FASE INTRODUTTIVA E FISSAZIONE DELL'UDIENZA NEL PROCESSO SOCIETARIO

 

Sommario: 1. La riforma del processo societario e la legge delega. I successivi interventi di modifica. ' 2. L'ambito di applicazione della nuova normativa. ' 3. La giurisdizione e la competenza. ' 4. Il mutamento del rito: a) connessione con causa disciplinata da rito diverso; b) errore nella scelta del rito. ' 5. La domanda introduttiva. ' 6. La costituzione dell'attore. ' 7. La comparsa di risposta. ' 8. La costituzione del convenuto. ' 9. La memoria di replica dell'attore. ' 10. La seconda memoria difensiva del convenuto. ' 11. Le ulteriori memorie di replica. ' 12. L'istanza di fissazione dell'udienza. ' 13. Le preclusioni. ' 14. La decisione incidentale sulle questioni di rito e  le preliminari di merito. ' 15. Il decreto di fissazione dell'udienza. '' 16. La contumacia dell'attore. ' 17. La contumacia del convenuto. ' 18. Mancata tempestiva costituzione di tutte le parti del processo. ' 19. L'inosservanza dei termini processuali.

 

1. La riforma del processo societario e la legge delega. I successivi interventi di modifica.

Il decreto legislativo del 17 gennaio 2003 n. 5 concernente la «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12, della legge 3 ottobre 2001, n. 366», affiancandosi alla riforma del diritto sostanziale societario, introduce un nuovo rito che mira a consentire, secondo le indicazioni contenute nella legge delega, una "rapida ed efficace definizione dei giudizi [1]". La creazione di un rito ad hoc per determinate materie avviene secondo un metodo già sperimentato dal nostro legislatore ' si pensi, per citare solo le ipotesi più rilevanti, alla disciplina speciale delle controversie in materia di lavoro e  previdenza, o al procedimento di opposizione alle sanzioni amministrative ' che adatta il rito alle peculiarità dell'oggetto delle singole controversie [2].

La disciplina del processo civile ordinario rispetto alla normativa introdotta assume un ruolo residuale, sussidiario per tutto quanto non espressamente previsto e è applicabile in quanto compatibile: in questo senso espressamente l'art. 1, co. 4 del d.lgs. 5/03.

La creazione di un nuovo modello di procedimento, che si discosta radicalmente rispetto all'ordinario processo di cognizione senza che in tal senso vi fossero delle espresse indicazioni nella legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 [3], ha suscitato qualche dubbio di legittimità costituzionale in dottrina ed anche presso il Consiglio Superiore della Magistratura alla luce dell'art. 76 Cost. Si è così prospettato il mancato rispetto da parte del legislatore delegato dei principi e dei limiti della delega [4], conferita dal Parlamento, ritenendo che la creazione di un rito ordinario per le cause in materia societaria e di intermediazione finanziaria [5] intimamente diverso dal processo del libro secondo del codice di procedura civile [6], avrebbe richiesto una più puntale e precisa indicazione da parte della legge delegante, la quale invece si limitava ad autorizzare il potere esecutivo a dettare regole processuali al fine di garantire la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali. Da una corretta lettura dell'ordinamento nel suo complesso e dai principi su cui si fonda la legislazione delegata si può peraltro rinvenire una legittimazione costituzionale all'operato del Governo [7]. Quest'ultimo è tenuto a rispettare, in attuazione della legge delega, oltre a quanto in essa espressamente sancito, anche gli schemi di disciplina già presenti nell'ordinamento e la cui modificazione non sia autorizzata dalla legge stessa [8]: il limite implicito, che promana dalla legge delega, non impone però il riferimento alle sole norme vigenti al momento in cui è conferita la delega legislativa, bensì consente di indagare se il nostro ordinamento abbia conosciuto dei modelli analoghi, anche se non più vigenti [9]. E, a ben vedere, sin dal processo formulare romano, esisteva un modulo procedimentale che imponeva alle parti, prima di comparire davanti allo judex, la fissazione del thema decidendum mediante la litiscontestatio [10] . La stessa cultura processuale successiva ha fatto proprio questo modello. Il previgente Codice di procedura civile del 1865 [11], all'art. 155, prevedeva, accanto ad un procedimento formale, un procedimento sommario. Il primo, nonostante che la sua applicazione fosse eccezionale e limitata ad ipotesi tassativamente previste dalla legge, era ispirato ai principi del processo scritto "in quanto ammette che una serie di attività processuali si compia fuori dall'udienza, vale a dire senza l'intervento, il controllo e l'azione moderatrice del magistrato" [12]. Agli artt. 164 ss. c.p.c. 1865 ' richiamati dagli artt. 393 ss. per le controversie di competenza del tribunale di commercio ' era infatti prevista una fase introduttiva del processo in cui lo scambio di memorie tra le parti avveniva senza la presenza attiva dell'organo giurisdizionale [13]
La disciplina del nuovo rito societario è interamente contenuta nel d.lgs. 5/03, nella versione che è risultata all'esito degli interventi correttivi del settembre 2003 e del decreto 6 febbraio 2004, n. 37 [14].  Ne discende che le norme del libro secondo del c.p.c. si applicano solo in via residuale, mentre continuano ad applicarsi le norme del libro primo aventi ad oggetto i principi. Ugualmente l'esecuzione dei provvedimenti è regolata dalle norme del terzo libro del c.p.c.

Il breve succedersi degli interventi di riforma darà luogo a qualche difficoltà intertemporale. Occorre, invero, considerare che la prima versione della disciplina processuale societaria, risultata dal d.lgs. 5/03 rettificato a settembre 2003, è rimasta vigente dal 1 gennaio 2004 al 14 febbraio 2004. In tale data è intervenuto il D.lgs. 37/04. La Commissione Vietti, ricostituitasi per elaborare i decreti correttivi dei decreti legislativi n. 5 e n. 6 del 2003, anche alla luce della necessità di coordinamento con i Testi unici bancario e finanziario, aveva licenziato già  lo scorso novembre 2003 un Progetto di decreto legislativo che conteneva una serie di proposte di modifica del rito societario al Capo  II (art. 4) del Progetto del decreto di riforma rubricato "Disposizioni correttive del decreto legislativo 17 gennaio 2003, numero 5, recante definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e  creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366."
Il testo è confluito nel decreto 37/2004, sicchè ai processi instaurati in data successiva al 29 febbraio 2004 si applica la nuova versione della disciplina. La normativa originaria continua ad operare solo per i processi già incardinati e pendenti.

 

2. L'ambito di applicazione della nuova normativa.

L'ambito di applicazione delle "nuove norme di procedura" è contenuto nell'art. 1 del Titolo 1 del decreto legislativo in esame, che riprende con alcune limitazioni ' in materia bancaria e creditizia nonchè di intermediazione finanziaria '  le materie già indicate all'art. 12 della legge delega n. 366 del 2001 [15]. Secondo l'art. 1 sono rette dal rito commerciale le controversie relative a:

- rapporti societari [16], ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative [17];

- trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;

- patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall'articolo 2341-bis codice civile, e accordi di collaborazione di cui all'articolo 2341-bis, ultimo comma, del codice civile [18];

- rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari, vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa. In questo ambito, come espressamente sottolineato dalla relazione illustrativa al d.lgs n. 5 del 2003, è stata operata una selezione di tipo oggettivo  "usando della facoltà riconosciuta dal punto n. 1b della legge delega ove si abilita il governo al censimento di materie e non delle materie ' tutte ' incluse in quel Testo unico" e cioè del d.lgs n. 58 del 1998 concernente l'ordinamento dei mercati finanziari [19];

- materie di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, ' e quindi controversie aventi ad oggetto contratti bancari, contratti di factoring, franchising, leasing ' quando la relativa controversia è promossa da una banca nei confronti di altra banca ovvero da o contro associazioni rappresentative di consumatori o camere di commercio. Per questa ipotesi, invece, il legislatore delegato ha operato una scelta di tipo soggettivo riferita alla parte attrice o convenuta. È quindi esclusa l'applicabilità del rito commerciale alle controversie tra banca e cliente, salvo che in materia finanziaria e nell'ambito sopra descritto;

- credito per le opere pubbliche;

- le controversie contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati [20].

 

3. La giurisdizione e la competenza.

Ai sensi dell'art. 1, co. 2 restano ferme tutte le norme sulla giurisdizione con la precisazione che spettano esclusivamente alla Corte d'appello tutte le controversie di cui agli artt. 145, d. lgs. 1 settembre, 1993, n. 385, e 195, d. lgs.  24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico sull'intermediazione finanziaria [21].

Quest'ultima previsione, ribadendo l'affidamento alla Corte d'appello delle controversie aventi ad oggetto le sanzioni amministrative, non ha tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza ammministrativa che, riconosciuta la facoltà della Banca d'Italia, nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza sul credito, di proporre al Ministro del Tesoro l'irrogazione di sanzioni nei confronti dei membri del consiglio di amministrazione di una Banca, ha ritenuto che tutte le controversie relative rientrino nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo derogando implicitamente alla disposizione contenuta nell'art. 145, co. 4 d. lgs. n. 385 del 1993 [22].

Quanto all'attribuzione della competenza, occorre premettere che ormai, dopo la soppressione delle preture [23], essa si distribuisce in senso verticale tra giudice di pace e tribunale. La previsione della necessaria collegialità della decisione delle controversie commerciali sembra introdurre un nuovo criterio di competenza per materia a favore del tribunale, in quanto il giudice di pace è, per definizione, giudice monocratico. Le ipotesi di decisione collegiale così previste vanno ad aggiungersi a quelle individuate dall'art. 50-bis c.p.c. e l'eventuale inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del Tribunale ' peraltro ipotesi più teorica che reale ' sarà regolata dall'art. 50-quater c.p.c.

La collegialità della decisione era espressamente prevista dall'art. 12 della legge-delega che disponeva "l'attribuzione di tutte le controversie al tribunale in composizione collegiale, salve ipotesi eccezionali di giudizio monocratico, in considerazione degli interessi coinvolti". Questa indicazione è stata trasfusa nell'art. 3 che impone la decisione collegiale della causa ad eccezione dell'ipotesi in cui la controversia verte su materie di cui al d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 ed è promossa da una banca contro l'altra; se, invece, l'azione è iniziata da o contro associazioni rappresentative di consumatori o di commercio la decisione spetta di nuovo al giudice collegiale [24].

Il tribunale in composizione collegiale giudica "a norma del Capo I del titolo II": l'ulteriore previsione è stata introdotta dal D.lgs. 37/04 che ha aggiunto l'inciso all'art. 3, co. 1, dell'articolato originario con il presumibile fine di sottolineare la natura quanto meno duplice del rito ordinario commerciale, in cui confluiscono un processo collegiale, scandito dagli artt. 2 ' 17 D.lgs. 5/03, e un processo monocratico, retto dal principio cardine dell'art. 18, che vuole l'operare del rito collegiale soggetto al vaglio della sua compatibilità con la composizione singola dell'organo giudicante [25].

L'idea originaria della creazione di vere e proprie sezioni specializzate [26] presso i tribunali sedi di Corte d'appello [27] contenuta nell'art. 11 della legge delega è dunque stata abbandonata nel testo definitivo della legge processuale societaria, accogliendo le indicazioni della dottrina che già aveva auspicato che l'ordinamento giudiziario fosse oggetto di una modifica globale e non di meri aggiustamenti parziali [28].

 

4. Il mutamento del rito:

a) connessione con causa disciplinata da rito diverso

L'art. 1 del d.lgs. n. 5/03 opera una netta scelta a favore del nuovo rito e stabilisce l'attrazione sotto il rito commerciale e la sua prevalenza in tutte le ipotesi di trattazione di cause connesse ex artt. 31 ss. e soggette a rito diverso: sono disapplicate le disposizioni di diritto processuale civile comune contenute nell'art. 40 c.p.c. Deroga che in primo luogo estende le norme sull'attrazione per connessione e la prevalenza del rito commerciale anche alle ipotesi di connessione soggettiva ex art. 33 c.p.c. e in secondo luogo relega il rito ordinario e il rito laburistico a riti subordinati. Quanto al primo profilo, il legislatore ha voluto evitare il rischio di decisioni inconciliabili anche nelle ipotesi di c.d. connessione debole [29] ed ha pertanto previsto anche le cause in cui c'è un cumulo soggettivo possono essere riunite e trattate congiuntamente secondo il nuovo rito [30]. Quanto alla scelta del rito prevalente essa contrasta con le disposizioni previste per il processo ordinario. Il legislatore del '90 ha infatti previsto ' all'art. 40 c.p.c. ' che, nella trattazione di cause connesse ex artt. 31-32-34-35-36 c.p.c. e soggette a riti diversi, è prevalente il rito ordinario, tranne che nell'ipotesi in cui fra le cause connesse ci sia una causa di lavoro o previdenza in cui prevale il rito laburistico. Se invece connesse sono più cause soggette a riti speciali diversi da quello del lavoro prevale il rito della causa in ragione della quale è determinata la competenza o, sussidiariamente, quella di maggior valore [31]. Questa scelta pare giustificata alla luce dell'assunto ' che peraltro dovrà essere misurato nella pratica ' della maggior rapidità del nuovo rito commerciale, anche rispetto al processo del lavoro [32]. In concreto potrà accadere che una causa devoluta alla cognizione del Tribunale in composizione monocratica o di competenza del giudice di pace siano rimesse alla decisione del Tribunale collegiale.

b) errore nella scelta del rito

Il comma quinto dell'art. 1 d.lgs. n. 5/03 disciplina l'ipotesi che una causa soggetta al rito commerciale sia proposta secondo il rito ordinario e stabilisce che in tale caso il giudice "dispone con ordinanza il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal ruolo; dalla comunicazione dell'ordinanza decorrono, se emessa a seguito dell'udienza di prima comparizione, i termini di cui all'art. 6 ovvero, in ogni altro caso, i termini di cui all'art. 7", facendo salve le decadenze già maturate.

La disposizione è abbastanza nitida e non sembra creare particolari problemi interpretativi, anche se la previsione della cancellazione della causa dal ruolo, nell'ipotesi del mutamento del rito, non è del tutto in sintonia con il dettato dell'art. 3 d. lgs. n. 5/03 che prevede la costituzione dell'attore mediante il deposito in cancelleria della nota d'iscrizione a ruolo entro dieci giorni dalla notificazione della citazione, quindi già in limine litis come accade per il processo ordinario. Questo comporta che l'attore sia onerato dall'effettuare una nuova iscrizione a ruolo della causa. Più opportuno sarebbe stato prevedere la pronuncia del mutamento del rito da parte del giudice e la continuazione del processo secondo il rito societario sul modello di quanto previsto dal legislatore per il mutamento del rito ordinario nel rito speciale laburistico [33].

Un'interpretazione del dato normativo fedele al testo della disposizione induce a ritenere che nel termine di trenta giorni ' art. 4, co. 2, ' o nel più congruo termine superiore fissato dal giudice nell'ordinanza che pronuncia il mutamento del rito, l'attore debba notificare la memoria di replica ax art. 6. Entro dieci giorni da tale notifica ai sensi dell'art. 3, co.1, applicato analogicamente, l'attore deve poi depositare in cancelleria l'istanza di riassunzione della causa, non ritenendosi invece necessaria una seconda costituzione delle parti. In questo senso l'ultima parte dell'art. 1,  co. 5, che prevede che restano ferme le decadenze già maturate con lo scambio dei primi atti difensivi. Il convenuto non potrà, pertanto, più chiamare in causa terzi o proporre domande riconvenzionali.

 

5. La domanda introduttiva

Il nuovo rito commerciale recepisce i risultati dei lavori preparatori della riforma del codice di procedura civile e le linee guida elaborate dalla Commissione Vaccarella [34]  e si caratterizza per una netta distinzione fra la fase preparatoria, che si svolge nel contraddittorio tra le parti senza alcun intervento dell'organo giusdicante, al quale invece è demandata la direzione della fase istruttoria, di discussione e decisione ' quasi sempre collegiale ' che prende avvio a seguito dell'istanza che può essere proposta da ciascuna parte o da entrambe congiuntamente di fissazione dell'udienza di trattazione [35].

Più vicine alla disciplina del processo ordinario sono, invece, le modalità di introduzione del giudizio societario. Il processo commerciale prende avvio, ai sensi dell'art. 2 d. lgs. n. 5/03, con un atto di citazione che l'attore deve notificare al convenuto. La notificazione dell'atto deve essere effettuata secondo le norme contenute nel c.p.c. in quanto nulla espressamente si dispone nella nuova normativa e pertanto secondo gli artt. 137 ss. Diverso è il discorso per la notifica e la comunicazione degli atti alle parti già costituite che, secondo l'art. 17 del d. lgs. n. 5/03, possono essere effettuate anche con stumenti alternativi a quelli ex art. 136 ss.[36] Con la notifica dell'atto introduttivo al convenuto si instaura il contraddittorio fra le parti e prende avvio la prima fase, quella  "preparatoria" del thema decidendum, del nuovo processo.

Gli effetti propri della domanda giudiziale, processuali e sostanziali, iniziano a decorrere da questo momento. L'unica eccezione è rappresentata dal computo del termine di ragionevole del processo ai sensi dell'art. 2, legge 24 marzo 2001, n. 89 e dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Infatti sino a che non è chiesta la fissazione dell'udienza di trattazione l'ufficio giudiziario svolge una attività di mera custodia di atti e documenti, non ha cioè alcun ruolo attivo nella conduzione del processo [37]. Poichè l'indagine volta a stabilire se un dato processo abbia o meno avuto una durata ragionevole ricerca se vi siano delle mancanze, omissioni o inefficienze in generale ascrivibili agli organi che concorrono alla attività giurisdizionale pare ragionevole escludere da tale computo una fase processuale rimessa alla esclusiva determinazione delle parti [38].

Il contenuto dell'atto di citazione è scandito dall'art. 2 del dlg. n. 5/03, che richiama le previsioni fissate dall'art. 163 c.p.c. per l'atto introduttivo del processo ordinario di cognizione, seppure non integralmente, date le peculiarità proprie del nuovo processo societario. Sono infatti oggetto di richiamo i soli elementi necessari dell'atto introduttivo del giudizio indicati all'art. 163 c.p.c., nn. 1-6 e, dunque, non anche la previsione di cui al n. 7 dell'art. 163 c.p.c., relativa all'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione, all'invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166, ovvero di dieci giorni prima, in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, all'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c. Neppure è richiesto l'avvertimento che la costituzione, oltre i suddetti termini, implica le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c. anche se con riguardo a quest'ultimo profilo sarebbe stato opportuno, come suggerito in dottrina [39],  l'avvertimento che la mancata costituzione in giudizio comporta la dichiarazione di contumacia ex art. 13 d. lgs. n. 5/03, sanzionata con l'accoglimento nel merito della pretesa fatta valere dall'attore.

Elementi essenziali dell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 2 d. lgs. n. 5/03, sono: 1) l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2) il nome, il cognome e la residenza dell'attore, il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono o, per il caso in cui attore o convenuto sia una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la denominazione o la ditta con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3) la determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;  5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6) il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata.

L'omissione di questi elementi non è oggetto di un'espressa sanzione di invalidità nel d. lgs. n. 5/03.

Va, allora, verificata la possibilità di mutuare il regime di nullità dell'atto di citazione ex art. 164 c.p.c. [40] Le norme che vengono in rilievo sono, in primo luogo, l'art. 156 c.p.c. che esclude che possa essere dichiarata una nullità in assenza di un'espressa previsione in tal senso. E, in secondo luogo, l'art. 1, co. 4, d. lgs. n. 5/03 che espressamente rinvia, per quanto non espressamente previsto, alle norme del codice di procedura civile in quanto compatibili. Il combinato disposto delle due norme impone di ricercare se le disposizioni relative alla nullità dell'atto di citazione del codice di rito siano compatibili con la domanda introduttiva del processo commerciale. La risposta negativa consentirebbe di escludere ogni declaratoria di nullità della citazione commerciale pur carente degli elementi richiamati, lasciando solo spazio ad una sua sanzione di inesistenza per il caso in cui il difetto di contenuto sia grave ed esteso al punto da escludere anche la possibilità di ravvedervi un contenuto minimo che consenta di qualificare l'atto come atto di citazione introduttivo di un nuovo processo. Sicchè la percorribilità di tale soluzione si mostra decisamente ardua e, per di più, affatto in linea con i principi cardine della nullità degli atti processuali che, proprio in quanto regole generali caratterizzanti tutti i modelli processuali ammessi dal nostro ordinamento, operano anche nel processo societario. Finisce, così, per imporsi la risposta positiva all'operare, in modo ovviamente allineato alla cornice di questo scenario processuale, della disciplina della nullità della citazione introduttiva, come può anche inferirsi dal richiamo contenuto nell'art. 2 agli elementi tipici dell'atto di citazione e, in primo luogo, dell'edictio actionis e della vocatio in ius, la cui mancanza è a base della disciplina della nullità dell'atto di citazione ex art. 164 c.p.c., che anche qui allora opera nel suo tradizionale bipartirsi tra nullità relative all'editio actionis e alla vocatio in ius.

Il giudice, alla luce del combinato disposto dell'art. 164 c.p.c. e dell'art. 13, n. 5 rimetterà in termini il convenuto nel caso in cui il difetto relativo all'edictio actionis sia contenuto nell'atto di citazione e l'attore nell'eventualità in cui l'oggetto del giudizio non sia chiaramente individuato nella domanda riconvenzionale. In entrambe i casi, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si produrranno dal momento in cui la nullità è sanata e il processo ripartirà dal momento in cui si è verificata l'irregolarità.

La nullità dell'atto di citazione societario per il primo ordine di ragioni sussiste nei casi di omissione o di assoluta incertezza dell'indicazione dell'autorità giurisdizionale competente o delle parti in senso processuale. L'atto di citazione del processo societario è, altresì, nullo per il caso in cui risulti assolutamente incerta la determinazione dell'oggetto della domanda oppure se manca l'esposizione dei fatti giusta quanto dispone l'art. 164, 3 co., c.p.c. che è da ritenersi interamente applicabile [41].

Quanto alle nullità relative alla citazione in causa del convenuto, occorre considerare che la lettera b) del'art. 2 prevede che l'attore indichi nell'atto di citazione il numero di fax o dell'indirizzo di posta elettronica al quale il difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni o le notificazioni nel corso del procedimento, o più in generale per lo scambio di atti. Questa norma si coordina con la previsione dell'art. 17 d. lgs. n. 5/03 che ammette ampio ricorso a mezzi "deformalizzati" di comunicazione fra le parti costituite. La disposizione esplicita dovrebbe quindi far divenire ' al contrario di quel che è stato fino ad oggi ' di uso quotidiano e frequente sia la trasmissione a mezzo fax degli atti processuali, già da tempo disciplinata dalla legge 7 giugno 1993, n. 183, sia le più recenti disposizioni sul c.d. processo informatico (D.p.r. 13 febbraio 2001, n. 123), con la conseguente possibilità di effettuare comunicazioni e notificazioni degli atti processuali in via telematica [42].

Per lo scambio a mezzo posta elettronica, non è necessario che l'indirizzo email sia lo stesso già indicato all'Ordine di appartenenza del difensore.

Le due forme di comunicazione sono alternative: spetterà alla parte indicare il mezzo che preferisce, salva la facoltà di mutare la scelta compiuta previa comunicazione all'altra parte nelle forme indicate nell'atto introduttivo.

Non può, allora, considerarsi causa di nullità della vocatio in jus dell'atto di citazione l'omessa indicazione del numero di fax o dell'indirizzo di posta elettronica del difensore dell'attore perchè le notificazioni possono essere, in ogni caso, compiute secondo il metodo tradizionale [43]. Esclusa ogni sanzione nel caso di omissione di indicazione di questi elementi, la loro menzione finisce per essere un mero onere per la parte, in difetto del cui adempimento i successivi atti del processo dovranno essere comunicati e notificati nelle forme ordinarie, seppure rimangono, comunque, possibili le comunicazioni ai sensi dell'art. 17, lett. c), cioè mediante «scambio diretto tra difensori attestato da sottoscrizione per ricevuta sull'originale, apposta anche da parte di collaboratore o addetto allo studio».

Se in mancanza dell'indicazione del numero di fax o dell'indirizzo di posta elettronica, diffetta anche l'elezione di domicilio, gli atti dovranno essere indirizzati alla cancelleria soltanto qualora il difensore non abbia un domicilio nella circoscrizione del tribunale, ai sensi dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 [44], che continua ad operare anche nel nuovo processo societario.

La lettera c) dell'art. 2 d. lgs. n. 5/03 dispone che l'atto di citazione deve indicare un termine al convenuto non inferiore a sessanta giorni per la notifica al difensore dell'attore della comparsa di risposta. In mancanza di indicazione da parte dell'attore il termine si intende di sessanta giorni. La previsione di un termine prefissatosolo nel minimo, ma non nel massimo è coerente con la scelta del legislatore di attribuire alle parti la facoltà di determinare come meglio credono i tempi del processo, considerato inoltre ' come accennato ' che la durata di questa fase non deve essere computata nel calcolo della durata ragionevole o meno del processo ai fini della concessione dell'equa riparazione ai sensi della legge n. 89/01 (legge Pinto).

