Violazione delle regole di condotta
degli intermediari e rimedi civilistici

 

Nelle recenti vicende in cui sono stati coinvolti i risparmiatori, vittime del "crack" di note aziende e del "default" argentino, si è rinvenuta la responsabilità dell'intermediario per essere venuto meno al dovere di diligenza e ai doveri di informare e informarsi. Analisi delle regole di condotta cui sono tenuti gli intermediari e dei rimedi civilistici invocati dai risparmiatori.

L'intermediario, bancario o finanziario, al quale il risparmiatore affidi il proprio risparmio deve averne attenta cura, più che se fosse il proprio: questi gestisce l'interesse del cliente quale fiduciario dello stesso e il cliente si affida perciò alla sua lealtà, correttezza e esperienza. L'intermediario è dunque tenuto ad agire con la specifica diligenza - professionale - che l'incarico richiede, garantendo una corretta, completa e costante informazione, essenziale affinché l'investitore assuma consapevoli decisioni in merito al proprio risparmio. Al fine di meglio orientare il cliente nelle scelte di investimento, l'intermediario è altresì tenuto ad acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.

Gli oneri comportamentali dell'intermediario, così brevemente riassunti, sono alla base delle azioni promosse dai risparmiatori "traditi" dagli investimenti in titoli Cirio, Parmalat e Argentina, e delle conseguenti sentenze delle Corti di merito che si sono sino ad oggi pronunciate. Tutte ruotano intorno ai concetti di diligenza e informazione dell'intermediario, per come ricostruiti nel Testo unico della finanza (di seguito Tuf) salvo poi sbizzarrirsi nella individuazione del rimedio civilistico da applicare alla medesima fattispecie: si è ravvisata la nullità per difetto di forma ex art. 23, comma 1, Tuf; si è riconosciuta la nullità del contratto stipulato tra intermediario e risparmiatore in violazione degli oneri comportamentali, ex art. 1418 cod. civ., come pure la risoluzione del contratto di acquisto dei titoli per grave inadempimento dell'intermediario.

Una chiosa di carattere generale si impone prima di esaminare le fattispecie sottoposte al vaglio delle Corti: principio consolidato della disciplina degli intermediari mobiliari vuole che le regole di condotta subiscano una "gradazione" in ragione della qualità di investitore professionale, controparte qualificata o meno del destinatario del servizio di investimento. Ecco quindi che in presenza di una controparte professionale - intendendo per tale una controparte in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazione in strumenti finanziari - alcune regole di comportamento non trovano, di norma, applicazione (1) . In ragione di ciò il Tribunale di Vicenza (nella pronuncia del 23 maggio 2005, n. 620) ha respinto la richiesta di un risparmiatore di annullare il contratto di acquisto delle obbligazioni argentine sulla base dell'argomentazione che il cliente bancario «non era certo sprovveduto ed inesperto risparmiatore, ma al contrario un investitore abituato ad operare nel mercato mobiliare, nonché conoscitore delle regole che tale mercato governano» e dunque in grado di autotutelarsi (2).

Le recenti vicende che hanno visto coinvolti i risparmiatori

Le fattispecie in cui sono stati coinvolti i risparmiatori, vittime del crack delle aziende agro-alimentari o del default argentino, sono molto simili tra di loro.

Il fatto vede, in genere, l'intermediario bancario o finanziario suggerire al risparmiatore - nell'ambito di un contratto quadro di gestione e di consulenza o della prestazione dei servizi di investimento - l'acquisto del titolo obbligazionario e conseguentemente il risparmiatore impartire l'ordine di acquisto dello strumento finanziario: i singoli ordini di acquisto danno vita a singoli contratti di compravendita, attuativi del contratto quadro.

In quasi tutti i casi sinora esaminati dalle Corti, e di cui si è avuto notizia, si è rinvenuta la responsabilità dell'intermediario per essere venuto meno al dovere di diligenza e in particolare ai doveri di informare e informarsi (3) ; talvolta si è riconosciuta anche la responsabilità dell'intermediario per conflitto di interessi (4) . In ragione di ciò, si è dichiarato nullo o risolto il contratto stipulato tra la banca e il cliente e conseguentemente la banca ha restituito al cliente le somme investite: nulla è invece stato restituito alla banca, che, per la bilateralità del meccanismo restitutorio, avrebbe il diritto di ricevere il bene venduto, ossia i titoli (5) .

