizio impugnatorio della ordinanza, riguardo alla prima domanda, e di un giudizio di primo grado, originatosi dalla riproposizione dell'altra (non accolta in via sommaria), non esclude naturalmente il rapporto di pregiudizialità fra tale ultimo, soprattutto ove di oggetto più ampio rispetto alla semplice riproposizione di quella domanda, ed il giudizio impugnatorio, e la conseguente sospensione di questo.

e) Sicuramente inimpugnabili[78], ai sensi dell'art. 19, c. 4°, sarebbero invece ' sempre ammesso che esse siano ipotizzabili ' una ordinanza di puro e totale rigetto per ragioni di merito o per la estraneità dell'oggetto del giudizio rispetto ai limiti della cognizione sommaria, o una ordinanza totalmente negativa per mere ragioni di rito (incompetenza, difetto di giurisdizione, nullità del ricorso introduttivo).

Il tenore letterale dell'art. 19, c. 4° è in proposito invalicabile ("ordinanza di condanna") e si giustifica razionalmente perché altrimenti all'attore sarebbe sempre possibile sottrarre al convenuto un grado di giudizio ordinario esordendo nelle forme sommarie, con azione sicuramente e consapevolmente destinata alla reiezione in quelle forme, e poi impugnando l'ordinanza di puro rigetto.

Questa opportunità strategica - ma occorre chiedersi in quali occasioni il gioco varrà davvero la candela ' residua di fatto, in termini ridimensionati: chiedo 100 ben consapevole di riuscire a provare ed ottenere in via sommaria solo 20, ovvero chiedo 100 ben consapevole di avere diritto solo a 20; poi impugno l'ordinanza siccome parzialmente sfavorevole, in modo da sottrarre alla controparte, su quei 20 (che sono il vero e serio oggetto della mia domanda), un grado di giudizio a cognizione piena e idonea al giudicato. Il che dà ulteriore credito alla idea secondo cui l'impugnazione non è un appello chiuso, bensì un novum judicium aperto ai nova anche e soprattutto per il convenuto.

 

13. Ancora sulla ordinanza negativa e sulla trasmigrazione della causa nelle forme ordinarie

A questo punto occorre, però, definitivamente concentrarsi sulla ipotesi della ordinanza di puro e totale rigetto per ragioni di merito (la domanda è talmente infondata che lo si potrebbe dire subito in via sommaria), o di rigetto per estraneità dell'oggetto della domanda rispetto ai limiti della cognizione sommaria[79].

Se questa ordinanza non è impugnabile e neppure serve a qualcosa perché non può produrre effetti di giudicato sostanziale,  e non può essere corredata di condanna alle spese (vedi a tale ultimo riguardo quanto chiaramente si evince dall'art. 19, c. 2° bis)[80], tanto vale dire che essa non ha cittadinanza nel sistema ex art. 19, e che cioè anche quando il giudice nella fase sommaria si accorga a) che l'oggetto della controversia esula da quelli previsti dall'art. 19, c. 1°[81], ovvero b) che la domanda dell'attore è palesemente infondata, deve comunque, senza esprimere alcun rigetto in forma provvedimentale, disporre la trasmigrazione del giudizio nelle forme ordinarie. Il che ' appunto - responsabilizza l'attore: l'azione sommaria contiene in sé anche quella ordinaria ed una volta proposta è di per sè idonea ad innescare il relativo giudizio ordinario[82].

Resta tuttavia fermo - se si condividono le considerazioni svolte nei paragrafi precedenti - che in alcune ipotesi non è possibile la separazione delle cause corrispondenti a più domande sommarie derivanti dallo stesso titolo, sicchè al giudice è impedito di disporre la prosecuzione del giudizio nelle forme  ordinarie quanto ad una sola di esse (anche quando la consideri non già radicalmente infondata ma soltanto non accoglibile in via sommaria), e pertanto l'ordinanza che ne accolga una si configura altresì come ordinanza che rigetta l'altra, o se si vuole come ordinanza unica di accoglimento parziale, anche ai fini della sua impugnabilità immediata da entrambi le parti[83].

L'ordinanza di puro e totale rigetto della domanda - non perché semplicemente inaccoglibile in via sommaria, bensì perché palesemente infondata e cioè di una infondatezza predicabile anche in via sommaria - non è dunque ipotizzabile perché sostanzialmente inutile. Da qui a dire che anche in tali ipotesi di manifesta infondatezza della domanda, in luogo di qualsivoglia ordinanza - di accoglimento o di rigetto - debba seguire la prosecuzione del processo nella fase ordinaria, vi è per vero un sottile iato. Perché il giudice potrebbe, invece, chiudere il processo (sommario) senza dar seguito a quello ordinario, piuttosto che con la formula del rigetto in via sommaria, con formula esplicita di non luogo a provvedere[84].

Senonchè il nuovo tenore dell'art. 19, c. 3°, quale sortito dai cennati  aggiustamenti del febbraio 2004, esclude, sia pure faticosamente, perfino tale possibilità, riconfermando, anche per le ipotesi in discorso, che l'unica alternativa alla ordinanza di accoglimento è la immediata trasmigrazione del processo nelle forme ordinarie. All'art. 19, c. 3° è stato aggiunto un inciso secondo cui il giudice determina la trasmigrazione - senza che residui alcun spazio per la ordinanza di puro rigetto - "in ogni  altro caso in cui non dispone a norma del comma 2 bis", vale a dire in ogni altro caso in cui non pronuncia l'ordinanza di condanna, indifferente risultando che egli non la pronunci perché convinto  della necessità di un approfondimento della cognizione o perché la domanda gli appaia già palesemente infondata[85].

Quanto poi alla ipotesi della estraneità della istanza sommaria, in considerazione del suo oggetto (concernente condanna risarcitoria conseguente a responsabilità o condanna diversa da quella pecuniaria o alla consegna di cosa mobile), all'ambito applicativo delineato dal c. 1°, il legislatore già lascia intendere, con il rimanente ed inalterato testo del comma 3°, che in luogo della ordinanza di condanna, e se del caso e perfino in luogo della fissazione dell'udienza[86], non si avrà alcuna ordinanza di non liquet o di rigetto, bensì la disposizione della trasmigrazione nelle forme ordinarie: "il giudice se ritiene che l'oggetto della causa" richieda "una cognizione non sommaria...assegna all'attore i termini ecc...". E per quanto serva, anche tale assunto è rafforzato dal nuovo inciso inserito nel medesimo c. 3° e dal suo riferimento a vocazione omnicomprensiva: "in ogni altro caso in cui non dispone ...".

