Risoluzione del contratto per carenze progettuali

(commento alla sentenza Tribunale di Napoli 16/06/2005)

 

Il Tribunale di Napoli con la sentenza 16 giugno 2005 interviene in merito alla risoluzione di un contratto d'appalto affermando che l'appaltatore di opere pubbliche puo richiedere - ed ottenere - che venga meno il vincolo obbligatorio (oltre a pretendere il risarcimento del danno) nel caso in cui l'amministrazione appaltante (nella fattispecie Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, a seguito della nuova denominazione del Ministero dei Lavori Pubblici per effetto di quanto disposto dal Dlgs.300/99) abbia omesso di compiere le preventive verifiche sulla realizzabilita del progetto, evidenziando che se la discrezionalita dell'Amministrazione e insindacabile sotto il profilo amministrativo essa incontra un limite insuperabile nei principi di correttezza e buona fede - alla cui puntuale osservanza e tenuta anche la P.A. nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c. - e nella contestuale tutela dell'affidamento ingenerato nel privato (vedi, anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 giugno 2002 n. 3258). Le regole della buona fede e della correttezza (in ambito civilistico) impongono un criterio di valutazione obiettivo nelle (e delle) relazione tra le parti del negozio contrattuale, che valorizza l'apporto collaborativo della partecipazione e assicura - in ambito pubblicistico - l'imparzialita e la trasparenza, riprendendo un consolidato orientamento comportamentale che il codice civile assegna alla diligenza dell'uomo medio (il c.d. buon padre di famiglia, ex art.1179 c.c.), espressione generale di un dovere imposto dalle regole di convivenza in grado di abilitare un comportamento capace di soddisfare l'interesse del creditore, e il dovere del debitore di prestare con esattezza la propria obbligazione con l'adempimento esatto - corretto - secondo i principi che vincolano entrambe le parti del rapporto obbligatorio, sia durante (ex post, vedi art. 1175 c.c) che antecedente al vincolo (ex ante, vedi art.1337 c.c.): deducendo che la prestazione va eseguita se possibile e sempre e comunque con la piena partecipazione delle parti.

Fatte queste brevi premesse, la questione nasce dalla stipulazione da parte dell'impresa ricorrente (attore) di un contratto di cottimo fiduciario (aggiudicazione massimo ribasso) con il Provveditorato delle OO.PP. (convenuto) per la realizzazione di lavori di riparazione e restauro di un bene (termine fissato in 180 giorni), e si constatava (iniziati i lavori, e quindi a seguito della stipulazione del contratto) "che il progetto era del tutto deficitario e carente, non avendo previsto opere necessarie di consolidamento, date le precarie condizioni in cui versava il fabbricato", ed inoltre nel corso dei lavori la "D.L. invitava l'impresa ad eseguire tali opere per mettere in sicurezza l'immobile, invece che quelle previste in progetto" provvedendo successivamente alla messa in sicurezza a sospendere i lavori ("per ben 161 giorni") per l'esecuzione di una variante, dopo di che la stazione appaltante convocava l'impresa per la sottoscrizione di un atto di sottomissione che stravolgeva gravemente il progetto originario "sia per la diversita delle categorie dei lavori sia per il fatto che molte opere previste nel contratto di cottimo venivano eliminate", oltre a ridurre il corrispettivo complessivo dei lavori.

A fronte di tale richiesta l'impresa rifiutava la firma dell'atto di sottomissione e richiedeva, con formale atto di messa in mora, la risoluzione del contratto per inadempimento del committente.

Infatti, gia dalla presentazione della contabilita definitiva la societa istante sottoscriveva "con riserva" esplicitando poi tali riserve sul registro di contabilita e contestualmente richiedeva che il contratto si dovesse ritenere risolto per inadempimento della committente, la quale doveva, pertanto, essere condannata al pagamento della complessiva somma, oltre il saldo dei lavori e rivalutazione a titolo di maggior danno.

A questa richiesta il Responsabile Tecnico del Procedimento, a seguito del parere favorevole espresso dal C.T.A. operante presso il Ministero dei Lavori Pubblici, procedeva alla rescissione dell'atto di cottimo ai sensi dell'art.29 del Regolamento 350/1895 e nel contempo disponeva l'incameramento della cauzione.