Vediamo più nel dettaglio le regole di condotta cui sono tenuti gli intermediari e, soprattutto, la rosa di rimedi civilistici invocati dai risparmiatore e, talvolta, riconosciuti dalle Corti.

Le regole comportamentali cui sono tenuti gli intermediari

Sulla base della considerazione che il risparmiatore si trova in una posizione di debolezza contrattuale e di asimmetria informativa rispetto all'intermediario, il Tuf individua una serie di regole di condotta che quest'ultimo è tenuto ad osservare nella prestazione dei servizi di investimento. Queste regole danno espressione ai principi generali di correttezza e buona fede previsti dal Codice civile agli artt. 1175, 1176 e 1337 a sottolineare il ruolo di fiduciario svolto dall'intermediario e, al contempo, salvaguardare la fiducia che gli investitori ripongono nello stesso allorché gli affidano la cura dei loro interessi.

Non solo. Il Tuf, a maggior tutela della parte debole del rapporto contrattuale, stabilisce l'inversione dell'onere della prova. Spetta al cliente - esonerato dal fornire la prova della condotta negligente dell'intermediario, che gli abbia cagionato un danno - provare il pregiudizio economico e la sussistenza del rapporto causale fra il danno e l'attività dell'intermediario, mentre fa capo all'intermediario dimostrare di aver osservato una condotta conforme agli standard di diligenza professionale (6) .

L'art. 21 del Tuf e il regolamento intermediari Consob, pertanto, prescrivono agli intermediari di «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati»; assunto poi che l'intermediario svolge il ruolo di aiutare il risparmiatore nelle scelte di investimento, sì da metterlo in condizione di assumere decisioni consapevoli in merito al proprio risparmio, sullo stesso grava l'obbligo di informare il cliente sulle prospettive - caratteristiche, rischi, costi - connesse all'investimento. Al fine di eseguire operazioni adeguate al singolo cliente ( suitability rule ), l'intermediario è quindi tenuto ad acquisire dallo stesso le informazioni sulle sue specifiche esigenze di rischio e attitudini ad investire in strumenti più o meno rischiosi ( know your customer rule ) (7) .

Vieppiù egli deve segnalare l'inadeguatezza dell'operazione anche quando la richiesta provenga dal cliente stesso, mettendolo in condizione di verificare le ragioni che non rendono opportuna l'esecuzione dell'operazione richiesta (8) . Né lo stesso è esonerato dall'obbligo di adeguatezza se l'investitore rifiuta di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio; dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che, in questo caso, la valutazione andrà condotta in ossequio ai principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l'intermediario sia in possesso (per esempio età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce dalla pregressa e abituale operatività, situazione del mercato...) (9) .

L'assolvimento degli oneri in questione presuppone evidentemente che l'intermediario abbia già acquisito adeguate informazioni sui prodotti finanziari offerti e oggetto di valutazione (c.d. know your merchandise rule ) (10) .

Nei fatti accade però che l'acquisizione di informazioni dal cliente si riduca ad un mero adempimento formale dell'intermediario, il quale il più delle volte si limita a sottoporre all'attenzione del cliente le schede informative o i questionari Consob, senza informarlo compiutamente sull'investimento proposto o indagare sulla sua effettiva propensione al rischio (11) .