Questo imput testuale ' nel senso che alla istanza non accoglibile con l'ordinanza sommaria, perché avente oggetto diverso da quello cui si riferisce il c. 1° dell'art. 19, segue comunque la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie - prevale, siccome sufficientemente esplicito, su diversa ricostruzione che condurrebbe alla pura e semplice ordinanza negativa facendo leva essenzialmente sul c. 1°: poiché a norma di esso non si possono proporre con il ricorso sommario, in alternativa "alle forme di cui agli articoli 2 e seguenti", le domande relative a controversie aventi oggetti diversi da quelli indicati nel medesimo comma, sarebbe altresì impossibile che un ricorso in tal senso irrituale producesse effetto comunque disciplinato dall'art. 19, quale quello della immediata trasformazione del giudizio in giudizio ordinario.

La opposta scelta del legislatore è problematica perché dà esca a non commendevoli escamotages[87], ma sembra in definitiva giustificata da una assorbente ragione di economia: evitare perdite di tempo e preservare, ad ogni effetto possibile, la utilitas della iniziativa processuale quando essa sia, non già radicalmente inidonea siccome tale, bensì solo relativamente inidonea rispetto alla particolare tutela sommaria[88]; essendo poi indifferente ' in tale prospettiva di economia ' che la inidoneità relativa dipenda dalla mancata dimostrazione in sede sommaria di un livello sufficiente di fondatezza ovvero ed a priori dalla esorbitanza della richiesta rispetto ai limiti della tutela sommaria. Insomma, nel momento in cui si è risolto che il ricorso sommario ex art. 19 debba essere tendenzialmente, piuttosto che il ricorso ad una tutela radicalmente differenziata, un modo diverso di iniziare il processo di cognizione (si consideri la significativa espressione "in alternativa" di cui al c. 1°, nonché la prosecuzione nelle forme ordinarie che ha luogo comunque, anche a seguito di ordinanza di accoglimento, ove essa sia impugnata) le ragioni di economia che sottostanno a questa opzione[89] ben possono valere con riguardo ad entrambe le ipotesi sopra distinte.

Piuttosto va osservato che, quali che siano la lettera e la lettura dell'attuale art. 19, c. 3°, vi sono a) casi in cui proprio la economia processuale rende incongrua la immediata trasmigrazione del giudizio nelle forme ordinarie, e suggerisce perciò che in luogo della impossibile ordinanza sommaria di accoglimento debba essere resa ordinanza  negativa, o se si vuole di non luogo a provvedere, per ragioni di rito; b) ed altro caso in cui alla medesima conclusione si è costretti a giungere anche per motivi di ordine sistematico.

a) In una prima serie di casi, ragioni di rito (difetto di giurisdizione, incompetenza, difetto di procura ecc.) comportano la inidoneità della iniziativa processuale avviata nelle forme sommarie anche rispetto all'ottenimento di una pronuncia di merito a seguito di cognizione ordinaria. Qui davvero avrebbe ben poco senso che il processo proseguisse nelle forme ordinarie per giungere presumibilmente ad una sentenza di rito. O meglio l'unico senso consisterebbe in ciò che tale sentenza - non invece l'ordinanza negativa che chiude la fase sommaria[90] - sarebbe impugnabile giungendosi così, ma solo in talune ipotesi e nella eventualità di sua conferma in Cassazione, alla certezza corrispondente alla nota efficacia panprocessuale. Ma poiché la certezza finale sul rito  non è un valore di per sé, appare di gran lunga più opportuna la soluzione secondo cui  il giudice adito in via sommaria chiuda del tutto la vicenda restituendo la palla all'attore, e lasciandogli la scelta se agire (in via nuovamente sommaria o ordinaria), e dove, o come, e se farsi orientare o meno dalla verifica in rito, pur assolutamente priva di effetti vincolanti, presupposta al diniego reso in sede sommaria.

b) Altro caso è quello in cui sia proposta con il ricorso domanda estranea addirittura all'ambito applicativo generale definito dall'art. 1 del Decreto n. 5, domanda cioè non conoscibile attraverso il rito societario né sommario né ordinario. E' più che evidente ' a tacer d'altro ' che in  tal caso il giudice monocratico della fase sommaria non potrebbe giammai disporre un "mutamento del rito al quadrato" e cioè anche ai sensi dell'art. 16, c. 6°, designando addirittura l'istruttore per la trattazione[91]; né avrebbe alcun senso ' attese le ragioni di economia sopra cennate ' ordinare dapprima la trasmigrazione nelle forme ordinarie societarie, per poi attendere che il collegio, al termine della fase preparatoria, svoltasi con rito societario, disponga ex art. 16, c. 6°, il mutamento del rito o la rimessione al giudice competente[92]. Ancor qui, dunque, si avrà ordinanza di non luogo a provvedere.

Le sopracennate soluzioni sembrano consentite all'interprete dell'art. 19 da ciò che il tenore letterale del c. 3° è anche ora tutt'altro che perspicuo, e solo con il supporto di idonee motivazioni di ordine razionale e sistematico ' manchevoli o addirittura contraddette nei particolari casi da ultimo esaminate - può essere inteso nel senso di confinare alla alternativa ordinanza di accoglimento/immediata prosecuzione nelle forme ordinarie gli esiti del ricorso proposto in via sommaria.

Infine, vi è da rilevare che anche nella nuova formulazione il c. 3° dell'art. 19 rivela una incongruità alla quale l'interprete è costretto a rimediare in via creativa.

Quando il giudice adito ex art. 19 ' pur vertendosi in ipotesi in cui l'alternativa alla ordinanza di condanna non è il semplice non liquet bensì la immediata trasmigrazione della causa nelle forme ordinarie - neppure fissa la comparizione delle parti per l'udienza sommaria[93], e non dà dunque al convenuto possibilità di costituirsi, non ha nessun senso ' dato che il convenuto non ha ancora interloquito ' che si assegnino, ai fini della prosecuzione nelle forme ordinarie, i termini per la replica dell'attore, per come l'art. 19, c. 3° espressamente prevede. Occorrerà intendere tale previsione come precettiva solo della immediata prosecuzione in sede ordinaria, e cioè nel senso che la prosecuzione prenderà avvio anche in quel caso dall'atto successivo, in sequenza logica, al segmento già svoltosi in fase sommaria: il giudice assegnerà dunque al convenuto i termini per la notifica della comparsa di risposta di cui all'art. 4 del Decreto.

Autore: Prof. Antonio Briguglio - tratto dal sito: www.judicium.it

 

Note:

[1] L'espressione è di SASSANI B.(Sulla riforma del processo societario, in AA.VV., a cura del medesimo, La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 121), per altro ben consapevole delle differenze.

[2] V. tuttavia le forti perplessità sul nuovo istituto di CONSOLO C., Esercizi imminenti sul c.p.c.; metodi asistematici e penombre, in Corr. Giur., 2002, 1543, CARRATTA A., Rito speciale per le società, in Dir. Giust., 2003, 20 e CHIZZINI A., Il nuovo processo civile in materia societaria, in Corr. Giur., 2003,  § 6. Sostanzialmente positiva invece la valutazione di CHIARLONI S., da ultimo in Riflessioni minime sul nuovo processo societario, in Giur. It., 2004, 680 ss., fra i più attenti e meno indulgenti critici della riforma del rito societario; e positiva altresì - nel quadro di una ampia valutazione sulle varie tendenze riformistiche in tema di tutela anticipatoria ' la valutazione di RICCI E.F., espressa quando il Decreto n. 5 era ancora in fase progettuale, in Verso un nuovo processo civile?, in Riv. dir. proc., 2003, 214 ss.

