I nuovi strumenti finanziari delle Società Cooperative
Introduzione
La riforma del diritto delle società di capitali (DLgs n. 6/2003) ha introdotto innovazioni estremamente rilevanti nella disciplina delle cooperative, con particolare riguardo al tema del finanziamento dell'impresa, che pone problemi del tutto peculiari in questa forma di società. Di seguito si esamineranno, nella prospettiva economico-finanziaria ed in quella societaria, alcuni aspetti specifici che rivestono una particolare importanza rispetto al rapporto con il mercato dei capitali.
Per un esame degli strumenti finanziari che possono essere utilizzati da questa forma di impresa sociale occorre tenere presente una duplice distinzione tra i modelli societari (in gran parte, anche se non totalmente, disponibili per l'autonomia statutaria) che incidono sulla relativa disciplina: tali modelli sono definiti in primo luogo dalla scelta tra cooperativa a mutualità prevalente e a mutualità non prevalente; in secondo luogo tra cooperative che si riferiscono al tipo societario s.r.l. ovvero a quello delle s.p.a.
La cooperativa a mutualità prevalente, alla quale saranno in futuro riservate le norme agevolative fiscali, deve svolgere attività imprenditoriale con i propri soci in misura prevalente rispetto alle transazioni della stessa natura svolte con non soci (art. 2513). Essa deve inoltre osservare i seguenti limiti statutari relativi alla destinazione degli utili:
a) i dividendi distribuiti in proporzione al capitale dei soci non possono superare l'interesse dei Buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo;
b) gli strumenti finanziari "offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori" non possono essere remunerati in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi;
c) le riserve patrimoniali non possono essere distribuite fra i soci cooperatori;
d) in caso di scioglimento della società, l'intero patrimonio sociale, al netto del capitale sociale e dei relativi dividendi, deve essere devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Queste limitazioni statutarie recepiscono in gran parte quelle precedentemente previste dall'art. 26 legge Basevi, ma se ne differenziano soprattutto per il fatto di circoscrivere i vincoli, di remunerazione e di indivisibilità patrimoniale, ai soli apporti di capitale effettuati dai soci cooperatori, con esclusione invece dei soci finanziatori (o dei finanziatori non soci).
Il regime della cooperativa a mutualità non prevalente configura, invece, sia pure implicitamente, una piena flessibilità statutaria, che può definire con ampia autonomia le regole di distribuzione degli utili sotto forma di ristorni, dividendi o accumulazione patrimoniale: tutto questo, peraltro, con un vincolo rigoroso ed innovativo, previsto dall'art. 2545 ter, in base al quale le riserve patrimoniali qualificate dallo statuto come indivisibili, anche a seguito di eventuali variazioni statutarie, non possono essere ripartite tra i soci, neppure in caso di scioglimento della società, ed inoltre possono essere utilizzate per la copertura di perdite solo dopo che sono esaurite le altre riserve.
La possibile modificazione dei vincoli statutari, che può coinvolgere anche l'abbandono del modello legale di cooperativa a mutualità prevalente, oltre alla determinazione di regole diverse nell'ambito del regime di cooperativa a mutualità non prevalente, garantisce quindi l'effettività del carattere indivisibile delle riserve accumulate come tali, che non potranno essere successivamente affrancate e rispetto alle quali perdurerà l'obbligo di devoluzione a favore di fondi mutualistici in caso di scioglimento della cooperativa ovvero di sua trasformazione in società lucrativa.
Il secondo ordine di distinzione tra i modelli cooperativi ricalca invece, quasi integralmente, il diverso regime definito per le società azionarie e per le s.r.l., rispettivamente applicabili in mancanza di una specifica norma in materia cooperativa e, comunque, in quanto si tratti di disposizione compatibile, ex art. 2519 (1).
Possono adottare il modello s.r.l. le cooperative che abbiano meno di venti soci ovvero un attivo patrimoniale inferiore a un milione di euro (art. 2519, comma 2). Si estende ad esse la regola per cui le partecipazioni al capitale sociale non possono costituire oggetto di sollecitazione all'investimento (art. 2468). Possono essere emessi strumenti finanziari purché si tratti di titoli "privi di diritti di amministrazione" (2), collocabili esclusivamente presso investitori qualificati (art. 2526, ultimo comma) (3). In mancanza delle condizioni, o comunque della scelta statutaria in favore del modello s.r.l., la cooperativa resterà assoggettata alla disciplina delle società per azioni, che prevede, come è noto, un'ampia possibilità di accesso al mercato dei capitali mediante l'emissione di strumenti finanziari sia partecipativi che non partecipativi, ed in particolare di strumenti azionari (artt. 2346, 2348 ss.), di strumenti "ibridi di quasi capitale" (art. 2346, ultimo comma), di obbligazioni (art. 2410 ss.) e di altri titoli di debito comunque denominati (art. 2411, comma 3).
L'estensione alle società cooperative del regime delle s.p.a. è disciplinata in particolare dall'art. 2526, che prevede la possibilità di emettere strumenti finanziari "secondo la disciplina prevista per le società per azioni" (4). Questo comporta, in particolare, che le cooperative potranno creare, e destinare ai soci finanziatori, tutte le tipologie di titoli azionari (oltre che non azionari) contemplate dal regime riformato, prevedendo ampie possibilità di modulare i criteri di distribuzione dei risultati economici (attraverso privilegi patrimoniali, anche riguardanti l'incidenza delle perdite, ex art. 2348, comma 2, ovvero mediante l'istituto delle azioni correlate, ex art. 2350 co 2), ovvero dei diritti amministrativi (azioni senza diritto di voto: art. 2351).