Il Tribunale da questi fatti deduce con piena evidenza come la stazione appaltante abbia operato in piena lesione dei principi di correttezza e buona fede omettendo di prestare la propria obbligazione con la dovuta diligenza, diligenza che avrebbe imposto la verifica della fattibilita dell'intervento, con il corollario che e stato accertato che "l'amministrazione appaltante abbia omesso di compiere le preventive verifiche sulla realizzabilita del progetto, inducendo la societa appaltatrice a sottoscrivere un contratto relativo a lavori non realizzabili".

In questo contesto (a margine) vi e anche una ineludibile responsabilita professionale del progettista che puo estendersi (e si estende) sulla responsabilita amministrativo - contabile per danni accertati nel corso dell'esecuzione dell'appalto con la sussistente giurisdizione della Corte dei conti, giacche il progettista svolge un esercizio temporaneo di funzioni pubbliche in nome e nell'interesse dell'amministrazione appaltante (C. Conti, sez. II, 16/03/2001, n.116).

Il Tribunale ritiene, quindi condivisibile la soluzione per la quale e possibile per l'appaltatore richiedere la risoluzione del contratto, previa notifica di atto di messa in mora dell'amministrazione (che produce effetti indipendentemente dalla volonta di accettarla o meno, e costituisce un mezzo concesso dalla legge al contraente adempiente per conseguire nei confronti di quello inadempiente il vantaggio della risoluzione de iure del contratto, fissando con chiarezza la posizione delle parti nell'esecuzione del contratto), con un meccanismo analogo a quello di cui all'art. 1453 c.c., giacche il programma contrattuale non era piu in grado di svolgere la propria funzione che e quella di assicurare gli interessi dei contraenti, e soprattutto per la circostanza sopravvenuta di verifica dell'inidoneita a realizzare l'oggetto contrattuale per il comportamento di una parte (la p.a.) che rendeva estremamente gravosa la prestazione, o meglio che l'equilibrio delle prestazioni risultava viziato vanificando (cosi facendo) il sinallagma originario e incidendo negativamente su una parte, il tutto per un inadempimento non di scarsa importanza.

Il giudice rammenta che "in linea generale il contratto di appalto puo estinguersi oltre per inadempimento dell'appaltatore, anche per un eventuale comportamento inadempiente dell'amministrazione committente in corso di esecuzione del contratto ai sensi degli artt.1453 ss. c.c. e degli art.10, 30 e 35 del D.P.R. 16 luglio 1962, n.1063 (decreto abrogato dall'art.231 del D.P.R. n.21 dicembre 1999, n.554, ma applicabile ratione temporis). Invero, l'applicazione dell'art. 30, comma 2, prima parte del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 e l'opzione dell'appaltatore di chiedere lo scioglimento del contratto si riferiscono solo a sospensioni legittime, dovute a ragioni di pubblico interesse o necessita, non gia alla protrazione illegittima della sospensione, verificatasi per fatto colposo addebitabile ad uno dei contraenti (Cfr. Cass. civ., sez. I, 21/12/2002, n.18224)", allineandosi cosi all'orientamento giurisprudenziale che in tema di appalto di opere pubbliche, prevede che le norme speciali dettate con riferimento alle ipotesi di inadempimento del contratto di appalto (come quelle di cui agli artt. 1662, 1667, 1668, 1669 c.c. e 35, ultimo comma, D.P.R. n. 1063 del 1962) integrano, senza peraltro sostituirli, i principi generali dettati dal legislatore in tema di mancato adempimento e di risoluzione del negozio di cui all'art. 1453 c.c. e seguenti: "da cio consegue - quanto, in particolare, alla citata disposizione ex art.35, D.P.R. n.1063 del 1962 - che tale, speciale rimedio risolutorio sia - si - esperibile a prescindere dalla non scarsa importanza dell'inadempimento e pur quando quest'ultima condizione non ricorra, ma che tornino ad applicarsi, per converso, le disposizioni generali di cui agli artt. 1453, 1455 c.c. ove l'imprenditore non possa invocare i (piu favorevoli) presupposti della norma speciale" (Cass. civ., sez. I, 07/07/2004, n.12416).