[3] Salvo che per il contenuto dell'art. 32.

[4] Sebbene la legge-delega (art. 12, c. 2 lett. f) imponesse per lo meno una adeguata riflessione sulla necessità, in nome del principio del giusto processo, di una qualche maggiore specificazione in ordine alla attuazione del contraddittorio rispetto alla genericità attuale degli artt. 737 ss. c.p.c.

[5] Sul piano del metodo di integrazione è assai opportuna la indicazione di CAPPONI B., Sul procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie, in Giur. it., 2004, 442 ss. spec. 443, riferita anzitutto alle disposizioni del capo primo del Decreto n. 5, applicabile in forza dell'art. 18, c. 1° che richiama, per il procedimento di cognizione ' qual'è pur sempre quello in discorso ' dinnanzi al tribunale monocratico, le disposizioni concernenti il procedimento di cognizione innanzi al tribunale collegiale in quanto compatibili (da ciò, ad es., un utile elemento nel senso della applicazione al procedimento sommario dell'art. 13, c. 2° in tema di ficta confessio:  (v. infra §7).

[6] L'espressione iniziale dell'art. 19 non è tra la più felici "fatta eccezione per le azioni di responsabilità da chiunque proposte,le controversie (...) che abbiano ad oggetto il pagamento di una somma di denaro (...) ovvero la consegna di cosa mobile determinata, possono essere proposte ....". Ma è chiaro che solo ove la responsabilità (di chiunque e da chiunque azionata nell'ambito del rapporto societario) si ponga come causa petendi della richiesta di condanna, quest'ultima non è esperibile in via sommaria. La quale via non è invece preclusa da altri possibili e futuri coinvolgimenti della responsabilità "societaria" nella controversia deferita in sede sommaria: ad esempio richiesta di condanna alla consegna di cosa determinata, dalla cui mancata consegna discenda responsabilità dell'amministratore. Sotto altro profilo è stato esattamente rilevato che, dato che il credito presuppone sempre l'accertamento di una responsabilità, il cenno limitativo ex art. 19, c. 1°  va inteso "non  nella sua portata generica ma in quella tecnica propria della materia societaria, e quindi con riferimento alle azioni di cui agli artt. 2392-2396 e 2407 c.c." (così CATALDI, La riforma del diritto societario nel procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, §3). Per una ricostruzione più estesa del limite v. peraltro PROTO PISANI A., La nuova disciplina del processo societario, in Foro it., 2003, V, 1 ss., spec. 13 e CAVALLINI C., Il procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie, in www.judicium.it, §2.

[7] Riguardo a tale peculiarità, v. ampiamente SALETTI A., Il procedimento sommario nelle controversie societarie, in Riv. dir. proc., 2003, 467 ss, spec. 470, al quale si deve la opportuna precisazione secondo cui, essendo oltretutto il procedimento sommario finalizzato all'ottenimento di un titolo esecutivo, la previsione normativa di una richiesta di condanna al pagamento di somma non ancora liquida non implica affatto che l'ordinanza possa recare una condanna generica. La liquidazione, in altri termini, dovrà avvenire in fase sommaria, o altrimenti ' se necessitante approfondita istruttoria e perciò cognizione ordinaria ' si avrà la immediata trasformazione in giudizio ordinario prevista dall'art. 19 quale alternativa alla emanazione della ordinanza sommaria. Poiché come si esporrà (infra, §13) questa alternatività è tendenzialmente esaustiva ed esclude una terza ipotesi rappresentata dalla ordinanza di puro ed esplicito rigetto nel merito della richiesta sommaria, e poiché, inoltre, anche una richiesta sommaria presentata fuori dai casi stabiliti dall'art. 19, c. 1° dà luogo, piuttosto che ad una pura e semplice ordinanza di inammissibilità, alla cennata trasformazione del giudizio in giudizio ordinario, non sembra particolarmente significativo chiedersi (se lo chiedono, replicando in modo diverso, SALETTI A., op. lc. ult. cit., e la TISCINI R., Commento dell'at. 19, in AA.VV., a cura di B. Sassani, La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 184 ss., spec. 192) se la facile liquidabilità sia o meno requisito di ammissibilità della richiesta sommaria al pagamento di somma non ancora liquida.

[8] SALETTI A.; Il procedimento sommario, cit., 470, rileva opportunamente come il riferimento generico dell'art. 19, c. 1° alle "controversie che abbiano ad oggetto la consegna" autorizzi a ritenere che la pretesa possa essere accolta in via sommaria anche quando il suo fondamento non risieda in una situazione obbligatoria bensì in una situazione reale, superandosi così il limite attualmente affermato con riguardo alla tutela monitoria.

[9] Con il pensiero (giustamente sul piano pratico) rivolto a talune categorie di azioni, si è opinato che, alla stregua di quanto accade in sede di tutela monitoria in forza del riferimento espresso ex art. 633 c.p.c., la via del procedimento sommario ex art. 19 del Decreto debba ritenersi implicitamente aperta anche per ottenere la condanna alla consegna di quantità di cose fungibili (cfr. CHIZZINI A., Il nuovo processo, cit., §6 e TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 189), con la conseguente necessità di applicazione analogica dell'art. 639 c.p.c. (cfr. approfonditamente TISCINI R., op. cit., 190). Ritengo (pur a malincuore) che proprio l'immediato confronto con il tenore espresso dall'art. 633 c.p.c., confronto che non può essere sfuggito al legislatore dell'art. 19 qui in esame, dia ragione invece a chi ha negato tale estensione (SALETTI A., Il procedimento sommario, 471, CAPPONI B., Sul procedimento sommario di cognizione, cit., 445 nt. 26, CAVALLINI C., Il procedimento sommario, cit., §2).

Semmai, sarebbe da rimeditare la plausibilità dell'affermazione secondo cui un qualche tipo di azione possa davvero essere, ai fini che ci interessano, quantità fungibile piuttosto che cosa mobile determinata; affermazione che confonde fin troppo la realtà economica con la qualificazione giuridica.

[10] Cfr. per questa ed altre esatte precisazioni nel senso della originalità dell'istituto, CAPPONI B., Sul procedimento sommario, cit., 442 ss., ove anche (443) lucide e feconde considerazioni sulla non riconducibilità del nuovo istituto ai "procedimenti speciali" nel senso del libro IV del codice di rito (diversamente sul punto PICARONI E., Commento all'art. 19, in La riforma del diritto societario: i procedimenti, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 199.