L'art. 4 del D. lgs. 37/04 ha inserito nell'art. 2 d. lgs. n. 5/03, due ulteriori comma.

L'attuale secondo comma della disposizione che si esamina prevede la possibilità che tutti i termini del procedimento siano ridotti alla metà con provvedimento reso a norma dell'articolo 163-bis, comma 2, c.p.c.

La disposizione chiarisce che tutti i termini del processo, e quindi non solo quelli previsti per la costituzione in giudizio del convenuto, attraverso il deposito della comparsa di costituzione,  ex art. 5, co. 1, d. lgs. come ipotizzato in dottrina [45], possono essere dimezzati. In tal senso già la Relazione al d. lgs. n. 5/03 pareva assegnare alla riduzione dei termini un ambito il più possibile esteso in quanto "tutti i termini di questa fase volti all'organizzazione delle attività delle parti, peraltro appositamente fissati in numero sempre pari di giorni, si rendono abbreviabili della (rectius, fino alla) metà, come si prevede nell'art. 3, comma 1, con riferimento all'esercizio, per la prima ' e possibilmente unica '  volta, dei diritti di difesa del convenuto" [46]. La mancanza, peraltro, di un'espressa disposizione in tal senso rendeva assai incerta la possibilità che tutti i termini potessero essere effettivamente dimezzati poichè l'effettivo conseguimento della finalità di accelerazione dei tempi processuali deve essere del tutto rispettoso delle esigenze di massima certezza che si impongono in modo preminente con riguardo alla materia dei termini processuali.

Il terzo comma, ora aggiunto all'art. 2, prevede, anzitutto, la riduzione ex lege dei termini nel processo che si instauri a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, sul modello della disciplina già vigente per l'opposizione monitoria, seppur qui con l'importante specifica che la riduzione opera in modo generalizzato per tutti i termini, in modo che risultano superate le difficoltà che sono sorte nella prassi quanto alla riduzione ex art. 645 c.p.c. e al se ritenerla operante non solo per i termini di comparizione, ma anche per i termini di costituzione [47].

La seconda parte dell'art. 2, co. 3, prevede, altresì, che ciascuna delle parti, al momento della costituzione, ovvero successivamente può chiedere con ricorso che sia designato il magistrato per l'adozione, previa convocazione delle parti, dei provvedimenti di cui agli articoli 648 e 649 c.p.c. Si tratta, come è noto, delle istanze volte ad ottenere la dichiarazione di esecutività provvisoria del decreto ingiuntivo in pendenza di opposizione e, viceversa, la sospensione dell'esecuzione provvisoria del provvedimento monitorio.

Si è così utilmente introdotta la possibilità di adire incidentalmente l'organo giurisdizionale affinchè previa convocazione delle parti pronunci i detti provvedimenti .

Questa disposizione, se latamente interpretata, può rispondere alla dottrina [48] che ha posto in luce la lacuna della legge processuale societaria là dove non consente la pronuncia, in questa fase iniziale, di provvedimenti anticipatori, quali le ordinanze ex artt. 186 bis, ter e quater. In particolare si è denunciata l'assenza, nel nuovo processo societario, di una disposizione analoga all'art. 48 del progetto di legge delega [49] proposto dalla Commissione presieduta dal Prof. Vaccarella che consente la pronuncia degli stessi provvedimento anticipatori che possono essere pronunciati dal giudice del procedimento sommario ' che nel processo societario è previsto all'art. 19 del decreto ' anche dal giudice dell'ordinario processo di cognizione durante il processo medesimo sul modello di quanto previsto per il référé francese in cui il giudice della controversia può pronunciare tutti i provvedimenti che possono essere pronunciati dal giudice del référé. Questi provvedimenti, ed è qui che sta il punto centrale della riforma: possono trasformarsi in una vera e propria decisione sulla causa qualora le parti non siano interessate alla prosecuzione del processo.

In questo modo la parte che voglia ottenere un provvedimento anticipatorio può senza dover chiedere la fissazione dell'udienza, che avverrebbe a discapito dell'eventuale attività di allegazione di fatti o prove che essa debba ancora svolgere, depositare un ricorso a cui seguirà la fissazione di un'udienza, destinata a solo queste incombenze, da parte del giudice, che, nel contraddittorio delle parti, renderà i richiesti provvedimenti anticipatori [50].

Va, peraltro, richiamata un'opinione dottrinale che ha ritenuto che sede più opportuna per la pronuncia delle ordinanze anticipatorie sia il decreto di fissazione dell'udienza [51].

 

6. La costituzione dell'attore

L'art. 3 regola le modalità di costituzione in giudizio dell'attore e che si modellano sul normale regime previsto dall'art. 165 c.p.c. per il processo ordinario di cognizione.

L'attore deve costituirsi nel termine di dieci giorni dalla notifica dell'atto di citazione a mezzo del proprio difensore [52] mediante il deposito in cancelleria della nota d'iscrizione a ruolo [53] e il fascicolo contenente l'originale o la copia della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione.

La norma prevedeva che, nel caso di riduzione dei termini, la costituzione debba avvenire nel termine di cinque giorni. Occorre peraltro dare atto che questa previsione è stata espunta nel testo della disposizione risultante dalle modifiche introdotte dal D.lgs. 37/04 in conformità alla nuova generale previsione del possibile ridursi a metà di tutti i termini del processo societario disciplinata espressamente nell'art. 2, 3 comma [54].

Da salutare con favore è anche l'espressa previsione che la costituzione in giudizio possa avvenire con il semplice deposito della copia dell'originale dell'atto di citazione in attesa della restituzione della copia dell'atto notificato da parte dell'ufficiale giudiziario [55].

Mediante la costituzione in giudizio l'attore rende nota all'Autorità giudiziaria la pendenza del processo. Nell'ipotesi di contumacia dell'attore questa funzione è svolta dalla costituzione del convenuto. È questa l'ipotesi prevista dall'art. 13, co. 1, d. lgs. n. 5/03 richiamato dall'art. 3 del decreto là dove prevede che in questo caso la formazione del fascicolo ad opera del cancelliere avviene a seguito della costituzione del convenuto.

L'art. 3, co. 2, d lgs. 5/03 chiarisce che se la citazione è notificata a più persone la costituzione dell'attore deve avvenire entro dieci giorni dall'ultima notificazione. Il termine per la notifica all'attore della comparsa di risposta per tutti i convenuti inizia a decorrere dal momento della iscrizione a ruolo. Se da un lato, pertanto, il convenuto ha l'onere di informarsi presso la cancelleria se sia già avvenuta o meno la costituzione in giudizio dell'attore, dall'altro vi è indubbiamente un allungamento dei termini a difesa quantomeno per coloro ai quali l'atto sia stato notificato per primi. Si è così finalmente superato il contrasto di opinioni che si registra in dottrina e in giurisprudenza con riguardo al dies a quo del termine per la costituzione dell'attore [56] nel processo con pluralità di parti.

Relativamente allo sviluppo di questa fase iniziale del processo societario, non vi è un esplicito regime delle possibili decadenze in cui incorre può incorrere l'attore con la notifica dell'atto di citazione.

In dottrina si sono così profilate alcune interpretazioni difformi. Secondo una prima lettura, l'attore del processo societario non è onerato dallo svolgere le proprie attività difensive in modo completo fin dall'atto introduttivo del giudizio in quanto, in assenza di ogni espressa previsione di decadenza, il generale principio posto dall'art. 152, 2 comma, c.p.c. della tassatività dei termini perentori, induce ad escludere la possibilità di imporre una sanzione in assenza di un'espressa previsione di legge [57]. Questa impostazione contrasta però con il fatto la configurabilità di specifici momenti preclusivi legati alla progressione degli atti difensivi è affermata espressamente dalla Relazione accompagnatoria al decreto del processo societario ed anche presupposta dalla disposizione di chiusura di cui all'art. 13, ultimo comma, che disciplina i poteri di remissione in termini delle parti, propri del giudice relatore, rispetto ai quali è espressamente disposto che "rimane ferma l'inammissibilità" delle attività difensive relative a nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio, a nuove allegazioni, a nuove richieste istruttorie, al deposito di nuovi documenti, svolte dall'attore dopo la memoria di replica e dal convenuto dopo la seconda memoria difensiva, cosicché sarebbe ricostruibile un onere delle parti di svolgere le varie attività difensive, a pena di decadenza, entro il termine per la notificazione all'avversario dell'atto difensivo "tipico" indicato dalla legge come deputato a contenere appunto tali attività oppure in un ulteriore atto difensivo "atipico" da dimettersi in cancelleria e da notificarsi alle altre parti. Con l'avvertenza che, laddove l'istanza di fissazione d'udienza sia notificata da una parte interrompendo la progressione tipica degli atti difensivi, per l'altra parte l'effetto decadenziale generale di cui all'art. 10, 2 comma, viene ad avere una valenza di fatto retroattiva [58].

A dirimere il contrasto è oggi intervenuto il d.lgs. 37/04 che ha espressamente previsto una serie di decadenze sia per le attività dell'attore, sia per quelle svolte dal convenuto e che saranno oggetto di analitico esame nelle pagine che seguono. Relativamente al primo atto dell'attore nulla si è previsto gli artt. 2 e 3 sono rimasti, per tali parti immutati. É, pertanto, solo il rischio della notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza e il conseguente generale effetto decadenziale ex art. 10, 2 comma, del decreto in esame, che può indurre l'attore ad esporre, fin da subito, in modo compiuto le proprie ragioni e ad accompagnarle da produzioni documentali già compiute, proprio per evitare il rischio di soccombere nel giudizio di merito [59], magari anche solo per inadempimento del proprio onere probatorio.

Quanto, infine, al rilievo delle decadenze, va subito detto che la Relazione accompagnatoria al decreto già segnalava che l'inammissibilità di attività difensive successive ai vari momenti preclusivi "è dichiarabile solo su eccezione della parte interessata potendo questa avere interesse concreto ad una pronuncia di merito piuttosto che di rito (interesse che risulterebbe frustrato dal rilievo officioso)". Il principio è stato esattamente trasfuso negli artt. 10, 2 co., e 13., co. 4, quest'ultimo oggi rivisitato con un importante intervento correttivo, per cui il rilievo dell'inosservanza del termine può avvenire solo ad opera della parte che vi abbia interesse ed unicamente nella prima istanza o difesa successiva all'attività dell'avversario non rispettosa del termine già compiuto, con integrale operatività dei principi e della conseguente sanatoria, che consegue alla mancata subitanea formulazione dell'eccezione di decadenza, scanditi dall'art. 157 c.p.c.

 

7. La comparsa di risposta.

La comparsa di risposta è il primo atto difensivo del convenuto che, a differenza di quel che accade nel processo ordinario di cognizione ai sensi dell'art. 166 c.p.c., non è depositata presso la cancelleria del giudice contestualmente alla costituzione in giudizio del citato in causa, ma è direttamente e in primo luogo notificata all'attore. C'è quindi una discrasia temporale tra il momento in cui l'attore ha la possibilità di conoscere le difese del convenuto e il momento in cui quest'ultimo si presenta al giudice, giustificata proprio dalla struttura di questa fase iniziale che esclude la presenza del giudice.

L'art. 4, co. 1, d. lgs. n. 5/03 indica analiticamente il contenuto della comparsa di risposta disponendo che il convenuto deve proporre nella comparsa di risposta tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti a fondamento della domanda ed indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, nonchè i documenti che offre in comunicazione, deve proporre le domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, dichiarare di voler chiamare in causa i terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni, formulare le conclusioni.

La sussistenza di vere e proprie attività da compiersi, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta è, oggi, espressamente indicata per effetto delle modifiche introdotte all'art. 4, co. 1, dal d. lgs. 37/04, che le domande riconvenzionali e la chiamata in causa del terzo sono precluse se non compiute nel termine entro cui il primo atto difensivo del convenuto è notificato all'attore. 

Il legislatore più recente interviene sul dibattuto profilo della configurabilità di specifici momenti preclusivi legati alla progressione degli atti difensivi e che era già stata affermata espressamente dalla Relazione accompagnatoria al decreto del processo societario ed anche presupposta dalla disposizione di chiusura di cui all'art. 13, ultimo comma, che individua precisi termini decadenziali, non sanabili neppure per effetto della pronuncia di una rimessione in termini.

La versione novellata della norma in esame clarifica in modo netto quali sono le attività difensive del convenuto da ritenersi precluse nel termine per la sua tempestiva costituzione e quali altre attività difensive rimangono ammissibili anvhe oltre tale termine.

Rimane, allora, definitivamente superata la lettura che individuava l'onere delle parti di svolgere le varie attività difensive, a pena di decadenza, entro il termine per la notificazione all'avversario dell'atto difensivo "tipico" indicato dalla legge come deputato a contenere appunto tali attività oppure in un ulteriore atto difensivo "atipico" da dimettersi in cancelleria e da notificarsi alle altre parti [60].

Con la comparsa di costituzione e risposta che il convenuto notifica e poi deposita in prima fase preparatoria del processo apud iudicem non matura la preclusione del potere di formulare conclusioni poichè, anche dopo la recente modifica normativa, alla previsione di questa attività processuale non è accostato alcun effetto immediatamente decadenziale. La conclusione nuova ammissibile anche oltre il termine di costituzione tempestiva del convenuto ex art. 5 d. lgs. 5/03 coincide sia con il rilievo delle eccezioni, sia con la formulazione di ogni difesa che resti nell'ambito del thema decidendum fissato dalla domanda introduttiva dell'attore: si pensi, in particolare, al perdurare dell'ammissibilità delle eccezioni riconvenzionali [61].

Il convenuto non è, pertanto, obbligato a porre in essere tutte le attività scandite analiticamente dalla norma in commento necessariamente nella comparsa di risposta. Lo svolgimento delle ulteriori difese già in limine litis è invece rimesso alla esclusiva disponibilità e scelta di tattica processuale delle parti consapevoli che una difesa incompleta sconta sempre il rischio dell'istanza di fissazione dell'udienza proposta dalla parte avversaria.

Si tratta, ancora una volta, di una scelta di strategia processuale rimessa al difensore del convenuto per il quale, fin dal primo momento in cui si accinge a confezionare la comparsa di costituzione e risposta, si profila una duplice alternativa. Una prima scelta potrà essere nella direzione del compimento esaustivo delle suindicate attività nella comparsa di risposta, enunciando in modo circostanziato e pressoché definitivo anche le conclusioni che intende assumere nei confronti dell'attore, in modo da tutelarsi il più possibile per l'eventualità in cui l'attore depositi l'istanza di fissazione dell'udienza. L'altra via, che il difensore del convenuto può seguire, è il dilazionare nello svolgimento del processo, ossia nelle repliche successive, la proposizione delle attività non soggette a termini decadenziali iniziali o sino a che questi non si siano altrimenti avverati, seppur accettando il rischio del deposito della istanza di fissazione dell'udienza da parte dell'attore e il conseguente prodursi del generale effetto decadenziale.

A tale ultimo momento si accompagna anche il definitivo formarsi della non contestazione del convenuto [62] sui fatti di causa che non sono stati oggetto di alcuna sua attività difensiva volta a dimostrarne la non veridicità o l'irrilevanza ai fini del decidere.

Qualunque sia la scelta di difesa del convenuto la comparsa di risposta dovrà comunque avere un contenuto "minimo" e quindi le difese, vale a dire gli argomenti invocati dal convenuto per ottenere il rigetto della domanda dell'attore e le conclusioni, ossia la richiesta giudiziale che si intende formulare al giudice e che, in ragione della posizione passiva del convenuto nel rapporto processuale, dovrà consistere, quantomeno, nella richiesta del rigetto della domanda formulata dall'attore.

Il carattere necessario dell'elemento delle conclusioni, ferma la loro variabilità anche pendente judicio, è confermato dalla circostanza che l'attore anche fin da subito, ossia non appena ha ricevuto la comunicazione del termine che il convenuto gli ha assegnato per la replica, può scegliere la via dell'istanza di fissazione dell'udienza, in luogo dell'ulteriore replica, con il conseguente prodursi del generale effetto decadenziale. E, in caso di assenza di conclusioni, il convenuto si troverebbe esposto ad un pressoché certo accoglimento della domanda dell'attore. L'indicazione delle difese è coerente con la disposizione contenuta all'art. 5, co. 2, che ' come vedremo tra poco ' permette di modulare lo svolgimento del processo secondo un rito "semplificato".

Per le attività poste espressamente a pena di decadenza occorre comunque ribadire che si tratta di decadenze rilevabili solo su eccezione della parte interessata secondo la previsione dell'art. 10, co. 2, e dell'art. 13, co. 4, da farsi valere nel primo atto o difesa successivi al compimento dell'attività avversaria inammissibile in quanto tardiva.

Per quel che riguarda la domanda riconvenzionale la norma in esame richiede che sia dipendente dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. L'identità, anche letterale, di questa parte della disposizione in commento con la previsione dell'art. 36 c.p.c., consente di ritenere applicabili nel nuovo processo societario i risultati interpretativi che si sono consolidati con riguardo al giudizio ordinario di cognizione.

Si profila, pertanto, il dubbio se, come argomentato con riguardo all'art. 36 c.p.c., è possibile la proposizione di domande riconvenzionali anche non connesse per titolo od eccezione alla domanda attrice, purché rientranti nei limiti della competenza per materia o valore del giudice adito; per cui il presupposto del sussistere della connessione con il titolo già dedotto in giudizio dall'attore o di quello che, comunque, appartiene alla causa in via di eccezione sarebbe necessario a pena di ammissibilità della domanda riconvenzionale solo quando quest'ultima eccede la competenza per valore ovvero oltrepassa la competenza per materia del giudice adito [63].

Quanto alla chiamata in causa del terzo si dispone che il convenuto debba notificare nei confronti di quest'ultimo, l'atto di citazione ai sensi dell'art. 2. Relativamente alle ragioni che legittimano la chiamata in causa del terzo, la disposizione in commento mutua direttamente la previsione contenuta nell'art. 106 c.p.c. e prevede che il convenuto possa "dichiarare di voler chiamare in causa terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni". Nuova rispetto alla legge processuale della cognizione ordinaria è la necessità che l'atto di chiamata in causa del terzo contenga anche l'espressa indicazione delle ragioni su cui il convenuto chiamante intende fondare l'ingresso in causa del terzo.

Seppure il risultato sia già stato raggiunto, anche per il processo ordinario di cognizione,  in via interpretativa, sul rilievo che la chiamata del terzo è, in sostanza, la proposizione di una domanda giudiziale nei confronti di quest'ultimo e deve contenerne tutti gli elementi necessari, tra cui anche l'espressa indicazione della causa petendi, la cui mancanza non può che viziare di nullità la domanda rivolta al terzo [64], l'avvenuta precisazione anche nella legislazione positiva non può che essere giudicata con favore se solo si pensa alla prassi, sempre più invalsa, di confezionare gli atti di chiamata del terzo attraverso la mera trascrizione della citazione introduttiva e della comparsa di risposta, poi seguita dalla vocatio in ius del terzo e dalla formulazione di scarnificate conclusioni.

Anche al convenuto del processo societario è attribuito il potere di scegliere se avvalersi o meno dei nuovi mezzi del fax o della posta elettronica per ricevere le comunicazioni e le notificazioni dei successivi atti del giudizio e sul punto valgono le considerazioni che abbiamo già svolto [65].

Nella comparsa di risposta, il convenuto che non intende notificare l'istanza di fissazione dell'udienza, è tenuto ad assegnare all'attore un termine per eventuale replica non inferiore a trenta giorni; il dies a quo coincide con il giorno in cui la comparsa di costituzione del convenuto è notificata all'attore.

La norma che si commenta disciplina anche il caso in cui il convenuto non abbia provveduto all'assegnazione del termine all'attore e la correlata fattispecie in cui il termine assegnato abbia durata inferiore a quella minima fissata dalla legge: varrà, per entrambe le ipotesi, la regola residuale che il termine a disposizione dell'attore per l'eventuale replica è, comunque, di trenta giorni.

La parte finale del 2 comma della norma in commento detta il termine da assegnarsi all'attore per la replica nell'ipotesi di litisconsorzio passivo stabilendo che a fronte di una pluralità di convenuti, il termine fissato all'attore per la replica non può eccedere i sessanta giorni. La ratio di questa diversa disciplina è, senza dubbio, da ricercarsi nella circostanza che se ogni convenuto fosse libero di fissare all'attore un termine senza un "tetto" massimo, che valga a contenere le eventuali divergenze tra i vari termini assegnati da ciascun soggetto passivo del rapporto processuale, avrebbe certamente luogo una "sfasatura" dei tempi processuali per la proposizione delle eventuali repliche e controrepliche ovvero per la richiesta di fissazione dell'udienza con riferimento a ciascun originario convenuto. L'attore rischierebbe, cioè, di trovarsi a dover rispettare tempi processuali diversi nei confronti di ciascun convenuto originario e, di conseguenza, anche questi ultimi nei confronti del medesimo attore. Con ulteriori e gravi difficoltà che si verificherebbero con riferimento al meccanismo delle preclusioni che maturano al momento della notificazione della richiesta di fissazione dell'udienza. E l'impasse si accentuerebbe in grado ancora maggiore nei casi di litisconsorzio necessario.

La norma in commento precisa ancora che l'inosservanza di tale termine può essere eccepita dagli altri convenuti. Questa disciplina si applica unicamente nei casi in cui la pluralità di parti è originaria. Qualora invece il giudizio diventi litisconsortile per effetto della chiamata di un terzo, il rapporto processuale tra attore e convenuto continua ad essere soggetto alla regola originaria secondo cui il termine assegnato all'attore per replica non può avere durata inferiore a trenta giorni.

Il secondo comma della norma in commento fa espressamente salva la possibilità che il convenuto, in netta alternativa all'assegnazione all'attore del termine per la replica, proceda alla notifica dell'istanza di fissazione di udienza richiamando la disciplina scandita dall'art. 8, 2 comma, lett. c), per cui la notifica dell'istanza può avvenire attraverso un autonomo atto che deve giungere a conoscenza dell'attore nel termine di quindici giorni dalla costituzione del convenuto [66]. Nulla, peraltro, esclude che il convenuto formuli l'istanza di fissazione d'udienza direttamente nella comparsa di costituzione e risposta [67]. Qualora il convenuto, nella comparsa di risposta, non si limiti alle mere difese, ma amplii anche l'oggetto del giudizio non può chiedere l'immediata fissazione dell'udienza, come parrebbe invece consentito dall'art. 4, co. 2, e deve permettere all'attore di prendere posizione sui fatti così introdotti in giudizio, garantendo il pieno esercizio del diritto di difesa [68].

Lo stesso discorso vale per l'ipotesi in cui il convenuto abbia chiamato in giudizio un terzo il quale si sia costituito ' secondo le stesse modalità già viste per il convenuto ' notificando al chiamante una comparsa di risposta in cui prende posizione sui fatti allegati da quest'ultimo.

Pertanto l'operare del principio secondo il quale sin dall'avvio del processo societario per ogni atto che le parti dimettono in causa è possibile l'immediato verificarsi del generale effetto decadenziale correlato alla notificazione ad opera dell'avversario dell'istanza di fissazione di udienza incontra il limite del rispetto del principio del contraddittorio [69].

 

8. La costituzione del convenuto.

Il legislatore ha previsto due termini differenti entro cui la costituzione del convenuto è tempestiva a seconda che il giudizio si svolga o meno tra una pluralità di parti.

Nella prima ipotesi ai sensi del primo comma dell'art. 5 d. lgs. n. 5/03 la costituzione del convenuto deve avvenire nei dieci giorni successivi alla notifica della comparsa di costituzione e risposta che, lo ricordiamo, è tempestiva se compiuta nel rispetto del termine assegnato dall'attore, nella citazione introduttiva, per tale incombenza. La versione attuale della norma è il frutto dell'intervento attuato con il d. lgs. 37/04, che ha sostituito il precedente riferimento alla sola scadenza del termine assegnato dall'attore in citazione.

Si conferma, pertanto, come corretta l'interpretazione secondo cui per la salvezza dei termini relativi al compimento degli atti di parte nel nuovo processo societario è sufficiente l'espletamento dell'attività di notifica all'avversario, mentre il deposito viene ad assumere il ruolo di incombenza si necessaria, ma che bene può essere perfezionato anche in un tempo successivo.  

