Risoluzione dei contratti dei lavori pubblici:
le innovazioni introdotte dal decreto competitività
La Legge 14/05/2005 n. 80 ha convertito, con modificazioni, il D.L. 14/03/2005 n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. La legge contiene anche deleghe al Governo, per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato, nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.
Tra le diverse misure introdotte per rilanciare la competitività del sistema produttivo nazionale, meritano di essere segnalate quelle dirette, specificamente, al settore dei lavori pubblici e, tra queste, quella che disciplina gli effetti della risoluzione del contratto sullo sgombero del cantiere, e quella che autorizza le stazioni appaltanti ad effettuare lo scorrimento della graduatoria, ai fini dell'affidamento dell'appalto, nei casi in cui l'impresa aggiudicataria sia fallita, o il contratto sia stato risolto in conseguenza di un suo inadempimento.
Tali innovazioni sono previste all'articolo 5, commi 12, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 13.
Per quanto concerne la prima innovazione, occorre considerare che si tratta della previsione, contenuta nel comma 12, dell'obbligo dell'appaltatore di sgomberare il cantiere, quando la stazione appaltante disponga la risoluzione del contratto, ai sensi degli articoli 118, 119 e 120 D.P.R. n. 554/1999. Inoltre, la norma si occupa dell'esecuzione in danno, in caso di sua inosservanza, e, soprattutto, della possibilità che l'Amministrazione eviti l'attuazione di provvedimenti cautelari, che inibiscano o ritardino lo sgombero, con la prestazione di idonea garanzia (fatto salvo, comunque, il diritto dell'impresa al risarcimento dei danni).
Il comma 12 prevede espressamente che "la stazione appaltante, in alternativa alla esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d'urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione in conto vincolato a favore dell'appaltatore o prestare fideiussione bancaria o polizza assicurativa con le modalità di cui all'articolo 30, comma 2-bis, della Legge 11 febbraio 1994, n. 109, pari all'uno per cento del valore del contratto. Resta fermo il diritto dell'appaltatore di agire per il risarcimento dei danni".
Tale disposizione, evidentemente finalizzata ad accelerare lo sgombero del cantiere e, quindi, a semplificare il completamento dei lavori, non sembra porre particolari problemi interpretativi ed applicativi, contenendo una regolamentazione piuttosto chiara della situazione considerata, ad eccezione dei seguenti doverosi rilievi.
Per quanto attiene alla "sterilizzazione" dell'efficacia dei provvedimenti giurisdizionali, che paralizzano lo sgombero del cantiere, occorre rilevare che tali ordinanze sono, per lo più, quelle pronunciate dal giudice ordinario, e che la relativa disciplina si presta a dubbi di costituzionalità.
In ordine al primo profilo di esame, deve rilevarsi che la competenza giurisdizionale a conoscere degli atti adottati in corso di esecuzione del contratto deve intendersi attribuita al giudice ordinario, se si accede a quella interpretazione, che nega all'articolo 23-bis L. n. 1034/1971 valenza innovativa in ordine alla giurisdizione esclusiva, con particolare riguardo alle controversie relative a provvedimenti adottati in corso di esecuzione dell'appalto. Tuttavia, merita di essere segnalata anche la diversa lettura, che interpreta la disposizione come contestualmente attributiva al giudice amministrativo della competenza a conoscere di atti autoritativi, adottati dopo la stipulazione del contratto. Non vi e dubbio che la risoluzione unilaterale, contemplata dalle citate disposizioni del regolamento, presenta evidenti profili di autoritatività.
Per ciò che concerne, invece, i dubbi di costituzionalità, va rilevato che la disposizione, per come strutturata, impedisce l'attuazione di un provvedimento giurisdizionale, e riserva la relativa scelta (se osservare, o meno, l'ordine del giudice) proprio alla parte colpita da quest'ultima, e senza che l'autorità giudiziaria sia investita della verifica dell'idoneità della garanzia ad assicurare la soddisfazione degli interessi e dei diritti dell'appaltatore, il quale, non va dimenticato, ha ottenuto, a proprio favore, il provvedimento giurisdizionale.
Non si tratta, a ben vedere, della classica e conosciuta ipotesi del deposito di una cauzione in sede giudiziaria, al quale il giudice può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare richiesta, ma della prestazione di una garanzia in una fase successiva all'adozione del provvedimento giurisdizionale, e senza alcun controllo giurisdizionale.
Allora, non può non rilevarsi che tale istituto, cosi come disciplinato dal Legislatore, si presta a censure di incompatibilità con i parametri costituzionali.
