L'azione di risoluzione del contratto di vendita
e la «quanti minoris» tra identità di vizi
e diversità di presupposti
(commento alla sentenza Cassazione Civile 27/01/04 n. 1434)
Il caso esaminato dalla sentenza in commento [relativo all'acquisto di un autocarro che: a) presentava inconvenienti di natura meccanica nell'esecuzione delle manovre; b) aveva un serbatoio carburante non collaudato e c) una portata inferiore a quella pattuita tra le parti e risultante dalla carta di circolazione] offre l'occasione di rimeditare gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinari che, numerosi e contrastanti, si sono sviluppati sul tema della tutela del compratore per i vizi della cosa (1).
Parte della dottrina, avvalendosi del richiamo all'art. 1476, n. 3, c.c. (2), delinea la garanzia per i vizi, di cui all'art. 1490 c.c., come una distinta obbligazione del venditore.
Si tratta di un orientamento più volte messo in discussione (3): ora ritenendo che l'essenza della norma vada ricercata nell'errore del compratore circa l'effettiva consistenza del bene (4); ora leggendo nella garanzia per i vizi una speciale forma di responsabilità in contrahendo (5); infine dando spazio alla presupposizione ed alla divergenza tra la realtà e la rappresentazione che ha determinato la volontà delle parti (6).
Altra dottrina ha ritenuto più opportuno individuare una irregolarità dell'attribuzione patrimoniale (7) o rivolgere l'attenzione alla violazione, in ordine al risultato pattuito, dell'impegno traslativo (8).
Gli orientamenti da ultimi richiamati, pur nelle loro differenze, sono mossi prevalentemente dall'idea che sia inammissibile configurare una responsabilità del venditore per inadempimento di un'obbligazione contrattuale quando - come nel caso di vizi della cosa venduta - ci si trovi di fronte ad una violazione legata a cause preesistenti al contratto ed indipendenti dal comportamento del venditore (9).
In altri termini, poiché si afferma che lo stato e la qualità attuale di un bene costituiscono il suo modo di essere e la sua condizione materiale e non già il risultato di una condotta alla quale il venditore si sia obbligato (10), si giudica inammissibile l'esperibilità nei suoi confronti dell'azione di esatto adempimento (11). L'impegno assunto dall'alienante consiste, infatti, in un «dare» e non in un «facere», e condannarlo all'esatto adempimento significherebbe imporgli un «facere» (12).
Le considerazioni riferite vanno rimeditate alla luce della nuova disciplina sulla vendita dei beni di consumo che, pur lasciando in vita le norme codicistiche (13), limitandone solo il campo di applicazione, opta per una soluzione che, in caso di difformità del bene venduto, non solo non è incompatibile con l'esistenza di un'obbligazione in capo all'alienante, ma sembra incentrata proprio sul riconoscimento a suo carico dell'obbligazione di conformità, il cui inadempimento costituisce il fondamento della responsabilità del venditore (14).
La novità consiste nell'aver costruito la conformità al contratto come prestazione dovuta e nel gravare il venditore di un'obbligazione avente ad oggetto esattamente il modo di essere del bene compravenduto (15). Vanno, dunque, rimesse alla prova una serie di acquisizioni teoriche relative al tema specifico della garanzia post vendita e dell'inadempimento della prestazione traslativa (16).
Nel caso esaminato - come avviene in quasi tutte le circostanze analoghe - il compratore tentava di ottenere tutela ex art. 1497 c.c. al fine di sfuggire ai limiti dell'alternatività ed irrevocabilità della scelta tra azione di risoluzione e riduzione del prezzo prevista dall'art. 1492 c.c. (17).
Anche il tema della differenza tra vizi del bene e mancanza di qualità - e dunque del diverso ambito di applicazione tra l'art. 1492 c.c. ed il 1497 - è destinato ad occupare spazi più limitati rispetto al passato se si considera che la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980 (18) ed il D.Lgs. n. 24 del 2002 (19), disciplinante la vendita dei beni di consumo - sia pure, va ribadito, nei limiti dei rispettivi ambiti di applicazione - hanno optato per una disciplina unitaria che supera le incertezze legate alla distinzione tra vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio (20). È stata introdotta, infatti, la fattispecie omnicomprensiva del «difetto di conformità al contratto» (21) che, a fronte dell'articolata fenomenologia dei difetti riguardanti la vendita (22), come disegnata dal legislatore del 1942, ha una valenza semplificativa per l'interpretazione e per l'applicazione.
Il nucleo centrale della motivazione della sentenza in epigrafe ruota attorno all'art. 1492 (23) che codifica l'alternativa tra il rimedio dell'azione di risoluzione (24) e quello dell'actio quanti minoris (25): alternativa in merito alla quale si sono sviluppate tesi contrastanti (26).
Da una parte, si è riconosciuto un ruolo centrale al 2° comma della norma in discorso: dalla previsione in base alla quale la scelta tra risoluzione e quanti minoris è irrevocabile dal momento in cui è effettuata con la domanda giudiziale si è dedotto che è radicalmente esclusa la possibilità di avvalersi di entrambe le azioni proponendole in via alternativa e subordinando l'una all'insuccesso dell'altra (27).