Da queste osservazioni prospettiche emerge che le ragioni di pubblico interesse o necessita non possono essere imputate ad una parte (ai sensi dell'art. 30, comma 2, d.P.R. n. 1063 del 1962), ma vanno identificate (per rendere legittimo l'ordine di sospensione dei lavori) in esigenze pubbliche oggettive e sopravvenute non previste (ne prevedibili) dall'Amministrazione con l'uso dell'ordinaria diligenza o perizia, dovendo ritenere che esse non possono essere invocate al fine di porre rimedio a negligenza o imprevidenza dell'Amministrazione medesima, quale quella di riapprovare la progettazione e di presentare un'appendice contrattuale (l'atto di sottomissione) che trasforma l'originario affidamento in un diverso onere contrattuale, al punto da ritenere del tutto ininfluente il contratto iniziale rispetto a quello successivo.

Si tratta di una variante non di lieve entita ma sostanziale che denota sicuramente degli elementi di estrema incongruenza con la ratio stessa delle varianti in corso d'opera, selezionando precise disfunzioni nella realizzazione dell'opera imputabili alla p.a. appaltante, con l'evidente dilatazione abnorme dei tempi di esecuzione dovuta all'erronea progettazione, e conseguentemente sospensioni dei lavori, in contrasto con le finalita della disciplina generale, in relazione anche al fatto che se esse si rendessero assolutamente necessarie, si avrebbe dovuto procedere al riappalto dell'opera, fatta salva la responsabilita della p.a. inadempiente.

E pur vero che, in sede di progettazione, si possono verificare margini di errore accettabili ma una rivisitazione del progetto, con una ridefinizione dei lavori al ribasso e diversi da quello originario, non possono che essere un chiaro indice di non accuratezza progettuale, ponendo in discussione il rispetto dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera (in tempi cosi allungati e con lavori diversi, questo dal punto di vista degli oneri a carico della p.a.).

Ne discende la piena e irragionevole affidabilita che l'impresa ha posto sul progetto medesimo, con la conseguenza concreta che l'appaltatore deve essere riconosciuto responsabile delle carenze e manchevolezze progettuali, e giungere ad affermare che, cosi come previsto nella prassi e nella giurisprudenza, ogni variante ricollegabile ad una imperfezione progettuale viene sanzionata come inadempimento all'obbligo della stazione appaltante di dare in appalto un progetto perfetto, con l'ulteriore effetto, oltre al danno derivante da ritardi e dilatazioni di risorse impegnate, l'assoggettamento ad un'azione risarcitoria che trova sempre soccombente la parte pubblica.

Le carenze progettuali dell'amministrazione consentono all'impresa esecutrice di ristabilire pienamente l'equilibrio fra le parti contrattuali con la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento del committente, parificando (in una asimmetrica analogia) la posizione dell'appaltatore di opere pubbliche all'appaltatore di opere private, per il quale non v'e dubbio su una sua responsabilita in caso di imperfezioni del progetto, pur se fornitogli dal committente.

In questo senso, appare lecito sostenere che con riferimento all'ipotesi di sopravvenuta necessita di approvare una cosiddetta "perizia di variante", cio che deve emerge sono degli imprevisti che non siano ricollegabile "ad alcuna forma di negligenza o imperizia nella predisposizione e nella verifica del progetto da parte dell'ente appaltante, tenuto, prima dell'indizione della gara, a controllarne la validita in tutti i suoi aspetti tecnici, e ad impiegare la dovuta diligenza nell'eliminare il rischio di impedimenti alla realizzazione dell'opera si come progettata (Cfr .Cass. civ., sez. I, 11/04/2002, n.5135)", e per la verita le difformita quantitative e qualitative non possono che confermare la mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (cfr. Cass. civ., sez. un., 30/10/2001, n.13533).

Viceversa, l'accertamento tecnico d'ufficio ha dato piena conferma della sussistenza di tutti gli elementi idonei per giustificare la proposta domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della P.A., e del conseguente risarcimento dei danni, giacche il CTU ha evidenziato come la sospensione dei lavori fosse "dovuta essenzialmente alla carente progettazione eseguita dall'Amministrazione Committente, che ha determinato un andamento del cantiere, e quindi dei lavori, in maniera del tutto anomalo rispetto a quanto previsto, valutato e quotato" dall'impresa, in sede di offerta al punto che la sospensione dei lavori e stata di 161 giorni, a fronte di un termine contrattuale di durata dei lavori di 180 giorni.