In primo luogo, con l'articolo 3, nel senso che l'Amministrazione ne ricava un trattamento più favorevole rispetto agli altri committenti, con violazione del principio di uguaglianza. In secondo luogo, con l'articolo 24, nel senso che l'effettività della tutela esecutiva viene notevolmente sacrificata, se non del tutto impedita, senza che la clausola di salvezza della tutela risarcitoria risulti idonea a superare i dubbi appena espressi, con conseguente violazione del diritto di difesa dell'impresa appaltatrice.
Per quanto concerne l'altra innovazione, cioè la cosiddetta gara a scorrimento, i commi 12-bis, 12-ter, 12-quater e 12-quinquies dell'articolo 5 prevedono la possibilità che le stazioni appaltanti, in deroga alla disciplina ordinaria, contenuta nella legge n. 109/1994, affidino direttamente, in caso di fallimento dell'appaltatore, o di risoluzione per suo grave inadempimento, i lavori residui ad una delle imprese, che seguivano in graduatoria quella aggiudicataria. Ciò, previo interpello delle medesime imprese nell'ordine di classificazione (e fino alla quinta posizione), alle stesse condizioni offerte in sede di gara da quella dichiaratasi disponibile. Inoltre, l'appalto relativo al completamento dei lavori può essere assegnato mediante procedura negoziata, senza pubblicazione del bando, quando le imprese interpellate si siano dichiarate indisponibili, o siano anch'esse fallite, ovvero, ancora, nel caso in cui gli eventi contemplati dal comma 12-bis si siano verificati quando l'opera sia stata realizzata per una percentuale non inferiore al 70% e l'importo netto residuo non superi i tre milioni di euro.
Tale articolata disciplina risulta espressamente introdotta in deroga al regime ordinario, contenuto nell'articolo 10, comma 1-ter, L. n. 109/1994, che prevede la sola possibilità, per le stazioni appaltanti, di contemplare nel bando la facoltà, in caso di fallimento o di risoluzione del contratto per grave inadempimento dell'appaltatore, di interpellare l'impresa seconda classificata al fine di stipulare con essa un nuovo contratto, avente ad oggetto il completamento dei lavori. Inoltre, in caso di fallimento anche del secondo, il bando può prevedere di affidare i lavori, previo interpello, al terzo classificato, alle stesse condizioni offerte dal secondo, restando inteso che se le amministrazioni aggiudicatrici non esercitano tale facoltà, e cioè non prevedono nel bando la possibilità di interpellare il secondo classificato, devono bandire una nuova gara per l'affidamento dei lavori di completamento.
Queste nuove disposizioni derogatorie, introdotte dalla Legge n. 80/2005, si presentano, ad una prima lettura, gravide di rilevanti incertezze interpretative e di importanti difficoltà applicative.
Prima di procedere alla disamina dei problemi interpretativi, occorre premettere una ricostruzione della finalità dell'istituto della cosiddetta "gara a scorrimento" e dei suoi rapporti con il regime ordinario, del quale costituisce espressa deroga.
La ratio dell'innovazione va, anzitutto, individuata nell'esigenza di apprestare un meccanismo operativo, che consenta alle stazioni appaltanti, nelle ipotesi di fallimento o di risoluzione per inadempimento dell'originario appaltatore, di affidare il completamento delle opere con la modalità semplificata dell'interpello delle imprese, che hanno partecipato alla gara (nell'ordine in cui si sono classificate e fino alla quinta) e di evitare, quindi, di intraprendere l'impervio sentiero dell'indizione di una nuova procedura.
Chiarita la finalità dell'istituto, occorre procedere all'individuazione dei rapporti tra la novella disciplina derogatoria e quella generale, contenuta nella legge quadro. Si tratta, in sostanza, di verificare in che cosa consista la deroga e, cioè, quali aspetti della disciplina ordinaria risultino derogati da quella speciale.
Secondo una prima lettura, la deroga potrebbe intendersi riferita, non al contenuto precettivo della disposizione, ma alla scelta dell'Amministrazione di esercitare la facoltà ivi attribuitale.
Gia la disposizione derogata assegna alla stazione appaltante la facoltà di prevedere nel bando lo scorrimento della graduatoria (seppur a condizioni diverse e più restrittive di quelle previste dalla Legge n. 80/205), con la conseguenza che non ha alcun senso riferire l'ulteriore deroga in esame alla volontà dell'Amministrazione, posto che, se quest'ultima ha gia previsto nel bando la possibilità dell'interpello del secondo classificato, resta vincolata a quella clausola, e se non lo ha fatto si dovrebbe applicare il regime generale, che obbliga l'Amministrazione all'indizione di una nuova gara.