Se nell'instaurato giudizio vi è un litisconsorzio passivo, la costituzione del convenuto, per essere tempestiva, deve perfezionarsi nel rispetto dei dieci giorni successivi al compimento del termine prolungato al sessantesimo giorno successivo all'iscrizione a ruolo della causa di cui all'art. 3, 2 comma. In tal modo è attribuita prevalenza al trattamento uniforme dei vari litisconsorti passivi, seppure con il sacrificio del riconoscere loro un termine di comparizione di identica durata in quanto il tempo a disposizione sarà ovviamente maggiore per i litisconsorti che hanno ricevuto per primi la notifica dell'atto di citazione. Anche se, in pratica, tali differenze possono assumere una misura apprezzabile unicamente nei casi in cui alcuni convenuti risiedono in Italia ed altri all'estero e per i quali ultimi il perfezionamento della notifica richiede tempi maggiori.

Quanto alle modalità di costituzione del convenuto è previsto che essa avvenga mediante il deposito del proprio fascicolo in cancelleria, nel quale devono essere inseriti, oltre alla procura e ai documenti che il convenuto offre in comunicazione, anche la copia dell'atto di citazione e la copia della comparsa di risposta notificata all'attore. Anche in questo caso,  ' come già sottolineato con riferimento all'atto di citazione ' va giudicata con favore la possibilità di inserire la sola copia notificata della comparsa e che, secondo un'interpretazione adeguatrice della norma in commento, potrà anche essere sostituita dall'inserimento nel fascicolo di parte dell'originale della comparsa di costituzione e risposta notificato e già restituito alla parte dall'ufficio notifiche.

Il secondo comma dell'art. 5 prevede con una disposizione senza dubbio innovativa che al convenuto, che non intende svolgere né domande riconvenzionali, né istanze di chiamata di terzi e neppure effettuare alcuna produzione documentale, è riconosciuta la possibilità di compiere in un tempo successivo la propria costituzione, ovvero nel rispetto del termine dei dieci giorni successivi alla notificazione dell'istanza di fissazione dell'udienza cui abbia provveduto l'altra parte, sempre che la comparsa di costituzione e risposta sia stata notificata tempestivamente dallo stesso convenuto.

Si tratta delle fattispecie in cui il convenuto limita le proprie difese alla formulazione della domanda di mero rigetto dell'istanza che l'attore ha azionato nei suoi confronti.

Sotto il profilo della costituzione tardiva del convenuto, la disposizione in esame rivela effettive analogie con l'art. 171 c.p.c. [70] che, come è noto, pure si riferisce alla costituzione del convenuto che avviene a preclusioni già maturate, seppure con alcune importanti differenze. La ritardata costituzione del convenuto del processo ordinario, che entra in causa alla prima udienza ex art. 180 c.p.c., ha il solo effetto di impedirgli di proporre domande riconvenzionali e di chiamare in causa i terzi, ma non anche di svolgere ogni altra attività difensiva.

Alla tardiva costituzione del convenuto del processo societario è, al contrario, preclusa ogni attività difensiva in quanto egli compare in causa quando il thema decidendum è già fissato e prenderà direttamente parte all'udienza di discussione della causa ex art. 16, potendosi solo avvalere delle difese contenute nella propria comparsa di risposta e che, come presupposto necessario per poter beneficiare della ritardata costituzione, deve avere il solo contenuto assai scarnificato di cui si è detto.

Qualche perplessità rimane per il riferimento all'assenza di ogni produzione documentale e che vale a restringere ulteriormente l'effettivo campo di applicazione, di questa parte della norma che si esamina, alle sole cause in cui sono controverse esclusivamente questioni di mero diritto poiché, al di fuori di tali casi, appare difficile ipotizzare che il soggetto passivo del processo non abbia alcunché da dimettere in causa e di cui intende avvalersi al fine di corroborare la propria linea difensiva.

 

9. La memoria di replica dell'attore.

L'art. 6 si rivolge alla fattispecie in cui l'attore, una volta ricevuta la comparsa di costituzione e risposta del convenuto, ritiene necessario compie nuove repliche e difese, in luogo del presentare l'istanza di fissazione d'udienza [71].

L'ulteriore attività processuale è fatta confluire in un autonomo atto processuale tipico del ridisegnato processo societario, denominato memoria di replica e che costituisce il secondo momento difensivo per l'attore, subito dopo la citazione introduttiva.

Entro il termine assegnato dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta ' termine che non può comunque essere inferiore a trenta giorni, tranne nell'ipotesi in cui i tempi del processo siano ridotti a metà [72] ' l'attore che non voglia ancora chiedere la fissazione dell'udienza di trattazione davanti al giudice ai sensi dell'art. 10 può notificare al convenuto una memoria di replica. La disposizione prevede che l'atto in esame deve essere, entro lo stesso termine, depositato in cancelleria, sia in originale nel proprio fascicolo di parte, sia in copia nel fascicolo d'ufficio, nel frattempo formato a cura del cancelliere. Per la salvezza del termine sembra peraltro sufficiente il compimento dell'attività di notifica, mentre il successivo deposito potrà avvenire una volta che l'attore ritorni in possesso dell'originale notificato, in quanto il sistema disegnato dal nuovo legislatore non sembra lasciare dubbi sul fatto che sono gli originali degli atti scambiati dalle parti che costituiscono l'oggetto dell'onere del successivo deposito, posto a carico della parte che richiede la notifica di un ulteriore scritto difensivo [73].

Contestualmente al deposito della memoria di replica è consentita la dimessione di documenti nuovi che l'attore ritenga di voler ancora produrre. La produzione documentale ammessa non è soggetta ad alcuna restrizione e, pertanto, l'attore ha il potere di corroborare la propria posizione difensiva con l'ausilio di ogni ulteriore allegazione di documenti che, fino a questo momento, non ha ancora prodotto in causa. In questa direzione si comprende, pertanto, la ragione per cui il legislatore si sia avvalso del termine "nuovi" al fine di delineare le produzioni documentali ammissibili: sono, cioè, i documenti ulteriori rispetto a quelli allegati alla citazione introduttiva e prodotti al momento della costituzione dell'attore. E si può, ovviamente, trattare di documenti che la difesa dell'attore aveva già in proprio possesso e, in base a ragioni di valutazioni di strategia processuale, si è riservata di produrre nello svolgimento del processo, una volta conosciute le difese del convenuto; anche se questa tattica processuale, è bene ribadirlo, sconta il rischio che la produzione non sia più ammissibile nel processo in quanto il convenuto ha il potere di richiedere, fin dalla comparsa di costituzione e risposta, la fissazione dell'udienza, con il conseguente prodursi del generale effetto decadenziale ex art. 10, co. 2.    

La norma in commento scandisce in modo analitico le attività processuali che l'attore può compiere nella memoria di replica, alcune delle quali sono espressamente previsti, per effetto delle modifiche attuate dal d. lgs.  37/04, termini decadenziali.

Più in particolare la decadenza è comminata per la proposizione delle nuove domande e delle nuove eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle difese proposte dal convenuto (art. 6, co. 2, lett. b), nonchè per la dichiarazione di chiamata in causa del terzo a fronte dell'esigenza emersa dalle difese del convenuto (art. 6, co. 2, lett.c).

Il rivisitato tenore della norma rende, pertanto, superato ogni dubbio sull'individuazione delle decadenza che si accompagnano alla memoria di replica dell'attore, con l'importante conseguenza chr tutte le attività per le quali non è prevista tale sanzione possono essere svolte anche in un momento successivo, salvo sempre il limite rappresentato dalla notifica istanza di fissazione dell'udienza.

Sembrerebbero, pertanto, possibili nel corso del successivo svolgimento del giudizio le attività di definizione del thema decidendum e di formulazione di nuove istanze istruttorie, in uno con l'allegazione in causa di ulteriori emergenze documentali, giusta la previsione dell'art. 6, co. 2, lett. a) e d). 

Questa conclusione va, tuttavia, coordinata con l'altra norma cardine del regime delle decadenze nel nuovo rito commerciale contenuta nell'art. 13, co. 5, d. lgs. 5/03 giusta il quale rimane ferma, sempre a fronte del rilievo di parte, la decadenza delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, delle allegazioni e delle istanze istruttorie proposte, nonchè dei documenti depositati dall'attore dopo la memoria successiva alla proposizione della domanda riconvenzionale.

Se si considera che, alla luce della normativa rivisitata, la domanda riconvenzionale del convenuto deve sempre essere proposta con la comparsa di costituzione e risposta, appare evidente come, in caso di riconvenzionale tempestiva, la memoria di replica dell'attore è sempre l'atto che succede alla domanda del convenuto, con il conseguente verificarsi pure della decadenza dal produrre ulteriori documenti che, invece, l'art. 6 non sanziona in tal modo.

Le preclusioni rimarranno, al contrario, limitate alle sole espressamente previste dall'art. 6 per il caso in cui il convenuto non abbia proposto alcuna domanda riconvenzionale.

Quanto al contenuto della memoria di replica, va detto che si tratta di un atto processuale di parte di contenuto complesso che si sostanzia in una prima serie di attività volta ad integrare il thema decidendum, una seconda serie conseguenza diretta dell'attività difensiva del convenuto, infine, facoltativamente è sempre fatta salva la facoltà per l'attore di proporre istanza di fissazione dell'udienza [74].

All'attore, pertanto, è, in primo luogo, riconosciuto il potere di precisare o modificare le domande e le conclusioni già proposte. La formula di legge ricalca in modo pressochè identico il disposto dell'art. 183, 4 co., ultima parte c.p.c., con la conseguenza che sono interamente applicabili, anche nel nuovo giudizio commerciale, i risultati raggiunti dall'ampia elaborazione, che si è andata formando, nel distinguere le fattispecie di emendatio della domanda, senza, peraltro, soggiacere ad alcun limite temporale anteriore all'atto che precede la notifica dell'istanza di fissazione d'udienza da paete dell'avversario poichè è proprio a quest'ultimo atto che l'art. 9, co. 1, accompagna il maturare della preclusione al potere di modifica delle domande.

L'attore può, questa volta a pena di decadenza, avvalersi del potere di proporre nuove domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese proposte dal convenuto.

Anche in tale parte, la norma in commento ricalca il modello generale tracciato nell'art. 183, co. 4, c.p.c.

Per effetto dell'attività difensiva del convenuto e in sua diretta conseguenzialità, l'attore potrà, in primo luogo, introdurre ulteriori domande in causa, in aggiunta a quella azionata con la citazione introduttiva.

L'istanza dell'attore non è condizionata all'accettazione del contraddittorio da parte del convenuto, ma discende direttamente dal principio più generale, sotteso al nostro processo civile, che vuole, in ogni fase del processo, pienamente assicurato l'effettivo esercizio del diritto di difesa della parte.  

Tra le domande nuove dell'attore che risultano ammesse per effetto di questa parte della disposizione vi è, senza dubbio, la c.d. riconventio riconventionis, ossia la domanda riconvenzionale che l'attore propone nei confronti del convenuto al fine di replicare alla domanda riconvenzionale fatta valere da quest'ultimo.

La previsione allinea il rito commerciale ai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità che ha affermato che l'attore che ha assunto la veste di convenuto in conseguenza di domanda riconvenzionale, può a sua volta avanzare domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto, purché tempestivamente nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di risposta del convenuto [75].

L'espressa previsione della decadenza chiarisce definitivamente qual è il limite per l'attività di allegazione da parte dell'attore di fatti nuovi. Occorre peraltro ancora una volta ribadire che la verificazione di una decadenza non è rilevabile d'ufficio ma ai sensi dell'art. 10, co. 2, e dell'art. 13, co. 4, è rimessa alla esclusiva volontà della parte che vi abbia interesse e deve essere fatta valere nel ristretto ambito temporale della prima istanza o difesa successiva all'atto avversario illegittimo in quanto tardivo.

Qualora l'esigenza sorga dalle difese del convenuto, l'attore può dichiarare che intende chiamare un terzo ai sensi dell'art. 106 c.p.c.: e, si è anticipato, è questo l'ultimo momento utile per l'attore per svolgere tale attività. In tal caso, il terzo comma della norma in commento dispone che l'attore deve anche provvedere a notificare al terzo l'atto di citazione secondo le modalità scandite dall'art. 2.

L'effettivo scaturire della necessità della chiamata del terzo dalla dialettica processuale ne segna i limiti di ammissibilità, al pari di quanto è per il processo ordinario di cognizione secondo la pressochè identica previsione contenuta nell'art. 183, 4 comma, c.p.c. É, dunque, applicabile, anche nel ridisegnato scenario processuale, la giurisprudenza che ha chiarito come la necessità della chiamata deve derivare in via di stretta conseguenzialità dalle difese svolte dal convenuto [76].

Quanto alle ragioni che legittimano la chiamata in causa del terzo, la disposizione in commento richiama espressamente la previsione contenuta nell'art. 106 c.p.c., per cui l'attore può chiamare in causa i terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito. Il coincidere delle due disposizioni rende ammissibili anche nel processo societario e per la chiamata dell'attore, tutte le tipologie di chiamata in causa del terzo delineate dalla giurisprudenza e dalla dottrina con riferimento all'ordinario processo di cognizione.

A differenza dell'art. 4, 1 co., la norma in commento non contiene l'espressa menzione dell'onere per l'attore chiamante di precisare le ragioni su cui si fonda l'ingresso in causa del terzo.

La necessità di indicazione espressa delle ragioni della chiamata può, peraltro, ritenersi operante pure per l'attore chiamante del processo societario sulla base del risultato raggiunto, anche per il processo ordinario di cognizione, in via interpretativa sul rilievo che la chiamata del terzo è, in sostanza, la proposizione di una domanda giudiziale nei confronti di quest'ultimo e deve contenerne tutti gli elementi necessari, tra cui anche l'espressa indicazione della causa petendi, la cui mancanza non può che viziare di nullità la domanda rivolta al terzo [77].

Sicché va esclusa anche per la chiamata del terzo da parte dell'attore, di cui alla norma in commento, la possibilità di fare leva sulla prassi, sempre più invalsa, di confezionare gli atti di chiamata del terzo attraverso la mera trascrizione della citazione introduttiva e della comparsa di risposta, poi seguita dalla vocatio in ius del terzo e dalla formulazione di scarnificate conclusioni. Gli atti di chiamata in tal modo formati non potranno che essere ritenuti invalidi per nullità del titolo dedotto in giudizio.

Ragioni di effettiva opportunità inducono a ritenere che, nell'atto di chiamata, l'attore dovrà scegliere la medesima modalità di comunicazione e notificazione degli atti già preferita nell'atto introduttivo del giudizio o, nel frattempo, indicata, mentre gli è precluso il potere di scegliere se avvalersi o meno dei nuovi mezzi del fax o della posta elettronica in modo difforme da quanto ha fatto nei precedenti atti del giudizio.

Nella memoria di replica, l'attore può svolgere ulteriori attività istruttorie, dimettendo nuovi documenti in cancelleria, ovvero formulando nuove richieste di ammissione ed assunzione di prove costituende.

Si tratta di un potere istruttorio amplissimo, non soggetto ad alcun limite proveniente nè dalla precedente attività processuale dell'attore, nè dalle difese articolate dal convenuto fino a questo stadio del processo.

Sono, pertanto, ammissibili nel nuovo rito societario tutti i mezzi di prova tipici ed atipici che hanno ingresso nel giudizio ordinario.

Infine, il terzo comma dell'art. 6, pone in capo all'attore l'incombente di fissare al convenuto un termine per replicare all'atto difensivo che sta confezionando, specificandone la durata minima. Il termine deve, infatti, consistere in almeno venti giorni ovvero in trenta, se l'attore ha proposto nuove domande: il prolungamento del termine è assicurato a beneficio del convenuto a fronte della proposizione di domande nuove, che, come si è visto, l'attore è libero di formulare se conseguenti all'attività svolta nella comparsa di risposta.

 

10. La seconda memoria difensiva del convenuto.

Il convenuto, oltre la comparsa di risposta, ai sensi del primo comma dell'art. 7, può notificare, nel termine di venti o di trenta giorni dalla ricezione della memoria di replica, a seconda che con questo atto siano o meno state proposte nuove domande, la seconda memoria difensiva.

Il contenuto di questo ulteriore atto difensivo del convenuto è piuttosto semplice in quanto, oltre alle argomentazioni difensive, potrà contenere, anzitutto, l'indicazione dei nuovi documenti che il convenuto intende dimettere in causa, nonchè delle ulteriori istanze di ammissione di prove costituende.

Quanto alle istanze istruttorie, non vi è dubbio che il convenuto non soggiace ad alcun limite nè derivante da pregressi atti del giudizio, nè imposto dall'articolarsi della dialettica processuale. Oltre alle istanze a prova contraria e in riprova, devono, pertanto, ritenersi formulabili tutte le richieste comunque volte a corroborare la posizione difensiva del convenuto.

Per effetto della rivisitazione attuata dal d. lgs. 37/04, al primo comma dell'art. 6 è stata aggiunta l'esplicita previsione che la seconda memoria difensiva deve contenere, questa volta, a pena di decadenza, le eccezioni non rilevabili d'ufficio che siano conseguenza delle nuove domande ed eccezioni proposte dall'attore a norma del secondo comma".

Altro elemento necessario della memoria difensiva è la fissazione di un termine all'attore per l'ulteriore replica. Il termine, da porsi a disposizione dell'attore, non può essere inferiore a venti giorni e decorre dal giorno in cui la seconda memoria difensiva è notificata all'attore. Seppure nel silenzio della norma, vi è spazio per ritenere che il termine inferiore assegnato dal convenuto è, comunque, prorogato fino alla durata minima fissata dalla legge e che, in ipotesi di omissione dell'assegnazione del termine, l'attore continua a beneficiare dei medesimi sedici giorni per la propria replica.

Sulla durata di questo termine, che nella versione originaria della norma aveva durata di sedici giorni, è  intervenuto il d.lgs. 37/04, che ha anche operato un allungamento dei termini previsti per questa fase eventuale di repliche ulteriori equiparando la durata di tutti i termini previsti dall'art. 7, di estensione temporale differente, ai venti giorni.

In assenza di diversa indicazione del convenuto, l'attore dispone comunque di venti giorni per la replica ulteriore. Opera anche per questo termine, la possibilità di una sua dimidiazione a fronte della scelta di ridurre a metà tutti i termini della fase preparatoria del nuovo processo societario.

Va -poi- detto che il compimento del termine per la notifica della seconda memoria difensiva, l'art. 13, 5 comma, correla una serie di preclusioni, che si giustappongono a quelle espressamente contemplate dalla versione attuale della norma. Con ulteriore conferma che nel nuovo processo societario le preclusioni non sono affatto tutte differite al momento della presentazione dell'istanza di fissazione d'udienza.

Ai sensi del combinato disposto della nuova formulazione dell'art. 7, co. 1, ultima parte, e dell'art. 13, 5 comma, secondo periodo sono inammissibili le eccezioni non rilevabili d'ufficio, le allegazioni e le istanze istruttorie proposte dal convenuto dopo la seconda memoria difensiva, al pari del deposito di documenti oltre tale momento che vanno ad aggiungersi alle decadenze in ordine alla possibilità di proporre domande riconvenzionali o di chiamare in causa il terzo.

Se ora si confronta il prodursi delle preclusioni per l'attore  e per il convenuto, si nota come, anche in ragione delle più recenti modifiche, le preclusioni maturano per l'attore con la notificazione della memoria di replica di cui all'art. 6 solo per alcune attività (nuove eccezioni e domande, chiamata in causa di un terzo), mentre per le ulteriori difese dell'attore la decadenza si appunta sul termine per la notifica della memoria di replica per il solo caso in cui il convenuto abbia proposto una domanda riconvenzionale. In difetto di riconvenzionali, le decadenze per l'attore rimangono solo quelle espressamente scandite dall'art. 6 d. lgs. 5/03 .

Per il convenuto è, invece, previsto un distinguo tra le domande riconvenzionali e la chiamata di terzi che devono essere svolte nella comparsa di risposta; le preclusioni delle ulteriori attività processuali ora esaminate maturano in ogni caso con il compiersi del termine per la notifica dellla seconda memoria difensiva [78].

Sicchè, a ben vedere, alla luce della ridisegnata disciplina processuale societaria sono proprio la memoria di replica dell'attore e la seconda memoria difensiva del convenuto che, una volta compiuto il termine per la loro notifica, hanno l'effetto di cristallizzare il thema decidendum ' in modo più saldo se il convenuto ha agito in riconvenzione '  e di rimettere la sua possibilità di estensione alla volontà delle parti in quanto, anche tutte le decadenza che si accompagnano a questi atti, sono rilevabili solo su istanza di parte, sicchè se vi è accordo tacito non vi è, in sostanza, alcuna ttività difensiva che possa essere impedita o dirsi definitivamente preclusa.

Alla luce de generale effetto decadenziale che si accompagna alle attività consentite nella seconda memoria del difensiva del convenuto, si potrebbe pensare ad introdurre un'espressa e generale previsione decadenziale all'interno del medesimo art. 7, in sostituzione della previsione di rinvio dell'attuale art. 13, co. 5.

 

11. Le ulteriori memorie di replica

L'attore, ai sensi della prima parte del secondo comma dell'art. 7, può notificare, nel termine di venti giorni dalla ricezione seconda memoria difensiva, un'ulteriore replica. Il termine è stato prolungato alla durata attuale dal d.lgs. 37/04.

La disciplina di questo atto va desunta, giusta l'espresso richiamo contenuto nell'art. 7, dalla previsione dell'art. 6, co. 2, e dalle attività difensive non precluse per cui l'attore potrà precisare o modificare le domande e le conclusioni già proposte; potrà ancora depositare nuovi documenti in cancelleria, ovvero formulare nuove richieste istruttorie; non potrà invece più proporre nuove domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese proposte dal convenuto in quanto il momento preclusivo secondo la proposta di modifica la memoria di replica; ugualmente gli è precluso dichiarare che intende chiamare un terzo ai sensi dell'articolo 106 c.p.c. Se, invece, il convenuto ha proposto una domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta operano anche le preclusioni ex art. 13, co. 5, con conferma del valore di norma cardine di questa disposizione

Il termine da assegnare al convenuto non può essere inferiore a venti giorni, sempre decorrenti dalla notifica dell'atto avversario, per effetto del prolungamento del febbraio 2004. E il medesimo termine opera anche nel caso in cui il convenuto abbia omesso di fissare il termine per la replica dell'attore.

Si è detto che se il convenuto ha proposto domanda riconvenzionale, nel tempo in cui l'attore provvede a formare e notificare l'atto di ulteriore replica, bene può accadere che siano già maturate le preclusioni scandite dall'art. 13, co. 5; e non è neppure escluso che la successiva memoria di controreplica contenga proprio il rilievo dell'eccezione di decadenza dalla proposizione di nuove eccezioni e di nuove istanze istruttorie. In tal caso, non va, peraltro, esclusa ogni utilità di  successivi scambi di memorie, che senza dubbio possono avere per oggetto l'articolazione di ulteriori difese. Rimangono anche rilevabili le eccezioni che possono essere formulate d'ufficio.

Se, poi, l'eccezione di decadenza non è tempestivamente proposta, le attività difensive comunque compiute restano valide ed ammissibili, sicchè, a maggior ragione, si giustifica la necessità di ulteriori memorie difensive.

Il convenuto, ai sensi dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 7, può  notificare, nel termine di venti giorni dalla ricezione dell'ulteriore replica dell'attore, un altro autonomo atto che la legge processuale societaria chiama memoria di controreplica.

Il contenuto di tale atto è ovviamente assai ristretto in ragione del suo collocarsi in una fase del processo in cui, per il convenuto, sono ormai maturate tutte le preclusioni: per cui egli non potrà più formulare le eccezioni non rilevabili d'ufficio, compiere ulteriori allegazioni, proporre istanze istruttorie e produrre nuovi documenti.

Non è elemento necessario di tale memoria l'assegnazione all'attore del termine per replica in quanto è la stessa norma in commento che attribuisce il potere di replica all'attore, sicchè il termine è automaticamente assegnato all'attore per effetto della notifica della memoria di controreplica del convenuto.

La memoria di controreplica apre l'ultimo stadio della fase di trattazione e il ritmo degli scambi diviene più incalzante. Comincia a profilarsi il cambiamento dello scenario processuale e i termini per la notifica all'avversario del proprio scritto difensivo non sono più delimitati nel minimo, ma ne è determinata la durata massima in soli venti giorni, secondo il recente allungamento di tutti gli stringati termini previsti dal testo di legge esistente.

L'attore, ai sensi del terzo comma dell'art. 7, può ancora notificare, nel termine di otto giorni ' anche qui dovrebbero diventare venti - dalla ricezione della memoria di controreplica, un'ulteriore memoria che sembra possibile nominare come terza memoria di replica dell'attore.

Se la domanda riconvenzionale non è stata proposta, non vi sono ulteriori preclusioni che maturano rispetto al subito precedente atto difensivo dell'attore. Se, al contrario, l'attore ha agito in riconvenzione, le attività difensive dell'attore sono, di fatto, tutte precluse, sicchè residuerà solo il suo potere di replicare alle più recenti allegazioni difensive del convenuto.