Si può anche dire (così TISCINI R., op. ult. cit., 185) che, come il processo sommario del codice del 1865, l'attuale procedimento sommario di cognizione societario "si colloca lungo la linea che ha condotto più volte verso forme alternative al giudizio ordinario" e che "la logica sottesa ad entrambi corrisponde: introdurre un sistema semplificato da porre in alternativa a quello formale (oggi, al giudizio a cognizione piena)". Ma si tratta parallelismo pur sempre estrinseco e generico. Occorre infatti tener presente non solo (come nota la stessa Autrice cit.) "disciplina e funzionalità diverse", ma soprattutto che il processo sommario d'antan era un modo diverso ed alternativo per giungere comunque al giudicato, quello attuale è invece un modo diverso per giungere ad un risultato anch'esso alternativo al giudicato.

Sulla dialettica tra il formale ed il sommario, nel codice del 1865, cfr. TARZIA G., Procedimento sommario e procedimento formale, in I progetti di riforma del processo civile, a cura di Tarzia e Cavallone, I, Milano, 1989, 414 ss.

[11] Su cui vedi l'ampia trattazione di CARRATTA A., Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, nonché, a solo titolo di esempio fra i contributi più recenti, CIVININI G., Le condanne anticipate, in Foro It., 1995, I, 332 ss., BASILICO G.-CIRULLI M., Le condanne anticipate nel processo civile di  cognizione, Milano, 1998, LAPERTOSA, La tutela anticipatoria, in Riv. dir. proc., 1997, 789 ss. 

[12] V. le precisazioni di CAVALLINI C., Il procedimento sommario, cit., §1 e della TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 200, nota 60.

[13] E' chiaro altresì (lo rileva anche CAPPONI B., Sul procedimento sommario, cit., 443, nt. 11) che il nuovo istituto corrisponde alla nozione (vieppiù ampia) di "tutela sommaria" da cogliersi ' secondo la nota ricostruzione di PROTO PISANI A. (Appunti sulla tutela sommaria, da ultimo ripubblicato in La tutela giurisprudenziale dei diritti. Studi, Napoli, 2003, 359 ss.) ' per semplice contrapposizione rispetto alla cognizione piena ed esauriente.

Fra i progetti di riforma del nostro processo civile rimasti allo stato embrionale quello in cui si riscontra un autentico prodromo dell'attuale art. 19 Decreto n. 5 è il c.d. progetto Rognoni (lo fa osservare, con esatte considerazioni anche riguardo ad altre e diverse soluzioni progettuali, CECCHELLA C., Il référé italiano nella riforma delle società, in Riv. dir. proc., 2003, 1130 ss., spec. 1130 nota 1.

[14] Cfr., per tutti, PERROT R., Les mesures provisoires en droit français, in Les mesures provvisoires en  procêdure civile ' Atti del colloquio internazionale, a cura di G. Tarzia, Milano, 1985, 117, nonché gli studi pubblicati in AA.VV., Les mesures provisoires en droit belge, français et italien, a cura di Van Compernolle e Tarzia, Bruxelles, 1998.

Fra i primi commentatori del nuovo art. 19 si distingue per una particolarmente approfondita comparazione con il sistema del référé CECCHELLA C., op. cit., 1132 ss.

[15] Cfr. ZONDERLAND P., Einstweilige Verfügungen in den Niederlanden, in ZZP, 1977, 225 ss. e SNIJDERS H.J., Il diritto processaule civile olandese, in AA.VV., La giustizia civile nei paesi comunitari, a cura di E. Fazzalari, I, Padova, 1994, 348-349.

[16] Cfr. JACOBSSON U., Il processo civile in Svezia, in AA.VV., La giustizia civile nei paesi comunitari, a cura di E. Fazzalari, II, Padova, 1996, 127.

[17] E' la Direttiva 200/35 CE del Parlamento e del Consiglio del 29 giugno 2000 "relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali", su cui v. per tutti MENGONI A., La Direttiva 2000/35/CE in tema di mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, in Europa e dir. priv., 2001, 74. Nell'immediato futuro altro interessante pino di confronto sarà rappresentato dal dibattito apertosi riguardo al Libro verde sul procedimento ingiuntivo europeo (IPE), dibattito che ripropone in termini assai articolati l'alternativa fra "monitorio puro" e "monitorio documentale" (a riguardo v. le Risposte di CARRATTA A., CHIZZINI A., CONSOLO C. e DE CRISTOFARO M., in Int'l Lis, 2003, 145 ss.

[18] Il che rende non del tutto calzanti, rispetto all'obiettivo perseguito con la Direttiva (che intendeva valorizzare anche la non contestazione del debitore a fronte di affermazione creditoria pur non supportata da prova scritta), le modifiche al procedimento monitorio introdotte con il D. lgs. 231/2002 in attuazione della Direttiva (e sulle quali v.  CONTI R., Il d. lgs. n. 231/2002, in Corr. Giur., 2003, 99 ss.).

[19] V., soprattutto quanto alla cognizione ordinaria, le equilibrate e prudenti riflessioni del Maestro che qui si onora (Interrogativi sul nuovo processo societario, in Riv. dir. proc., 2003, 641 ss., spec. 647 ss.).

[20] E su di essa maramaldeggia CAPPONI B., op. cit., 443, definendola "ellittica e confusa" (sulla non perspicuità della relazione v., ad altro rispetto, anche FERRI C., I procedimenti in camera di consiglio in materia societaria, Relazione al Convegno su "La gestione delle controversie e i nuovi processi in materia societaria", Milano, 15 maggio 2003, §1).

Per la verità ' ed anche a prescindere dalle palesi svista come quella che si segnala nel testo ' è difficile immaginare una relazione di accompagnamento che, per oscurita e ricercatezza involuta del linguaggio, sia meno idonea al suo scopo, che doveva esser quello di contribuire a rendere potabile una riforma già così complessa.

[21] Così anche DE SANTIS, Il rito abbreviato societario, in www.judicium.it., CAPPONI B., Sul procedimento sommario, cit., 443, SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 468-469.

[22] Non si tratta qui della predominanza dell'anima pubblicistica del processo su quella privatistica (e sarebbe in tal caso una inattesa quanto posticcia etichetta settoriale paradossalmente contrapposta alla, altrettanto posticcia, etichetta di "privatizzazione" del processo societario che la riforma si è vista complessivamente attribuire a livello più che altro giornalistico.

Né pare vi sia nel profilo evidenziato nel testo alcuna contraddizione rispetto al principio dispositivo sostanziale.

Quanto al c.d. giudizio abbreviato è assai agevole dirlo: il più contiene il meno, l'iniziativa originaria è già volta alla tutela formale di merito ed incorpora quella cautelare a lite pendente; se la tappa interinale corrispondente a quest'ultima può essere bypassata pervenendo direttamente alla tutela di merito, ne guadagnano contemporaneamente l'interesse dell'attore singolo e quello alla funzionalità della giustizia.

Meno agevole, ma sostanzialmente analogo, è il discorso riguardo al procedimento sommario di cognizione ed alla sua trasformazione ope iudicius in ordinario.