Prima di passare all'analisi della contrapposta tesi, occorre soffermarsi su quella appena menzionata, soprattutto in considerazione del fatto che ad analoghe conclusioni perviene la Corte di cassazione nella sentenza in commento. Le argomentazioni addotte poggiano sulla constatazione che sono gli stessi vizi a giustificare il ricorso alternativamente ora all'azione di risoluzione ora a quella di riduzione del prezzo e a renderle interdipendenti, così che disattesa la prima, in ragione della inesistenza dei vizi, non è accoglibile la seconda proposta in via subordinata per far valere vizi già dichiarati inesistenti.
Si tratta di argomentazioni che in tanto sembrano condivisibili in quanto ricorrano identiche condizioni di esperibilità e dell'azione di risoluzione e della quanti minoris (28). La ricorrenza di tali identiche condizioni non è da ritenere presunta, ma necessita di un accertamento che non può limitarsi solo al profilo dell'uguaglianza tra i vizi che giustificano entrambi i rimedi. Lo stesso art. 1492, sia al 1° comma che al 3° comma, avverte che i presupposti per esperire l'azione risolutoria - sia pure identici per quanto riguarda il profilo dei vizi denunciati - divergono per altri aspetti dai requisiti previsti per agire con la domanda di riduzione del prezzo. Non si ha diritto alla risoluzione del contratto, infatti, quando lo escludano gli usi o la cosa sia perita per caso fortuito o colpa del compratore o se questi l'abbia alienata o trasformata.
Il problema appena proposto sembra trascurato dai giudici di legittimità per i quali è sufficiente prendere le mosse dal presupposto legato alla presenza di identiche condizioni di accoglibilità delle due azioni piuttosto che verificarne la concreta sussistenza.
Stupisce che il S. C. richiami a sostegno del suo assunto la pronuncia a Sezioni unite del 25 marzo 1988, n. 2565 (29), che dimostra una particolare attenzione alla distinzione tra le ipotesi nelle quali non c'è coincidenza di presupposti tra la risoluzione e l'azione di riduzione del prezzo ed il caso ordinario in cui entrambi i rimedi sono ugualmente ammissibili (30).
Su posizioni diverse da quelle che escludono radicalmente la possibilità di avvalersi di entrambe le azioni si colloca altra dottrina per la quale occorre fare accurate distinzioni prima di ritenere operante l'effetto preclusivo dell'art. 1492, 2° comma (31). Più precisamente si è fatto notare che ove il compratore, per espressa previsione di legge o in base agli usi, abbia diritto esclusivamente alla riduzione del prezzo, non c'è spazio per una concreta facoltà di scelta e, dunque, non si giustifica, l'opzione favorevole ad un contemperamento dei contrapposti interessi che faccia perno sulla scelta effettuata dall'acquirente e sulla sua irrevocabilità (32).
In tal caso, infatti, essendo dubbia la sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 1492 per la risoluzione, la richiesta in via principale del rimedio ablatorio tende all'accertamento preliminare della sua proponibilità, condizionando al suo esito la scelta, mentre la domanda subordinata di riduzione del prezzo mira a conservare la garanzia attivando l'unico rimedio esperibile (33).
Data la centralità della norma nell'analisi delle questioni prospettate è di particolare interesse l'indagine sulla ratio dell'art. 1492 c.c. che aiuta anche a sciogliere il complicato problema del rapporto tra irrevocabilità della scelta effettuata con la domanda giudiziale e possibilità di chiedere in via principale l'azione di risoluzione ed in via subordinata la riduzione del prezzo.
Si può notare che, da un lato, non si individua una identità di ratio per tutti i casi previsti dall'art. 1492 c.c., ma si distinguono le varie ipotesi e - nel caso di perimento della cosa a causa dei vizi - si giustifica lo scioglimento del vincolo assumendo che si tratta di un rimedio necessario per ristabilire l'equilibrio delle posizioni dei contraenti; diversamente - qualora la cosa sia andata perduta per colpa del compratore o per caso fortuito - la preclusione dell'azione di risoluzione è considerata il risultato dell'applicazione della regola res perit domino (34); infine - nell'ipotesi di alienazione o trasformazione della cosa - la ratio della disposizione è individuata nella tacita volontà di rinuncia all'azione di risoluzione da parte del compratore (35).
Da altro lato, invece, si ritiene che la previsione dell'art. 1492, 3° comma, risponda ad una identica voluntas legis (36), anche se si discute sulla sua individuazione. Infatti, se la teoria c.d. oggettiva fonda l'impossibilità del rimedio risolutorio sull'impossibilità di restituire il bene viziato nella sua iniziale integrità (37), l'interpretazione c.d. soggettiva ritiene che la regola dell'art. 1492 non vada ricondotta alla obiettiva impossibilità di ripristino della situazione nella quale le parti si trovavano, bensì alla volontà dell'acquirente di accettare la cosa nonostante il vizio (38).