Il contenuto di tale memoria è condizionato dalle attività che sono ancora possibili per l'attore e dalla circostanza che siano o meno già maturate le preclusioni che l'art. 13, 5 comma, collega alla memoria dell'attore successiva alla proposizione di una domanda riconvenzionale da parte del convenuto.

Anche la terza memoria difensiva non deve necessariamente contenere l'assegnazione di un termine per replica per il convenuto in quanto è la stessa disposizione in commento che riconosce un siffatto potere delle parti, seppure da esercitarsi nel termine di venti giorni, che decorrono dalla notificazione dell'atto cui intendono replicare.

L'assottigliarsi dei termini per le repliche è la diretta conseguenza del progressivo restringersi delle attività difensive ammissibili e del veloce progredire del processo verso l'udienza di discussione.

Anche per la parte che riceve la notifica degli atti disciplinati dalla norma in commento opera la possibilità di non dare corso ad alcun ulteriore scritto difensivo e di richiedere l'immediata notifica dell'istanza di fissazione d'udienza, con il prodursi del generale effetto decadenziale ex art. 10, co. 2.

L'attore e il convenuto, ai sensi del terzo comma dell'art. 7, possono proseguire con lo scambio di memorie, notificando il proprio atto nel termine di venti giorni dalla ricezione del precedente atto avversario. Seppure la successione può sempre essere interrotta da ciascuna parte, con la notifica dell'istanza di fissazione d'udienza.

Anche in queste ulteriori memorie è possibile il compimento di tutte le attività processuali per le quali non è ancora maturata alcuna preclusione, nonchè il rilievo di eventuali decadenze in cui è incorso l'avversario.

L'articolata disposizione dell'art. 7 si chiude con la previsione di un termine massimo di durata della fase preparatoria, che è individuato negli ottanta giorni successivi alla notifica della memoria di controreplica del convenuto di cui al 2 comma.

La previsione è sicuramente meritevole di un giudizio più che positivo in quanto introduce un limite massimo allo scambio di memorie tra le parti ed opera, in sostanza come " contingentamento della durata della fase preliminare" [79].

 

12. L'istanza di fissazione di udienza

L'istanza di fissazione di udienza può essere proposta da ciascuna parte del processo, financo dal terzo intervenuto o chiamato in giudizio, disgiuntamente l'una dall'altra secondo le modalità e nei termini indicati all'art. 8 oppure mediante la presentazione di un'istanza congiunta ad opera di tutte le parti ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 5/03.

L'istanza di fissazione dell'udienza nel rito commerciale occupa un ruolo centrale.

Da un canto rappresenta il momento di conclusione della fase preparatoria finalizzata alla definizione del thema decidendum e del thema probandum, rimessa alla libera determinazione delle parti poiché l'effettivo operare di tutte le preclusioni è interamente soggetto all'eccezione di parte, valorizzando ancora una volta il ruolo delle parti stesse nel nuovo rito commerciale.

Dalla presentazione dell'istanza di fissazione dell'udienza alle parti non è più consentito proporre domande, allegare fatti, documenti o altri mezzi di prova. Da questo momento nessun elemento nuovo può entrare nel giudizio [80].

Qualche dubbio è sorto per l'esercizio del potere di contestazione dei fatti allegati dall'altra parte successivamente alla proposizione dell'istanza. Le opinioni restrittive si fondano sul rilievo che, in questa fase, non è più consentito formulare istanze istruttorie [81]. Altra tesi ritiene che una simile preclusione non sia ammissibile stante il silenzio del legislatore [82]. Ad avviso di chi scrive è possibile ammettere la contestazione dei fatti allegati dalla controparte a condizione che l'altra parte sia rimessa in termini per esercitare il diritto di difesa: solo così è, in effetti, garantito il diritto al contraddittorio.

Con l'istanza di fissazione d'udienza prende avvio la fase apud iudicem, in cui le parti entrano in contatto con il giudice, rimettendo all'organo giurisdizionale la trattazione dell'oggetto del processo, ormai già definito. Dal deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza che decorre il termine entro il quale il cancelliere "presenta senza indugio al Presidente il fascicolo d'ufficio contenente tutti gli atti e i documenti depositati dalle parti" ai sensi dell'art. 12, co. 1, nella versione rivista dal D. lgs. 37/04 che ha opportunamente soppresso il riferimento alla formazione del fascicolo che è già composto fin dall'atto di iscrizione a ruolo della causa, e il Presidente, entro il secondo giorno successivo alla presentazione del fascicolo designa il giudice relatore al quale è demandata la trattazione  della causa, mentre la decisione è di competenza collegiale [83].

Il contenuto dell'istanza di fissazione di udienza è analiticamente scandito dall'art. 9.

Il primo comma prevede che l'istanza di fissazione deve contenere la conclusioni di rito e di merito. La norma disciplina anche l'ipotesi in cui la parte decida di non svolgere questa attività, stabilendo che s'intendono riproposte le conclusioni contenute nel primo atto difensivo. È evidente che non è necessaria l'espressa riformulazione delle conclusioni ogni qual volta si sia giunti già in limine litis all'istanza di fissazione dell'udienza o durante la fase preparatoria la parte non abbia proposto domande o eccezioni nuove o non le abbia comunque modificate. Qualora queste attività si siano svolte, si renderà pressochè necessario formulare delle nuove conclusioni.

L'atto in esame deve, poi, contenere la definitiva formulazione delle istanze istruttorie. Qualora essa venga a mancare la norma non fa alcun riferimento a quelle eventualmente formulate o nel primo atto difensivo o nel corso della fase preliminare. In assenza di un'espressa disposizione normativa parrebbe da escludere un'interpretazione estensiva della disposizione relativa alle conclusioni [84] in quanto le istanze istruttorie non sono elemento di ammissibilità della domanda giudiziale. Si tratta di un onere gravante sulla parte, in cui danno si producono le conseguenze pregiudizievoli derivanti dal suo mancato attivarsi.

In via facoltativa è poi prevista la possibilità di indicare le condizioni alle quali la parte è disposta a conciliare la lite. Si tratta, come già nel processo ordinario di cognizione, di un favor del legislatore per l'accordo che le parti riescano a raggiungere dopo aver adito le vie giurisdizionali. Favor ancor più sottolineato dalla recente presa di posizione della Corte di legittimità che ha definitivamente chiarito che il verbale di conciliazione costituisce valido titolo esecutivo per gli obblighi di fare [85].

La norma precisa che l'indicazione delle condizioni alle quali si è disposti a transigere la lite non ha conseguenze dirette sulle richieste che la parte svolge al fine di ottenere un provvedimento del giudice, che restano quelle indicate nelle conclusioni.

L'istanza così redatta deve essere notificata a tutte le parti del giudizio. L'art. 8 disciplina espressamente le modalità e i termini secondo cui la notificazione deve avvenire. Occorre infatti rammentare che sin dalla notifica dell'atto di citazione è possibile per le parti del processo chiedere la fissazione dell'udienza e quindi la conclusione della fase preliminare del giudizio. Se a chiedere l'istanza di fissazione dell'udienza è l'attore egli deve notificarla entro venti giorni ' così elevati dal D.lgs. 37/04 ' con decorrenza variata a seconda del momento cui è giunto lo svolgimento della fase preliminare.

Più in particolare, il dies a quo coincide con: 

a) la data di notifica della comparsa di risposta del convenuto cui non intende replicare ovvero dalla data della scadenza del termine per la notifica della comparsa di risposta ' secondo la rivisitazione di quest'ultimo termine compiuta dal D.lgs. 37/04 ',  l'attore che voglia giungere all'immediata decisione della causa, perchè per esempio si tratta di una controversia di puro diritto, deve comunque consentire al convenuto di esercitare il proprio diritto di difesa e, quindi, solo dal momento in cui gli sia notificata la comparsa di risposta può chiedere la fissazione dell'udienza. L'accennata recente modifica ha accolto il suggerimento interpretativo offerto dalla dottrina [86], che aveva evidenziato un difetto di coordinamento fra questa disposizione e l'art. 13, co. 2, d. lgs. n. 5/03 in esame.

b) in caso di chiamata di terzo da parte del convenuto, la data di notifica della comparsa di risposta del terzo chiamato ovvero la scadenza del termine per la notifica della comparsa stessa, con rimodulazione anche di questo termine per effetto del D. lgs. 37/04;

c) la data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.

Se a proporre l'istanza di fissazione dell'udienza è il convenuto, essa deve essere notificata entro venti giorni che decorrono "dalla data di notifica della memoria di replica all'attore ovvero dalla scadenza del relativo termine" se ha proposto domanda riconvenzionale ovvero ha sollevato eccezioni non rilevabili d'ufficio [87]. Qualora dunque il convenuto, nella comparsa di risposta, non si sia limitato alle mere difese ma abbia anche ampliato l'oggetto del giudizio non può chiedere l'immediata fissazione dell'udienza, come parrebbe invece consentito dall'art. 4, co. 2, ma deve permettere all'attore di prendere posizione sui fatti così introdotti in giudizio, garantendo il pieno esercizio del diritto di difesa.

Lo stesso discorso vale per l'ipotesi in cui il convenuto abbia chiamato in giudizio un terzo il quale si sia costituito ' secondo le stesse modalità già viste per il convenuto ' notificando al chiamante una comparsa di risposta in cui prende posizione sui fatti allegati da quest'ultimo.

Al di fuori di tali casi il termine per il convenuto per la notifica dell'istanza di fissazione di udienza decorre, ai sensi dell'art. 8, co. 2, lett. c), dalla data della propria costituzione in giudizio [88], ovvero dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.

Come anticipato la disposizione in esame consente anche al terzo chiamato o intervenuto ' quest'ultima aggiunta è stata introdotta dal D.lgs. 37/04 ' di chiedere l'istanza di fissazione dell'udienza. Il terzo, una volta che sia intervenuto in giudizio notificando alle altre parti la propria comparsa di risposta, è divenuto parte a tutti gli effetti e in quanto tale ha diritto di esercitare tutte la facoltà e i diritti che spettano alle parti originarie. Così l'art. 8, co. 3, dispone che il terzo che voglia chiedere la fissazione dell'udienza e che abbia proposto domanda riconvenzionale ovvero abbia sollevato eccezioni non rilevabili d'ufficio, determinando quindi un ampliamento dell'oggetto del giudizio, può notificare l'istanza di fissazione dell'udienza entro venti giorni ' anche in questo caso estesi nel gennaio 2004 ' per la prima volta dalla data di notificazione della memoria di replica dell'attore o del convenuto ovvero dalla scadenza del relativo termine.

Se il terzo si sia limitato ad una  attività di mera difesa può notificare la istanza di fissazione dell'udienza per la prima volta dalla data della propria costituzione in giudizio, ovvero dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare.

In assenza di previsioni limitative pare doversi concludere che legittimato a chiedere la fissazione dell'udienza sia qualunque terzo ed anche il mero interveniente in via adesiva [89].

L'istanza così notificata deve essere depositata in cancelleria dalla parte che l'ha proposta entro il termine perentorio di dieci giorni.

Abbiamo anticipato che l'istanza di fissazione dell'udienza può essere presentata congiuntamente dalle parti ai sensi della prima parte del primo comma dell'art. 11. In questo caso esse sottoscrivono tutte l'atto che, pertanto, non esige la notificazione, ma può essere immediatamente depositato in cancelleria. Le attività e gli effetti che il legislatore fa decorrere all'art. 10 co. 1 dalla notificazione della suddetta istanza cominciano a compiersi evidentemente ' pur nel silenzio del legislatore ' dalla sottoscrizione dell'atto dalle parti, perchè questo è il momento in cui esse ne hanno effettiva conoscenza, secondo la ratio dell'art. 10, co. 1 [90] . Il successivo deposito in cancelleria dell'atto può avvenire ad opera di una qualsiasi delle parti ai sensi di quel che prevede l'art. 9, co. 3, entro il termine di dieci giorni, che decorrerà secondo i rilievi già svolti dalla sottoscrizione dell'atto.

Nell'ipotesi in cui il processo si svolga fra una pluralità di parti e solo alcune fra di esse vogliano presentare istanza congiunta di fissazione dell'udienza, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, sembra logico ritenere che l'istanza dovrà essere notificata alle parti che non l'hanno sottoscritta ed entro dieci giorni dalla notificazione essere depositata in cancelleria ad opera di una di esse.

Il legislatore disciplina espressamente alcuni casi di mancato o tardivo compimento dell'incombenza processuale. Sono delineate le ipotesi in cui l'istanza di fissazione dell'udienza non sia notificata entro i termini che abbiamo poc'anzi esaminato, nè entro lo spirare del termine massimo di durata della fase preliminare di cui all'art. 7, co. 3, nonchè l'ipotesi in cui l'istanza di fissazione dell'udienza sia presentata fuori dai casi espressamente previsti dall'art. 8 medesimo, che devono dunque ritenersi tassativi [91]. Le sanzioni che il legislatore ricollega a queste due fattispecie sono diverse.

La mancata presentazione dell'istanza ai sensi del quarto comma dell'art. 8 è sanzionata con l'estinzione del giudizio che non solo opera automaticamente, come già nell'ordinario giudizio di cognizione, ma anche su rilievo ufficioso del giudice. Questa disposizione è da salutare con favore là dove accoglie i rilievi già sollevati dalla dottrina in relazione all'art. 308 c.p.c. che riteneva contraddittorio l'automatico prodursi di un effetto con l'eccezione di parte previsti da tale disposizione [92] almeno nelle ipotesi in cui l'estinzione sia la conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio e pertanto di un provvedimento dato a tutela non di una parte, ma del litisconsorte necessario pretermesso [93].

Se si esamina, più nello specifico, l'art. 8, co. 4, occorre rilevare che il D. lgs. 37/04 ha portato a venti giorni la durata del termine, coordinandolo con le altre modifiche di cui si è dato conto. Inoltre, si precisa che l'estinzione è determinata dalla mancata notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza nei venti giorni successivi alla scadenza oltre che del termine "per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'articolo 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'articolo 7, comma 3," anche "del termine di cui ai commi precedenti".

Opportunamente il legislatore ha richiamato tutte le ipotesi in cui si è espressamente prevista la facoltà per le parti del giudizio di chiedere la fissazione dell'udienza per poter avviare la fase processuale apud iudicem, chiarendo ancora una volta che lo svolgimento del processo che si è venuto a delineare è sempre rimesso all'esclusiva disponibilità delle parti, gravate peraltro dall'onere di svolgere tutte le attività necessarie affinchè esso giunga alla decisione finale. In questa fase processuale infatti la conduzione del giudizio non è rimessa alla determinazione del giudice, come accade nel processo ordinario, ma alla iniziativa delle parti.

La previsione di un termine entro il quale la fase introduttiva si deve comunque concludere o con la fissazione dell'udienza o con l'estinzione è senza dubbio idonea a garantire il contingentamento dei tempi processuali almeno in questa fase iniziale.

La parte finale dell'art. 8, co. 4, considera l'ipotesi in cui l'udienza abbia comunque avuto luogo. L'unico caso di effettivo spazio applicativo della disposizione è quello in cui l'istanza di fissazione di udienza è stata notificata dopo la scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, co. 3, e il giudice abbia comunque fissato l'udienza. In questo caso le ipotesi prospettabili sono due: a) nessuna delle parti si presenta all'udienza ed in tal caso il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del giudizio; b) almeno una delle parti partecipa all'udienza: in tale caso l'eccezione di estinzione è nella esclusiva disponibilità della parte e deve essere svolta in questa udienza, altrimenti il suo esercizio è precluso e il giudizio prosegue.

L'art. 8, co. 5, dispone per l'eventualità che l'istanza di fissazione sia presentata fuori dai casi indicati dai commi 1, 2 e 3 del medesimo articolo.

Dall'analisi delle disposizioni richiamate, emerge evidente che il legislatore consente alle parti di chiedere la fissazione dell'udienza tutte le volte che nello scambio degli atti, variamente denominati a seconda della fase in cui si sia giunti, è loro concessa la facoltà di rispondere alla controparte entro un certo lasso temporale, risposta che può consistere in un atto di replica o nell'istanza di fissazione dell'udienza. Fuori da questi casi, alla parte non è consentito nè replicare, nè chiedere la fissazione dell'udienza. L'art. 8 disciplina pure l'ipotesi certamente di maggiore frequenza, in cui la notifica della richiesta di fissazione dell'udienza sia tardiva. La sanzione è la dichiarazione d'inammissibilità dell'istanza ad opera del Presidente sollecitato dal  rilievo della controparte: la parte interessata deve presentare richiesta in cancelleria nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica dell'istanza. Il Presidente, sentite le parti, provvede con ordinanza non impugnabile. L'espressa menzione della forma dell'ordinanza è frutto dell'intervento normativo attuato con il D. lgs. 37/04, che ha sostituito il precedente richiamo alla forma del decreto in quanto l'ordinanza è il provvedimento che, come accade in questo caso, il giudice assume nel contraddittorio con le parti all'udienza.

Opportunamente si dispone per il prosieguo del giudizio, stabilendo che il Presidente assegna il termine per lo svolgimento delle ulteriori attività eventualmente necessarie: la decisione del giudice si colloca quindi incidentalmente in questa fase preparatoria del giudizio che pertanto continua.

A seguito  della notifica dell'istanza di fissazione di udienza presentata da una delle parti del processo, le altre parti hanno dieci giorni di tempo per depositare in cancelleria una nota che deve avere lo stesso contenuto ' che abbiamo già esaminato ' dell'istanza di fissazione dell'udienza. Così ai sensi del primo comma dell'art. 10 essa deve contenere le conclusioni di rito e di merito già proposte, che non possono essere modificate, nonchè la definitiva formulazione delle istanza istruttorie. In mancanza, si intendono formulate le istanze e le conclusioni contenute nel primo atto difensivo. A differenza della disposizione contenuta nell'art. 9, co. 1, la norma ora menzionata fa espressamente salve anche le istanze istruttorie formulate nel primo atto difensivo e non solo le conclusioni.

L'art. 10, co. 2,  prevede che "a seguito della notificazione dell'istanza di fissazione di udienza tutte le parti decadono dal potere di proporre nuove eccezioni di precisare o modificare domande o eccezioni già proposte, nonché di formulare ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti ".  Anche in questo caso il decreto correttivo del febbraio 2004 ha soppresso il riferimento alle eccezioni non rilevabili d'ufficio, con un conseguente espandersi dell'effetto di preclusione. Che, al contrario, non opera quando il rilievo è compiuto dal giudice, che potrà esercitare il relativo potere per tutta la successiva fase del processo, con il solo obbligo di dare corso al contraddittorio delle parti.

È questa una norma di chiusura che fa coincidere l'istanza per la fissazione dell'udienza di trattazione con il momento di chiusura della fase volta a determinare il thema decidendum e il thema probandum: determinato l'ambito dell'oggetto del giudizio, alcuna modifica da questo momento in poi è più consentita, se non secondo le indicazioni del giudice ex art. 12. 

 

13. Le preclusioni

Al fine di valutare l'esatta portata dell'art. 8 occorre verificare il regime di preclusioni che abbiamo incidentalmente descritto e che merita ora una compiuta trattazione. Si è già evidenziato che la serie di limitazioni temporali all'esercizio dell'attività di allegazione di fatti nuovi in giudizio ad opera delle parti è stata introdotta per effetto delle modifiche del D. lgs. 37/04.

Ciò premesso, il legislatore ha creato un duplice sistema di decadenze [94].

Un primo regime di decadenze può maturare con gli atti introduttivi qualora le parti si avvalgano della facoltà di chiedere l'immediata fissazione dell'udienza dopo lo scambio degli atti introduttivi [95]. L'attore può proporre istanza di fissazione dell'udienza dopo la notificazione della comparsa di risposta da parte del convenuto, qualora non intenda replicare ad essa, mentre al convenuto è consentito esercitare tale facoltà dopo la notificazione dell'atto di citazione, al quale non intende replicare e comunque entro venti giorni dalla costituzione in giudizio. In questo senso depone specialmente l'interpretazione letterale dell'art. 8, co. 3, che, come si è visto, scandisce i termini entro cui il terzo chiamato o intervenuto può proporre l'istanza di fissazione d'udienza.

 Un secondo regime di decadenze, sempre rimesso all'iniziativa delle parti del processo [96], cui compete in via esclusiva il rilievo del loro verificarsi, è invece previsto per l'eventualità che lo scambio di atti difensivi disegnato dal legislatore si attui pienamente.

Partendo dall'esame delle attività che l'attore deve porre in essere a pena di decadenza va considerata la memoria di replica, ai sensi dell'art. 6 deve proporre nuove domande ed eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese proposte dal convenuto nella memoria di replica che è il primo atto difensivo dell'attore dopo la comparsa di risposta del convenuto. Alla luce di questa disposizione dunque emerge in primo luogo che domande ed eccezioni nuove sono ammesse solo se dipendenti dall'attività del convenuto. Come già per il processo ordinario il legislatore ha espressamente ammesso la riconventio riconventionis. Nello stesso atto, l'attore deve a pena di decadenza e se lo ritiene opportuno chiamare in causa un terzo e formulare le domande contro di lui. Diversamente da quanto previsto per l'ordinario giudizio di cognizione manca la necessità del consenso del giudice alla chiamata del terzo. La soluzione è necessitata dal fatto che in questa fase processuale il giudice non c'è ancora. Queste sono le uniche attività previste a pena di decadenza. Pertanto durante tutto lo svolgimento della fase preliminare e sino a che non sia presentata istanza per la fissazione dell'udienza sono consentite all'attore:

-           la precisazione e la modifica delle domande e delle eccezioni già proposte;

-           la formulazione di nuove istanze istruttorie;

-           il deposito di nuovi documenti;

-           le domande nuove non sequenziali alle difese dell'avversario.

Anche tali attività si precludono, con l'eccezione del solo permanere della proponibilità delle domande nuove non sequenziali, con il compiersi del termine per la notifica della memoria di replica da parte dell'attore se il convenuto ha proposto una domanda riconvenzionale secondo quanto dispone l'art. 13, co. 5.

Per quel che riguarda il convenuto ' al quale deve essere equiparato il terzo chiamato o intervenuto in giudizio ' egli deve a pena di decadenza proporre nella comparsa di risposta le domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione e dichiarare di voler chiamare in causa i terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni, formulando contro di essi le relative domande.

Nella seconda memoria difensiva deve sempre a pena di decadenza proporre le eccezioni non rilevabili d'ufficio che siano conseguenza delle nuove domande ed eccezioni proposte dall'attore nella memoria di replica, il suo secondo atto che segue la citazione introduttiva.

Al pari di quanto abbiamo già visto per l'attore, anche il convenuto e i terzi possono durante tutto lo svolgimento della fase preliminare e sino a che non sia presentata istanza per la fissazione dell'udienza svolgere:

-           la precisazione e la modifica delle domande e delle eccezioni già proposte;

-           la formulazione di nuove istanze istruttorie;

-           il deposito di nuovi documenti;

-           le domande nuove non sequenziali alle difese dell'avversario.

Tali attività si precludono, con l'eccezione del solo permanere della proponibilità delle domande nuove non sequenziali, con il compiersi del termine per la notifica della seconda memoria difensiva, secondo quanto dispone l'art. 13, co. 5.

In proposito è da valutare con favore la scelta del legislatore che espressamente preclude sia la precisazione che la modificazione delle domande già proposte, distinzione che con riferimento all'ordinario processo di cognizione ha creato non pochi problemi interpretativi.

Il rispetto del sistema di preclusioni sopra descritto è rimesso nel nuovo rito commerciale alla volontà delle parti. Si è così privilegiata, ancora una volta, una visione privatistica del processo. La parte che intenda rilevare il verificarsi della preclusione e che non vi abbia dato causa deve nella prima istanza o difesa successiva proporre eccezione: l'art. 10 fa propri i principi previsti dall'art. 157 c.p.c. in materia di nullità processuali che espressamente richiama. Se la parte non eccepisce nel termine indicato il verificarsi della decadenza quest'ultima è sanata.

L'art. 10 co. 2 prima parte fa salva la deroga alla disposizione appena esaminata per il caso in cui irregolarità del procedimento rilevate dal giudice nel decreto di fissazione dell'udienza non hanno consentito una corretta definizione dell'oggetto del giudizio. Si tratta delle ipotesi previste dall'art. 12, co. 8 e 13, co. 3 su cui ci soffermeremo fra breve.

 

14. La decisione incidentale sulle questioni di rito e le preliminari di merito.

L'art. 11 disciplina l'eventualità che nella fase preliminare del giudizio ' che come abbiamo più volte rchiamato è volta alla determinazione definitiva fra le parti del thema decidendum e del thema probandum ' le parti [97] intendano chiedere al giudice di decidere immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ovvero questioni relative alla integrità del contraddittorio, alla partecipazione di terzi al processo, o all'ammissibilità delle prove stabilendo che esse devono proporre istanza di fissazione dell'udienza secondo le modalità che abbiamo già visto, tenendo presente che oltre alla specifica conclusione relativa alla questione sollevata devono precisare integralmente le conclusioni di merito.