L'iniziativa sommaria instaura pur sempre una controversia mediante proposizione di domanda il cui petitum mediato è equivalente a quello che potrebbe essere accordato  con sentenza idonea al giudicato. Quel che l'attore in via sommaria momentaneamente esclude dai propri obiettivi è il petitum immediato coincidente con la sentenza di condanna idonea al giudicato.

Ma se il bene della vita non può essere accordato attraverso il petitum immediato originariamente invocato dall'attore (la ordinanza puramente esecutiva), ciò vuol dire che l'unico modo per accordarglielo, se vi è e dunque se l'attore vi ha diritto, è la cognizione piena che mette capo alla sentenza ed al giudicato; ciò vuol dire ancora che, se l'attore non ha diritto, l'unico modo serio per dirlo e per por fine alla lite è dirlo con sentenza idonea al giudicato, visto che, a differenza dell'ordinanza esecutiva, l'ordinanza di rigetto nulla dà all'attore, ma nulla dà neppure al convenuto (non gli dà, cioè, il bene della vita corrispondente all'accertamento negativo).

Insomma: il passaggio semi-automatico ed ope iudicius alla fase ordinaria, quale alternativa alla ordinanza di accoglimento della istanza sommaria:

a)       corrisponde all'interesse meritevole di tutela dell'attore, il quale ha già azionato il proprio diritto soggettivo con una azione di condanna (e non già e solo con una azione cautelare);

b)       corrisponde all'interesse meritevole di tutela del convenuto;

c)       ed a quello generale ut sit finis litis, poiché la lite sul merito è per l'appunto già instaurata.

Queste riflessioni andranno considerate, quale supporto rafforzativo, anche allorché, sulla base di dati esegetici e sistematici, si escluderà l'ipotesi della ordinanza di puro rigetto a chiusura della fase sommaria ed in luogo del passaggio immediato alla fase ordinaria (v. specialmente infra, §13).

[23] In tema cfr. soprattutto i saggi di LANFRANCHI L., ora raccolti nel volume La roccia non incrinata, Torino,  1999, ove ulteriori ampi riferimenti al complesso dibattito.

[24] Cenni a questo approccio, in relazione al problema della costituzionalità dell'art. 19, in TISCINI R., Commento, cit., 201, nt. 63.

[25] Cfr. efficacemente CHIZZINI A., Il nuovo processo civile in materia societaria, cit., §6.

[26] Si consideri, del resto, la posizione di CHIARLONI S. (oltre, nota 58), il quale, in linea di massima, si rammarica che non si sia giunti alla attribuzione di effetti di giudicato alla ordinanza non impugnata. Si consideri ancora che altro giurista, come PROTO PISANI A., al quale, al pari del primo, è fondatamente accreditata una alta sensibilità garantista, ha recentemente proposto (cfr. Per un nuovo titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, in Foro it., 2003, V, 117 ss.) un provvedimento, titolo esecutivo stragiudiziale, emanato da terzo conciliatore, non giudice, all'esito del tentativo di conciliazione fallito ed allo stato degli atti.

[27] V. invece TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 2001.

[28] Sulla quale, dopo il Saggio polemico sulla giurisprudenza volontaria di ALLORIO E. (Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 487), v. i fondamentali studi di CERINO CANOVA A., La garanzia costituzionale del giudicato civile, in Riv. dir. civ., 1977, 395 e Per la chiarezza di idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, ivi, 1987, 461, e di LANFRANCHI L., "Pregiudizi illuministici" e "giusto processo civile", in AA.VV., Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, a cura dello stesso Lanfranchi, Torino, 2001, 1 ss.

[29] Anche il c.p.c. del 1865, all'art. 391 prevedeva che "quantunque il giudizio sia cominciato con procedimento sommario, il Tribunale o la Corte può ordinare che sia proseguito in via formale, se così richiedono la natura o le particolari condizioni della causa". Ma, a parte la ben maggiore ampiezza della discrezionalità lasciata al giudice da tale disposizione (v. invece quanto si osserverà oltre al §13 ed ivi alla nota 82), qualsiasi parallelismo men che generico è escluso dalla stessa radicale diversità anche funzionale fra il procedimento sommario di allora e quello societario odierno (v. retro §2).

[30] Si segnalerà a tempo debito, correlativamente ad altre riflessioni, una possibile ulteriore ragione (infra, §13).

[31] Il quale potrà contenere ' secondo la esatta osservazione della TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 194 nt. 33 ' l'indicazione del numero di fax o dell'indirizzo di posta elettronica presso cui il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso di procedimento, atteso il silenzio dell'art. 19 circa gli elementi del ricorso e la vocazione espansiva palesata dall'art. 17 del Decreto (v. in particolare il c. 2°) riguardo ai nuovi sistemi di notifica (e v. del resto ' in punto di metodo generale di integrazione della disciplina ex art. 19 ' l'osservazione di CAPPONI B., richiamata retro alla nota 5.

[32] Cfr. CECCHELLA C., Il référé italiano, cit., 1143.

[33] Contra CECCHELLA C., Il référé italiano, cit., 1148.

[34] Cfr. ELVINGER M., La giustizia civile in Lussemburgo, in AA.VV., La giustizia civile nei paesi comunitari, a cura di E. Fazzalari, cit., I, 293.

Si osservi che al punto 51 del progetto di riforma elaborato dalla "Commissione Vaccarella" è previsto istituto analogo a quello che qui si va esaminando e tuttavia utilizzabile, come il référé, anche in corso di giudizio ordinario (enfatizza opportunamente la differenza già RICCI E.F., Verso un nuovo processo civile?, cit., 214.

[35] Che senso di squallido disordine, in una normativa processuale, quando le numerazioni bis sono interne agli articoli: un disordine da legge finanziaria.

[36] Si consideri in particolare l'art. 4, c. 1° del Decreto n. 5 come modificato dal D. Lgs. correttivo n. 37/2004.

[37] Prima delle modifiche dell'ultimora, PROTO PISANI A., La nuova disciplina del processo societario, cit., 13 aveva opportunamente rilevato che il termine a comparire, nel silenzio allora serbato dal legislatore, non avrebbe potuto essere inferiore ai sessanta giorni di cui all'art. 2, lett. c del Decreto n. 5 "anche in considerazione della gravità dei provvedimenti che possono essere emanati nel corso di tale processo sommario". Il plurale ' "provvedimenti" ' utilizzato dall'Illustre Autore credo della debba significativamente riferirsi, oltre che all'ordinanza di condanna, anche alla sua alternativa e cioè al provvedimento che trasforma il rito sommario in rito ordinario.

[38] Così anche CAPPONI B., Sul procedimento sommario, cit., 446, e TISCINI R., Commento all'art. 19, cit. 195.

[39] Avviso consonante (ed ulteriormente approfondito) in CAPPONI B., op. lc.  ult. cit.