Un'ultima considerazione di premessa si riferisce al rapporto con gli strumenti finanziari cooperativi, precedentemente risultanti dalla disciplina speciale di cui alla legge 59/1992 e caratteristici di tale forma di società, e cioè il socio sovventore e le azioni di partecipazione cooperativa (rispettivamente art. 4 e artt. 5-6, legge 59). Come è stato riconosciuto dalla Relazione al decreto di riforma, questi strumenti sono destinati a sopravvivere, seppure le innovazioni introdotte nel regime societario ne modificano parzialmente il regime. Per riassumere tale profilo, e rinviando ai successivi paragrafi per maggiori dettagli, si osserva che:
a) le azioni di socio sovventore e le azioni di partecipazione cooperativa rientrano nella categoria degli "strumenti finanziari" contemplata dall'art. 2526 (5);
b) ad esse si applicano, conseguentemente, i limiti di remunerazione previsti per le cooperative a mutualità prevalente, nel caso in cui siano detenute da soci cooperatori, dall'art. 2514, lett. b) e c), nonché (ovviamente) il generale vincolo di irripartibilità delle riserve indivisibili ex art. 2545 ter;
c) operano anche rispetto ai soci sovventori i nuovi limiti ai poteri amministrativi di voto assembleare (art. 2526, comma 2, ultimo periodo; art. 2538, comma 2), e di rappresentanza negli organi sociali (art. 2542, comma 4; art. 2543, comma 3; art. 2544, commi 2 e 3), mentre le azioni di partecipazione cooperativa sono radicalmente sprovviste di tali poteri ai sensi dell'art. 5, legge 59/1992;
d) anche alle azioni di socio sovventore e di partecipazione cooperative si applica la disciplina delle assemblee separate prevista dall'art. 2541.
Naturalmente l'applicabilità del nuovo regime non farà venir meno i limiti precedentemente previsti dalla normativa originaria, ed in particolare quelli previsti in materia di distribuzione dei dividendi che stabiliscono una maggiorazione massima di due punti rispetto al dividendo del capitale cooperativo (art. 4, comma 6 e art. 5, comma 7, legge 59/1992).
Strumenti finanziari e vincoli imperativi.
I diritti amministrativi e gli effetti sulla governance
La prevista estensione alle cooperative della disciplina degli strumenti finanziari è connotata da una fitta rete di vincoli imperativi legali, tendenti a coordinare la natura e la funzione di tali strumenti con il carattere cooperativo e lo scopo mutualistico della società. Tali limiti imperativi incidono sia sui diritti patrimoniali che sui poteri amministrativi dei finanziatori, seppure rispetto a questi ultimi operano esclusivamente in quanto si tratti di finanziatori soci, non essendo contemplati (né del resto avendo alcuna ragione di esistere) limitazioni ai poteri amministrativi spettanti o attribuibili ai finanziatori non soci.
Dei limiti afferenti ai diritti patrimoniali si dirà nei successivi paragrafi. Per quanto riguarda i diritti amministrativi, la legge pone in modo chiaro il principio secondo cui il potere di governo della cooperativa spetta ai soci cooperatori, in quanto portatori dell'interesse mutualistico al cui soddisfacimento è necessariamente orientata l'attività sociale.
Tale principio viene declinato sia rispetto ai limiti di voto assembleare per i soci finanziatori, sia rispetto alla loro rappresentanza negli organi amministrativo e di controllo:
- i soci finanziatori possono esprimere al massimo un terzo "dei voti spettanti all'insieme dei soci presenti ovvero rappresentati in ciascuna assemblea generale" (art. 2526, comma 2);
- il principio è ribadito, peraltro demandandone l'attuazione alla disciplina statutaria, rispetto al caso in cui gli strumenti finanziari siano detenuti dagli stessi soci cooperatori (situazione che determina una evidente commistione soggettiva di interessi in potenziale conflitto). L'art. 2538, comma 2 stabilisce a tale proposito che "L'atto costitutivo determina i limiti al diritto di voto degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori" (6);
- nel consiglio di amministrazione la rappresentanza dei finanziatori (eventualmente anche non soci, se previsto dal regime statutario degli strumenti finanziari ibridi) è limitata ad un terzo dei membri (art. 2542, comma 4), pur in un contesto in cui non più tutti gli amministratori ma soltanto la loro maggioranza deve necessariamente essere formata da soci cooperatori (comma 2°);
- ancora pari ad un terzo dei membri è il numero massimo dei componenti l'organo di controllo nel sistema tradizionale (collegio sindacale) (art. 2543, comma 3);
- analogo limite di un terzo dei componenti viene previsto per il sistema dualistico, rispetto alla composizione del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione (art. 2544, comma 2);
- altrettanto avviene rispetto al sistema monistico, in cui è previsto l'ulteriore divieto di attribuire deleghe operative ai rappresentanti dei finanziatori e di nominarli come membri del comitato esecutivo (art. 2544, comma 3).
Sul limite dei voti imposto ai soci finanziatori possono essere sviluppate diverse riflessioni. In primo luogo, la necessità di assicurare il controllo ai soci cooperatori, limitando a un terzo la percentuale dei voti assembleari attribuibili alla categoria dei soci finanziatori, impone per ogni assemblea l'applicazione di un correttivo matematico che si traduce in un frazionamento del voto attribuito allo strumento finanziario partecipativo finalizzato al rispetto del limite legale in funzione della composizione della riunione assembleare. Concretamente, il rispetto di tale limite può infatti essere assicurato prevedendo una disposizione statutaria che ridimensioni ciascun voto spettante alle azioni dei soci finanziatori, mediante l'applicazione del coefficiente correttivo ricavabile dividendo il numero massimo dei voti esprimibili dalla categoria (esattamente pari alla metà dei voti dei soci cooperatori presenti o rappresentati in assemblea) per il numero di voti "pieni" ad essi precedentemente attribuito.