In queste ipotesi il tribunale provvede con ordinanza non impugnabile quando non definisce il giudizio [98]. La non impugnabilità di questa ordinanza si spiega con il normale regime di stabilità proprio della ordinanze [99]. L'ordinanza, secondo le disposizioni del codice di procedura civile senza dubbio applicabili in questo caso in quanto non incompatibili, è sempre revocabile dal giudice in sede decisioria [100]. Pertanto se il collegio riterrà che erroneamente il giudice ha statuito in questa prima fase potrà mutare la decisione, senza che, si ritiene, sia necessaria apposita istanza della parte in quanto in generale spetta al collegio verificare la correttezza di tutte le decisioni anche interlocutorie che sono state assunte nel corso del processo.

Opportuna è poi la scelta di ribadire che la decisione sulla competenza è sempre impugnabile con il regolamento di competenza, come accade in via generale, per ottenere immediatamente una statuizione definitiva sul punto della Suprema Corte. La legge parla genericamente di provvedimento sulla competenza, stabilendo il principio che qualsiasi decisione anche diversa dalla sentenza sia impugnabile con questo mezzo. In questo senso depone l'attuale formulazione dell'art. 42 c.p.c. che consente l'impugnabilità con il regolamento di competenza non solo delle sentenze rese sulla competenza ma anche dei "provvedimenti" che dichiarano la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. Interpretazione questa avvalorata anche dell'orientamento giurisprudenziale che fa leva sulla teoria della prevalenza della sostanza sulla forma per cui rilevante è solo che il provvedimento contenga una decisione idonea a decidere la questione di competenza [101].

Occorre ora stabilire se la decisione sulla competenza debba essere resa con sentenza oppure con ordinanza.

Nel primo senso sino a poco tempo fa avrebbe deposto il principio espresso nel codice di rito secondo cui la decisione sulla competenza deve sempre essere resa con sentenza.

In senso contrario possono, peraltro, essere individuati due argomenti. In primo luogo la circostanza che il legislatore ha di recente espressamente previsto che la decisione sulla competenza reso dalla Suprema Corte deve essere resa con ordinanza [102], inducendo a ritenere che la forma della sentenza non sia dunque essenziale. Inoltre la stessa legge processuale societaria enuncia che la decisione sulle questioni di cui all'art. 11, co 1, devono essere rese con ordinanza non impugnabile. Immediatamente dopo nella stessa parte del medesimo comma ha disposto che in deroga alla regola dell'inimpugnabilità il provvedimento sulla competenza è impugnabile. Alla luce di queste considerazioni pare opportuno concludere nel senso che anche la decisione sulla competenza deve essere resa sempre con la forma dell'ordinanza. Nonostante che il legislatore abbia omesso di precisarlo in questa sede, è ovvio che se la decisione su una di queste questioni è idonea a definire il giudizio il provvedimento sarà la sentenza.

Quanto alle questioni che possono essere oggetto di decisione immediata qualche altra osservazione è opportuna.

La immediata rimessione in decisione sulle questioni pregiudiziali di rito o sulle questioni preliminari di merito è facoltà prevista anche nell'ordinario processo di cognizione e, pertanto, non desta difficoltà interpretative, con integrale valenza della disciplina del processo ordinario.

Con la formula questioni relative all'integrità del contraddittorio il legislatore sembrerebbe riferirsi alla verifica della regolarità del contraddittorio che il giudice nell'ordinario processo di cognizione svolge alla prima udienza di comparizione ex art. 180 c.p.c. prevedendo la facoltà per le parti di anticipare tale decisione anche nel processo commerciale in limine litis. In principio è applicabile anche nella sede processuale societaria e la verifica  della regolarità del contraddittorio potrà portare all'emanazione di provvedimenti per l'integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., per la sanatoria dell'atto di citazione ex art. 164 c.p.c. e della domanda riconvenzionale ex art. 167 c.p.c., per la sanatoria dei difetti di rappresentanza, assistenza e autorizzazione ex art. 182 c.p.c. nonchè dei vizi di notificazione della citazione ex art. 291 c.p.c. In queste ipotesi è da ritenere che il giudice possa agire indipendentemente dall'iniziativa di parte.

Più impegnativo è il profilo della partecipazione dei terzi al processo.

Il recente ha voluto ripristinare il controllo del giudice, che peraltro deve essere attivato dalla volontà del convenuto, sulla chiamata in causa del terzo ad opera dell'attore che, come nel processo ordinarioo, è limitata alla sola ipotesi in cui la necessità della chiamata in causa del terzo è emersa dalle difese del convenuto. Per la chiamata del convenuto, la verifica giudiziale debba avere ad oggetto la regolarità formale della chiamata in causa del terzo.

Rimane esclusa la decisione interlocutoria sull'ammissibilità delle prove, del resto estranea al nostro ordinamento processuale. In realtà la ratio di questa disposizione appare di difficile comprensione in quanto non è agevole  ipotizzare che il giudice possa sensatamente prendere una decisione sul punto senza conoscere dettagliatamente l'ambito dell'oggetto del giudizio [103].

L'art. 11, co. 3, dispone per il prosieguo del giudizio successivamente alla ordinanza del giudice. Così è previsto che a tal fine, entro novanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza, l'attore deve notificare alle altre parti una memoria di replica. Non è invece disciplinata l'ipotesi in cui il convenuto abbia interesse alla prosecuzione del giudizio: deve ritenersi però pacifico che anch'egli possa esprimere una volontà in tal senso sopratutto nell'eventualità in cui abbia proposto domanda riconvenzionale. Il legislatore ha ipotizzato che normalmente la decisione sulle questioni indicate al comma 1 dell'art. 11 sia sollecitata dalle parti in limine litis. Qualora invece sia avvenuta in una fase successiva l'attore deve notificare l'ulteriore replica ai sensi degli artt. 6 e 7 d.lgs. n 5/03.

Infine, il legislatore conclude chiarendo che in caso di un provvedimento che conferma la competenza del tribunale adito il termine decorre dalla sua comunicazione. Ad una prima lettura parrebbe che il termine sia quello di novanta giorni per la "riassunzione del giudizio" . Una simile interpretazione è, però, poco in linea con le norme positive. È da ritenere che il legislatore si riferisca al termine per impugnare il provvedimento sulla competenza che, eccezionalmente decorre dalla comunicazione della decisione, anzichè dalla notificazione [104].

 

15. Il decreto di fissazione dell'udienza

L'avvio della fase apud iudicem è caratterizzato da una rigida scansione temporale delle attività processuali da compiersi [105]. Così è previsto che decorsi dieci giorni dal deposito in cancelleria dell'istanza di fissazione dell'udienza il cancelliere, nei tre giorni successivi, deve presentare senza indugio al Presidente il fascicolo d'ufficio contenente tutti gli atti e i documenti depositati dalle parti.

In tale fascicolo sono confluiti tutti i pregressi atti del processo. Le parti si costituiscono in giudizio sin dall'inizio della fase preparatoria e hanno l'onere di depositare tutti gli atti che si scambiano in cancelleria, oltre che nei fascicoli di parte, anche nei fascicoli d'ufficio.

Il Presidente ha a questo punto due giorni di tempo per designare il giudice relatore, che assume un ruolo centrale in questa fase iniziale del processo in quanto ha l'onere di esaminare tutto il materiale della causa per pronunciare i provvedimenti ' sui quali ci soffermeremo fra breve ' che risultino necessari per far sì che la trattazione della causa davanti al collegio possa dirsi effettiva [106].

Il giudice relatore dispone di un termine di cinquanta giorni [107] per depositare in cancelleria il decreto di fissazione dell'udienza che deve essere comunicato alle parti a cura della cancelleria [108]. Il suddetto termine può, secondo il disposto dell'ultima parte dell'art. 12, co. 2, per comprovate ragioni, essere prorogato a norma dell'art. 154 c.p.c. dal Presidente: si tratta della medesima facoltà che, nel processo ordinario, consente al giudice prima della scadenza del termine, di abbreviarlo o prorogarlo se non è stabilito a pena di decadenza. La proroga peraltro non può avere una durata superiore al termine originario, quindi nel processo societario essa non potrà oltrepassare i cinquanta giorni [109].

Resta da vedere quali siano le comprovate ragioni e quindi verificare se il sovraccarico di lavoro possa essere addotto a legittima giustificazione. In assenza di una norma espressa, analoga alla previsione che nel processo amministrativo dispone che ogni anno si determini il numero di cause di cui ciascun giudice si deve occupare, il rischio di un carico eccessivo dei ruoli è reale e la valutazione è rimessa alla discrezionalità del presidente. Inoltre come si desume chiaramente dal combinato disposto dell'art. 12, co. 2, d. lgs. n. 5/03 e dall'art. 154 c.p.c. si tratta di un termine ordinatorio, al cui mancato rispetto non è ricollegata alcuna sanzione. Pertanto se come abbiamo chiarito la proroga non può essere superiore a cinquanta giorni, il tempo massimo che potrebbe intercorrere, tra il deposito dell'istanza di fissazione di udienza e il deposito del decreto, è di cento giorni dalla designazione del giudice relatore.

La generalizzata facoltà per le parti di ridurre tutti i termini processuali ' prevista all'art. 2, co. 2, ' è chiara nel senso di consentire la dimidiazione dei termini previsti per l'attività del giudice: nell'ipotesi del termine per il deposito del decreto di fissazione dell'udienza, il giudice relatore dispone di venticinque giorni per svolgere la sua attività, salvo che il Presidente ritenga opportuno il rinvio per comprovate ragioni.

Quanto al contenuto del decreto, va detto che in esso deve essere indicata, primariamente, la data dell'udienza davanti al collegio e che deve avere luogo "non prima di dieci e non oltre trenta giorni dalla comunicazione del decreto stesso". É decisamente opportuna la previsione del legislatore di disporre non solo un termine minimo, ma anche uno massimo pur se, ancora una volta, nessuna sanzione è prevista per l'ipotesi in cui il giudice non rispetti i termini fissati dalla legge.

Il giudice relatore ammette i mezzi di prova richiesti dalle parti, nonchè quelli disponibili d'ufficio, che ritiene ammissibili e rilevanti; fermo l'obbligo di motivare il rifiuto dell'ammissione di un mezzo di prova di parte. Questa attività nell'ordinario processo di cognizione si svolge all'udienza ex 184 c.p.c. dopo che si è giunti alla definizione del thema decidendum: ed anche nel processo commerciale, il giudice seguirà l'iter logico che vuole che prima sia determinato l'oggetto del contendere, per poi verificare, rispetto ad esso, i mezzi di prova rilevanti e ammissibili. Quanto ai mezzi di prova ammissibili d'ufficio, occorre fare riferimento alle disposizioni previste per il processo ordinario di cognizione in virtù del richiamo contenuto all'art. 1, co. 4, e consistono nella consulenza tecnica d'ufficio, nell'ispezione, nella richiesta d'informazioni alla P.A. [110]

Alle parti va sempre concesso il diritto di replicare ai mezzi di prova che il giudice ha disposto d'ufficio. La stessa esigenza emerge nell'art. 11 co. 3 lett. c), per il quale il giudice relatore deve indicare alle parti le questioni di rito e di merito rilevabili d'ufficio. È evidente che, anche in questo caso, le parti devono poter contraddire sulle questioni così sollevate per scongiurare l'eventualità che la decisione del collegio si fondi su questioni rispetto alle quali non hanno potuto esercitare proprio il diritto di difesa [111].

La sede idonea per l'esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio delle parti sono le memorie conclusionali di cui all'art. 11, co. 3, lett. e), che espressamente dispone che il decreto di fissazione dell'udienza deve contenere "l'invito alle parti a depositare, almeno cinque giorni prima dell'udienza, memorie conclusionali, anche indicando le questioni bisognose di trattazione". La previsione di memorie conclusionali si correla in modo rettilineo al potere del collegio di pronunciare la decisione nell'udienza fissata ai sensi dell'art. 11. D'altra parte, le questioni bisognose d'interpretazione non possono che essere quelle sollevate dal giudice, nonchè le altre relative all'ammissione dei mezzi di prova disponibili d'ufficio che, in relazione ad esse o relativamente ai fatti già allegati dale parti, si rendano necessari. Nella memoria, da dimettersi entro cinque giorni, le parti formuleranno le rispettive conclusioni alla luce dei rilievi svolti dal giudice che hanno la funzione di meglio chiarire e determinare la materia del contendere, proponendo eventuali eccezioni sorte dai rilievi ufficiosi, in uno con gli ulteriori mezzi di prova che sono divenuti necessari. Si ha così una deroga alla previsione che preclude, dopo l'istanza di fissazione dell'udienza, qualunque attività di allegazione e che si regge sull'esigenza di tutelare le parti innanzi all'attività del giudice. Spetta poi al collegio giudicare sull'ammissibilità e rilevanza delle più recenti richieste istruttorie delle parti.

Il giudice può ritenere opportuno interrogare le parti per meglio definire l'oggetto del contendere. In questo caso valgono le regole già previste dal codice di procedura civile per cui le parti devono essere interrogate in contraddittorio fra di loro ex art. 117 c.p.c. sui fatti della causa, salvo la facoltà concessa al giudice di interrogarle anche separatamente. Dalle risposte delle parti e in generale dal loro comportamento in sede di interrogatorio libero il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c.

Se il giudice ritiene che sia esperibile il tentativo di conciliazione invita le parti a comparire all'udienza collegiale; nel caso in cui una parte o più parti abbiano indicato le condizioni alle quali sono disposte a conciliare il giudice invita le altre a prendere esplicita posizione su di esse all'udienza collegiale. Là dove una parte rifiuti un'offerta di conciliazione vantaggiosa proposta dalla controparte, si è innanzi ad un comportamento che può essere valutato ai fini della condanna al pagamento delle spese del giudizio.

É previsto che, se il giudice lo ritiene opportuno, possa deferire giuramento suppletorio ai sensi dell'art. 13, co. 2,:  più in particolare il collegio ha la facoltà di deferire giuramento suppletorio all'attore qualora, dal complesso delle argomentazioni o allegazioni svolte, la domanda proposta in giudizio nonostante la non contestazione dei fatti costitutivi addotti non appaia pienamente fondata [112], ma su di essa sia stata  raggiunta la c.d. semiplena probatio.

L'art. 12, nei comma 4 e successivi,  si occupa di una serie di ipotesi patologiche che nel processo di cognizione ordinario sono normalmente trattate distintamente, ma che le peculiarità del processo commerciale giustamente richiede di trattare congiuntamente.

Vengono, in primo luogo, in rilievo, tra le vicende c.d. anomale del processo, l'interruzione e l'estinzione del processo.

Se durante la fase preparatoria del giudizio apud iudicem una parte, costituita in giudizio a mezzo di un difensore, muoia, il difensore ha l'onere di dichiararlo entro novanta giorni mediante atto notificato alle altre parti. Qualora, nonostante la parte sia deceduta, l'avvocato non lo dichiari, entro detto termine, occorrerà anche nel processo commerciale applicare la giurisprudenza sviluppatasi nel giudizio ordinario di cognizione, che vuole che la parte sia ancora esistente [113]: la sentenza sarà emanata formalmente nei confronti di detta parte, ma produrrà effetti nei confronti dei successori a titolo universale o particolare; ferme eventuali responsabilità dell'avvocato, nell'ipotesi in cui abbia agito senza consultare gli eredi, nei confronti di questi ultimi [114].

Il giudice relatore, nell'ipotesi in cui la dichiarazione di morte della parte sia stata formulata entro il detto termine, non pronuncia il decreto di fissazione dell'udienza bensì dichiara l'interruzione del processo con ordinanza non impugnabile.

Nei casi in cui l'interruzione opera di diritto, a norma del diritto processuale comune [115], il giudice la dichiara con effetto dal momento del verificarsi dell'evento interruttivo. In quest'ultima ipotesi l'art. 12, co. 4, richiama espressamente le norme del codice di procedura civile: in realtà il richiamo è superfluo, anche se non inopportuno, in quanto l'art. 1, co. 4, rinvia ' come abbiamo visto ' al codice di procedura civile a colmare le lacune della nuova disciplina. Il processo dichiarato interrotto deve essere riassunto, secondo le norme dell'ordinario giudizio di cognizione.

L'art. 12, co. 5, disciplina l'estinzione del giudizio sia nelle ipotesi previste dal codice di rito, sia nei casi previsti dagli artt. 8, co. 4, e 13, co. 1. Come abbiamo già visto l'art. 8, comma 4, concerne l'ipotesi in cui l'istanza di fissazione di udienza non sia notificata nei termini previsti[116], mentre l'art. 13, co. 1, prende in esame l'ipotesi in cui l'attore non si sia costituito e il convenuto, costituito, non abbia interesse alla prosecuzione del giudizio.

Il giudice relatore, che ritenga non infondata un'eccezione di estinzione del giudizio proposta da una parte, convoca le parti costituite. Se dal contraddittorio con le parti emerge che l'eccezione è fondata dichiara l'estinzione del processo con ordinanza, reclamabile nel termine di dieci giorni dalla comunicazione. Su reclamo di una parte, il collegio provvede a norma dell'articolo 308, co. 2 , c.p.c. [117]

I comma 6, 7 e 8 dell'art. 12 prendono in considerazione tutte le attività che normalmente il giudice svolge alla prima udienza di comparizione delle parti ex art. 180 c.p.c. o comunque in limine litis. Mancando nel nuovo processo commerciale l'udienza volta alla verifica del contraddittorio questa attività deve essere svolta dal giudice relatore prima della fissazione dell'udienza di trattazione in quanto una compiuta trattazione della materia del contendere presuppone che il contraddittorio sia realizzato nei confronti di tutte le parti necessarie del giudizio.

Così ai sensi del sesto comma il giudice se ritiene sussista l'esigenza di sanare difetti di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio ai sensi dell'articolo 182 del codice di procedura civile assegna un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a sessanta per i necessari adempimenti e fissa l'udienza di discussione entro i successivi trenta giorni.

Qualora invece emerga che l'attore non ha notificato l'atto di citazione o che la notificazione sia viziata, il giudice ai sensi del settimo comma dell'art. 12 dichiara con decreto la nullità della notificazione della citazione al convenuto, e se questi non si è costituito, nello stesso provvedimento fissa all'attore un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la rinnovazione. Questa disposizione è particolarmente rilevante alla luce del successivo secondo comma dell'art. 13 che prevede conseguenze pregiudizievoli per il convenuto che non notifichi tempestivamente la comparsa di risposta all'attore: è evidente che deve trattarsi di una contumacia volontaria e non dovuta alla mancata o irregolare notificazione dell'atto di citazione. Di una puntuale verifica della regolare instaurazione del contraddittorio sarà pertanto onerato il giudice al fine di garantire il regolare svolgimento del giudizio oltre che il diritto di difesa del convenuto.

La nuova normativa tace per quanto riguarda i presupposti e gli effetti della declaratoria di nullità dell'atto di citazione e che paiono da ricostruirsi in applicazione dei principi posti dall'art. 164 c.p.c. e dei conseguenti meccanismi di sanatoria [118].

Ne consegue che il giudice potrà rilevare d'ufficio la nullità della citazione se, nella contumacia del convenuto, è omesso o risulta assolutamente incerto uno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'art. 163 [119], ai sensi dell'art. 164, 1 comma, c.p.c., con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, che continueranno a prodursi dalla data della notifica iniziale [120].

Nei casi in cui la nullità è dichiarata perchè è omesso o risulta assolutamente incerto l'oggetto della domanda o perchè manca l'esposizione dei fatti, il giudice potrà assegnare un termine per la rinnovazione della citazione o, nel caso in cui il convenuto si sia costituito, per integrare la domanda, seppure in tal caso, ai sensi dell'art. 164, co. 4, c.p.c., "restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione".

Onde, ad esempio, nel caso di nullità della citazione che introduce l'impugnazione di una delibera, se sono decorsi i termini per impugnare ed è maturata la decadenza, la rinnovazione dell'atto introduttivo non impedirà che la domanda sia rigettata nel merito [121].

Infine l'ultimo comma dell'art. 12 prende in considerazione l'ipotesi in cui sussiste l'esigenza di integrare il contraddittorio a norma degli articoli 102 e 107 del codice di procedura civile, accomunando, quanto a disciplina, due ipotesi che nell'ordinario giudizio di cognizione sono tenute distinte. In questa eventualità il giudice, nel decreto di fissazione dell'udienza, indica un termine non inferiore a trenta giorni per provvedere alla notificazione ai litisconsorti e ai terzi di tutti gli scritti difensivi già scambiati; concede ai litisconsorti e ai terzi un termine non inferiore a quaranta giorni e non superiore a sessanta per costituirsi mediante deposito di memoria notificata alle altre parti, anche non costituite, e  ulteriori trenta giorni alle parti originarie  per l'eventuale replica.  L'udienza davanti al collegio è fissata entro i successivi trenta giorni con decreto emesso a norma del presente articolo, ma il presidente può, su istanza dei litisconsorzi o dei terzi, concedere loro un termine non superiore a sessanta giorni per controreplicare, fissando l'udienza entro i successivi trenta giorni.

La disposizione non chiarisce, in primo luogo, se si tratta di termini perentori. Nell'ordinario giudizio di cognizione il termine indicato dal giudice per la chiamata in causa del terzo o per il litisconsorte pretermesso è esplicitamente qualificato come perentorio e, se l'attività non è espletata nel termine indicato, le conseguenze sono, nel primo caso, la cancellazione della causa dal ruolo e, nel secondo, l'estinzione immediata del giudizio. Quest'ultima sanzione è evidentemente più grave in relazione al principio per cui la sentenza che non è resa nei confronti di tutte le parti necessarie del giudizio è inutiliter data. Diversamente la chiamata in causa coatta è rimessa ad un giudizio di opportunità del giudice, il cui mancato rispetto non determina la immediata estinzione ma solo la cancellazione della causa dal ruolo facendo salva la facoltà delle parti di riassumerlo previa chiamata in causa del terzo.

Nel processo commerciale nonostante la qualifica di perentori dei termini, sembra appare corretto applicare le disposizioni previste per l'ordinario giudizio di cognizione [122] in quanto, diversamente argomentando, si dovrebbe ritenere che il mancato rispetto dell'ordine del giudice non avrebbe alcuna conseguenza. Una simile conseguenza non è senza dubbio accettabile quanto meno con riferimento all'ipotesi di chiamata in causa del litisconsorzio necessario pretermesso.

I terzi chiamati in causa e i litisconsorti pretermessi possono costituirsi in giudizio nel termine fissato dal giudice, che non può essere inferiore a quaranta giorni e superiore a sessanta.

La costituzione avviene mediante il deposito di una memoria che deve essere notificata alle altre parti . Nulla si dice quanto al contenuto di questo atto. La peculiarità del nuovo rito non consente in questo caso di richiamare le disposizioni del secondo libro del codice di procedura civile e pertanto sia i litisconsorti necessari pretermessi, sia i terzi chiamati in causa potranno svolgere pienamente le proprie difese allegando domande e/o eccezioni e i relativi mezzi di prova.

In replica, le parti originarie potranno entro ulteriori trenta giorni replicare proponendo eventuali domande riconvenzionali, eccezioni e nuovi mezzi di prova. Si ha, in questo caso, una parziale riapertura dei termini a favore delle parti già costituite in ragione dell'eventuale allargamento del thema decidendum, con una implicita applicazione del generale istituto della rimessione in termini di cui all'art. 184 bis c.p.c. Entro i successivi trenta giorni il giudice fissa con decreto, ai sensi dell'art. 12,  l'udienza di discussione della causa. Se i litisconsorti necessari pretermessi e gli altri terzi chiamati in causa esprimono la necessità di controreplicare alle difese delle parti originarie, il giudice assegna loro un termine non superiore a sessanta giorni per svolgere l'ulteriore attività difensiva e contestualmente fissa l'udienza entro i successivi trenta giorni.

 

16. La contumacia dell'attore.

L'art. 13, co. 1, disciplina la contumacia dell'attore secondo l'analogo disposto previsto per l'ordinario giudizio di cognizione all'art. 290 c.p.c. Se l'attore non si costituisce nel termine di dieci giorni dalla notificazione dell'atto di citazione mediante il deposito in cancelleria della nota di iscrizione al ruolo e del fascicolo di parte [123], il convenuto ha due possibilità. In primo luogo gli è consentito, costituendosi nel termine di dieci giorni dalla notifica della comparsa di risposta [124], eccepire nella comparsa di risposta l'estinzione del processo e di depositare in cancelleria l'istanza di fissazione dell'udienza per consentire al giudice di pronunciare, ai sensi dell'art. 12, co. 5, l'ordinanza di estinzione del giudizio, secondo le modalità che abbiamo già visto [125].

La mancata previsione della notificazione all'attore dell'istanza di fissazione dell'udienza secondo la disposizione generale dell'art. 8 non produce effetti negativi sull'esercizio del diritto di difesa di quest'ultimo in quanto l'eccezione di estinzione del giudizio è contenuta nel primo atto difensivo del convenuto e che gli deve essere notificato. Opera qui l'ultima parte dell'art. 290 c.p.c., là dove dispone che il giudice nel dichiarare l'estinzione del processo deve ordinare la cancellazione della causa dal ruolo. Questa disposizione, in assenza di diversa previsione, deve ritenersi applicabile anche nel processo commerciale.