L'adesione all'una o all'altra prospettiva non è senza conseguenze dal punto di vista pratico. La lettura oggettiva della norma comporta la preclusione della risoluzione tutte le volte in cui la restituzione della cosa sia impossibile, e dunque, anche quando tale impossibilità derivi da cause diverse da quelle espressamente previste.
A conforto di tale soluzione sono state addotte anche ragioni di carattere storico che poggiano sulla considerazione che l'actio redhibitoria romana (39), antenata dell'azione di risoluzione dell'art. 1492, era volta a rimettere i contraenti nella situazione economica in cui si sarebbero trovati se non avessero mai stipulato la compravendita, al punto che l'effetto della risoluzione era subordinato all'adempimento dell'onere di restituzione (40).
Per l'interpretazione soggettiva, invece, neppure il verificarsi delle ipotesi contemplate dalla legge basta ad escludere la legittimazione all'azione di risoluzione, ma - quanto meno con riferimento all'alienazione e trasformazione della cosa - occorre verificare se esse manifestino la volontà del compratore di accettare il bene pur nella consapevolezza dei vizi di cui è affetto, con la conseguente rinuncia alla maggiore tutela derivante dall'esercizio dell'azione di risoluzione (41).
L'impossibilità di restituire la cosa nella sua integrità, come elemento sufficiente a integrare i presupposti in base ai quali l'art. 1492 esclude il diritto alla risoluzione, è contraddetta da due ordini di considerazioni (42).
La prima poggia sul dato normativo che autorizza la risoluzione anche qualora la cosa sia perita - e dunque sia impossibile restituirla - benché specificando che deve trattarsi di perimento dovuto a vizi e non a fatto del compratore (43). La seconda si basa sull'affermazione che non esiste nel nostro ordinamento alcun ostacolo che precluda lo scioglimento del contratto anche nei casi in cui non sia possibile la restituito in integrum (44). Dunque, la facoltà di scelta del compratore ex art. 1492 c.c. non sembra dipendere solo dal criterio oggettivo della possibilità di restituire il bene nella sua integrità.
Occorre, piuttosto, accertare quale soluzione realizzi un ragionevole contemperamento degli opposti interessi ed un'adeguata ripartizione dei rischi (45).
Da una parte, il legislatore prevede a tutela del compratore che questi non perda il diritto alla risoluzione per motivi attinenti alla responsabilità del venditore.
Da altra parte, invece, a tutela del venditore, si prevede che il compratore non ha alcuna scelta, quando quest'ultima è esclusa dagli usi, o quando la cosa è perita per caso fortuito o per sua colpa, o quando è stata alienata o trasformata, e che, comunque, la sua scelta è irrevocabile dal momento della domanda giudiziale.
L'effetto preclusivo dell'art. 1492 è posto a salvaguardia dell'affidamento del venditore su quanto manifestato dal compratore già al momento della domanda giudiziale. Tale affidamento si giustifica se la domanda giudiziale è espressione della volontà di scegliere un rimedio al posto di un altro, così che - sussistendo le condizioni di operatività della garanzia - il compratore può avvalersi indifferentemente dell'uno o dell'altro rimedio e chiedere la risoluzione anche se il vizio renda la cosa semplicemente meno idonea all'uso o, viceversa, domandare la riduzione del prezzo pur in presenza di vizi particolarmente gravi (46).
La irrevocabilità della scelta sta a significare che l'affidamento del venditore deve prevalere sulla capricciosa volontà del compratore, ma non può comportare che l'attore sia costretto a valutare già al momento della domanda alcuni fatti, quali l'esistenza dei presupposti della risoluzione, se agisce proprio per chiedere al giudice di accertare se tali presupposti ricorrano concretamente.
L'immodificabilità della richiesta non vuole essere una sanzione per l'erronea individuazione dell'azione esperibile nel caso concreto, ma solo uno strumento di contemperamento tra la tutela accordata al compratore e l'interesse del venditore a conoscere tempestivamente la sorte del contratto (47).
Sembra conciliabile, dunque, nella lettura della norma, il riferimento sia a criteri soggettivi che oggettivi. Lo stesso art. 1492 c.c. richiama alcuni presupposti - quali il perimento della cosa per caso fortuito - che si prestano ad essere valutati solo oggettivamente, ed altri - come la trasformazione o alienazione della cosa - che sono riconducibili alla volontà del compratore (48).
L'ambito di operatività dell'effetto preclusivo della risoluzione dipende anche dai diversi modi di intendere il concetto di «trasformazione» che, tra gli altri richiamati dall'art. 1492, è quello dai confini più incerti. In particolare occorre porsi il problema dei rapporti tra l'uso del bene e la sua trasformazione (49) onde valutare se tale uso sia richiamato, sia pure implicitamente, tra i fatti che escludono il diritto del compratore alla risoluzione.