[40] Questa eventualità non può certo escludersi (come non si è mai seriamente esclusa l'istanza cautelare riconvenzionale ante causam). Il suo verificarsi comporterà, su richiesta dell'attore che intenda replicare, l'aggiornamento dell'udienza.

[41] Poiché se l'attore propone domanda estranea ai limiti della cognizione sommaria quali definiti dall'art. 19, c. 1° il meccanismo della diretta trasformazione del giudizio sommario in giudizio ordinario, nel quale si conoscerà senz'altro di quella domanda, opera ugualmente (v. infra §13), non potrà negarsi che lo stesso accada allorchè il convenuto, costituendosi per l'udienza sommaria, proponga domanda riconvenzionale non conoscibile in via sommaria.

Se così non fosse il problema della riconvenzionale del convenuto si porrebbe in termini più semplici: la cognizione trasmigrerebbe nelle forme ordinarie solo su domande, principali o riconvenzionali, conoscibili in via sommaria, ed avrebbe maggior senso imporre al convenuto, che voglia ampliare mediante riconvenzionale l'oggetto del processo quale definito con il ricorso sommario, di farlo comunque, ed anche in relazione alla eventuale trasformazione in giudizio ordinario, costituendosi in fase sommaria.

[42] V. retro, §1 nota 5.

[43] Ritengo che quello previsto dall'art. 13, c. 2° del Decreto n. 5 sia appunto un regime speciale di contumacia consistente nell'unico effetto della ficta confessio e correlato alla mancata notifica tempestiva della comparsa di risposta, piuttosto che alla mancata tempestiva costituzione (sebbene applicabile, per forze di cose, anche allorché, nel giudizio ordinario, il convenuto abbia tempestivamente notificato la comparsa ma non si sia mai costituito e non l'abbia dunque mai depositata). L'esistenza di tale regime speciale non può escludere che anche nel processo societario sia applicabile il regime generale della contumacia ex art. 291 ss. c.p.c., siccome connesso a diverso presupposto (mancata costituzione) e finalizzato ad altro scopo (la protezione del diritto di difesa del convenuto). Naturalmente la declaratoria di contumacia ex art. 291 c.p.c. non potrà mai avvenire nella fase preparatoria che non si svolge apud iudicem, bensì solo all'udienza; e lo spazio operativo per gli effetti della contumacia ex artt. 291 ss. c.p.c. è ben limitato: occorrerà che il processo continui al di là di quell'udienza.

[44] Cfr. TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 196 e CAPPONI B., Sul procedimento sommario, 446; dubitativamente anche SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 475; diversamente CAVALLINI C., Il procedimento sommario, cit., §3, il quale ritiene operante in tal caso, come accade in ipotesi di contumacia "comune", il principio della ficta contestatio; nello stesso senso anche CATALDI M., La riforma del diritto societario, cit., §4.

[45] V. retro, la nota 43.

[46] PROTO PISANI A., La nuova disciplina, cit., 13 riconduce la "manifesta infondatezza" delle eccezioni alla ipotesi di eccezioni non basate su prova scritta che appaiano infondate prima facie attraverso giudizio di verosimiglianza svolto con riguardo alla qualità delle parti, alla natura della controversia e ad ogni altra circostanza; da ciò deduce l'inquadramento della ordinanza sommaria ex art. 19 nell'ambito delle condanne con riserva di eccezioni. Non mi pare tuttavia che tale, pur motivato, inquadramento valorizzi appieno l'evidente sbilanciamento voluto dal legislatore (ed al quale si sta per far cenno nel testo) fra valutazione sommaria della prospettazione dell'attore e valutazione sommaria della prospettazione del convenuto: sol che emerga il fumus della fondatezza della eccezione di quest'ultimo l'eccezione medesima viene accantonata e riservata al giudizio di merito che immediatamente prosegue come tale, ma proprio in questo caso la condanna sommaria, non viene emanata. Per altre ragioni contrarie rispetto alla classificazione proposta dall'Illustre A. cit., cfr. CAVALLINI C., Il procedimento, cit., §3, TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 197 nt. 47, CECCHELLA C., Il référé italiano, cit., 1151.

[47] Diversamente circa il carattere deformalizzato della istruttoria, SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 476 s.

[48] "L'oggetto della causa" recita l'art. 13, c. 3° con espressione ampia riferibile a codesto caso non meno che a quello, diverso, cui si farà cenno infra, al §13.

[49] Salvo il caso della mancata costituzione del convenuto e della conseguente ficta confessio : v. retro §7.

[50] Cfr. SALETTI A., op. lc. cit.

[51] V. in proposito già le opportune considerazioni della TISCINI R., Commento dell'art. 19, cit., 197, nt. 46.

[52] Ipotesi che nell'ambito delle controversie societarie sarà, oltretutto, ben rara.

[53] A diversa conclusione dovrebbe pervenirsi ove si ritenesse che anche in fase sommaria l'istruttoria, se si svolge (e cioè se il giudice non la ritiene inopportuna rispetto ai limiti della sommarietà), deve svolgersi con carattere formale (di guisa che l'audizione di terzi sarà sempre formale assunzione di prova testimoniale): v.  supra al richiamo alla nota 47 ed alla nota stessa.

[54] Corte Cost. 25 luglio 2000, n. 357, in Corr. Giur., 2000, 1469.

[55] Cfr. Il progetto di riforma organica del processo civile, a cura di G. Tarzia, 253, punto 21, e 282.

[56] Efficacia ed autorità della sentenza, rist., Milano, 1962, 25 ss. e 119.

[57] Sulla generica efficacia probatoria della sentenza (prescindente della autorità del giudicato) v., ad es., Cass. 19 maggio 1999, n. 4821.

[58] Si rammarica della mancata attribuzione di effetti di giudicato sostanziale alla ordinanza non impugnata CHIARLONI S., Riflessioni minime, cit., 681: "si sarebbe così raggiunto il risultato non solo di una maggior certezza di rapporti, ma anche di evitare i gravi dubbi ricostruttivi  (...) cui dà luogo l'appellabilità dell'ordinanza". 

Credo che il rammarico andrebbe indirizzato al legislatore della Legge di delega, piuttosto che a quello del Decreto attuativo, visto che la pur non limpidissima formulazione dell'art. 12 c. 2° lett. d della prima ("provvedimento esecutivo anche se privo dell'efficacia del giudicato") andava intesa in senso definitivamente impeditivo e non già in senso permissivo riguardo alla attribuibilità dell'efficacia in discorso, sembrandomi davvero strano che un legislatore delegante così insolitamente puntuale e dettagliato riguardo ad un procedimento sommario radicalmente nuovo (v. retro §3) abbia glissato proprio in relazione alla quaestio della efficacia del giudicato, pur menzionandola esplicitamente.