La dichiarazione di estinzione del giudizio non preclude la possibilità per l'attore di riproporre l'azione in giudizio in quanto questa decisione non è idonea ai sensi dell'art. 310 c.p.c. a produrre la cosa giudicata sostanziale.

È pertanto consentito al convenuto, il quale ritenga che la domanda dell'attore, allo stato degli atti, non possa essere accolta, proseguire il processo fissando all'attore un termine non inferiore a trenta giorni dalla notificazione della comparsa medesima per un'eventuale replica: così dispone l'art. 4, co. 2, richiamato dall'art. 13, co. 1. É da evidenziare che alcuna conseguenza negativa deriva alla difesa dell'attore al pari di quel che si verifica per il convenuto ' come vedremo subito ', al punto che in dottrina si è sollevato un dubbio di costituzionalità di questo difforme trattamento [126].

 L'art. 4, co. 2, fa salva l'applicabilità dell'art. 8, co. 2 lett., c) che consente al convenuto di notificare alle altre parti del giudizio, entro venti giorni dalla costituzione in giudizio, l'istanza di fissazione dell'udienza per la decisione della causa nel merito [127]. È evidente che la mancata costituzione in giudizio dell'attore gli ha precluso la produzione in giudizio di prove documentali idonee a sorreggere i fatti costitutivi della domanda giudiziale, con la conseguenza che sarà agevole per il convenuto ottenere il rigetto della domanda attorea. Nel corso della trattazione di questa prima fase del processo commerciale, l'istanza di fissazione di udienza rappresenta l'attività che determina una sorta di cristallizzazione della dialettica processuale, oltre la quale nulla è più consentito. All'attore resta solo la facoltà di replicare alla comparsa di risposta, nel termine a lui assegnato, essendogli precluso il deposito di prove documentali.

Come già evidenziato in dottrina, nulla si dice per l'ipotesi in cui l'attore si costituisca tardivamente [128]: occorrerà, dunque, fare applicazione della normativa comune [129].

 

17. La contumacia del convenuto.

Il secondo comma disciplina la contumacia del convenuto operando un netto mutamento di direzione rispetto all'analogo istituto dell'ordinario giudizio di cognizione. In generale alla contumacia nel codice di procedura civile è attribuito il carattere di comportamento neutro, che esprime la scelta della parte convenuta di non difendersi nel processo instaurato dall'attore dalla quale non deriva alcuna conseguenza negativa. Il legislatore ha poi espressamente previsto all'art. 292 c.p.c. che debbano essere notificati al convenuto una serie di atti processuali che potrebbero produrre ripercussioni negative sulla sua posizione processuale salvaguardando così il suo pieno diritto al contraddittorio. Ai sensi dell'art. 291 c.p.c. presupposto per la declaratoria di contumacia del convenuto è che egli non si sia costituito in giudizio ai sensi dell'art. 166 c.p.c.

Nell'ambito del nuovo processo commerciale, la contumacia assume una forte connotazione negativa per il convenuto il quale non notifichi o notifichi, ma tardivamente, la comparsa di risposta all'attore. Una prima differenza emerge dal presupposto della contumacia del convenuto che, nella nuova disciplina, deriva non già dalla mancata costituzione in giudizio, bensì dalla mancata notifica nei termini del primo atto difensivo del convenuto, la comparsa di risposta [130]. Questa soluzione è peraltro coerente con la ratio del nuovo processo in cui la "presentazione" delle parti al giudice, che avviene con la costituzione in giudizio, rappresenta un momento secondario rispetto alla centralità della dialettica fra le parti che ha luogo mediante il reciproco scambio degli atti difensivi. Sicchè, se il convenuto non notifica la comparsa di risposta nel termine fissatogli dall'attore nell'atto di citazione, quest'ultimo è innanzi ad una duplice scelta. In primo luogo potrà scegliere di notificargli una nuova memoria ai sensi dell'art. 6, proseguendo il giudizio. In questo modo prende avvio un processo contumaciale di fatto nel quale, nonostante la mancata declaratoria di contumacia del convenuto, costui non è presente nel processo. In questo contesto paiono applicabili le norme previste dal codice di rito e in particolare del già richiamato art. 292 c.p.c. a salvaguardare il diritto di difesa del convenuto che potrebbe aver interesse a contestare un eventuale allargamento della materia del contendere. Il convenuto potrà pertanto ancora costituirsi in giudizio salvo incorrere nella decadenza dalle attività che gli siano ormai precluse ai sensi della nuova normativa.

Qualora l'attore ritenga di avere già sufficientemente delineato le sue pretese allegando i fatti costitutivi che fondano la sua domanda opterà presumibilmente per il deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza, che deve essere previamente notificata al convenuto che altrimenti non potrebbe averne notizia. A questo punto si apre la fase di decisione della causa nel merito con la peculiarità ' in questo sta la vera novità ' che i fatti affermati dall'attore si intendono non contestati [131]: questo comporta che l'attore sia sollevato dalla prova dei medesimi così che se le argomentazioni da lui svolte nell'atto di citazione nonchè i fatti allegati a sostegno della domanda sono concludenti nell'affermare l'esistenza del diritto fatto valere, il giudice non potrà che accogliere la domanda attorea nel merito. Si è così passati da un sistema detto di ficta contestatio, proprio del giudizio ordinario, regolato dal secondo libro del c.p.c. per cui si assumeva che i fatti affermati dall'attore fossero contestati dal convenuto contumace cosiccgè l'accoglimento della domanda attorea richiedeva comunque la prova dei fatti affermati nell'atto di citazione, ad un sistema c.d. di ficta confessio per cui la mancata difesa del convenuto comporta una fittizia non contestazione dei fatti costitutivi della domanda attorea con il conseguente venir meno dell'onere di provarli a carico dell'attore.

La radicale differenza di disciplina tra l'attuale processo ordinario e il processo commerciale è stata peraltro composta nella proposta n. 23 elaborata dalla Commissione di Studio per la riforma del processo civile, presieduta dal Prof. Vaccarella espressamente prevede una analoga regolamentazione della contumacia per il futuro processo civile.

Qualche considerazione merita ancora l'art. 13, co. 2, 'ultima parte, là dove dispone la possibilità per il giudice che lo ritenga opportuno di deferire all'attore il giuramento suppletorio [132]. Una simile disposizione deve essere letta alla luce dell'inciso secondo il quale "il Tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa " [133]. Affinchè la domanda attorea sia meritevole di accoglimento non è sufficiente la contumacia del convenuto. È invece necessario che dal complessivo tenore delle affermazioni contenute nell'atto di citazione possa logicamente ritenersi esistente il diritto fatto valere: devono pertanto compiutamente essere indicati i fatti costitutivi del diritto fatto valere e non deve emergere l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi. Se poi il tribunale, nonostante la logicità delle affermazioni svolte e dalla allegazioni dei fatti, non ritenga sia compiutamente raggiunta la prova dell'effettiva sussistenza del diritto fatto valere potrà ricorrere al giuramento suppletorio [134]. In proposito occorre rammentare che il giuramento non può essere deferito su diritti indisponibili dalle parti[135], su fatti illeciti[136] o su contratti per la validità dei quali occorre la prova scritta ad substatiam[137]

 

18. Mancata tempestiva costituzione di tutte le parti del processo.

Qualora nessuna delle parti si sia costituita nel termine a lei assegnato e quindi l'attore, nel termine di dieci giorni dalla notificazione dell'atto di citazione, e il convenuto, nel termine di dieci giorni dalla notificazione della comparsa di risposta, il processo entra in uno stato di quiescenza che può essere interrotto anzichè dall'istanza di riassunzione "entro un anno dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto", al pari di quel che accade nel processo ordinario ex art. 171 c.p.c., dall'istanza di fissazione dell'udienza, che conduce alla immediata definizione del thema decidendum per la decisione della causa.

La legge non indica un termine oltre il quale è possibile proporre l'istanza di fissazione dell'udienza. Secondo una prima soluzione l'istanza deve essere notificata nel termine di cui all'art. 8, co. 4, altrimenti il processo si estingue [138]. Secondo altra tesi la mancata tempestiva soluzione comporta l'immediata estinzione del giudizio che però è subordinata al rilievo di parte: così se una parte propone istanza di fissazione di udienza ex art. 13 l'altra parte può costituirsi e denunciare l'avvenuta estinzione del giudizio altrimenti il processo proseguirà con la decisione della causa [139]. Nel silenzio normativo pare più opportuno applicare il termine previsto dall'art. 171 c.p.c. ' che richiama l'art. 307, co. 1 e 2, c.p.c. - che consente di riassumere la causa entro un anno dal termine per la costituzione in giudizio del convenuto [140].

L'istanza di fissazione di udienza deve essere depositata in cancelleria e solo successivamente notificata alle altre parti del giudizio a differenza di quel che dispone ordinariamente l'art. 8. Dalla notificazione alle altre parti dell'atto con il quale vengono notiziate del deposito dell'istanza di fissazione di udienza decorre il termine di dieci giorni entro il quale esse possono costituirsi mediante il deposito degli scritti difensivi, i documenti offerti in comunicazione nonchè la nota contenente la formulazione delle rispettive conclusioni. È evidente che secondo la ratio che esige che, oltre l'istanza di fissazione di udienza, tutte le attività non ancora precluse non possano più essere svolte con la sola eccezione che consente il deposito in cancelleria dei documenti che seppure già proposti la parte, non essendosi ancora costituita, non ha potuto produrre prima: con la locuzione "scritti difensivi" il legislatore ha inteso fare riferimento all'atto di citazione o alla comparsa di risposta a seconda della parte che si costituisce e la nota contenente le conclusioni avrà ad oggetto la riformulazione delle richieste già avanzate.

Se una delle due parti ritiene non opportuno costituirsi ad essa si applicherà la disciplina dell'art. 13, co. 1 e 2. Se a non costituirsi è l'attore, il convenuto può scegliere fra chiedere la pronuncia di estinzione del processo o continuarlo per ottenere una decisione nel merito. Se a rimanere formalmente assente dal processo è il convenuto i fatti affermati dall'attore si intendono non contestati ai fini della decisione nella causa nel merito.

Qualora nessuna delle parti del processo, seppur dopo lo scambio degli scritti difensivi iniziali, intenda costituirsi l'ipotesi non è espressamente regolata dal legislatore. Questo comporta l'applicazione delle norme contenute nel secondo libro del codice di procedura civile e quindi degli artt. 171 e 307, co. 1 e 2, c.p.c. che prevedono il passaggio del processo in uno stato di quiescenza che porta all'estinzione del processo se entro l'anno una delle due parti non presenta istanza di fissazione dell'udienza.

 

19. L'inosservanza dei termini processuali.

L'art. 13, co. 2, pone una regola di chiusura, ribadisce l'impianto di fondo di tutta la riforma legislativa, che traspare quà e là in diverse disposizioni, operata con il d. lgs. n. 5 del 2003 che vuole che il nuovo processo commerciale sia affare privato rimesso alla esclusiva disponibilità delle parti almeno nella fase iniziale di definizione del thema decidendum.

La previsione di termini entro cui compiere determinate attività, talvolta anche con la sanzione della decadenza, rappresenta, nella volontà del legislatore, una indicazione per le parti che hanno l'onere di rispettarli solo e qualora la controparte, che vi abbia interesse, sollevi eccezione in tal senso nella prima istanza a difesa successiva a norma dell'art. 157 c.p.c. Il legislatore ha qui espressamente richiamato il regime della nullità degli atti processuali previsto per il processo ordinario. Non solo la violazione di termini ordinatori, ma anche il mancato rispetto di veri e propri termini perentori colpito con la sanzione della decadenza sono rimessi alla esclusiva disponibilità delle parti. Il giudice non può intervenire e, se la controparte non rilevi il vizio sollevando immediatamente eccezione nella prima difesa, questo è sanato.

L'art. 13, co. 4, nella versione integrata ed ampliata dal D. lgs. 37/04, richiama espressamente sia i termini contenuti negli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 10 sia tutte le decadenze facendo salvo il disposto dell'art. 13 co. 1, 2  e 3 che, come abbiamo visto, sanzionano rispettivamente la mancata costituzione dell'attore, la mancata tempestiva notifica della comparsa di risposta da parte del convenuto nonchè la mancata costituzione in giudizio delle parti.

Se nel corso del processo, secondo un giudizio che parrebbe discrezionale del giudice relatore, ' stante l'ampia formula del dettato legislativo che dice "valutata ogni circostanza" - si sono verificate delle irregolarità procedimentali che hanno impedito ad una delle parti il corretto esercizio del diritto di difesa il giudice relatore può rimettere in termini detta parte. Evidentemente le norme richiamate sono gli artt. 184 bis e 294 c.p.c., che disciplinano la rimessione in termini nell'ordinario giudizio di cognizione ferma però, secondo l'ultima parte del quinto comma dell'art. 13, l'inammissibilità delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, delle allegazioni, delle istanze istruttorie proposte nonchè dei documenti depositati dal convenuto dopo la seconda memoria difensiva ovvero dall'attore dopo la memoria successiva alla proposizione della domanda riconvenzionale.

Questa norma ha destato non pochi problemi interpretativi. Corretta pare la soluzione che rimette alla valutazione del giudice e nei limiti in cui il diritto di difesa delle parti sia stato effettivamente leso determinare quali siano le attività precluse secondo la irregolarità procedimentale verificatasi [141]. Nel precisare la portata della disposizione, altri ha evidenziato che la norma ha mera funzione chiarificatoria, consentendo espressamente alla parte rimessa in termini di svolgere le difese ritenute essenziali dal legislatore ' e che devono essere svolte a pena di decadenza nei primi atti difensivi ' che non abbia potuto svolgere per una irregolarità procedimentale e dall'esercizio delle quali sia ormai decaduta [142].

Autore: Dott.ssa Maria Carla Giorgetti - tratto dal sito: www.judicium.it

 
Note:

[1] L'intento acceleratorio è il leit motif di tutte le riforme degli anni novanta in materia di diritto processuale e il che è certamente alla base della scelta legislativa di rendere la durata ragionevole dei procedimenti un principio con espressa copertura costituzionale (art. 111, co. 2, Cost.), cui ha fatto seguito  l'introduzione ' mediante la cd. legge Pinto ' della possibilità di adire, per coloro il cui diritto ad una giustizia in tempi rapidi sia stato leso, le vie giurisdizionali per vedere condannare lo Stato al pagamento di una equa riparazione monetaria. Per la disamina del generalissimo ambito applicativo della nuova legge v. spec. Giorgetti, L'equa riparazione italiana nel processo, in Quaderni dell'Università di Bergamo, Bergamo 2003, 2 ss. Per il rilievo che la riforma dovrebbe consentire un'economia di attività dell'organo giusdicente v. Cecchella, Il nuovo rito ordinario per le liti societarie: un'anticipazione della riforma del processo civile, in Judicium, spec. par. § 5; formula qualche perplessità sul punto Tarzia, Interrogativi sul nuovo processo societario, in Riv. Dir. Proc., 2003, 648, rileva che la riforma intende garantire alla parte "che persegua una tempestiva decisione ... di ottenerla tempestivamente"; Sassani, Sulla riforma del processo societario, in La riforma delle società. Il processo, a cura di B. Sassani, Torino 2003, 2; chiarisce che la locuzione "riduzione dei termini processuali" esprime l'esigenza di riduzione della durata del processo attraverso un'adeguata disciplina della "concentrazione" e afferma espressamente che se il disegno globale di riforma del processo civile andrà in porto il rito societario avrà costituito il suo banco di prova Vaccarella, La riforma societaria: aspetti processuali, in Corr. Giur., 2003, 1501, 1504; evidenzia che il nuovo rito speciale è stato concepito come concentrazione ed accelerazione di un nuovo rito ordinario prefigurato dalla proposta di riforma globale del processo civile redatta dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Vaccarella anche Proto Pisani La nuova disciplina del processo societario (note a prima lettura), in Foro it. 2003, IV, 1 ss.; per analoghi rilievi v. Costantino, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria di primo grado, in Riv. dir. proc., 2003, 389, 390.

[2] Espressamente in questi termini Consolo, Le liti societarie e finanziarie: progetti processuali e tipologie di tutele al di là del "favoloso" art. 11, in Corr. Giur., 2002, 687. In senso favorevole a forme di tutela differenziata v. ampiamente Costantino, Contributo alla ricerca di un modello processuale per i conflitti economici, in Le società, 2000, 161 ss., spec. 163 ss.

[3] Sul punto vedi le osservazioni di Riva Crugnola, Le attività del giudice nel nuovo "processo societario" di cognizione di primo grado: fissazione dell'udienza, istruzione, fase decisoria, in Le Società, 2003, 782. Nel senso che si tratta di un rito affatto autonomo dall'ordinario processo di cognizione e al quale va senza dubbio attribuita natura di rito differenziato espressamente Proto Pisani La nuova disciplina del processo societario, cit. 4; nello stesso senso Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 398.

[4] In proposito v. spec. Tarzia, op. cit., 641 ss. Secondo Consolo, Esercizi imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corr. Giur., 2003, 154 ss., l'art. 12 della  legge-delega n. 366 del 3 ottobre 2001 non consentiva la creazione di un mini codice di diritto processuale civile societario. La conclusione è ribadita dal medesimo autore anche in Id., Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, in Corr. Giur., 2003, 1505 ss., spec. 1507. Dubita della congruità della nuova disciplina con i principi  e i criteri direttivi della legge delega Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 391, 392 che parla di un "vizio genetico" del nuovo rito; perplessità di carattere costituzionale sono espresse anche da Proto Pisani, I lineamenti del nuovo processo societario, in Riv. dir. civ., 2003, 556 ss., il quale osserva che anche "qualora si volesse ritenere (alla luce del principio di "riempimento" come elaborato dalla giurisprudenza costituzionale in riferimento all'art. 76 Cost.) che il Governo è stato delegato a introdurre anche un nuovo rito a cognizione piena, ci troveremmo di fronte ad un'ipotesi palese di illegittimità costituzionale della legge delega per mancanza di specificità e determinatezza dei principi della delega"; secondo Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, in Judicium, par. 1, il vizio di incostituzionalità potrebbe profilarsi qualora la riforma non riuscisse, in concreto, a raggiungere il perseguito obiettivo della concentrazione e riduzione dei tempi processuali in quanto con questa riforma "il legislatore delegante ha privilegiato l'obiettivo come oggetto della delega piuttosto che il percorso coerente con la delega"; Vaccarella, La riforma societaria: aspetti processuali, cit., 1502 contro il rilievo che vi sarebbe stato il mancato rispetto dei limiti segnati dalla legge delega mette in luce che il modello concentrato del giudizio ordinario è il processo del lavoro. Tale rito peraltro mal si adatta alla complessità delle cause societarie. Pertanto l'obiettivo di una rapida definizione dei giudizi mediante "la concentrazione", cioè la riduzione del numero delle udienze coram iudice esige il ricorso ad una tecnica diversa da quella delle preclusioni: un modello nel quale la fase preparatoria non si svolge più coram iudice ma tra le parti prendendo atto del fatto che il giudice non può conoscere la causa dall'inizio alla fine senza essere impegnato in inutili udienze a vuoto: per questi rilievi si veda anche Sassani, Sulla riforma del processo societario, cit., 1 ss.; Sassani, Tiscini, Il nuovo processo societario. Prima lettura del d.lgs. n. 5 del 2003, in Giust. Civ., 2003, 51, per i quali il legislatore ha preso atto del fallimento dell'attuale disciplina del processo di cognizione che inizia con un'udienza davanti al giudice cui seguono una serie di inutili incontri; di segno contrario l'opinione di Proto Pisani, op. ult. cit., 555, per il quale sottraendo la fase preparatoria ai giudici togati non si risponde all'esigenza di diminuire il sovraccarico dei giudici, il cui maggior lavoro è dato dallo studio della controversia e dalla redazione della sentenza.

[5] La questione di legittimità costituzionale ha per lo più coinvolto il rito ordinario commerciale mentre per i metodi alternativi di definizione delle controversie si è ritenuto che un eccesso di delega non sia prospettabile stante una più precisa indicazione in tal senso da parte del legislatore: così Tarzia, op. cit., 644; Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 389 ss. in questo senso si è anche espresso Cecchella, op. cit., § 1, per il quale è l'intento di introdurre in forma anticipata la riforma generale che ha probabilmente portato l'esecutivo ad eccedere la delega.

[6] Il Consiglio Superiore della Magistratura, nel Parere reso in data 12 dicembre 2002, in Foro it., 2003, V, 175 ss., ha enunciato che la legge delega «assume chiaramente (...) come tertium comparationis il processo ordinario di cognizione qual è disciplinato dal II Libro del codice di rito, rispetto al quale deve realizzarsi, con l'introduzione di ogni necessaria modifica sull'articolazione delle udienze e sull'entità dei termini processuali, l'intervento del legislatore delegato. Diversamente, con lo schema di decreto legislativo, si è disciplinato per intero un nuovo rito a cognizione piena operando secondo linee culturali che implicano l'assunzione di un modello processuale in toto difforme da quello vigente». Quanto alle opinioni espresse in precedenza dal Consiglio Superiore della Magistratura, va richiamata la Risoluzione resa in occasione delle proposte di riforma, poi trasfuse nella "novella del 1990", che evidenziava, in senso critico rispetto alla introduzione della prima udienza di comparizione (udienza ex art. 180 c.p.c.) che "ciò che conta veramente non è tanto l'accelerazione in assoluto, quanto il fatto che il processo, magari a costo di una pausa iniziale, sia posto in condizioni di non partire col piede sbagliato di una udienza di mero rinvio": l'intento della riforma parrebbe proprio quello di evitare che il processo parta "con il piede sbagliato".

[7] Per il principio secondo cui ai fini del controllo di un preteso vizio costituzionale di eccesso di delega occorre effettuare l'interpretazione tenendo conto del complessivo contesto e delle finalità che hanno ispirato la legge delega v. Corte cost. 5 febbraio 1999, n. 15, in Giust. Civ., 1999, I, 936.

[8] Per i criteri enunciati dalla Corte costituzionale su cui si deve fondare il giudizio di conformità fra norma delegata e norma delegante v. Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, 3045; in Corr. Giur., 2000, 1453; in Riv. Dir. Priv., 2000, 734.

[9] In questo senso Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 392, ritiene che il nuovo modello processuale sia solo apparentemente in contrasto con la risalente tradizione secondo cui il giudice collabora con le parti alla definizione del thema decidendum e del thema probandum.

[10] V. spec. Giuliani, Dalla "litis contestatio" al "pleading-system". Riflessioni sui fondamenti del processo comune europeo, in Riv. Dir. Proc., 1993, 954.

[11] Nel criticare la complessiva congruità del sistema introdotto dalla riforma, diversi Autori non mancano di sottolineare la notevole diversità del modello introdotto da quello previsto dal rito formale del c.p.c. del 1865, nel quale ciascuna delle parti, di fronte alla decisione dell'avversario di investire della controversia il giudice attraverso l'iscrizione della causa sul ruolo cosidetto di spedizione, si vedeva ancora garantita la possibilità di replica e di nuove allegazioni e richieste istruttorie: così Balena, Prime impressioni sulla riforma dei procedimenti in materia societaria. La fase introduttiva del processo di cognizione, in Giur. It., 2003, 2205, e Proto Pisani op. ult. cit., 552.

[12] Così espressamente Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, 4 ed., Napoli 1923, 701.

[13] Cfr. Relazione al Governo, in ordine alla fase di trattazione del c.p.c. 1865, in Il codice di procedura civile del Regno d'Italia per l'avvocato Francesco Saverio Gargiulo, Napoli 1887, 578 ss.

[14] Il primo intervento si è attuato per mezzo dell'avviso di rettifica in Gazz. uff. 9 settembre 2003, n. 209, 62. Il secondo intervento è stato attuato dal decreto 6 febbraio 2004, n. 37, rubricato "Disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi nn. 5 e 6 del 2003, recanti la riforma del diritto societario, per il coordinamento con il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo numero 385 del 1993 e con il testo unico dell'intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo numero 58 del 1998.".Vedi il testo del decreto in Gazz. uff. 14 febbraio 2004, n. 37.

[15] Per l'evoluzione di questa disposizione nel susseguirsi dei Progetti di legge proposti v. Gioia, Commento sub art. 1, in La riforma delle società. Il processo a cura di B. Sassani, cit., 23.