All'avvenuta utilizzazione del bene fa riferimento il ricorrente del caso in epigrafe per convincere la Corte della sua legittimazione a chiedere la riduzione del prezzo, sottolineando (50) l'incompatibilità dell'uso con la volontà di sciogliere il contratto.
Va premesso che il problema - se ha scarsa importanza pratica per l'uso anteriore alla denuncia del vizio, data la brevità del termine che deve intercorrere tra scoperta e denuncia - ha maggiore rilevanza con riferimento alla utilizzazione successiva alla denuncia e protrattasi per tutta la durata del processo (51).
Sempre nella prospettiva del contemperamento dei contrapposti interessi occorre distinguere tra l'impiego del bene nell'interesse del compratore e gli atti compiuti al fine di evitare il deperimento della cosa o l'aggravio dei vizi (52). In quest'ultimo caso, non può concludersi per la perdita del diritto alla risoluzione, giacché sarebbe contraddittorio negare un diritto a chi si sia comportato con l'ordinaria diligenza richiesta dall'art. 1227 c.c., tanto più che, grazie a tale comportamento, rimane integra la possibilità di restituire il bene.
Ad opposta soluzione pare opportuno giungere nell'ipotesi di uso del bene da parte del compratore al fine di realizzare, nonostante i vizi, le utilità per le quali è stato effettuato l'acquisto. In tale circostanza il negozio ha raggiunto un risultato apprezzabile ed il compratore ne ha goduto così che si avrebbe un ingiustificato arricchimento dell'acquirente, se gli fosse concesso, malgrado l'utilizzazione del bene, di risolvere il contratto ed essere tenuto alla sola restituzione.
La Corte, invece, come più volte evidenziato, non fa alcuna distinzione e, dando per presupposti l'identità tra le condizioni di ammissibilità delle due azioni si limita ad insistere sulla coincidenza dei vizi che giustificano il ricorso alternativamente ora all'azione di risoluzione ora a quella di riduzione del prezzo, così che la scelta di una preclude l'esperibilità dell'altra.
La Cassazione, inoltre, stante che il ricorrente aveva rinunciato alla domanda di risoluzione in sede di precisazione delle conclusioni, presume che i vizi denunciati non fossero tali da consentirne l'accoglimento.
A parte la assoluta mancanza di motivazione in ordine a tale presunzione, si dimentica la precisazione del ricorrente in ordine al fatto che la sua rinuncia non si basava su profili attinenti all'esistenza dei vizi ed alla loro idoneità a giustificare la tutela richiesta. Si trattava, piuttosto, di una rinuncia all'azione di risoluzione giustificata dal successivo verificarsi di alcuni presupposti - in particolare l'uso dell'automezzo e la sua conseguente usura - incompatibili con l'azione di risoluzione in base al disposto dell'art. 1492, 3° comma, c.c.
Anche il rapporto tra i diversi rimedi previsti dalla disciplina in tema di vendita non può prescindere da un confronto con le soluzioni previste dal D.Lgs. n. 24 del 2002 e dalla conseguente novella del codice civile (53). Nonostante tale novità esuli dalle problematiche legate al caso che ci occupa - rientrante, come più volte evidenziato, nell'ambito di applicazione dell'art. 1492 c.c. - sono doverosi alcuni accenni, date le implicazioni sistematiche connesse all'entrata in vigore della nuova disciplina.
Si pensa, in particolare, all'introduzione del modello gerarchico ed alla previsione del ricorso ai tradizionali rimedi della risoluzione e della riduzione del prezzo solo qualora la riparazione o sostituzione del bene sia impossibile, sproporzionata o risulti inadempiuta dal venditore entro termini ragionevoli o senza notevoli inconvenienti (54). Si tratta di una soluzione che introduce una sensibile deviazione rispetto al sistema del codice del 1942, incentrato sul recepimento del sistema romano delle azioni edilizie ed ancora attuale per i contratti di compravendita diversi da quelli previsti dall'art. 1519 bis.
Il modello gerarchico pone dei problemi di coordinamento con l'art. 1469 bis, 3° comma, n. 2, e dunque anche con norme di recente introduzione, perché la soluzione dell'impossibilità di fare ricorso alla risoluzione o alla riduzione del prezzo in modo alternativo rispetto alla sostituzione o riparazione del bene è sembrata limitativa delle azioni proponibili dal consumatore (55).
Sono ridotte nella nuova disciplina le differenze tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo. Non è riscontrabile, infatti, una puntuale descrizione della diversità dei presupposti così come richiesta dall'art. 1492 c.c., c'è solo un riferimento nell'art. 1519 quater al fatto che un difetto di conformità di lieve entità non dà diritto alla risoluzione del contratto (56).
Dunque, nel confrontare i casi che rientrano nella previsione dell'art. 1492 c.c. e quelli dell'art. 1519 quater si può notare che - quanto al rapporto tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo - solo per i primi ha rilievo distinguere tra diversità di presupposti ed identità di vizi. Su tale identità è chiara anche la sentenza in commento ove la Corte di cassazione afferma che l'art. 1492 non distingue tra vizi più gravi e legittimanti la risoluzione del contratto e vizi meno gravi legittimanti la riduzione del prezzo.