Il giudice a questo proposito dovendo pronunciarsi della risoluzione del contratto per inadempimento, ha dato corso ad un'indagine globale e unitaria coinvolgente nell'insieme il comportamento di ciascuna delle parti, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell'inadempimento, e sopratutto della sospensione dei lavori (che coincide quasi con il termine di conclusione del contratto), in quanto l'unitarieta del rapporto obbligatorio cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute, non tollera una valutazione frammentaria e settoriale del comportamento del contraente, ma esige un apprezzamento complessivo, e si puo sostenere che questi principi sono stati adempiuti in toto e non solo come motivo assorbente imputabile al grave inadempimento del committente (errore progettuale), cui poteva essere ascrivibile la responsabilita della sospensione dei lavori per una non adeguata progettazione, e della durata eccessiva di detta sospensione (cfr. Cass. civ., sez. I, 28/03/1997, n.2799).

E del tutto evidente che il comportamento della P.A., complessivamente considerato, e stato gravemente inadempiente avuto riguardo all'interesse dell'altra parte (art.1455 c.c.): infatti, chiarisce il Tribunale che "la predisposizione di un progetto errato da parte dell'amministrazione appaltante assume rilievo anche come ipotesi di "mancata o ritardata cooperazione" dell'amministrazione, e di comportamento negligente, cioe di inosservanza del "dovere di cooperazione" che, nell'appalto di opere pubbliche, consiste nel porre l'appaltatore in grado di eseguire l'opera nei tempi contrattuali previsti, con la conseguente nascita del diritto dell'altro contraente di chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno".

La censura netta potrebbe per altri versi sostenersi con il generale dovere della p.a. di esercitare la propria funzione istituzionale perseguendo l'interesse pubblico con trasparenza e imparzialita, meglio conosciuto come buon andamento canonizzato dall'articolo 97 del Costituzione non riducendo il dovere di collaborazione a semplice norma di relazione ma come norma primaria d'azione (anche nella fase privatistica di esecuzione di un rapporto obbligatorio, privato di imperativita).

Di fronte al grave inadempimento della controparte il contraente non inadempiente puo, dunque, ottenere lo scioglimento del rapporto contrattuale per effetto di una mera comunicazione fatta pervenire all'altra parte, con la chiara espressione della volonta di avvalersi del diritto di recesso in questione, e la risoluzione del contratto sara l'effetto della dichiarazione del contraente, e in ragione di questo principio e stato posto in essere il meccanismo individuato dall'articolo 1454 del codice civile.

Oltre a questi richiami civilistici, viene rilevato dal Tribunale come "la risoluzione in danno della stazione appaltante e stata, infatti, ravvisata dalla giurisprudenza e, in particolare, dai lodi arbitrali, soprattutto nella "mancata cooperazione dell'ente pubblico nell'esecuzione del contratto di appalto"; e sono state appunto considerate ipotesi di mora accipiendi (art.1206 ss.cc.) la mancata e tempestiva adozione di un nuovo progetto nel caso di progetto originario errato, il pretestuoso esercizio dello jus variandi al fine di sopperire ad errori di progettazione (cfr. Collegio arbitrale 25 gennaio 90 lodo 6 in Archivio giuridico opere pubbliche, 1991, 555-570 "nel caso in cui l'Ente abbia predisposto un progetto errato, che renda ineseguibili i lavori appaltati, e non abbia proceduto alla tempestiva adozione di un nuovo progetto, si versa in ipotesi di mancata o ritardata cooperazione dell'amministrazione, cioe di inosservanza del dovere di cooperazione che, in materia di appalto di opere pubbliche, consiste principalmente nel porre l'appaltatore in grado di eseguire l'opera nei tempi contrattuali previsti, con la conseguenza che la mancata cooperazione determina mora accipiendi con effetti a questa ricollegabili, che consistono, tra l'altro, nel riconoscimento della facolta dell'altro contraente di chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno"; collegio arbitrale 18 dicembre 1991, lodo n.126, in archivio giuridico delle opere pubbliche 1992 14041415: il pretestuoso esercizio dello jus variandi al fine di sopperire ad errori di progettazione costituisce inadempimento contrattuale della stazione appaltante con conseguente diritto dell'appaltatore al risarcimento dei danni che siano la conseguenza diretta ed immediata delle illegittime sospensioni, da quantificarsi tenendo conto della svalutazione monetaria intercorsa dalla produzione del danno al giorno della liquidazione giudiziaria )".