A titolo esemplificativo si può considerare la vicenda Cirio per come ricostruita dai Tribunali di Genova e di Roma nella quale è evidente la centralità del dovere «di informare» facente capo all'intermediario; ciò in ragione anche delle modalità operative con cui il gruppo Cirio ha collocato le proprie obbligazioni, ossia attraverso il c.d. private placement e nella fase c.d. del grey market , con conseguente disapplicazione della normativa dettata dal Tuf in materia sia di sollecitazione all'investimento (art. 94 e segg.), sia di redazione e pubblicazione del prospetto informativo (art. 97 e segg.). Era dunque onere dell'intermediario informare i clienti in ordine alla drammatica crisi finanziaria in cui versava il gruppo e dunque alla elevata rischiosità dei titoli, anche e soprattutto in ragione del fatto che, in assenza di un rating ufficiale, non vi era adeguato riscontro dei rischi legati ai titoli, primo tra tutti il rischio di insolvenza dell'emittente (12) . Informazione che, come chiaramente emerso nel corso della vicenda processuale, non si è avuta.

I rimedi civilistici esperibili dal risparmiatore
La nullità per difetto di forma

Tra i rimedi civilistici esperibili dal risparmiatore "tradito" vi è quello della nullità del contratto per difetto di forma: ai sensi dell'art. 23, commi 1 e 3, Tuf, infatti, i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento ed accessori sono redatti per iscritto a pena di nullità; la nullità può essere fatta valere solo dal cliente (c.d. nullità relativa).

È interessante notare come le poche pronunce in merito individuino percorsi argomentati differenti per giungere a negare o accogliere la relativa censura: vediamole più da vicino.

Il Tribunale di Venezia (22 novembre 2004, cit.), sposando l'orientamento già fatto proprio dalla Suprema Corte in merito alla forma scritta dei contratti normativi che disciplinano i servizi di investimento (nel caso di specie si trattava di un domestic currency swap ) (13) , distingue tra il contratto quadro, stipulato a monte tra l'intermediario e il cliente, e i singoli contratti di acquisto, stipulati a valle del contratto quadro. Al primo, ossia al contratto che disciplina i servizi di intermediazione mobiliare, e non già ai secondi, ossia agli specifici negozi conclusi nell'ambito del contratto quadro, avrebbe riguardo l'art. 23 Tuf.

Diversamente argomenta il Tribunale di Mantova (1° dicembre 2004, cit.) che rigetta la censura di nullità per vizio di forma degli ordini di acquisto dei titoli per mancata sottoscrizione da parte della banca, rilevando che per la validità degli ordini di acquisto è sufficiente la sottoscrizione dei moduli da parte del solo cliente: dal momento che si tratta di atti unilaterali non è dunque richiesta la sottoscrizione anche dell'intermediario.

Accoglie invece la censura di nullità il Tribunale di Genova (18 aprile 2005, cit.). Il fatto che il contratto quadro fosse stato sottoscritto successivamente all'ordine di acquisto dei titoli ed alla sua esecuzione ha comportato in diritto la deficienza di un apposito contratto scritto per la prestazione dei servizi di investimento (richiesto da legge) e dunque la nullità dell'intera operazione conclusa in ragione del contratto quadro, compreso pertanto il singolo contratto di acquisto.

La nullità del contratto di vendita dei titoli

La soluzione di nullità del contratto di vendita dei titoli ex art. 1418 cod. civ. è stata invece sposata, tra gli altri, dai Tribunali di Venezia (22 novembre 2004, cit.), di Mantova (18 marzo 2004, cit.), di Palermo (16 marzo 2005, cit.), di Treviso (26 novembre 2004, cit.) e di Firenze (30 maggio 2004, cit.) che, qualificando alla stregua di norme imperative le regole comportamentali stabilite dal Testo unico della finanza e dai regolamenti attuativi della Consob hanno riconosciuto la nullità "virtuale" del contratto stipulato in violazione delle stesse. Questa qualificazione delle disposizioni che attengono ai criteri di comportamento degli intermediari autorizzati si spiega in ragione del fatto che dette disposizioni sono volte a tutelare interessi superiori, di rango costituzionale, identificabili nella tutela dei risparmiatori uti singuli, del pubblico risparmio, come elemento di valore dell'economia nazionale, della stabilità del sistema finanziario(14). Né la mancanza di un'espressa sanzione di nullità è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, dal momento che, come chiaramente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, «vi sopperisce l'art. 1418, comma 1, cod. civ., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità»(15).

Pertanto, un contratto di investimento, concluso senza l'osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perché contrario all'esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico.