Occorre, invece, fare un discorso completamente diverso con riferimento ai casi relativi alla vendita dei beni di consumo e disciplinati dall'art. 1519 quater, ove non ci sono differenze di presupposti ma torna ad essere di rilievo centrale la diversità tra i vizi più gravi e quelli meno gravi.
Il richiamo alla gravità dei vizi pone all'interprete un altro interrogativo in relazione ai rapporti tra la risoluzione nella disciplina della vendita dei beni di consumo e quella ordinaria dell'art. 1453 c.c. Pur rinviando, sul punto, alla dottrina che ha affrontato il problema (57) non si può fare a meno di notare che da una parte la domanda di risoluzione del bene ex art. 1519 quater è vicina all'art. 1453 nella misura in cui il difetto di conformità è considerato conseguenza dell' inadempimento di una prestazione primaria del venditore.
Da altra parte, la stessa azione si allontana dalle caratteristiche della risoluzione ordinaria proprio perché non si pone in termini di alternatività rispetto all'adempimento della prestazione primaria ma - come evidenziato dall'art. 1519 quater - si tratta di un rimedio gerarchicamente subordinato.
Autore: Dott.ssa Sara Tommasi - tratto da: Giur. It., 2005, 36
Note:
(1) Si vedano: Garofalo, Garanzia per i vizi ed azione redibitoria nell'ordinamento italiano, in Riv. Dir. Civ., 2001, I, 243; G. B. Ferri, La vendita in generale. Le obbligazioni del venditore. Le obbligazioni del compratore, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XI, Torino, 2000, 557; Vacca, Profili della «risoluzione», nella compravendita e nella locazione fra storia e comparazione, in Europa dir. priv., 1998, 521; Gorla, voce «Azione redibitoria», in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 875.
(2) Per i riferimenti a tale orientamento ed alle critiche che gli sono state mosse si veda, in particolare, Terranova, voce «Redibitoria», in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991, 3.
(3) C. M. Bianca, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, VII, Torino, 1993, 688-707; Macario, voce «Vendita», in Enc. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1994, 19.
(4) La tesi risale a Giorgi, Teoria delle obbligazioni, IV, Firenze, 1899, 90 che la propose durante la vigenza del vecchio codice. Per le altre ricostruzioni sviluppatesi in quel periodo cfr. Cabella Pisu, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, 33; Mirabelli, I singoli contratti. Artt. 1470-1765 c.c., in Commentario del codice civile, Libro IV, XVI, Torino, 1991, 91, specifica che la diversa sanzione prevista per l'errore rispetto alla garanzia per i vizi - cioè l'annullamento piuttosto che la risoluzione - non basta ad impedire la convergenza delle figure sul piano dogmatico; più di recente si veda Grassi, I vizi della cosa venduta nella dottrina dell'errore: Il problema dell'inesatto adempimento, Napoli, 1996, 52.
(5) In tal senso Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi della vendita, in Riv. Dir. Comm., 1953, I, 7. Id., Gli acquisti «a non domino», Milano, 1975, 21. Quanto al fondamento della garanzia nella violazione di un obbligo di informazione si veda Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 155.
(6) Martorano, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Napoli, 1959, 177.
(7) Aderisce a questa lettura Cass., Sez. un., 25 marzo 1988 n. 2565, in Giust. Civ., 1988, I, 1117, con nota di Nardi, L'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale dell'art. 1492 c.c.; in dottrina si rimanda a Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XVI, Milano, 1971, 632; Di Majo, L'esecuzione del contratto, Milano, 1967, 255, considera la garanzia per i vizi come uno strumento che assicura la conformità della vicenda esecutiva al programma negoziale. In senso critico rispetto alle dottrine che qualificano la regolarizzazione della prestazione inesatta come ipotesi di risarcimento in forma specifica si veda Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. Dir. Civ., 2001, I, 886 e 879, ove si sottolinea che i rimedi della coazione all'adempimento sono intrinsecamente diversi, per struttura e funzione, rispetto a quelli risarcitori, anche del tipo della riparazione in natura. A riguardo si rimanda a Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, 261.
(8) Si veda, ampiamente, C. M. Bianca, La vendita e la permuta, cit., 698.
(9) Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi della vendita, cit., 15, esclude, con riferimento ai vizi ed alla mancanza di qualità del bene venduto, che derivi per il venditore l'impegno ad un proprio comportamento futuro.
(10) Si tratta del classico dibattito relativo alla inconcepibilità di una prestazione obbligatoria sulla cui realizzazione l'obbligato non è in grado di influire. Lo stesso problema è stato affrontato in dottrina con riferimento alla promessa del fatto del terzo, ne dà conto Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 879, nota 51.