A conclusione e stato riaffermato che l'accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento del committente proposta dall'appaltatore, non e di ostacolo il provvedimento con il quale il committente (e quindi la p.a.) ha rescisso unilateralmente il contratto, ai sensi del R.D. 25 maggio 1895 n.350, essendo intervenuto posteriormente alla domanda di risoluzione, poiche gli effetti dell'accoglimento di questa retroagiscono alla data della sua proposizione, con la conseguenza che deve concludersi per l'intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento da parte della stazione appaltante la quale ex art. 1453 c.c. (infatti, "la risoluzione o recesso unilaterale dell'amministrazione dal contratto d'appalto che intervenga, in costanza di una sospensione dei lavori ad essa soltanto imputabile, e dopo che l'impresa abbia gia inoltrato domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento della controparte, non preclude l'accoglimento di detta domanda, dal momento che si tratta di recesso adottato in assenza delle condizioni che potrebbero legittimarlo", App. Roma, 12/03/1990, in Arch. Giur. oo. pp., 1990, pag.1088, cfr. Cass. civ., sez. I, 04/02/2000, n.1217).

Questo dictum giudiziale ha portato inoltre a condannare la p.a. (per l'illecito contrattuale commesso) al risarcimento dei danni subiti dall'appaltatore, danno (derivante dal c.d. interesse positivo) che ai fini del quantum debeatur viene ricompreso come il ristoro degli oneri e dei danni relativi alle riserve, oltre al saldo dei lavori eseguiti nonche la somma incassata dal Ministero per effetto della fideiussione, e trattandosi di debito di valore l'equivalente monetario del danno subito - determinato con riferimento alla data dell'illecito - va rivalutato tenendo conto della svalutazione monetaria intercorsa tra la data di ultimazione dei lavori e la data della liquidazione del danno sulla somma, nonche tenendo conto della svalutazione monetaria intercorsa tra la data della notifica dell'atto di citazione e la data della liquidazione del danno sulla somma (rimborso importo cauzione), calcolata secondo le variazioni dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati accertate dall'ISTAT (e noto, infatti che in tema di responsabilita contrattuale da inadempimento per effetto della liquidazione il debito di valore inerente al danno da svalutazione monetaria, conseguente all'inadempimento di un'obbligazione pecuniaria, si converte in debito di valuta il cui importo si somma a quello dell'obbligazione rimasta inadempiuta ed, al pari di quest'ultima, e produttivo di interessi legali corrispettivi con decorrenza dalla data della domanda giudiziale ovvero della liquidazione, Cass. civ., sez. III, 11/03/2004, n.4983).

La sentenza va poi a dire che per quanto attiene alla richiesta degli interessi (proprio perche nella relativa valutazione, deve tenersi conto sia della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione medesima (danno emergente) sia, in caso di ritardo nell'adempimento, del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dal danneggiato a causa della mancata tempestiva disponibilita della somma di denaro dovutagli a titolo di risarcimento la quale, se corrisposta tempestivamente, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario. Tale danno bene puo essere liquidato con la tecnica degli interessi, aventi natura compensativa, che vanno calcolati non sulla somma rivalutata al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla base di un indice di rivalutazione medio, Cass. civ., sez. II, 28/01/2003, n.1228) recependo i principi di cui alla pronunzia n.1712 del 17/02/95 delle SS.UU. della Cassazione, e stato ritenuto equo adottare, come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, quello degli interessi, fissandone il tasso nella misura del 2% annuo, tenendo conto sia dell'intervallo di tempo intercorso tra la data del fatto illecito ed il suo risarcimento, sia dell'andamento medio dei tassi di impiego del denaro correnti nel periodo considerato: "gli interessi in oggetto vanno calcolati dal momento dell'illecito sulla somma capitale e, quindi, sulla stessa somma come progressivamente rivalutata, anno dopo anno, fino alla data della presente decisione. Sulla somma finale cosi liquidata decorreranno, ovviamente, gli ulteriori interessi legali ex art.1282 c.c.", (oltre le spese di lite che seguono la soccombenza).

Autore: Dott. M. Lucca - tratto da: La Gazzetta degli Enti Locali - luglio 2005