Ma anche ove si andasse al contrario avviso (così mi sembra, pur sinteticamente, CARRATTA A., Rito speciale, cit., 21) e si ritenesse che il legislatore delegato avrebbe potuto, senza tradire la delega, optare per l'attribuzione di effetti di giudicato, credo che la scelta attuata sia tutto sommato da condividere almeno in fase sperimentale (e salvi ulteriori passi innanzi, nella direzione auspicata da CHIARLONI, verso il "monitorio puro" e potenziato). Si evita così (il che appare appunto consono ad un istituto in fase sperimentale) un impatto eccessivo (è vero che il decreto ingiuntivo non opposto "passa in giudicato", ma la sommarietà presupposta alla sua emanazione è ben maggiormente tipizzata e ben meno affidata alla discrezionalità giudiziale), e si evitano altresì non tanto la declaratoria di incostituzionalità (la soluzione diversa non sarebbe in fin dei conti incostituzionale ' e non lo sarebbe, a quanto è evidente, neppure per CHIARLONI - visto che la cognizione piena potrebbe comunque precedere la formazione del giudicato su iniziativa della parte interessata che impugni l'ordinanza), ma sicuramente i dubbi di costituzionalità che, atteso l'attuale stadio evolutivo della nostra cultura giuridica, sarebbero stati sicuramente prospettati ed in guisa che non avrebbe potuto definirsi irragionevole.

[59] Così già PROTO PISANI A., La nuova disciplina, cit., 1314; diversamente CAPPONI, Sul procedimento sommario, cit., 448.

[60] Ovvero ' come voleva REDENTI E., Diritto processuale civile, Milano, 1957, III, 27, costruendo la categoria della preclusione pro iudicato ' protegga "quanto conseguito o conseguibile in via di esecuzione".

[61] Secondo quanto emerge anche dalla acuta descrizione di chi ' dopo REDENTI, Diritto processuale civile, lc. cit. ' ha maggiormente contribuito alla elaborazione della figura. I provvedimenti idonei all'insorgere di una preclusione pro iudicato ' scrive infatti MONTESANO L., La tutela giudiziale dei diritti, Torino, 1994, 297 - "si limitano a regolare i rapporti da essi creati, modificati o estinti, senza mai privare di ogni rilevanza le loro originarie fonti sostanziali, anche per ogni effetto diverso da quello da essi prodotto, come invece accade per l'accentramento dell'art. 2909 c.c."; ove è chiaro che la regolazione del "solo rapporto creato, modificato o estinto" ha invece la stabilità corrispondente alla previsione dell'art. 2909 c.c..

[62] Ciò anche nel caso in cui l'ordinanza sommaria sia stata emanata fuori dall'ambito delle controversie societarie quale definito ex art. 1 del Decreto n. 5. In assenza di apposite disposizioni, dovrà infatti applicarsi analogicamente l'art. 439 c.p.c., sul mutamento del rito in appello, con la conseguenza che la Corte d'appello, lungi dal rimettere la causa (cfr., in relazione all'art. 439 c.p.c., PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, 886) al primo giudice "non societario", deciderà nel merito in fase ordinaria "non societaria".

[63] Né è evidentemente immaginabile ragguagliare le ipotesi in discorso proprio a quelle di rimessione al primo giudice per nullità o inesistenza del provvedimento a norma dell'art. 161, c. 2° c.p.c.; e neppure esse possono essere ragguagliate ad ipotesi di incompetenza del giudice della fase sommaria, con esito dunque puramente rescindente in appello.

[64] Ed essa infatti stenta a trovare cittadinanza anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 10 aprile 1996, n. 3319 ed altre, secondo cui  "l'eventuale difetto delle condizioni per l'emissione del decreto non determina comunque la caducazione del medesimo, ma resta tutt'al più confinato sul piano delle spese processuali").

[65] Il giudice persona fisica officiato nella fase sommaria potrà, ben inteso, far parte del collegio cui è affidata la causa una volta trasmigrata nelle forme ordinarie (non ostandovi ragioni di incompatibilità; in considerazione della permanenza del giudizio all'interno dello stesso grado: così esattamente TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 199, nt.54). Ma è chiara comunque la diversità di organo: quello monocratico esaurisce le proprie funzioni nella fase sommaria.

[66] Lo esclude CAPPONI B., Sul procedimento, cit., 447.

[67] Si consideri oltretutto che l'ordinanza in questione non acquista mai gli effetti di sentenza, neppure ove impugnata (sentenza idonea al giudicato può essere, anche in tal caso, esclusivamente quella resa dal giudice della impugnazione: v. infra, §12). Perciò non può nemmeno dirsi che l'apposito mezzo di impugnazione si riferisca al provvedimento in quanto sentenza e che l'ordinanza siccome tale resti (prima) revocabile e modificabile.

[68] Si immagini che siano stati chiesti in via sommaria, sulla base della stessa clausola statutaria, la consegna di una cosa ed il pagamento di una somma; che il giudice abbia accolto con ordinanza la prima domanda ritenendo insufficiente ai fini della condanna sommaria la prova del quantum rispetto alla seconda; che a tale ultimo riguardo abbia disposto la prosecuzione del giudizio di primo grado nelle forme ordinarie, all'esito del quale risulti radicalmente inefficace la clausola statutaria.

[69] L'approccio semplificatorio è insomma ' mutatis mutandis ' quello stesso che ha condotto  parte della dottrina (cfr. per tutti CONSOLO C., Attese e problemi sul nuovo 186 quater, in Corr. Giur., 1995, 1405 ss., LUISO F.P., Diritto processuale civile, II, Milano, 2000, 67, PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 626) ad ammettere la emanabilità dell'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. relativamente a processo cumulativo solo allorché con essa sia possibile pronunciare su tutte le cause cumulate ovvero, per lo meno, previa separazione della cause cumulate sempre che possibile. Nel nostro caso, tuttavia, le difficoltà e complicazioni che scoraggiano l'avvio di due binari separati non impediscono (come nel caso della ordinanza ex art. 186 quater) l'emanazione del provvedimento sommario (visto che il cumulo riguarda domande fin dall'origine proposte in sede sommaria e destinate dunque ed essere accolte o non accolte con l'ordinanza sommaria), bensì ridimensionano proprio la possibilità di separare le cause e far proseguire in primo grado, in sede non sommaria, quella corrispondente alla domanda non accolta con l'ordinanza.

[70] In tal modo è superabile il pur possibile sospetto di vulnerazione della delega. Il legislatore delegato era libero di strutturare il regime impugnatorio del provvedimento sommario esecutivo ma inidoneo al giudicato che il delegante "commissionava". Ebbene ha strutturato un sistema impugnatorio utile e razionale, piuttosto che uno inutile ed irrazionale. Ne è  risultata la possibile formazione del giudicato all'esito del secondo grado (non sommario); il che è comunque compatibile con la Legge-delega, la quale escludeva l'attribuzione di efficacia di giudicato al solo provvedimento sommario. Diversa spiegazione, invece, in TISCINI R., Commento all'art. 19, c.t., 206, nt. 87, imperniata sull'assunto ' da chi scrive non condiviso (v. retro nt. 58) ' secondo cui la previsione della inidoneità al giudicato rappresentava una mera facoltà per il legislatore delegato, della quale egli si sarebbe avvalso quanto al provvedimento che chiude il primo grado, non invece quanto a quello che chiude il secondo grado.