Un esempio può chiarire le modalità di calcolo. Si ipotizzi che sono presenti 80 (voti di) soci cooperatori e 200 voti di soci finanziatori. Il limite massimo di voti esprimibili da quest'ultima categoria è pari a 40 (un terzo del totale, ottenuto sommando i voti delle due categorie). Ciascun voto (pieno) dei finanziatori dovrà essere moltiplicato per 0,2 (coefficiente ricavato dall'operazione aritmetica 40 diviso 200). In questo modo il totale dei voti da ridurre sarà esattamente pari alla misura stabilita dalla legge (200 per 0,2 uguale 40, pari ad un terzo di 120, ovvero 80 più 40).
Questo esempio, molto equilibrato, può ora essere riformulato con valori estremi al fine di evidenziare alcune conseguenti problematiche. Ipotizziamo che tutti i soci cooperatori abbiano sottoscritto un'azione da 25 euro ciascuno, che gli strumenti finanziari emessi siano pari a 1 milione e che siano stati emessi a 25 euro, importo coincidente con il valore nominale di un'azione cooperativa. Se ci si presenta in assemblea con 200 strumenti finanziari o con l'intero milione di strumenti finanziari emessi, i voti che verrebbero attribuiti alla categoria sarebbero sempre 40, cambierebbe solo il coefficiente correttivo, il quale anziché 0,2 (40/200) sarebbe ora pari a 0,00004 (40/1.000.000). In un'assemblea in cui si arrivasse alla presenza di due soli soci cooperatori e di tutti gli strumenti finanziari emessi si arriverebbe ad attribuire a questi ultimi un solo voto sebbene il capitale investito (25 milioni di euro) risulti di un milione di volte superiore a quello investito da un socio cooperatore.
Tale meccanismo di frazionamento del voto attribuibile agli strumenti finanziari si traduce nell'indeterminatezza del numero dei voti complessivi loro attribuiti, mentre certa è la percentuale massima dei voti loro riservata. In altre parole, sarà necessario detenere l'intera emissione di strumenti finanziari al fine di avere un terzo dei voti in assemblea, mentre il possesso del 10% degli strumenti finanziari si tradurrà in un potere di voto pari al 3,33% del totale (10% x 33,3%). Ne segue che il valore del diritto di voto incorporato in tali strumenti avrà valore solamente se agli investitori verrà garantita la conservazione del peso percentuale di voti attribuito alla quota di strumenti finanziari sottoscritto o acquistato. Tale garanzia potrà essere assicurata solamente se le successive eventuali emissioni di ulteriori strumenti finanziari partecipativi venissero offerte in opzione ai possessori degli strumenti finanziari in circolazione.
In caso contrario, infatti, ogni successiva emissione si tradurrebbe in una progressiva diluizione della percentuale dei diritti di voto attribuita alla precedente.
È da segnalare che il diritto di opzione presenta spazi applicativi diversi nelle cooperative rispetto alle società per azioni, a causa della variabilità del capitale sociale propria delle prime. Si può quindi porre il legittimo dubbio se ad una operazione di aumento di capitale effettuato mediante l'emissione di strumenti finanziari azionari si debba applicare il diritto di opzione nei termini rigidamente disciplinati dall'art. 2441, ovvero se debba trovare applicazione il regime, più flessibile, previsto dall'art. 2524 (7).
La finalità del diritto di opzione di consentire il mantenimento della propria quota dei diritti di voto nell'impresa troverebbe però un'applicazione asimmetrica per i soci cooperatori e finanziatori. Mentre in una società per azioni tutti i soci si trovano infatti costretti a sottoscrivere successivi aumenti di capitale se non vogliono vedere diluite le proprie quote, in una cooperativa solo i soci finanziatori potrebbero essere chiamati a sottoscrivere successivi aumenti di capitale al fine di mantenere inalterate le quote iniziali dei diritti di voto, essendo la quota dei soci cooperatori comunque fissata ai due terzi del totale.
Gli esempi finora considerati si riferivano tutti al caso in cui agli strumenti finanziari veniva riservato un terzo dei diritti di voto complessivi. Il terzo dei voti è però il limite massimo (art. 2526, comma 2), e nulla vieta la fissazione di limiti inferiori. Il potere esercitabile da un terzo dei voti dipende infatti dai quorum richiesti a livello statutario o da norme imperative e ciò vale anche con riferimento al limite del terzo dei membri previsti per i soci finanziatori con riferimento agli organi di amministrazione o di controllo. Qualora la società cooperativa intenda quotarsi in borsa, potrebbe ad esempio ritenere opportuno fissare un limite inferiore ai voti assembleari dei finanziatori: il nuovo art. 2368, comma 2, prevede infatti, per le società "aperte", un quorum deliberativo superiore ai due terzi dei soci presenti o rappresentati per le assemblee straordinarie e qualora un soggetto riuscisse a rastrellare la totalità degli strumenti finanziari (ad esempio tramite un'OPA), se a questi fosse attribuito un terzo dei diritti di voto complessivi, si troverebbe a detenere una minoranza di blocco e a influenzare sensibilmente le principali decisioni dell'impresa.
La scelta della percentuale massima dei voti complessivi attribuibile statutariamente agli strumenti finanziari dovrebbe tenere in considerazione anche l'eventuale presenza di due fazioni di soci cooperatori tra loro in disaccordo. La maggioranza assembleare potrebbe infatti essere raggiunta tramite la somma del 16,68% dei voti complessivi ottenuti da una fazione minoritaria dei soci cooperatori più il 33,33% dei voti complessivi attribuiti ai soci finanziatori.
Considerando che ai soci cooperatori sono attribuiti i 2/3 dei voti complessivi, il 16,68% verrebbe raggiunto da una fazione rappresentante poco più del 25% dei soci cooperatori. Nel nostro esempio, 21 soci cooperatori uniti ai 40 voti attributi ai soci finanziatori otterrebbero la maggioranza dei voti in assemblea (61/120). In una cooperativa che si appresta ad emettere strumenti finanziari partecipativi l'eventuale rapporto di forza tra due fazioni di soci cooperatori potrebbe pertanto ribaltarsi a favore di quella più debole, qualora terzi vicini a questa finissero con il detenere la maggior parte degli strumenti finanziari in emissione.