(11) Plaia, Sull'ammissibilità dell'azione di esatto adempimento in presenza di vizi del bene venduto o promesso in vendita, in Contratto e Impresa, 1998, 123; Luminoso, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per i vizi nella vendita dal codice civile alla direttiva 1999/44/CE, in Riv. Dir. Civ., 2001, I, 838, nota 2. È evidenziabile un trend a dare priorità all'adempimento in natura ed ai mezzi per realizzarlo. A riguardo interessante è il richiamo, opportunamente valorizzato da Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 893, alle soluzioni dei principi di diritto uniforme, sia quelli Unidroit che quelli della Commissione Lando, ove il diritto all'adempimento comprende il diritto di chiedere la correzione dell'adempimento inesatto, per mezzo dell'adempimento in natura, della riparazione, sostituzione o ogni altro rimedio.
(12) Si veda Cass., 24 novembre 1994, n. 9991, in Foro It., 1995, I, 3263.
(13) Si tratta di una soluzione diversa da quella seguita da altri legislatori, si pensi, per tutti, all'esempio tedesco. A riguardo si rimanda a Colombi Ciacchi, Il nuovo diritto tedesco delle obbligazioni: prime osservazioni, in Annuario di diritto tedesco, 2001, Milano, 2002, 95; Ranieri, La riforma del codice civile tedesco, in Giust. Civ., 2002, II, 305; Cian, Significato e lineamenti della riforma dello Schuldrecht tedesco, in Riv. Dir. Civ., 2003, I, 1; Canaris, La mancata attuazione del rapporto obbligatorio: profili. Il nuovo diritto delle Leistungsstörungen, ibidem, I, 19.
(14) Di fronte alla nuova normativa di derivazione comunitaria, la prevalente dottrina ritiene che sia superato il modello della garanzia per inattuazione o imperfezione dello scambio. Di diverso avviso Luminoso, Il contratto nell'Unione europea: inadempimento, risarcimento del danno e rimedi sinallagmatici, in Contratti, 2002, 1049, che si dimostra scettico sul fatto che la chiave di lettura della nuova normativa sia il superamento della garanzia intesa come responsabilità senza inadempimento.
(15) Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 881, fa riferimento ad una rivoluzione copernicana della materia consistente non solo nella ridefinizione del contenuto della prestazione traslativa, ma anche nella diversa qualificazione del mezzo tecnico della sua realizzazione. Tale mezzo, infatti, si emancipa dallo schema della garanzia e viene ricondotto al piano della prestazione dovuta, e dunque, dell'obbligazione in senso tecnico.
(16) Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 864, nota che il problema dell'impatto della direttiva non va affrontato solo con riferimento all'impianto normativo, ma anche in relazione all'impianto teorico che ne accompagna l'interpretazione e l'applicazione.
(17) Quanto alla differenza tra garanzia per i vizi, mancanza di qualità promesse e aliud pro alio si vedano: Enriquez, Il problema ancora aperto dell'aliud pro alio, in Giur. It., 2002, I, 282; Id., La distinzione tra vizi redibitori ed aliud pro alio, in Contratti, 2001, 264; C. M. Bianca, Consegna di aliud pro alio e decadenza dai rimedi per omessa denuncia nella Direttiva 1999/44/CE, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 16; meno di recente, si confronti Mirabelli, I singoli contratti, cit., 108, in particolare per i tentativi di dare certezza alla distinzione tra i vari tipi di difformità che possono riscontrarsi nel bene compravenduto. Altra dottrina, invece, più volte ha denunciato incertezze su tali criteri di distinzione, si veda: Rubino, La compravendita, cit., 762. È singolare che l'art. 1497 c.c. sia stato introdotto proprio per attenuare la litigiosità alimentata dal sistema degli abrogati codici civile e di commercio che non prevedevano rimedi specifici per il caso di mancanza nel bene delle qualità promesse, a riguardo si rimanda a Terranova, voce «Redibitoria», cit., 7, al quale si rinvia anche per altri riferimenti bibliografici e per l'analisi del criterio distintivo che si basa sulla destinazione economico-sociale del bene.
(18) Si veda Angelici, «Consegna» e «proprietà» nella vendita internazionale, Milano, 1979, 24; per le differenze tra la Convenzione di Vienna e la disciplina della vendita dei beni di consumo, come disegnata già dalla direttiva 1999/44/CE si rimanda a Cabella Pisu, Vendita, vendite: quale riforma delle garanzie?, in Contratto e Impresa/ Europa, 2001, 37.
(19) Sul tema si confrontino: Luminoso, La compravendita. Corso di diritto civile, Torino, 2003; Id., Il contratto nell'Unione europea: inadempimento, risarcimento del danno e rimedi sinallagmatici, cit., 1037; Id., Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per i vizi nella vendita dal codice civile alla direttiva 1999/44/CE, cit., 837; Id., Appunti per l'attuazione della direttiva 99/44/CE e per la revisione della garanzia per i vizi nella vendita, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 104; Di Majo, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa e dir. priv., 2002, 1; Di Paola, Vendita di beni di consumo: si rafforzano le garanzia per l'acquirente, in Leggi civ. comm., 2002, 309; Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 863; G. B. Ferri, Divagazioni intorno alla direttiva n. 44 del 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni al consumo, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 57; De Matteis, Il difetto di conformità e l'equilibrio contrattuale dello scambio, ibidem, 46; Pardolesi, L'incidenza della direttiva 99/44/Ce sulla disciplina italiana della garanzia per i vizi, in Foro It., 2001, I, 1906; Falzone Calvisi, Garanzie legali della vendita: quale riforma?, in Contratto e Impresa/Europa, 2000, 448; De Cristofaro, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000; Lodolini, La direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo: prime osservazioni, in Europa e dir. priv., 1999, 1275.