La lettura, che riconnette la deroga alla scelta discrezionale dell'Amministrazione sul regime da applicare, quindi, oltre ad essere incompatibile con il significato comunemente inteso della "deroga", si rivela, inoltre, erronea in quanto riferisce impropriamente la specialità della nuova disciplina all'articolo 10, comma 1-ter, il quale gia presenta significativi aspetti di eccezionalità, anziché al regime generale ordinario. Probabilmente, con la modifica in esame si intendeva generalizzare la possibilità dello scorrimento, a prescindere, cioè, dall'originaria previsione nel bando, ed estenderla oltre i confini disegnati dall'articolo 10, comma 1-ter e, cioè, fino al quinto classificato ed alle condizioni offerte dall'impresa che accetta. Si e, forse inteso, in buona sostanza, esonerare le Amministrazioni dall'onere di contemplare nel regolamento di gara la facoltà dello scorrimento, ma tale intenzione non e stata perseguita con una tecnica normativa corretta.
Si sarebbe, infatti, dovuto abrogare l'articolo10, comma 1-ter, e sostituire integralmente la relativa disciplina con il nuovo regime.
Invero sarebbe possibile, teoricamente, una diversa interpretazione.
Si potrebbe intendere la nuova disciplina come circoscritta, nel suo ambito applicativo oggettivo, ai soli appalti di lavori soggetti alla Legge n. 443/2001 ("Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive") o, comunque, alle sole infrastrutture stradali, posto che, accedendo a tale opzione ermeneutica, si restituisce un senso alla portata derogatoria del nuovo regime, che resterebbe, quindi, applicabile solo per alcune tipologie di contratti, conservando, per le altre, il regime ordinario previsto dalla legge quadro.
Tuttavia, tale lettura, ancorché fondata su apprezzabili argomenti, non pare agevolmente praticabile.
Infatti, la sola collocazione sistematica in un articolo ed in un capo espressamente dedicati alla rete infrastrutturale non consente, in difetto di espressa limitazione della portata della modifica in esame ad alcune tipologie di contratti, di circoscrivere l'ambito applicativo oggettivo del nuovo istituto, anche tenuto conto che, in altre disposizioni dell'articolo 5, e rintracciabile un esplicito richiamo alle opere di cui al comma 5. Ciò, ovviamente, sta a significare che, laddove il Legislatore ha inteso restringere le innovazioni ai soli lavori autostradali, lo ha espressamente fatto. Inoltre, anche l'argomento logico, pure apprezzabile, di soddisfare, con l'esegesi in esame, l'esigenza di restituire significato alla "deroga", conservando, quindi, uno spazio di autonoma operatività alla disposizione generale, non sembra concludente, mancando di qualsivoglia riscontro testuale alla tesi che pretende di dimostrare.
In definitiva, sembra che l'unica esegesi plausibile del significato e della portata della deroga sia quella, ancorché configgente con il metodo logico di analisi dianzi indicato, che interpreta il nuovo regime come interamente sostitutivo di quello contenuto nell'articolo 10, comma 1-ter, pur con tutte le incertezze ricostruttive e le difficoltà di ricomposizione sistematica ora segnalate.
Proseguendo nella disamina di altri problemi interpretativi, si deve indagare il contenuto della potestà assegnata all'Amministrazione e la natura delle speculari posizioni soggettive delle imprese interessate: sia di quelle che hanno conseguito una posizione utile, ai fini dell'interpello, nella gara originaria, sia di quelle che non hanno partecipato alla procedura e che aspirano all'affidamento del completamento dei lavori.
In coerenza con la ratio dell'istituto, la possibilità offerta dall'ordinamento alle stazioni appaltanti va qualificata come facoltà, nel senso che l'Amministrazione può scegliere liberamente, nel caso di fallimento, o risoluzione del contratto per inadempimento dell'appaltatore, se seguire il regime ordinario, che implica l'indizione di una nuova procedura per l'affidamento dei lavori, o valersi della possibilità di scorrere la graduatoria. Quest'ultima facoltà, in particolare, risulta prevista nell'esclusivo interesse dell'Amministrazione appaltante, senza che in capo alle imprese a vario titolo interessate possano ritenersi intestate posizioni soggettive giuridicamente rilevanti.
Da tale ricostruzione, discendono i seguenti corollari: a) l'Amministrazione non sembra essere obbligata a motivare in modo dettagliato la scelta in ordine all'esercizio della facoltà di scorrimento; b) le imprese interessate non sono titolari di alcun diritto all'interpello, ma solo di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta; c) il giudice amministrativo può sindacare la correttezza dell'esercizio del potere, solo in caso di manifesta irragionevolezza.
La questione si complica se le imprese interessate sollecitano formalmente la stazione appaltante (prima che questa si sia pronunciata o, comunque, che abbia bandito una nuova gara) a procedere allo scorrimento. In tal caso, infatti, l'Amministrazione e obbligata a rispondere, ed a indicare le regioni della propria futura scelta.
Articolo tratto dal sito: www.leggiditalia.it