È da segnalare inoltre che in base alle disposizioni dell'art 2545 decies, comma 3, in caso di trasformazione in una società lucrativa, "gli strumenti finanziari con diritto di voto sono convertiti in partecipazioni ordinarie, conservando gli eventuali privilegi". In questo caso la trasformazione in società per azioni darebbe luogo a una struttura azionaria del tipo "one shareone vote", in cui gli strumenti finanziari acquisirebbero il diritto di voto pieno, pur mantenendo i privilegi patrimoniali a loro eventualmente assegnati.
Gli strumenti finanziari e la distribuzione di riserve Richiamando i riferimenti già esposti al precedente paragrafo 1, la nuova disciplina di indivisibilità delle riserve può essere descritta considerando che le riserve che siano state precedentemente accantonate, in qualunque periodo (prima e dopo l'entrata in vigore della riforma), come indivisibili sulla base di una specifica qualificazione statutaria, conserveranno tale carattere all'infinito, e dovranno essere oggetto di devoluzione al fondo mutualistico in tutti i casi previsti dalla legge: scioglimento della cooperativa (art. 2545 ter) ovvero trasformazione in società di diverso tipo (art. 2545 undecies).
A seguito della riforma, il relativo regime statutario può, peraltro, essere modificato con grande ampiezza, sia determinando in modo del tutto libero il regime di accantonamento degli utili futuri, nel caso delle cooperative a mutualità non prevalente; sia abbandonando il regime di cooperativa a mutualità prevalente (come espressamente previsto dall'art. 2545 octies, che prevede come unica conseguenza di tale eventualità l'obbligo di effettuare uno specifico accertamento, "a futura memoria", sulla consistenza del patrimonio indivisibile).
Nel caso delle cooperative a mutualità prevalente il regime delle riserve indivisibili pone, peraltro, una necessaria distinzione tra soci cooperatori e soci finanziatori: per questi ultimi, infatti, non opera il divieto di creare (nuove) riserve divisibili, mentre opera pienamente anche rispetto ad essi il vincolo di indivisibilità per le riserve già accantonate al momento della loro ammissione a soci. Rispetto ai soci cooperatori, al contrario, la legge pone, come requisito necessario della cooperativa a mutualità prevalente, il divieto di (accantonare utili per) costituire riserve divisibili ad essi spettanti.
Le cooperative a mutualità prevalente potrebbero vedersi formare riserve divisibili per diversi motivi, tra cui, ad esempio, il versamento di sovrapprezzi nell'emissione di strumenti finanziari, le riserve di utili relativi a periodi di non prevalenza o il semplice accantonamento di utili a riserve divisibili spettanti ai soli soci finanziatori. La attribuibilità di tali riserve ai soli soci finanziatori comporta un privilegio patrimoniale a favore degli strumenti finanziari di cui non si potrà tener conto in sede di emissione. Sembrerebbe pertanto opportuno che gli strumenti finanziari vengano emessi a un prezzo composto da due parti: il valore nominale (pari, possibilmente, a quello delle azioni cooperative) più un sovrapprezzo. Questo potrebbe essere funzione, oltre che delle prospettive reddituali della società (specie se quotata), della quota di riserve divisibili esistenti che competerà ad ogni nuovo strumento finanziario, in caso di prima emissione. Ad esempio, se vi sono 5 milioni di euro di riserve divisibili e vengono emessi strumenti finanziari per 25 milioni di euro di valore nominale, si potrebbe fissare un prezzo di emissione complessivo pari a 30 milioni.
Per quanto riguarda eventuali successive emissioni di strumenti finanziari, il prezzo di emissione potrebbe essere fissato in modo da chiedere come sovrapprezzo l'equivalente delle quota unitaria delle riserve divisibili attribuibili ad ogni strumento finanziario già in circolazione.
Si ipotizzi ad esempio che a una successiva emissione di strumenti finanziari le riserve disponibili siano cresciute da 5 a 10 milioni di euro. Chiedendo 10 euro di sovrapprezzo ogni 25 euro di valore nominale sui nuovi strumenti finanziari in emissione si riuscirebbe a equiparare monetariamente il diritto a una uguale quota di riserve divisibili spettante sia ai vecchi sia ai nuovi soci finanziatori. Si deve infatti tener presente che la formazione di tali riserve sarà stata resa possibile tramite la rinuncia dei soci finanziatori a una politica più generosa di distribuzione degli utili di esercizio precedenti.
Tale ragionamento presuppone tuttavia due ipotesi: una valutazione degli strumenti finanziari basata esclusivamente su valori patrimoniali; la futura, seppur dilazionata, distribuzione di tali riserve. Con riferimento alla prima ipotesi, le diverse prospettive reddituali della società cooperativa potrebbero in realtà imporre una valutazione che non tenga conto del solo patrimonio netto, specie se l'emissione è rivolta ai mercati finanziari o a investitori istituzionali, potendosi pertanto verificare: un primo prezzo di emissione diverso dalla somma del valore nominale e delle riserve divisibili; la fissazione di prezzi successivi minori in presenza di una crescita delle riserve divisibili o viceversa. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, invece, la distribuzione di tali riserve non può darsi per certa. Essa potrebbe infatti realizzarsi qualora il socio finanziatore si trovi a poter esercitare il diritto di recesso in una delle fattispecie previste dall'art. 2437 o si proceda alla distribuzione di dividendi straordinari. Questa ultima possibilità è tuttavia sottoposta alla decisione dei soci cooperatori, naturali portatori di interessi contrapposti ai soci finanziatori nelle cooperative a mutualità prevalente, non potendo essere attribuite loro le riserve divisibili.