(20) C. M. Bianca, Consegna di aliud pro alio e decadenza dai rimedi per omessa denuncia nella Direttiva 1999/44/CE, cit., 16.
(21) Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 871, qualifica la nozione di conformità al contratto come «criterio valutativo sintetico del risultato traslativo»; sulla «non conformità al bene» come novità non assoluta si veda Gallo, Le garanzie nella vendita di beni al consumo. Prospettive e riforma alla luce della direttiva 1999/44/CE, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 82.
(22) A riguardo Mengoni, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi della vendita, cit., 3.
(23) Si tratta della disciplina che riguarda ormai quella che può chiamarsi la «vendita civile» contrapposta a quella della novella del codice civile riguardante la «vendita commerciale». Quest'ultima risponde ad un modello di scambio che si pone sul piano della produzione e distribuzione di massa e, al contrario di quello individuale, non contrasta con la possibilità da parte dell'alienante di controllare ed intervenire sullo standard qualitativo del bene. Nella «vendita commerciale», pertanto, non è concettualmente inammissibile la configurabilità dell'obbligazione di consegnare una cosa esente da vizi, perché si dà per presupposta la possibilità, da parte del venditore, di recuperare il risultato traslativo rimasto inattuato, così Amadio, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 891 e segg.; significativo a riguardo che la vendita dell'art. 1519 bis ricomprende anche l'ipotesi della consegna di un bene da fabbricare o produrre, cfr. Bonfante-Cagnasso, Risoluzione del contratto ed «azione di adempimento» quali strumenti di tutela del consumatore o dell'impresa?, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 24.
(24) Sul rapporto tra azione di risoluzione nella compravendita e normale azione di risoluzione per inadempimento la dottrina è divisa. Nel senso dell'autonomia è Grisi, L'obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 215; quanto all'opposto orientamento si veda Grassi, op. cit., 21; aderisce alla tesi dell'autonomia dell'azione di risoluzione di cui all'art. 1492, pur non rifiutando l'idea che per il completamento della disciplina si possa attingere alla normativa della risoluzione ordinaria Garofalo, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell'ordinamento italiano, cit., 286.
(25) Si confronti Consolo, Il concorso di azioni nella patologia della vendita. Diritto e processo, in Riv. Dir. Civ., 1989, I, 765.
(26) I contrapposti orientamenti in giurisprudenza hanno portato alla pronuncia di Cass., Sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565, cit.
(27) Si veda, per tutte, Cass., 19 luglio 1983, n. 4980, in Foro It., 1984, I, 780.
(28) Per un'analisi dettagliata del problema, ed in senso favorevole alla possibilità che il compratore chieda in subordine la riduzione del prezzo per l'eventualità che la domanda di risoluzione sia infondata, si veda C. M. Bianca, La vendita e la permuta, cit., 959, per il quale, trattandosi di scelta rimessa alla parte, non sembra che il giudice possa accordare di sua iniziativa la riduzione se questa non è chiesta.
(29) In Giust. Civ., 1988, I, 1117.
(30) Sottolinea la Corte che nel caso dalla stessa esaminato non era in discussione la ricorrenza di una delle ipotesi di tutela limitata contemplate dall'art. 1492 c.c., ma soltanto la concreta sussistenza ed incidenza dei vizi denunciati dall'acquirente.
(31) Si vedano: Terranova, voce «Redibitoria», cit., 14; Rubino, La compravendita, cit., 810; Greco e Cottino, Della vendita, in Commentario del cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni (artt. 1470-1547), XVII, Bologna-Roma, 1964, 268.
(32) In questo senso espressamente Cass., Sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565, cit., per la quale la electio tra le due azioni presuppone la concreta ricorrenza di identiche condizioni di ammissibilità.
(33) Cubeddu, Vizio apprezzabile e garanzia della cosa venduta, in Riv. Dir. Civ., 1990, II, 167.
(34) Per una critica a tale assunto cfr. Castronovo, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, in Europa dir. priv., 1999, 823; con riferimento al rapporto tra la nuova disciplina della vendita dei beni di consumo e la regola res perit domino cfr. Di Paola, op. cit., 318.
(35) Per le prime obiezioni ad una tale ratio si rimanda a Rubino, La compravendita, cit., 804.
(36) In particolare quanto alla rispondenza della norma in questione ad un'unica ratio si rimanda a Garofalo, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell'ordinamento italiano, cit., 257 e 260.