[71] Sul punto v. CAPPONI B., Sul procedimento, cit., 443.

[72] Basta in proposito leggere l'art. 360, c. 1° c.p.c. e considerare che ciò che conclude il giudizio di secondo grado è comunque una sentenza, e che essa o è una sentenza "in grado d'appello" o è una sentenza "in unico grado" (v. subito oltre nel testo). L'idea (CARRATTA A., Rito speciale, cit., 20) della proponibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., con gli inerenti noti limiti, non sembra dunque aver fondamento. Riproporre articolatamente e con dovizia di particolari il dubbio, sia pure per risolverlo correttamente nel senso del ricorso ordinario (così TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 207) è pericoloso perché idoneo a suggerire alla S.C. la opposta soluzione come soluzione di comodo (più o meno plausibile, ciò che invece non è) al consueto fine di contenere il carico di lavoro in ingresso.

[73] Diversamente ' sembra ' CAPPONI B., Sul procedimento, cit., 447-448.

[74] Analogamente SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 480 ss.

[75] Così CAPPONI B., Sul procedimento, cit., 447.

[76] Perché, pur trattandosi di domanda scindibile, essa è connessa per il titolo all'altra (v. retro, §11).

[77] Retro, §5.

[78] Così esattamente SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 479. Contra CATALDI M., La riforma, cit., §7 e TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 205.

[79] Di questa problematica si occupano diffusamente SALETTI A., Il procedimento sommario, cit., 478 ss., TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 196 ss. e 205 ss., entrambi pur con alcune differenze, ammettendo in linea tendenziale l'ordinanza di puro rigetto; diversamente (ed a mio avviso condivisibilmente) CAPPONI B., Sul procedimento, cit., 447.  Con tali scritti ci si permette di non intessere un puntuale dialogo, poiché essi precedono le modifiche all'art. 19 apportate con il D. Lgs. correttivo del febbraio 2004, che hanno significativamente inciso sulla questione.

[80] E' noto, del resto, che chi costruisce in relazione all'art. 186 quater c.p.c. l'ipotesi dell'ordinanza di rigetto totale è poi spinto ad attribuirvi ' e la cosa ha, nell'ambito di quell'istituto, una sua piena plausibilità ' l'attitudine al giudicato, al pari della ordinanza di accoglimento nonché l'appendice della condanna alle spese (cfr. ad es. RICCI E.F., Orientamenti e disorientamenti sull'art. 186 quater c.p.c., in Riv. dir. proc., 1999, 1135.

[81] Diversamente ' v. oltre al testo ' nel caso in cui mediante l'istanza sommaria ex art. 19 si pretenda addirittura deferire controversia non societaria nel senso dell'art. 1 del Decreto n. 5.

[82] Questa tendenziale alternatività esaustiva fra ordinanza di condanna e disposizione della prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie, e cioè la insussistenza  della terza via rappresentata dalla ordinanza di puro rigetto, sminuisce la impressione di incertezza e di eccessivo affidamento alla discrezionalità giudiziale che ha suscitato nei primi commentatori (v. ad es. CARRATTA A., Rito speciale, cit., 19 e TISCINI R., Commento all'art. 19, cit., 198, nt. 53) la norma  che prevede il mutamento del rito da sommario in ordinario.

In realtà la discrezionalità connota inevitabilmente, e come si è già rilevato, la emanazione della ordinanza di condanna (attesa la mancata tipizzazione dell'accertamento sommario con riferimento a supporto probatorio determinato). Se non emana la ordinanza di condanna, il giudice della fase sommaria ha, invece, tendenzialmente la strada obbligata.

[83] V. retro, §12, d).

[84] Similmente a quanto è stato da taluni suggerito (cfr ad es. VERDE G., Profili del processo civile, Napoli, 2000, 63 e SASSANI B., L'ordinanza successiva alla chiusura della istruttoria,  in Giur. it., 1996, IV, 195) nel caso del giudice sollecitato con istanza ex art. 186 quater c.p.c..

[85] Non può escludersi ' sebbene la eventualità sia destinata a rimanere marginale ' che, ove tale palese infondatezza risulti già e soltanto dalla prospettazione del ricorrente e del tutto a prescindere da qualsivoglia difesa del convenuto, il giudice non fissi neppure l'udienza sommaria.

A tale eventualità non  sarebbe più letteralmente riferibile il nuovo inciso dell'art. 19 c. 3° - "in ogni altro caso in cui non dispone a norma del c. 2 bis" ' poiché appunto sarebbe questo un caso non già di mancata emanazione della ordinanza di condanna, ai sensi del c. 2° bis ed a seguito della udienza, bensì di mancata disposizione a norma del c. 2°, e cioè di mancata fissazione dell'udienza (e probabile per altro che il legislatore del D. lgs. correttivo del febbraio 2004 abbia fatto un po' di confusione, non avvedendosi di aver egli stesso scorporato in due commi il precedente contenuto dell'unico comma 2°, e richiamando, non del tutto intenzionalmente, nel nuovo c. 3°, il solo comma 2° bis piuttosto che anche il nuovo c. 2°).

Nondimeno, anche nella eventualità residuale sopra cennata, l'alternativa alla mancata emanazione della ordinanza di condanna, e qui addirittura alla mancata fissazione della udienza, sarà sempre la immediata trasformazione del sommario in giudizio ordinario, perché non vi è alcuna ragione per distinguere a questi fini fra i gradi di manifesta infondatezza (se emergente all'esito dell'udienza e dalle difese del convenuto, ovvero a prescindere da queste).

[86] Che in questo particolare caso il giudice neppure fissi l'udienza, risultando la non emanabilità della ordinanza sommaria da un semplice confronto fra le prospettazione dell'attore e l'art. 19, c. 1°, è ben più probabile che nel caso (della manifesta infondatezza della pretesa) cui si è accennato alla nota precedente. Naturalmente è possibile altresì che il giudice si avveda della estraneità dell'oggetto della pretesa rispetto ai limiti dell'art. 19, c. 1° solo a seguito delle argomentazioni svolte in proposito dal convenuto ed all'esito dell'udienza.

[87] V. analogamente retro, §5 in fine.

[88] V. anche le riflessioni svolte retro, §4, nota 22.

[89] Ragioni che concorrono, naturalmente, con l'altra e diversa (di responsabilizzazione di chi assume l'iniziativa processuale sommaria) cui si è fatto cenno retro, §4 in fine.

[90] V. retro, §12, c).

[91] Designazione che spetta, in base a tale disposizione, al collegio.

[92] Sul mutamento del rito in appello, allorché l'ordinanza sommaria sia stata resa fuori dall'ambito delle controversie societarie, v. retro §9, nota 62.

[93] Si tratta della ipotesi cui si fa riferimento supra al richiamo delle note 85 e 86 ed alle note stesse.