Tra gli scenari possibili va considerata anche la possibilità che la cooperativa prevalente si trasformi, per scelta o necessità, in cooperativa non prevalente con la conseguenza che le riserve divisibili diverrebbero distribuibili anche ai soci cooperatori. Se si volesse procedere con la richiesta di sovrapprezzi proporzionati alle riserve divisibili sugli strumenti finanziari in emissione, sarebbe quindi opportuno intervenire statutariamente introducendo una qualche forma di garanzia che le riserve divisibili per cui si chiede un corrispettivo in sede di emissione degli strumenti finanziari possano essere godute solamente dai soci finanziatori.
Per quanto riguarda le cooperative non prevalenti le riserve divisibili possono essere distribuite sia ai soci finanziatori sia ai soci cooperatori, sebbene con regimi diversi. Per la distribuzione ai possessori di strumenti finanziari non è prevista alcuna limitazione. Viceversa, al fine di non indebolire strutture finanziarie già fragili, viene impedita la distribuzione di dividendi, l'acquisto di quote o azioni proprie e l'assegnazione di riserve ai soci (anche in caso di scioglimento del rapporto) quando il rapporto tra il complessivo indebitamento della società e il patrimonio netto è superiore a 4 (art. 2545 quinquies, comma 2). Se lo statuto lo prevede, in presenza di un indebitamento superiore di più di 4 volte il patrimonio netto, l'assemblea potrà assegnare ai soci le riserve divisibili attraverso alcune operazioni che non comportano uscite di cassa e riduzioni del patrimonio netto, ovvero (art. 2545 quinquies, comma 3):
a) l'emissione di strumenti finanziari;
b) l'aumento proporzionale delle quote sottoscritte e versate;
c) l'emissione di nuove azioni, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 2525, (secondo cui un'azione non può superare 500 euro né la quota o il valore nominali delle azioni di un socio può superare 100.000 euro) nella misura massima complessiva del venti per cento del valore originario.
Allorquando le riserve divisibili vengano distribuite in seguito allo scioglimento del rapporto societario, qualora il rapporto di indebitamento superi il valore anzi detto, l'ultimo comma dell'art. 2545 quinquies impone che ciò avvenga tramite l'emissione di strumenti finanziari liberamente trasferibili. Tale disposizione presuppone tuttavia l'esistenza di un mercato degli strumenti finanziari che ne renda facile la liquidabilità. Nella sua assenza, la società potrà farsi promotrice di scambi, mentre si deve escludere la possibilità di riacquistarli, eludendo lo spirito della norma.
Malgrado le suddette limitazioni alla distribuzione di riserve divisibili ai soci cooperatori, il diritto a tali riserve spetta sia ai soci cooperatori sia ai soci finanziatori. Il peggior trattamento riservato ai soci cooperatori è tuttavia compensato dal vantaggio di poter decidere o meno la loro distribuzione.
Tornando ora alle riflessioni precedentemente svolte circa la fissazione del prezzo di emissione degli strumenti finanziari, l'equivalente accesso alle riserve disponibili nelle cooperative non prevalenti dovrebbe richiedere che il meccanismo di fissazione del prezzo di emissione con sovrapprezzo sopra esposto per l'emissione di strumenti finanziari si applichi anche nella determinazione del valore delle azioni (o quote) cooperative emesse per l'ingresso di nuovi soci od assegnate ai soci ad esempio nel ristorno dell'utile di esercizio. Non sarebbe infatti giusto che un socio versi oggi 25 euro e che un nuovo socio versi la stessa cifra 5 anni dopo, quando si sono nel frattempo formati 5 euro di riserve disponibili per ogni socio cooperatore. La valorizzazione delle azioni cooperative da emettere, (anche) in funzione delle riserve divisibili spettanti, è espressamente prevista dall'art. 2528, comma 2, il quale dispone che il sovrapprezzo sia determinato dall'assemblea, su proposta degli amministratori, in occasione dell'approvazione del bilancio di esercizio. Tale scadenza annuale non esclude la possibilità di determinare in modo più specifico il termine a quo del godimento patrimoniale rispetto ai conferimenti effettuati durante l'anno, stabilendo, ad esempio, che questi acquisiscano il diritto alle riserve divisibili solo a decorrere dall'esercizio successivo.
I limiti alla remunerazione degli strumenti finanziari
La distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e non prevalente incide a fondo anche rispetto alla remunerazione "immediata" degli strumenti finanziari, attraverso limiti che la cooperativa a mutualità prevalente deve osservare nell'attribuzione ai soci sia di dividendi (in favore degli strumenti azionari e degli strumenti finanziari partecipativi), sia di interessi (in favore di strumenti finanziari di debito).
La misura massima dei dividendi non può superare la misura dell'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato (art. 2514, lett. a). Appare dubbio se tale limite operi rispetto a tutte le categorie di soci ovvero soltanto rispetto ai soci cooperatori: quest'ultima soluzione appare preferibile, considerando il tenore della successiva lettera b), che circoscrive il limite ai soli soci cooperatori ed appare suscettibile di riferirsi sia ai dividendi sia agli interessi.
L'art. 2514, lett. b) prevede altresì "il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi". Come si accennava sopra, tale formulazione appare suscettibile di comprendere sia i dividendi sia gli interessi, rispettivamente per gli strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi.
Tali limiti valgono obbligatoriamente per i soli soci cooperatori, non operando quindi rispetto a soci finanziatori "puri" (diversi dai soci cooperatori che investano nella cooperativa anche attraverso strumenti finanziari trasferibili). Per quanto riguarda il senso interpretativo da attribuire all'espressione "offerti in sottoscrizione", come sostenuto nella precedente nota 6, si deve intendere come riferito al momento della detenzione, in quanto rileva l'esercizio del diritto da parte del socio.