(37) Sulla possibilità di restituzione del bene come presupposto del rimedio risolutorio si vedano: Gorla, voce «Azione redibitoria», cit., 166; Rubino, La compravendita, cit., 806.
(38) Cass., 15 gennaio 2001, n. 489, in Contratti, 2001, 647, con nota di Besozzi, Trasformazione della cosa compravenduta e azione di risoluzione del contratto.
(39) Gorla, voce «Azione redibitoria», cit., 875; Terranova, voce «Redibitoria», cit., 3, nota che, pur essendo l'istituto della garanzia per i vizi modellato sulla tradizione romanistico-giustinianea, non va trascurato che il nostro ordinamento si caratterizza per l'efficacia traslativa del consenso al contrario della vendita meramente obbligatoria di romana memoria.
(40) Sulle distinzioni tra l'actio redhibitoria del diritto romano e l'azione di risoluzione ex art. 1492 c.c., soprattutto con riferimento alla circostanza che l'effetto della risoluzione era subordinato all'adempimento dell'onere di restituzione cfr. Garofalo, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell'ordinamento italiano, cit., 280.
(41) Sul punto v. retro.
(42) Per Garofalo, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell'ordinamento italiano, cit., 266, la soluzione più aderente al dettato normativo sembra quella che muove dall'identità di ratio della norma in questione. L'Autore avverte l'opportunità di non trascurare che oltre all'impossibilità di restituire la cosa devono tenersi in considerazione le cause della stessa, dato che l'impossibilità riconducibile alla sfera di responsabilità del venditore non preclude il diritto alla risoluzione.
(43) Besozzi, Trasformazione della cosa compravenduta e azione di risoluzione del contratto, cit., 648.
(44) Si pensi agli art. 2037 e 2038 c.c. ai quali si riferisce Gallo, Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1996, 156; Di Majo, Alienazione della cosa acquistata e azione di risoluzione, in Foro Pad., 1966, I, 757, ritiene che la restituzione specifica della cosa - se impossibile - può essere sostituita dalla restituzione dell'equivalente.
(45) Particolare sensibilità a tale soluzione è dimostrata da Cass., Sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565, cit., ove si afferma che la scelta dell'art. 1492 è uno strumento per contemperare l'interesse del compratore con quello del venditore.
(46) In tal senso Cass., Sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565, cit., ove si aggiunge che la domanda di riduzione del prezzo anche in presenza di vizi particolarmente gravi sarà certamente più rara ma non va esclusa, perché la regolamentazione dell'art. 1492 e la facoltà di scelta consentono di dare rilievo ai motivi particolari e personali che possono spingere il compratore a mantenere l'acquisto del bene anche al di là dei suoi requisiti strettamente funzionali.
(47) Espressamente in tale direzione muove Cass., Sez. un., 25 marzo 1988, n. 2565.
(48) Per la valorizzazione della possibilità di conciliare gli elementi oggettivi e soggettivi nell'interpretazione dell'art. 1492 si vedano Cass., 4 aprile 1998, n. 3500, cit.
(49) A riguardo si confrontino Greco e Cottino, Della vendita, cit., 274.
(50) Sull'orientamento della Cassazione che equipara la trasformazione all'uso della cosa si rimanda a Besozzi, Trasformazione della cosa compravenduta e azione di risoluzione del contratto, cit., 649, nota 20.
(51) Il problema del rapporto tra durata del processo e disciplina prevista dall'art. 1492 c.c. assume particolare rilievo in riferimento alle ipotesi di perimento della cosa dopo la proposizione al giudice della domanda di risoluzione. Gli orientamenti classici a riguardo sono riconducibili a Rubino, La compravendita, cit., 804, per il quale vale la regola che la durata del processo non può gravare sulla parte vittoriosa; a Greco e Cottino, Della vendita, cit., 272, ove si richiamano le regole della mora accipiendi. Per una critica a tali orientamenti si veda Garofalo, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell'ordinamento italiano, cit., 271.
(52) Greco e Cottino, Della vendita, cit., 274.
(53) Sul punto si rimanda alla nota 19.
(54) Amadio, La «conformità al contratto» tra garanzia e responsabilità, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, 3; Gallo, Le garanzie nella vendita di beni al consumo. Prospettive e riforma alla luce della direttiva 1999/44/CE, cit., 81 nota che non si tratta di una novità assoluta perché già la Convenzione di Vienna aveva privilegiato l'esecuzione in forma specifica in conformità al modello tedesco del Naturalherstellung.
(55) Per una sintesi del dibattito a riguardo cfr. Di Paola, op. cit., 321, nota 47.
(56) Sul rilievo dei c.d. difetti di conformità «minori» si vedano Bonfante-Cagnasso, op. cit., 30.
(57) Garofalo, Le azioni edilizie e la direttiva 1999/44/CE, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di Mazzamuto, Torino, 2002, 508; Amadio, La «conformità al contratto» tra garanzia e responsabilità, cit., 12; De Cristofaro, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, cit., 198.