[16] Gioia, op. cit., 24 ss. evidenzia che il legislatore ha voluto trattare con il nuovo rito tutte le controversie attinenti il funzionamento interno delle società, quest'ultima latamente intesa sino a comprendere le società di fatto, escludendo perciò i rapporti imprenditoriali che hanno una rilevanza meramente esterna. L'autrice poi si sofferma sulla distinzione in concreto fra rapporti interni ed esterni della società. Per un'attenta disamina delle controversie soggette alla nuova normativa v. Costantino, il nuovo processo commerciale, cit., 400 il quale richiama le indicazioni contenute nella Circolare ministeriale n. 2/2000 del 2 agosto 2000, con particolare riferimento all'elenco delle controversie possibili oggetto di giudizio. 

[17] L'apparente omissione del legislatore che non ha esteso la nuova normativa ai consorzi si ritiene sia da ascrivere al fatto che i consorzi sono normalmente delle forme associative del tutto peculiari ed autonome non riconducibili allo schema proprio delle società. Diverso invece è il discorso per le società consortili costituite ex art. 2615 ter c.c. e delle società consortili finanziarie disciplinate dalla legge n. 787 del 1978 alle quali si ritiene applicabile il nuovo rito commerciale. Ugualmente sono soggette alla nuova disciplina i consorzi di cooperative di cui all'art. 27 e 27 bis della legge Basevi che sono delle vere e proprie società cooperative composte da cooperative. Così argomentando si dà rilievo ad un profilo meramente formale e non sostanziale ma più in linea con il dettato legislativo. Per un'opinione difforme si v. Panzani, Le linee della riforma e l'ambito di applicazione (art. 1, 42), in corso di pubblicazione, che riconduce i consorzi in generale nell'ambito delle società cooperative estendendo loro la nuova disciplina processuale e richiamato in questi termini da Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale, in Judicium, par. 3.

[18] Cecchella, op. cit., precisa che i patti parasociali devono essere intesi in senso estensivo e quindi quelli destinati ad influenzare il diritto di voto oppure a porre limiti alle partecipazioni sociali o che pongono un'influenza dominante sulla società  destinati ex art. 2341-bis ad un regime speciale.

[19] Il d. lgs. n. 5 del 2003 non richiama espressamente il Testo unico esprimendo quindi la volontà di estendere la propria applicazione anche a rapporti in materia di intermediazione mobiliare contenuti in altre norme. In questi termini Gioia, Commento sub art. 1, in La riforma delle società. Il processo, cit. 26-27.

[20] Questa disposizione, contenuta nel d.lgs. 37/04, si giustifica alla luce della recente attenzione posta dal legislatore a tutela del pubblico risparmio leso dalla circolazione di false informazioni determinate da anomalie nel funzionamento degli organi preposti per legge al controllo della gestione della società. In proposito si veda il recente disegno di legge 3 febbraio 2004 n. 144  finalizzato ad una più incisiva tutela del risparmio, approvato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, con il quale secondo il Comuicato della Presidenza del Consiglio "si prevede la trasformazione della CONSOB in "Autorità per la tutela del risparmio", che esercita i propri poteri al fine di assicurare la fiducia del mercato, la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati, nonché l'osservanza delle norme che regolano le materie di competenza. Il provvedimento introduce inoltre, con lo strumento della delega legislativa, norme di carattere sostanziale per la tutela del risparmio riguardanti: market abuse, società di revisione, trasparenza delle società con sede in "paradisi" legali, conflitti d'interesse fra banche ed imprese, conflitti di interesse dei gestori del risparmio, limiti alla circolazione di obbligazioni collocate presso investitori istituzionali. É infine prevista l'istituzione di un sistema di indennizzo per i risparmiatori danneggiati da comportamenti scorretti da parte degli intermediari e vengono introdotti un nuovo reato destinato a tutelare la collettività dei risparmiatori ed un inasprimento delle sanzioni penali ed amministrative già previste dall'ordinamento".

[21] Ritiene che, anche se non espressamente menzionata, la competenza della Corte d'appello quale giudice di unico grado ai sensi dell'art. 33, co. 2, l 10 ottobre 1990, n. 287 ' Norme per la tutela della concorrenza e del mercato ' sulle azioni di nullità e risarcimento del danno, nonchè i ricorsi intesi ad ottenre provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sia fatta salva dalla nuova normativa Costantino, Il nuovo processo commerciale, 398.

[22] Così T.A.R. Lazio, sez. I, 7 settembre 2001, n. 7236 in Trib. Amm. Rag., 2001, I, 2631 e in Foro it., 2002, III, 94; T.A.R. Lombardia, sez. I, 27 marzo 2001, n. 2663, in Rass. Dir. farmaceutico, 2001, 308 e in Trib. Amm. Reg., 2001, I, 466. Per questi rilievi vedi Gioia, op. cit., 27-28, che non manca di sottolineare la sostanziale ambiguità della disposizione e la posizione problematica dell'interprete, stretto tra il rispetto delle regole ermeneutiche che suggeriscono di leggere il richiamo alla Corte d'appello come criterio di competenza per eventuali controversie sulla vigilanza eccezionalmente sottratte alla giurisdizione amministrativa, e l'interpretazione più aderente alla volontà del legislatore delegato, che sembra optare per l'attribuzione incondizionata della materia al giudice ordinario. Trisorio liuzzi, op. ult. cit., par. 4.1, osserva che il d.lgs. n. 5 del 2003, ribadendo la giurisdizione ordinaria, permette il superamento della tesi prospettata in dottrina a seguito dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 80 del 1998, per la quale il procedimento di opposizione di cui all'art. 195, quarto comma, d. lgs. n. 58 del 1998 sarebbe rientrato nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

[23] D. lgs. n. 51 del 1998, entrato in vigore il 1 giugno 1999.

[24] Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 4.4, rileva un probabile errore di formulazione della norma, che introduce un trattamento differenziato non del tutto rispettoso del dettato costituzionale, e propone di affidare sempre la decisione al collegio allorchè la controversia relativa ad una materia di cui al d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 veda coinvolta, come attore o convenuto, un'associazione rappresentativa di consumatori o una camera di commercio.

[25] L'art. 18 costituisce norma di raccordo fra diverse modalità di decisione della causa attribuendo alla modalità che è eccezione ' quella della decisione da parte dell'organo monocratico ' la stesse regole che si seguono nel procedimento normale che è appunto collegiale: così Gioia, Commento sub art. 18, in La riforma delle società. Il processo a cura di B. Sassani, cit., 182. Chiariscono che la valutazione di compatibilità ha riguardo a tutte le ipotesi in cui è strettamente necessaria la presenza del collegio per il funzionamento della norma e della fattispecie processuale da essa prefigurata Amadei-Soldati, Il processo societario. Prima lettura sistematica delle novità introdotte dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, Milano 2003, 80 che sottolineano inoltre che il d. Lgs. n. 5 del 2003 ha introdotto un rito speciale rispetto al processo ordinario di cognizione, ma senza dubbio ordinario per le controversie societarie di cui all'art. 1 sia la decisione rimessa al giudice collegiale che monocratico.

[26] La creazione di sezioni specializzate di diritto societario, finanziario, di diritto del mercato, di diritto degli affari finanziari avrebbe secondo Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1506 garantito una maggior concorrenzialità dell'economia italiana in termini di percorrenza e attendibilità delle decisioni. La scelta di creare delle sezioni specializzate è stata invece seguita dal legislatore in materia di proprietà industriale e intellettuale con il d. Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, rubricato "Istituzione di Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d'appello, a norma dell'articolo 16 della legge 12 dicembre 2002, n. 273".

[27] Il Comunicato del Consiglio dei Ministri del 27 maggio 2000 ' consultabile in http://www.giustizia.it/ministro/com-stampa/cs2000/cs260500.htm ' prevedeva la «configurazione di un giudice professionalmente preparato a valutare sia i presupposti di fatto sia le conseguenze dell'intervento che gli viene richiesto» e «strumenti processuali coerenti con le esigenze di certezza e celerità in modo da migliorare l'affidabilità dei rapporti commerciali senza ostacolarne la fluidità». Per la disamina dell'iter legislativo che ha portato all'attuale disciplina normativa v. Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 387 ss.; Id., La riforma del diritto societario: note sugli aspetti processuali, in Foro it., 2001, V, 273.

[28] Così Consolo, Le liti societarie, cit., 685; Id., Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1506 ss., che sottolinea anche l'esigenza di una riforma dell'attuale riparto di giurisdizioni ormai non più rispondente alla realtà; l'Autore, nell'ottica per cui le inefficenze non devono essere ricercate primariamente nella legge processuale, non svaluta l'attuale assetto dell'ordinario giudizio di cognizione, frutto della riforma del 1990, la cui lentezza è addebitabile alla scarsa funzionalità del fattore umano e organizzativo; con riferimento al progetto di introdurre sezioni specializzate in maetria societaria v. anche Costantino, Contributo alla ricerca di un modello processuale, cit., 161 ss. V. anche l'attuale disegno di legge n. 1296, pendente al Senato, ed avente ad oggetto la riforma dell'Ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 spec. sub art. 8 "Revisione delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari" (reperibile sul sito www.governo.it), che prevede espressamente di razionalizzare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio dello Stato, attienendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

        "a) ridefinire i confini dei distretti delle Corti d'appello, dei circondari dei tribunali e delle circoscrizioni territoriali degli uffici del giudice di pace;

        b) istituire, ove necessario, nuove Corti d'appello, nuovi tribunali ovvero nuovi uffici del giudice di pace, attraverso la fusione totale o parziale del territorio ricompreso negli attuali distretti, circondari o circoscrizioni territoriali e dei relativi uffici, ovvero la sottrazione di parte del territorio di due o più distretti, circondari o circoscrizioni territoriali limitrofi, ovvero mediante l'accorpamento di una o più Corti d'appello, e l'accorpamento o la soppressione di tribunali o uffici del giudice di pace già esistenti;

        c) tenere conto, ai fini indicati alla lettera b), dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, delle caratteristiche dei collegamenti esistenti tra le varie zone e la sede dell'ufficio, nonché del carico di lavoro atteso, in materia civile e penale;

        d) finalizzare gli interventi di cui alle lettere a) e b) alla realizzazione di un'equa distribuzione del carico di lavoro e di una adeguata funzionalità degli uffici giudiziari;

        e) prevedere, anche in deroga alle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392, e delle altre norme di edilizia giudiziaria, la possibilità, con decreto del Ministro della giustizia, di dislocare immobili dell'ufficio giudiziario al di fuori del distretto, circondario ovvero circoscrizione territoriale;

        h) prevedere, limitatamente ai tribunali il cui circondario è stato oggetto di revisione da parte del decreto legislativo 3 dicembre 1999, n. 491, la possibilità di istituire, nel medesimo comune, più uffici di tribunale, ciascuno con esclusiva competenza per una parte del territorio".

[29] Occorre rammentare in proposito la distinzione operata in dottrina fra le ipotesi di connessione per coordinazione ' in cui la decisione separata di cause connesse comporta il solo rischio di una contraddizione logica fra giudicati ' e le ipotesi di connessione per subordinazione in cui la conseguenza della mancata decisione congiunta è più grave e comporta un conflitto pratico fra giudicati. Per questi rilievi vedi Tarzia, Connessione di cause e processo simultaneo, spec. 233 ss.; Merlin, Connessione di cause e pluralità di "riti" nel nuovo art. 40 c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 1993, 1020.

[30] Rileva che l'esclusione dall'ambito di applicazione del'art. 4, co. 3, c.p.c. delle fattispecie di cumulo soggettivo di domande, ex artt. 33 e 103, e di cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c.nel processo ordinario di cognizione vuole evitare che il mutamento del rito previsto da questa disposizione sia rimesso alla scelta dell'attore violando così il principio del giudice naturale precostituito per legge garantito dall'art. 25 Cost. Gioia, op. cit., 20.

[31] V. ampiamente Merlin, op. cit., 1021.

[32] Sul punto Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 399, evidenzia che l'ipotesi di connessione con controversie di lavoro, alla luce dell'introduzione dell'art. 144 ter disp. att. c.p.c. che, di fatto, esclude la competenza del giudice del lavoro per le controversie fra amministrazione e società, nonostante la decisione della Cassazione a Sezioni Unite (si tratta di Cass., S.U., 14 dicembre 1994, n. 10680, in Foro it., 1995, I, 1492) di segno contrario, non dovrebbe assumere rilievo in concreto.

[33] Così Gioia, op. cit., 22.

[34] Da più parti si è infatti sottolineato che il rito societario rappresenta "la prova generale" dei principi e dei criteri direttivi affermati nel progetto elaborato dalla Commissione Vaccarella:; così Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 1. Nello stesso senso Balena, Prime impressioni, cit., 2203 e Proto Pisani, op. ult. cit., 550.

[35] Per quel che riguarda il processo di cognizione il progetto di riforma globale del processo civile proposto dalla Commissione Vaccarella prevede tra l'altro che l'atto introduttivo conserva la struttura propria della vocatio in ius ma perde l'elemento della fissazione dell'udienza; la determinazione della materia del contendere avviene fuori del meccanismo delle udienze, la fase apud judicem ha luogo su istanza della parte che ritenga la causa matura per la decisione: in questo modo la controversia è presentata al giudice solo nel momento in cui può essere effettivamente decisa valorizzando così il ruolo decisorio del giudice. Una nuova disciplina della contumacia del convenuto che da ficta contestatio si traforma in ficta confessio. Sottolinea che l'estraneità della fase di trattazione della causa dal vero e proprio giudizio seppure nuova in ambito europeo continentale non rappresenta una novità per i paesi angloamericani Cecchella, op. cit., par. 5; in proposito vedi anche Dondi, Questioni di efficienza della fase preparatoria nel processo civile statunitense (e prospettive italiane di riforma) in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 161; rileva peraltro Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit. 1508 che in tale realtà processuale sono garantiti alle parti idonei meccanismi di discovery sopratutto documentale per potere ottenere accesso alle informazioni in possesso della controparte, a differenza del nostro sistema in cui a tale esigenza sopperisce malamente l'ordine di esibizione: a tali riguardi il d. Lgs. n. 5 del 2003 non ha previsto alcunché.

[36] Vedi subito infra, nonchè il commento all'art. 17 che segue.

[37] Sul punto v. Tarzia, L'art. 111 e le garanzie europee del processo civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, 1 ss.

[38] In questi termini Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit. 402-403; Giorgetti, Commento sub art. 7, in La riforma delle società. Il processo a cura di B. Sassani, cit., 84, 85; nello stesso senso anche Bove, Il processo dichiarativo societario di primo grado, in Judicium, par. 2; dubita di questa soluzione Fabiani, op. cit., par. 3.

[39] Amadei-Soldati, op. cit., 12. Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 5, pur rilevando l'opportunità di siffatto avvertimento, non ritiene che la sua assenza possa dare adito a dubbi di legittimità costituzionale, specialmente alla luce di Corte cost., ord. 25 maggio 1999, n. 191, in Giur. Cost., 1991, 1828, che ha dichiarato, con riferimento alla mancanza dell'avvertimento nel ricorso nel processo del lavoro, manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 416 c.p.c., "in quanto le caratteristiche strutturali e procedimentali che distinguono il rito ordinario e quello speciale del lavoro ... sono tali da non consentire l'istituzione di raffronti nei quali sia ragionevole assumere il primo a modello di perfezione cui l'altro, pena l'incostituzionalità, sia tenuto ad adeguarsi e viceversa".

[40] Per un'apertura in questo senso v. Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 404. L'autore rileva, poi, che di fronte ad un atto di citazione nullo per indeterminatezza dell'oggetto o carente nell'esposizione dei fatti la strategia più utile per il convenuto consiste nel proporre l'istanza di fissazione dell'udienza per sentire dichiarare la soccombenza nel merito dell'attore.

[41] Balena, op. cit., 2204, osserva che lo scambio di scritti difensivi previsto nella fase preparatoria dovrebbe rendere del tutto remota, nel caso che in convenuto si costituisca, l'eventualità che il vizio sopravviva fino all'udienza, rendendo necessaria l'integrazione della domanda ex art. 164, co. 5, c.p.c.

[42] Cfr. Sacchettini, in Guida alle nuove società, Il Sole 24 ore, febbraio 2003, 88.

[43] V. ancora Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 403; nello stesso senso anche Balena, op. cit., 2204.

[44] Cass. 22 maggio 2001, n. 6959.

[45] Giorgetti ' D'Alessandro, Sub art. 3, in La riforma delle società, a cura di Sassani, cit., 46.

[46] Cfr. il testo della Relazione in Judicium.

[47] Enuncia, ad esempio, il contestuale dimidiarsi dei termini di comparizione e di costituzione Cass. 30 marzo 1998, n. 3316.

[48] Così Ricci, Verso un nuovo processo civile ?, in Riv. Dir. Proc., 2003, 218.

[49] Art. 48 (Del procedimento sommario) "1. Prevedere un procedimento sommario non cautelare, improntato a particolare celerità ma nel rispetto del principio del contraddittorio, che conduca all'emanazione di un provvedimento esecutivo:

a) reclamabile; b) privo dell'efficacia del giudicato; c) esperibile anche nel corso di un processo a cognizione piena;d) idoneo ad eventualmente definire tale processo".

[50] Questa è la soluzione proposta anche da Cecchella, op. cit., par. 9.

[51] Così Fabiani, op. cit., par. 2.

[52] La norma parla espressamente di procuratore in senso atecnico riferendosi non già alla categoria dei procuratori legali soppressi ma più in generale al difensore.

[53] Il legislatore ha operato una semplificazione degli elementi della nota d'iscrizione a ruolo. Non non ne costituisce requisito essenziale la sottoscrizione da parte di un difensore munito dello ius postulandi, mentre è necessario farvi espressa menzione del nome di tutte le parti del giudizio, del nome del difensore che si costituisce e dell'oggetto della domanda. Non è elemento necessario la data della notificazione dell'atto di citazione, in ragione della possibilità di allegare la sola copia, nè la data dell'udienza fissata per la prima comparizione delle parti. Alla nota di iscrizione a ruolo occorrerà anche allegare la ricevuta dell'avvenuto versamente del contributo unificato. Evidenzia Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 406 che nel regolamento sui registri di cancelleria approvato con d.m. 27 marzo 2000 n. 264 non c'è la previsione della creazione di registri per cause non collegate all'attività di un magistrato.

[54] Vedi supra il par. 5 che precede.

[55] La prassi delle cancellerie degli uffici giudiziari aveva finito per ammettere la c.d. costituzione a mezzo della velina della citazione a fronte dell'impossibilità di riottenere in tempi celeri l'originale dell'atto di citazione notificato al convenuto. Tale prassi peraltro contrastava con lo stesso disposto normativo di cui agli artt. 165 c.p.c., 38, 72 e 74 disp. att. c.p.c. che dispongono che la costituzione dell'attore avviene con il deposito del proprio fascicolo ove va inserito l'originale della citazione, e non una mera copia dell'atto. Da ultimo sul punto v. le contrastanti decisioni rese da Trib. Genova, che con ord. 3 giugno 2002 e 20 novembre 2002, in Giur. it., 2003, 2083 e ss., con nota di Curti, hanno nel primo caso disposto che l'iscrizione a ruolo su velina determina nullità della costituzione dell'attore, pronunciandosi invece, con la seconda ordinanza, per la validità di tale forma di costituzione in quanto il procedimento è comunque sanato per raggiungimento dello scopo dell'atto, quando le parti abbiano avuto la possibilità di attuare le loro difese, costituendosi tempestivamente.

[56] Un orientamento abbastanza consolidato della giurisprudenza, di legittimità e di merito ' v., ex plurimis, Cass. 16 luglio 1997, n. 6481, in Giur. it., 1998, 1576, con nota contraria di Ronco, Sul termine per la costituzione dell'attore e sulle conseguenze della sua violazione Cass. 28 novembre 1987, n. 8878; e già Cass. 6 novembre 1958, n. 3601, in Foro it. 1958, I, 1587, tra i giudici di merito v. Trib. Napoli 5 marzo 2002, ivi 2003, I, 303 ' vuole che il termine di costituzione dell'attore decorra dalla data del compimento della prima notifica e, in tal caso, la costituzione in giudizio dell'attore avverrebbe in primis mediante deposito della copia dell'atto di citazione, la quale dovrebbe, in seguito, essere sostituita dall'originale nel termine di dieci giorni dal compimento dell'ultima notificazione. In senso diverso, la dottrina ha argomentato che, a fronte di una pluralità di convenuti, il termine per la costituzione dell'attore decorre dalla data del compimento dell'ultima notifica considerato che, ai fini della valida costituzione in giudizio, l'art. 165, 1 comma, c.p.c. richiede in modo univoco ed inderogabile il deposito dell'originale dell'atto di citazione notificato. Cerino Canova, Dell' introduzione della causa, in Commentario del Codice di procedura civile diretto da E. Allorio, II, 1, Torino, 1980, 375 ss.; e più di recente Saletti, voce Costituzione in giudizio, in Enc. giur. Treccani, X, agg. 1998 2, cui si rinvia anche per altri conformi riferimenti.

[57] Così Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 406 ss. per il quale la mancata comminatoria di espressa decadenza consentirebbe, salvo poi concludere per l'esistenza di un regime di preclusioni alla luce dell'art. 13, co. 5, le attività di mutatio ed emendatio libelli, nonchè la chiamata in causa di terzi, la proposizione di nuove richieste istruttorie e il deposito di nuovi documenti durante tutto il corso della fase preparatoria, salvi gli effetti decadenziali connessi alla istanza di fissazione dell'udienza.

[58] Così spec. Riva Crugnola, op. cit., 784, che sottolinea il passaggio della Relazione secondo cui la direttiva di "concentrazione processuale" è stata realizzata, tra l'altro, attraverso l'"indicazione espressa dei termini di preclusione stabiliti per singole attività (ad es. comparsa di risposta per la riconvenzionale; replica e controreplica per eccezioni in senso stretto ecc.)"; in questo senso è pure Ambrosio, Le attività del giudice: fissazione dell'udienza, istruzione, fase decisoria, Relazione tenuta all'incontro di studio "La riforma del diritto societario (prima edizione)" organizzato a Roma dal Consiglio Superiore della Magistratura dal 27 al 30 gennaio 2003, reperibile sul sito www.cosmag.it., § 1.

[59] Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario, 7.

[60] Così spec. Riva Crugnola, Le attività del giudice loc. cit.; Ambrosio, Le attività del giudice: fissazione dell'udienza, istruzione, fase decisoria, cit., § 1.

[61] La nozione di eccezione riconvenzionale è stata elaborata dalla dottrina meno recente (in particolare Mortara, Commentario al cod. di proc. civ., Milano 1923, 180 ss.) con riguardo alle ipotesi in cui con la domanda riconvenzionale si propone un'azione di accertamento o costitutiva il cui accoglimento ha in primo luogo la funzione di frustrare l'azione principale nelle sue premesse di fatto o di diritto. La nozione è stata oggetto di non poche critiche da parte della dottrina più recente, sul rilievo dell'impossibilità di introdurre un tertium genus tra eccezione e domanda riconvenzionale; così Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano 1939, I, 158; Dini, La domanda riconvenzionale nel diritto processuale civile, Milano 1978, 95; più ampiamente Colesanti, Eccezione (dir. proc. civ.), in Enc. dir, XIV, Milano 1965, 208 e Vullo, La domanda riconvenzionale, Milano 1995, 215 ss.

[62] Così Proto Pisani, op. cit., 7.

[63] Così in dottrina Attardi, Diritto processuale civile, Padova 1994, 246. In senso contrario cfr. Tarzia, Balbi, voce Riconvenzione (dir. proc. civ.), in Enc.  dir., XL, Milano 1989, 673; Vullo, La domanda riconvenzionale, Milano 1995, 270. La giurisprudenza dominante ritiene che la domanda riconvenzionale non eccedente la competenza del giudice adito è ammissibile pur se non connessa per titolo od eccezione a quella attorea, purché tra le due decisioni vi sia un collegamento che implichi l'opportunità della trattazione e decisione simultanea: v. Cass. 14 febbraio 2000, n. 1617; Cass. 19 settembre 1997, n. 9313, in Giur. it. 1998, 882, con nota critica di Vullo, Sull'ammissibilità del simultaneus processus tra domanda di divorzio e domanda riconvenzionale di scioglimento della comunione legale; Cass. 22 gennaio 1990, n. 317; Cass. 30 marzo 1988, n. 2694.

[64] V. espressamente Nappi, Commento sub art. 269 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato a cura di Consolo e Luiso, 2 ed., I, Milano 2000, 1307.

[65] V. supra § 5.

[66] Così Giorgetti ' D'Alessandro, Commento sub art. 4, in La riforma delle società. Il processo, a cura di Sassani, 60, 61; orientato verso la proposizione di un atto unico parrebbe Briguglio, Commento sub art. 8, idem, 89.

[67] Conf. Fabiani, op. cit., par. 4, il quale peraltro denuncia una lesione del diritto del contraddittorio dell'attore difficilmente sanabile con la comparsa conclusionale in cui alcun elemento nuovo è concesso  e neppure dalla rimessione in termini che presuppone un'attività incolpevole della parte mentre qui la lesione del diritto di difesa è immediata conseguenza dell'applicazione della legge.