Qualora si emettano strumenti finanziari remunerati in misura superiore al limite previsto dall' art. 2514, lett. b) (rendimento dei buoni postali fruttiferi +2,5% +2%), l'applicazione dei limiti di remunerazione agli strumenti finanziari detenuti dai soci imporrebbe pertanto la nominatività degli stessi ed escluderebbe la possibilità di emettere titoli al portatore. Inoltre, lo statuto potrebbe prevedere disposizioni volte a prevenire possibili fenomeni di "dividend washing", ovvero la cessione pronti contro termine di strumenti finanziari da soci a soggetti non soci attorno alla data di pagamento del dividendo al fine di eludere il suddetto limite di remunerazione.
Le restrizioni anzi esposte (nominatività dei titoli e disposizioni statutarie antielusive) non sarebbero invece necessarie se la remunerazione degli strumenti finanziari emessi fosse posta al di sotto del limite massimo previsto per gli strumenti detenuti dai soci cooperatori in forza di una disposizione statutaria di carattere generale, ovvero delle deliberazioni riferite a specifici regolamenti di emissione. Poiché 4,5 punti percentuali sopra il rendimento dei buoni postali fruttiferi rappresenta un limite piuttosto elevato in presenza di un basso livello di tassi di interesse e di una non eccessiva rischiosità dell'impresa emittente, è probabile che molte imprese cooperative riescano a trovare le condizioni di mercato per emettere strumenti finanziari con remunerazione inferiore al suddetto limite. Ciò consentirebbe loro di non dover verificare la qualità del soggetto che viene remunerato (socio o non socio), di non dover prevedere due conseguenti diverse remunerazioni e di poter emettere anche titoli al portatore.
Strumenti finanziari senza diritto di voto
e possibili clausole di salvaguardia
Il rinvio alla disciplina delle società per azioni in tema di emissione di strumenti finanziari (art. 2526, comma 1) consentirà alle società cooperative per azioni di emettere una pluralità di titoli caratterizzati da combinazioni di diritti amministrativi e patrimoniali (artt. 2346 e seguenti). Tra questi, anche azioni prive del diritto di voto (art. 2351, comma 1). Con riferimento a tale tipologia di titoli si potrebbe riflettere sulla effettiva possibilità di un loro collocamento presso il pubblico, in relazione a due considerazioni.
In primo luogo, il mercato dei capitali ha mostrato di non gradire azioni prive del diritto di voto e questo fattore, assieme ad altri, ha generato un forte trend internazionale alla conversione delle azioni prive di diritto di voto in azioni ordinarie (8).
In secondo luogo, tali strumenti finanziari risulterebbero meno appetibili dei titoli di debito in relazione al minore grado di seniority in caso di insolvenza della società, e meno appetibili dei corrispondenti strumenti con diritto di voto, in relazione alla possibilità di partecipare all'amministrazione della società.
L'interesse degli investitori verso tale tipologia di strumenti finanziari può pertanto essere attirato solamente offrendo una remunerazione più elevata rispetto ai corrispondenti strumenti dotati del diritto di voto, similarmente a quanto previsto (dalla legge istitutiva 216/74 e ora statutariamente) per le azioni di risparmio delle società per azioni, ovvero un dividendo minimo e una maggiorazione di dividendo rapportati al valore nominale (oltre che una possibile cumulabilità fino ad N esercizi).
La natura della formazione dell'utile di bilancio delle società cooperative rende tuttavia più problematica la fissazione di tali privilegi. L'adozione dell'istituto dei ristorni potrebbe infatti ridurre l'avanzo di gestione fino ad azzerare completamente l'utile di esercizio, a cui si deve attingere per corrispondere i dividendi minimi spettanti alle azioni lucrative prive del diritto di voto. Ne segue che anche se tali strumenti prevedessero il diritto a un dividendo minimo, dovendo tale distribuzione richiedere la presenza di un utile di esercizio, essa risulterebbe soggetta alla disponibilità dei soci cooperatori a non operare politiche di ristorni troppo generose.
La contrapposizione di tali interessi farebbe sì che potenziali investitori si sentirebbero a rischio di comportamenti espropriativi, seppur legittimi sotto il piano formale, riducendo fortemente la possibilità di un loro classamento su un mercato borsistico nazionale.
La soluzione ci sembra possa trovarsi nell'introduzione di clausole di salvaguardia nei regolamenti di emissione di tali strumenti, oltre che in una regolamentazione statutaria dei ristorni verso i soci cooperatori. Riguardo all'attribuzione dei ristorni, esclusa la possibilità di una limitazione in termini assoluti (che presenterebbe gravi profili di illegittimità, considerata la causa mutualistica delle cooperative), sembra praticabile un regime statutario che imponga di evidenziare il risultato di esercizio al lordo delle somme che si intendono destinare al ristorno, e questo indipendentemente dalle modalità di determinazione come costo o come componente dell'utile di esercizio). Una siffatta disciplina consentirebbe di dare effettività ad eventuali privilegi patrimoniali attribuiti agli strumenti finanziari nella distribuzione degli utili.
Sotto il profilo della disciplina statutaria/regolamentare degli strumenti finanziari, invece, una possibile clausola di salvaguardia potrebbe prevedere che qualora ai titoli non siano stati corrisposti più di un determinato numero di dividendi minimi consecutivi, essi siano automaticamente convertiti o in strumenti finanziari dotati del diritto di voto o in obbligazioni corrispondenti un tasso di mercato di riferimento più uno spread prefissato. In alternativa, si potrebbero emettere titoli rimborsabili in contante su richiesta dell'investitore al verificarsi della condizione di mancato pagamento di n dividendi consecutivi.
Strumenti finanziari privi di diritti di amministrazione
ed investitori qualificati
Un altro tema che solleva interessanti implicazioni economico-giuridiche riguarda la previsione combinata dell'art. 2526 quarto comma e dell'art. 2483 secondo comma. In base al primo disposto, le cooperative cui si applicano le norme sulle società a responsabilità limitata possono offrire in sottoscrizione strumenti privi di amministrazione solo a investitori qualificati, mentre il secondo disposto prevede che, in caso di successiva circolazione di tali titoli, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali o soci della società medesima. Rimane invece dibattuta in dottrina la possibilità che le cooperative a responsabilità limitata possano emettere anche strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione (9).
Ebbene, strumenti finanziari privi di diritti di amministrazione possono essere tipicamente rappresentati da obbligazioni o altri titoli di debito. L'attribuzione del rischio di insolvenza all'investitore qualificato (ad esempio un intermediario finanziario) qualora questo abbia provveduto al collocamento dei titoli presso il pubblico, solleva interessanti problematiche di pricing dei medesimi titoli, problematiche che attengono anche alle obbligazioni emesse da società per azioni o cooperative per azioni in eccedenza al doppio del capitale sociale tramite sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale (art. 2412, comma 2).
E' opportuno innanzitutto richiamare alcuni concetti finanziari per cui il rendimento di un titolo obbligazionario a una determinata scadenza (detto anche rendimento alla scadenza o yield to maturity) dipende principalmente dal rendimento sulla medesima scadenza di titoli privi di rischio più un differenziale di rendimento o spread che è funzione del rischio di credito del titolo (e in misura minore del suo grado di liquidità). Il benchmark su cui tali spread di rendimento vengono rapportati sono solitamente o i titoli di stato (Treasury bonds negli Stati Uniti e i Bund Tedeschi nell'area Euro) o la curva degli Interest Rate Swaps. Vi è inoltre un collegamento diretto tra prezzo o valore del titolo obbligazionario e il suo rendimento alla scadenza. Per una determinata scadenza e tasso nominale delle cedole, prezzi più bassi corrispondono a rendimenti alla scadenza più elevati in base a una banale relazione matematica che esprime il prezzo come valore attuale dei flussi di cassa futuri (10).
Tralasciando al momento l'esistenza di eventuali spread di rendimento collegati alla rischiosità del titolo, l'attribuzione del rischio di insolvenza all'intermediario finanziario genera le seguenti conseguenze:
- l'intermediario finanziario che sottoscrive l'emissione sopporterà il rischio di default della società emittente. Il prezzo che sarà disposto a pagare sarà tale per cui lo spread di rendimento rifletterà il rischio di credito associato alla società cooperativa;
- i risparmiatori che acquisteranno i titoli dall'intermediario finanziario sopporteranno solamente il rischio di inadempimento dell'intermediario, solitamente molto basso se rappresentato da un ente creditizio. Il prezzo che un mercato efficiente sarà disposto a pagare sarà tale per cui lo spread di rendimento rifletterà il solo rischio di default dell'intermediario finanziario;
L'esistenza di questi due diversi rischi presuppone pertanto che vi siano due diversi spread di rendimento per la loro remunerazione e, pertanto, due diversi rendimenti alla scadenza e due diversi prezzi o valore dei medesimi titoli (11).
Le implicazioni conseguenti sono importanti. In primo luogo, ogni qual volta si vorrà procedere all'emissione di tali titoli, dovendo comunque passare per la sottoscrizione da parte di investitori professionali, questi dovranno stimare accuratamente il rischio di credito della società cooperativa. Anche qualora i titoli venissero successivamente rivenduti a investitori professionali, infatti, il prezzo di cessione rifletterebbe in ogni caso la stima di tale rischio. In secondo luogo, il prezzo di vendita al pubblico risulterà solitamente sempre più elevato del prezzo corrisposto dall'intermediario finanziario alla società emittente (a prescindere dalle commissioni di sottoscrizione e vendita normalmente applicate). Tale differenza di prezzo sarà maggiore all'aumentare della differenza fra i due spreads, e quindi del maggiore rischio di credito dell'emittente rispetto a quello dell'intermediario, e della durata media finanziaria dell'obbligazione (meglio nota come duration).
In conclusione, il prezzo di circolazione di tali titoli, dopo la sottoscrizione iniziale, sarà diverso a seconda che la circolazione avvenga tra due investitori professionali o tra un investitore professionale e un soggetto che non lo sia (risparmiatore o socio) (12). Al fine della determinazione del prezzo, compratori e acquirenti, a seconda della loro qualifica, dovranno pertanto essere adeguatamente informati sul rischio di credito dell'emittente o dell'intermediario finanziario e del relativo premio di rendimento in vigore sui mercati finanziari.
Autori: Marco Bigelli e Roberto Genco
Note
1) Cfr. PRESTI, Cooperative e modellismo giuridico, in VELLA (a cura), Gli statuti delle imprese cooperative dopo la riforma del diritto societario, Torino, 2004, 1 ss., in part. 13 ss.
2) L'espressione utilizzata dalla norma deve intendersi, per la prevalente dottrina, come equivalente a quella prevista dall'art. 2483 per le s.r.l., e cioè come sinonimo di "titoli di debito": cfr. in tal senso LAMANDINI, Commento agli artt. 2526 e 2541, in Commentario MARCHETTI-PRESTI, in c.d.p., par. 2, PRESTI, Gli strumenti finanziari delle società cooperative, in Studi in onore di Vincenzo Buonocore, in c.d.p., par. 3, COSTI, L'utilizzo degli strumenti finanziari delle nuove cooperative: problemi di disciplina, Relazione al Convegno "Finanza strutturata e non profit: nuove opportunità aspettando Basilea 2", Trento, 17-18 giugno 2004. Contra, RACUGNO, I nuovi strumenti finanziari delle società cooperative, in Banca borsa t.c., 2004, I, 559 ss., in part. 592 ss., GENCO, La struttura finanziaria, in GENCO (a cura), La riforma delle società cooperative, Milano, 2003, 57 ss., in part. 94 ss., TONELLI, Commento all'art. 2526, in Commento all'art. 2545 septies, in SANDULLI-SANTORO (a cura), La riforma delle società, vol. 4, Società cooperative, Torino, 2003, 89 ss., in part. 94. Con nota del Ministero delle Attività produttive del 30 novembre 2004 (positivamente commentata da ALLEGRETTI, Soci sovventori anche nelle s.r.l., in Ilsole24ore, 14 dicembre 2004, 29) è stata ritenuta ammissibile, in senso contrario a quello adottato dalla prevalente dottrina, l'emissione di azioni di socio sovventore e di azioni di partecipazione cooperativa anche da parte di cooperative che adottino il modello della s.r.l.