[68] Conf. Balena, op. cit., 2204 ss.; di segno contrario l'opinione di Amadei-Soldati, op. cit., 18-20 per cui l'istanza di fissazione dell'udienza dovrebbe essere chiesta quando la parte non ha più nulla da dire e pertanto l'atto non contenga alcuna difesa; ammette più largamente la possibilità di proporre istanza di fissazione dell'udienza anche nella comparsa di risposta Briguglio, op. ult. cit., 90; V., poi, Giorgetti, D'alessandro, op. ult. cit., per le quali le parti sono, sin dall'inizio del processo, del tutto consapevoli che l'atto che stanno redigendo potrebbe essere il loro ultimo atto difensivo, salva la facoltà di svolgere compiutamente le proprie conclusioni nella memoria conclusionale e/ o alla successiva udienza di discussione.

[69] Sottolinea il rispetto, da parte della normativa in esame, del principio del contraddittorio Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 412.

 

[70] Valorizzate da Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 407.

[71] V. Sassani, Tiscini, Il nuovo processo societario, cit., 52.

[72] In proposito vedi supra il par. 5, ove l'esame della versione novellata dell'art. 2 d. lgs. 5/03. Pur trattandosi di una scelta che presumibilmente compete all'attore, non è escluso che di tale facoltà si possa avvelere anche il convenuto.

[73] Vedi analiticamente su questo principio caratterizzante il processo societario retro il par. 8 che precede.

[74] Sul punto v. Giorgetti, Commento sub art. 6, in La riforma delle società. Il processo a cura di B. Sassani, cit., 69 ss.

[75] Cass. 13 maggio 1993, n. 5460. Più in generale, per l'affermazione dell'ammissibilità delle riconvenzionali dell'attore nel processo ordinario già prima dell'entrata in vigore del nuovo art. 183, 4 comma, c.p.c. cfr. Trib. Milano 12 novembre 1992, in Giur. dir. ind. 1993, 248; e in Riv. dir. ind. 1995, II, 290, con nota di Guglielmetti. In dottrina cfr. spec. Vullo, voce Riconvenzione, cit. 557 ss. Sul punto con riguardo all'attuale art. 183, 4 comma, c.p.c. cfr. per tutti Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, 2 ed., Milano 2002, 132. 

[76] Cfr. Trib. Roma 15 novembre 1996, in Banca, borsa e titoli di credito 1998, II, 197; Trib. Reggio Emilia 2 agosto 1996, in Giur. it. 1998, 494, con nota di Gili.

[77] V. espressamente Nappi, op.cit., 1307.

[78] Per queste osservazioni si v. Costantino, Il nuovo processo commerciale, loc. cit.,

che evidenzia che si sarebbe in presenza di una disparità di trattamento immotivata che neppure discende dall'operare del principio di eventualità, che solo giustifica un diverso trattamento per l'attore e per il convenuto in riferimento ai primi scritti difensivi. Per analoghi rilievi v. Giorgetti,  Commento sub art. 7, in La riforma delle società, cit., 82.

[79] Così espressamente la Relazione illustrativa al decreto del nuovo processo societario, in Judicium.

[80] In questi termini si sono espressi anche Cecchella, op. cit., par. 7; Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al Tribunale, cit., par. 9.7.

[81] V. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario, cit., 7.

[82] Così  si è espresso Balena, Prime impressioni sulla riforma dei procedimenti in materia societaria, cit., 2206; conforme Trisorio Liuzzi, op. loc. ult. cit.

[83] Opportuna è la precisazione di Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 414, secondo il quale la disposizione deve essere integrata con il disposto dell'art. 168 bis c.p.c. nel senso che presso i tribunali di grandi dimensioni il presidente del tribunale assegna la causa ad una sezione, il presidente di questa designail collegio e il presidente del collegio designa il relatore.

[84] Così Amadei-Soldati, op. cit., 31.

[85] Corte cost. 12 luglio 2002 n. 336, con nota adesiva di Amadei, Buone notizie dalla Corte Costituzionale: il verbale di conciliazione è valido titolo esecutivo per gli obblighi di fare, in Judicium.

[86] In questi termini Briguglio, Sub art. 8, in La riforma delle società. Il processo, cit., 88-89.

[87] È così rispettato il diritto al contraddittorio delle parti per cui in generale alla proposizione di una domanda nuova o di un'eccezione non rilevabile d'ufficio corrisponde il diritto di replica della controparte: così Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 412.

[88] Perplessità sulla disposizione sono espresse da Balena, op. cit., 2205 e ss. e da Bove, Il processo dichiarativo societario di primo grado, in Judicium, par. 2, in relazione ad una possibile violazione del diritto di difesa dell'attore che si vede precludere, ex art. 10 secondo comma, la possibilità di replica, sul rilievo che "è impensabile che l'attore non possa rispondere pienamente (con allegazioni, istanze istruttorie ed anche domande conseguenti) alle difese del convenuto, ancorché questi non abbia fatto domanda riconvenzionale, né chiamato terzi, né sollevato eccezioni in senso stretto".

[89] Sull'ambito dei poteri esercitabili dai terzi nel processo commerciale si veda infra il commento all'art. 14.

[90] Per una soluzione difforme che privilegia il momento del deposito in cancelleria dell'istanza si v. Tiscini, Sub art. 11, in La riforma delle società. Il processo cit., 118, 119.

[91] Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 9.8, osserva che nulla ha disposto il legislatore per l'ipotesi di omesso o tardivo deposito dell'istanza di fissazione dell'udienza dopo la sua notificazione. Secondo l'Autore, considerata la natura perentoria del termine, il mancato rispetto di questa incombenza comporterebbe la decadenza, per la parte che l'ha notificata, dalla possibilità di chiedere la fissazione dell'udienza, il che non priverebbe comunque le altre parti, che hanno ricevuto la notifica dell'istanza, del diritto di ottenere comunque la pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza.

[92] Secondo un primo orientamento si è ritenuto che l'eccezione costituirebbe elemento integrante della fattispecie estintiva con retroattività degli effetti di questa fattispecie dalla data in cui si sia verificato il fatto previsto dalla legge come causa di estinzione: così Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III ediz., II, Napoli 1956, 339; Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano 1972, 198; Vaccarella, Inattività delle parti ed estinzione del processo di cognizione, Napoli 1975,  250 ss. Altra lettura argomenta che l'estinzione conseguirebbe di diritto al contegno omissivo di parte e la relativa eccezione si renderebbe necessaria come strumento volto ad impedire un'altrimenti inevitabile reviviscenza del processo: così Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano 1984, 207; Mandrioli, Diritto processuale civile, II, 15 ed., Torino 2003, 362, 363; Cipriani, La declaratoria di estinzione per inattività delle parti del processo di cognizione di primo grado, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 144. Si vedano inoltre le novità introdotte dal progetto di legge delega per la riforma globale del codice di procedura civile presentata dalla Commisisone presieduta dal Prof. Vaccarella con particolare riferimento all'art. 26 che, tra l'altro, prevede espressamente la distinzione fra estinzione per inattività semplice e estinzione per inattività qualificata e stabilisce che l'estinzione per inattività semplice sia rilevabile solo ad istanza di parte, mentre l'estinzione per inattività qualificata sia rilevabile anche d'ufficio.

[93] Così Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano 2002, 206 nota 140. Il progetto di riforma generale del codice di procedura civile proposto dalla Commissione presieduta dal Prof. Vaccarella prevede espressamente all'art. 12 "l'estinzione officiosa del giudizio nel caso di omessa integrazione del contraddittorio nel termine perentorio fissato dal giudice, se non prorogato prima della scadenza per giusti motivi". V. anche la nota che precede.

[94] Così Cecchella, op. cit., par. 7, per il quale il legislatore ha creato due sistemi di preclusioni entrambi rimessi all'iniziativa della parte.

[95] In proposito Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario, cit., 5, fa constare che il meccanismo delle preclusioni scatta non già con l''istanza di fissazione dell'udienza mediante la concessione di un termine alle parti per esercitare tutte le difese, come accadeva nel processo del 1865, bensì in un momento anteriore e cioè quello del proprio ultimo atto difensivo.

[96] Questa previsione supera il principio ispiratore del codice vigente teso ad imporre a tutte le cause il medesimo ritmo ed introduce la nuoav regola che il giudizio abbia la durata voluta dalle parti: in questi termini Vaccarella, La riforma societaria: aspetti processuali, cit., 1503; per una svalutazione all'atto pratico della previsione dell'onere dell'eccezione della controparte per l'operatività della preclusione cfr. Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1507.

[97] Rileva che il rimedio offerto dall'art. 11 non è particolarmente incisivo Riva Crugnola, Le attività del giudice, cit., 787 in quanto la valutazione in ordine alla opportunità di anticipata rimessione della decisione della questione al collegio è rimessa all'accordo delle parti.

[98] In proposito ci si è chiesti in dottrina se con questa disposizione il legislatore abbia voluto bandire dal nostro ordinamento le sentenze non definitive. In questo senso si è espresso Vaccarella, La riforma del processo societario: risposta ad un editoriale, in Corr. Giur., 2003, 262; a questa conclusione perviene seppur in forma dubitativa Cecchella, op. cit., § 9; ritiene che si tratti di una novità rilevante applicabile però alla sola ipotesi di presentazione di istanza di fissazione congiunta Trisorio Liuzzi, op. cit., § 10; di contrario avviso Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 428-430 per il quale la disposizione si applica anche qualora la decisione su una questione pregiudiziale sia stata sollevata da una sola parte; ritiene infine che l'idoneità astratta delle decisioni di questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito a definire il giudizio impone l'utilizzo della sentenza; l'Autore sottolinea il ripristino da parte del legislatore della soluzione propria del codice del 1940.

[99] In proposito Vaccarella, La riforma societaria: aspetti processuali, cit., 1505, già rilevava che la scelta dell'ordinanza non impugnabile presenta il vantaggio per il giudice di riesaminare il provvedimento in sede di decisione della causa senza dover stilare una sentenza ad hoc; in questo senso anche Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1517-1518, sottolinea che la scelta dell'ordinanza è stata guidata dall'intento di evitare la immediata impugnabilità dei provvedimenti in esame, nonostante ne permanga ex art. 177 la revocabilità; l'Autore poi ritiene che più opportuno sarebbe stato prevedere la decisione con sentenza che, ove non definitiva, non fosse autonomamente impugnabile.

[100] Cfr. art. 178 c.p.c. e art. 16 d. Lgs. n. 5 del 2003, giusta il quale "il tribunale conferma o revoca, in tutto o in parte, il decreto con ordinanza".

[101] V. Cass. 14 gennaio 1980, n. 290 in Giur. It., 1981, I, 277 con nota di Cerino Canova, che ha ritenuto impugnabile con il regolamento di competenza un'ordinanza collegiale declinatoria della competenza, sottoscritta dal solo presidente; in dottrina v.  Garbagnati, Sull'impugnazione dei provvedimenti decisori emessi in forma di ordinanza, in Giur. It., 1949, I, 1, 385; ma per la diversa opinione che invece fa leva sull'elemento formale v. autorevolmente Tarzia, Profili della sentenza impugnabile, Milano 1967, 86, 117, 177; Mandrioli, L'assorbimento dell'azione civile di nullità e l'art. 111 della Costituzione, Milano 1967, 104.

[102] Vedi l'art. 375, nel testo derivante dalle modifiche apportate dalla legge 24 marzo 2001, n. 89.

[103] Dubitativo anche Trisorio Liuzzi, op. cit., § 10 per il quale la preventiva decisione del Tribunale sull'ammissibilità delle prove potrebbe convincere la parte a desistere dal proseguire il giudizio.

[104] Art. 47, co. 2, c.p.c.

[105] Sottolinea che il decreto di fissazione dell'udienza rappresenta il momento in cui il processo commerciale viene a scindersi in due fasi autonome tali da configurare un doppio grado di giudizio Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1514.

[106] In proposito si è evidenziato che il nuovo processo societario sembra aver introdotto una nuova nozione di collegialità e dei rapporti fra presidente, relatore e collegio: più precisamente si è affermato che si tratterebbe di una collegialità sui generis in considerazione dei rilevanti poteri decisori che per legge sono attribuiti al giudice relatore. Così Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 418; in ragione degli ampi poteri, anche decisori, attribuiti al giudice relatore Fabiani, op. cit., par. 5, ritiene che il legislatore abbia individuato una figura di "giudice delegato".

[107] L'esiguità del termine è sottolineata da Consolo, op. ult. cit., 1516 e da Briguglio, Commento sub art. 16, in La riforma delle società. Il processo a cura di B. Sassani, cit., 169.

[108] Rileva che, nel nuovo processo commerciale, il giudice è chiamato anzichè ad amministrare il processo, a compiere singoli e qualificati atti di decisione, Auletta, Il ranocchio e lo straniero con Wolfgang Grunsky della riforma italiana del diritto processuale societario, in Judicium.

[109] Per il rilievo che il mancato rispetto di questo termine comporterebbe la nullità di tutto il procedimento Cecchella, op. cit., par. 10.

[110] Diversamente non è possibile in questa fase applicare gli artt. 254 e 257 c.p.c. che consentono al giudice di confrontare i testimoni, procedere alla deposizione dei testimoni di riferimento o alla rinnovazione della testimonianza che presuppongono l'avvenuto espletamento della prova orale.

[111] Configurando così il rischio del giudizio della terza via. V.  sul punto Così Tarzia, Parità delle parti e poteri del giudice, in Problemi del processo civile di cognizione, Padova, 1989, 316-317; ID., Manuale del processo del lavoro, Milano 1999, 141 per il quale la tutela delle parti contro il pericolo delle sorprese non è solo un imperativo di moralità processuale, che si dirige al giudice non meno che alle parti, ma è oggetto di un preciso obbligo giuridico, derivante appunto, dalla regola del contraddittorio: obbligo la cui violazione comporta la nullità della sentenza, fondata sulla soluzione di questioni rimaste estranee alla discussione. Diversa è la posizione di Chiarloni, Questioni rilevabili d'ufficio, diritto di difesa e "formalismo delle garanzie", in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 569 e ss., il quale,  pur ritenendo possibile ricavare dall'art. 101 c.p.c., alla luce dell'art. 24 Cost., la sussistenza di un dovere del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, nega che la sua violazione comporti la nullità della sentenza, ritenendo che si tratti di quelle regole di organizzazione che designano doveri istituzionali di questo o quel soggetto senza prevedere un'automatica sanzione per il caso di una loro violazione e comunque senza prevedere che tale sanzione debba consistere nella nulllità, originaria o derivata della sentenza. Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, 103 propone l'introduzione di uno specifico obbligo per il giudice di promuovere il contraddittorio preventivo delle parti sull'ipotesi di un giudizio di fatto che il giudice stesso ritiene più verosimile; Oriani, L'eccezione di merito nei provvedimenti urgenti nel nuovo processo civile, in Foro it., 1991, IV, 5 e ss,, 23 mette in rilievo la necessità de iure condendo evidenziata in dottrina che si introduca nel nostro sistema una norma corrispondente all'art. 16 c.p.c. francese in forza del quale "Le juge doit, en toutes circostances, faire observer et observer lui même le principe de la contradiction".  Negli stessi termini anche Viazzi, Poteri del giudice e poteri delle parti nel processo civile, in Questione giustizia, 1996, 98 che sottolinea che già gli artt. 172 e 174 del c.d. Progetto Liebman nonché l'art. 8 del disegno di legge delega per la riforma del codice di procedura civile del 1981 stabiliva la previsione del contraddittorio come regola generale del processo che imponeva al giudice di provocare lo stesso anche sulle questioni rilevabili d'ufficio, se la loro soluzione fosse idonea a definire totalmente o parzialmente la lite. Per questo rilievo con riferimento al giudizio societario v. Amadei-Soldati, op. cit., 39; Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, cit., par. 4 e 6.

[112] Questo può anche essere l'effetto "fittizio" della contumacia del convenuto: per l'esame delle importanti novità della disciplina della contumacia nel processo societario v. analiticamente infra i parr. 13 e 14. 

[113] Il processo prosegue nei confronti del defunto ( e ente soppresso) che secondo la giuridprudenza è "processualmente ancora in vita": in questi termini Cass. 17 febbraio 1997, n. 1441; Cass. 27 febbraio 1996, n. 1540; Cass. 28 febbraio 1987, n. 2153.

[114] Egli esercita un potere discrezionale assumendo su di sè la responsabilità in ordine alle relative conseguenze alla mancata dichiarazione della morte della parte: così Cass. 2 marzo 1976, n. 699.

[115] Si tratta delle ipotesi di cui all'art. 299 c.p.c. quando l'evento interruttivo si verifica prima della costituzione in giudizio della parte che quindi non ha ancora un difensore idoneo a rappresentarla e dei casi di cui all'art. 298 c.p.c. che concerne fatti interruttivi che colpiscono il difensore della parte.

[116] L'art. 8, co. 4 dispone che "la mancata notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza nei venti giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'articolo 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'articolo 7, comma 3 ' cioè il termine di ottanta giorni dalla notifica della memoria di controreplica ' determina l'estinzione del processo rilevabile anche d'ufficio "

[117] Qualora invece la causa estintiva si perfezioni all'udienza si ritiene che il collegio pronuncierà l'estinzione con sentenza ai sensi della normativa comune, così Costantno, Il nuovo processo commerciale, cit., 424.

[118] In questi termini anche Balena, op. cit., 2204.

[119] Si tratta dei vizi concernenti la c.d. vocatio in ius.

[120] Conforme Fabiani, op. cit., par. 3.

[121] In senso diverso Balena, op. loc. ult. cit., esclude una applicabilità in concreto della disposizione in esame sul rilievo che costituito il convenuto il vizio non sarebbe idoneo a sopravvivere sino alla udienza davanti al giudice che dovrebbe pronunciare il relativo provvedimento. La nullità dell'atto di citazione per vizio relativo all'editio actionis comporta il venir meno del prodursi degli effetti sostanziali e processuali della pendenza del giudizio. Pertanto le ipotesi prospettabili sono due a) il convenuto notifica la comparsa di risposta contenente l'eccezione che denuncia l'omessa o incompleta indicazione dell'edictio actionis, si costituisce ed entro venti giorni propone istanza di fissazione dell'udienza affinchè il giudice dichiari la nullità dell'atto di citazione, con il venir meno degli effetti sostanziali e processuali derivanti dalla notificazione dell'atto di citazione, e ne ordina la rinnovazione; b) il giudice richiesto della fissazione dell'udienza d'ufficio rileva il vizio e ordina la rinnovazione dell'atto di citazione caducando tutta l'attività svolta dalle parti. Si tratta infatti di uno di quei vizi procedurali che ex art. 13 il giudice può rilevare d'ufficio al fine di rimettere le parti in termini.

[122] Il mancato rispetto dell'ordine di integrazione del contraddittorio nell'ipotesi di litisconsorzio necessario determina l'estinzione del processo ex art. 307, co. 3 c.p.c. e nell'ipotesi di un terzo non litisconsorte pretermesso la sanzione è la cancellazione della causa dal ruolo che, se il processo non è riassunto nel termine di un anno, determina l'estinzione del giudizio (art. 307 c.p.c.)

[123] Per il contenuto del fascicolo d'ufficio vedi supra. Per il rilievo che l'art. 3 riprende il contenuto dell'art. 165 c.p.c. vedi Sassani, Commento sub art. 13, in La riforma delle società. Il processo, a cura di Sassani, cit., 141.

[124] Il termine per la notifica della comparsa di risposta è quello assegnato dall'attore nell'atto di citazione che non può essere inferiore a sessanta giorni dalla notificazione della citazione (art. 2, co. 1, lett. c)  ovvero per l'eventualità che la citazione sia notificata a più persone entro il termine di sessanta giorni dall'iscrizione della causa a ruolo (art. 3, co. 2, ult. parte).

[125] Vedi supra il par. che precede. In questa ipotesi, Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 421, dubita che, con l'istanza di estinzione del giudizio, il convenuto sia onerato dal presentare anche la comparsa di risposta essendo sufficiente depositare la procura unitamente alla citata istanza.

[126] Così Balena, op. cit., 2207. Sul punto v. anche Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 11.1. Qualora il convenuto intenda proporre una domanda riconvenzionale deve notificare all'attore la comparsa di risposta, aspettare l'eventuale memoria di replica dell'attore e poi presentare l'istanza di fissazione dell'udienza: così Costantino, op. loc. ult. cit., il quale evidenzia che la necessità della notificazione della comparsa contenente domande nuove emerge dal disposto dell'art. 292 c.p.c.

[127] Sul punto v. Balena, op. loc. ult. cit., per il quale l'istanza di fissazione dell'udienza potrebbe in questa ipotesi essere presentata immediatamente.

[128] Il rilievo è di Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 422.

[129] La cui interpretazione non è peraltro esente da dubbi. In proposito si veda Cass., S.U., 3 gennaio 1995,  n. 10389 in Foro it., 1996, I, 1297 con nota di Balena, Nullità del procedimento di primo grado per vizi del contraddittorio epoteri del giudice d'appello; in Corr. Giur., 1996, 425, con nota di De Cristofaro, Costituzione tardiva dell'attore e omessa concelleazione della causa dal ruolo.  

[130] Conformi a questa lettura Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 11.2 e Balena, op. loc. ult. cit.

[131] Balena, op. cit., 2205 ss. evidenzia l'opportunità della disciplina dell'onere della non contestazione ma non limitato alla sola ipotesi della contumacia come invece ha fatto il legislatore. Inoltre sottolinea la severità della disposizione che colpisce con una preclusione assoluta anche il convenuto che notifichi tardivamente la comparsa, mentre una sanzione così grave non colpisce l'attore che non replichi tempestivamente o rimanga contumace di fronte ad una domanda riconvenzionale del convenuto. Positivo è invece il giudizio di Sassani, che denuncia una eccessiva tutela a favore del convenuto contumace nell'attuale processo civile, op. ult. cit., 145. Sulle principali caratteristiche della non contestazione che entrano qui in gioco v. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano 1995, passim; Ciaccia Cavallari, La contestazione nel processo civile, I, La non contestazione: caratteri ed effetti, Milano 1993, passim; Cea, Il principio di non contestazione al vaglio delle sezioni unite, a commento di Cass. 17 aprile 2002, n. 5526, in Foro it., 2002, I, 2017.

[132] Seppure Trib. Napoli, ord.,  20 novembre 2002 (inedita) ha sollevato la questione di legittimità dell'istituto del giuramento suppletorio per contrasto con il principio di parità delle armi nel processo ex art. 111 Cost. a causa della "impossibilità della parte contro la quale esso è prestato di evitare il danno eventualmente derivante da un falso giuramento nello stesso processo in cui questo sia stato prestato".

[133] Come evidenziato da Sassani, op. ult. cit., si tratta della traduzione italiana del sostantivo tedesco Schlüßigkeit. Al commento di tale autore si rinvia per il rilievo che la soluzione adottata per il processo societario riprende il modello tedesco: in proposito v. Grunsky, Processo civile (Germania), in Dig. disc. priv., sez. civ., XV, Torino, 1997, 150 ss.; Lent, Diritto processuale civile tedesco, in Trattato del processo civile diretto da F. Carnelutti, Napoli, 1962, 261 ss.; Baumbach,  Lauterbach, Albers, Hartman, Zivilprozessordnung, München 1992, §§ 330, 331 e 338 ss. Vedi anche Punzi, Lineamenti del nuovo processo in materia societaria ' Il processo ordinario, in Riv. trim. dir. proc. civ., in corso di pubblicazione, § 5.1.4. e Ziino, Le nuove disposizioni sul processo societario (decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5). Il giudizio di cognizione in primo grado, in Judicium, par. 17.

[134] Il deferimento del giuramento suppletorio sarà evidentemente disposto dal collegio in quanto questo mezzo di prova presuppone l'avvenuto svolgimento dell'istruzione probatoria ' che nel caso di specie non avrà luogo ' e che si sia ormai giunti alla fase di decisione della causa. Non pare pertanto da accogliere la soluzione di Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, cit., 11 che ammetterebbe il deferimento da parte del giudice relatore salvo poi il controllo del collegio.

[135] Cass. 26 febbraio 1993, n. 2465 in Giur. It., 1994, I, 466.

[136] Cass. 5 marzo 1986, n. 1360 e Cass. 30 luglio 1986 n. 1390.

[137] Cass. 30 gennaio 1985, n. 560.

[138] Così Costantino, op. cit., 419-420; rileva peraltro accogliendo questa soluzione la causa sarebbe rimessa in decisione saltando in toto la fase preparatoria di definizione del thema decidendum e probandum Balena, op. loc. ult. cit.

[139] In questi termini Ziino, op. cit., § 18.

[140] V. Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 420 che evidenzia altrimenti la difficoltà di individuare con certezza il dies a quo da cui far decorrere i termini indicati all'art. 8, co. 4 nell'ipotesi di mancata costituzione delle parti e quindi entro i venti giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto oppure entro ottanta giorni dalla notifica della memoria di controreplica.

[141] Così Costantino, Il nuovo processo commerciale, cit., 417-418.

[142] Così Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, cit., par. 7.