3) Si intendono come tali quelli individuati sia dal secondo comma dell'art. 2483 (e cioè gli "investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale"), relativo alle s.r.l., sia dall'art. 111 octies, disp. att., che riguarda specificamente le cooperative e che contempla "quelli costituiti ai sensi della legge 25 febbraio 1985, n. 49, i fondi mutualistici e i fondi pensione costituiti da società cooperative": PRESTI, op. ult. cit., par. 3, n. 5.
4) L'opinione prevalente in dottrina, alla quale ci si atterrà nel testo, appare orientata nel senso di comprendere nell'espressione utilizzata dall'art. 2526 tutta la gamma di strumenti finanziari (azionari, partecipativi non azionari e di debito) prevista dalla disciplina delle s.p.a.: cfr. LAMANDINI, op. cit., parr. 3 ss., PRESTI, op. ult. cit., par. 4, CUSA, Strumenti finanziari e soci finanziatori nelle cooperative, in VELLA (a cura), Gli statuti ..., cit., 115 ss., TONELLI, op. cit., 91 ss. Ma vedi, in senso difforme, RACUGNO, op. cit., 575 ss., nonché COSTI, Autonomia statutaria e nuove modalità di finanziamento delle imprese cooperative, in VELLA (a cura), Gli statuti ..., cit., 31 ss., in part. 41, il quale A. propone peraltro una parziale revisione critica nella successiva relazione L'utilizzo degli strumenti finanziari..., op. cit, par. 3.1.
5) Per un inquadramento di tali titoli nell'ambito della categoria generale degli strumenti finanziari, alla luce del regime precedente la riforma, si veda la Comunicazione n. DAL/99018236 del 16 marzo 1999, della Consob, che escludendo le partecipazioni al capitale cooperativo dal regime di cui al regime del T.u.f. (d.lgs. 58/1998) ritiene non applicabile siffatta esclusione "in tutti i casi in cui i titoli emessi da società cooperative presentino caratteristiche particolari finalizzate a consentire la raccolta di capitali indipendentemente dallo scambio mutualistico. Ciò avviene ad esempio, per le azioni destinante ai soci sovventori previste dall'art. 2548 c.c. per le mutue assicuratrici e dall'art. 4 della legge n. 59/92 per le altre cooperative, per le azioni di partecipazioni cooperativa, previste dall'art. 5 della stessa legge e per le obbligazioni, fatta salva l'esenzione operata dall'art. 118, comma 2, del TUF per le obbligazioni emesse da banche."
6) L'espressione "offerti in sottoscrizione" è utilizzata anche nell'art. 2514, comma 2, lett. b): stante il suo significato di tipo imperativo e non meramente dispositivo (le due norme intendono infatti chiaramente attribuire effettività ai limiti di remunerazione e di voto), in entrambi i casi, laddove fosse interpretata in senso letterale, si presterebbe ad una palese elusione della voluntas legis. Appare pertanto inevitabile intenderla come riferita non già alla collocazione dei titoli sul mercato primario (sottoscrizione) ma piuttosto al momento in cui i diritti vengono fatti valere dal socio (effettiva detenzione dei titoli) attraverso l'espressione del voto assembleare e la percezione della remunerazione. Tale aporia della legge potrà opportunamente essere colmata attraverso disposizioni statutarie chiarificatrici.
7) Per le due tesi cfr. LAMANDINI, op cit., par. 4, e rispettivamente, COSTI, L'utilizzo degli strumenti finanziari ..., op. cit., par. 3.2.
8) Si veda BIGELLI e MEHROTRA (2004) "Dual class unifications and shareholders expropriation, working paper" disponibile su SSRN.com.
9) Secondo parte della dottrina, infatti la disposizione dell'art. 2526 quarto comma andrebbe intesa nel senso che l'emissione di titoli di debito dotati di diritti amministrativi non sarebbe riservata alla sottoscrizione di investitori qualificati. Cfr. in tal senso COSTI, L'utilizzo degli strumenti finanziari ..., op. cit., par. 2.4.
10) Per approfondimenti si veda FABOZZI e MODIGLIANI, Mercati Finanziari - Strumenti e istituzioni, Bologna, 2004, Cap. XII.
11) A titolo di esempio, se si emettesse un titolo a 5 anni con cedola nominale 6%, in presenza di un rendimento del benchmark privo di rischio pari al 5%, di uno spread per il rischio di credito dell'intermediario finanziario pari all'1% e di uno spread per il rischio di credito della società emittente pari all'8%, il titolo potrebbe essere emesso al pubblico a un prezzo pari a 100 e un rendimento pari al 6% (5% + 1%), mentre l'intermediario finanziario lo acquisterebbe dall'emittente (trascurando in questa sede l'applicazione di commissioni di vendita e sottoscrizione) ad un prezzo pari a 92,01 e un rendimento alla scadenza pari all'8% (5% + 3%).
12) Con riferimento all'esempio esposto nella nota precedente, il prezzo in una transazione tra due investitori professionali dovrebbe essere pari a 92,01, mentre il prezzo di una negoziazione che coinvolga almeno un investitore non professionale dovrebbe essere pari a 100.