Non è questa una novità assoluta in materia visto che la giurisprudenza aveva già fatto ricorso alla nullità "virtuale" nelle ipotesi di contratti stipulati da soggetti privi delle necessarie autorizzazioni nel mercato finanziario o conclusi a seguito di una illegittima sollecitazione all'investimento (16) . Lo stesso Tuf, peraltro, nel disciplinare i patti parasociali prevede il rimedio dell'invalidità del contratto per violazione di norme del comportamento (art. 122 Tuf).

Vero è che, aderendo a questa soluzione, si contribuisce a mettere in crisi la tradizionale impostazione civilistica che distingue tra regole di validità e regole di comportamento, per far discendere dalle prime la validità o invalidità del contratto e dalle seconde il diritto alla risoluzione e/o risarcimento del contratto già validamente perfezionatosi. È questa, tuttavia, una ripartizione dai confini mobili: non è infatti inverosimile immaginare ipotesi (quale potrebbe essere quella di cui si ragiona) in cui la violazione della regola comportamentale possa minare alle radici la fattispecie negoziale. Ed allora non appare fuori luogo richiamare l'orientamento giurisprudenziale che, nell'individuare una sorta di temperamento alla distinzione tra regole di validità e regole di comportamento, pone un distinguo tra la violazione dei doveri di comportamento di carattere generale, che impongono regole di correttezza e di diligenza, e la violazione di doveri a contenuto più specifico, che impongono regole qualificabili come immediatamente imperative. La violazione del primo corpus di regole - che si sostanzia nella violazione del principio generale di buona fede di cui agli artt. 1176 e 1375 cod. civ. - concreta un inadempimento delle obbligazioni assunte dall'intermediario, o più in generale previste per quel determinato settore di attività, ed è sanzionabile con la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danno subiti in conseguenza di dette violazioni. Si ha qui riguardo, per esempio, all'obbligo per l'intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nell'interesse del cliente. Di contro, dalla violazione di regole comportamentali che individuano specifici oneri a carico dell'intermediario si fa discendere la nullità "virtuale" del contratto quadro e dei conseguenti contratti di acquisto, dato il carattere imperativo della norma violata e la connessa tutela di interessi pubblici o generali (17) . È questo il caso delle regole comportamentali individuate dall'art. 21, lett. b) , Tuf e dagli artt. 28 e 29 del regolamento intermediari, che, come si è visto, prevedono in capo a questi ultimi, da un lato, l'obbligo di acquisire informazioni sulla situazione finanziaria dei clienti e la loro propensione al rischio, e, dall'altro, l'obbligo di adeguatezza: si tratta evidentemente di oneri che danno specificazione ai canoni generali di correttezza e buona fede, la cui violazione può ledere non solo gli interessi particolari dei risparmiatori, ma quelli più generali dell'integrità del mercato e della fiducia che in esso ripone il risparmiatore (18).

La risoluzione del contratto di acquisto dei titoli

Poche infine sono le Corti che hanno dichiarato la risoluzione del contratto di acquisto dei titoli per grave inadempimento contrattuale dell'intermediario.

Prendiamo ad esempio la pronuncia del Tribunale di Genova (15 marzo 2005, cit.). I giudici, una volta accertato il comportamento inadempiente dell'intermediario e accertato che la violazione ineriva a prestazioni che questi avrebbe dovuto rendere nel corso del rapporto contrattuale - quale appunto l'informazione e la valutazione dell'adeguatezza dell'operazione di acquisto di titoli Cirio - hanno ritenuto che non si potesse dichiarare la nullità del contratto di acquisto delle obbligazioni ex art. 1418 cod. civ., bensì la risoluzione del contratto. Ciò in quanto il vizio che inficia la fattispecie non è un vizio genetico relativo alla conclusione del contratto, bensì un vizio funzionale, inerente al contratto già perfezionatosi, e, più in particolare, alle prestazioni che dovevano esser rese sulla base dello stesso.

Come osservato poi dal Tribunale di Taranto (27 ottobre 2004, n. 2273, cit.), sempre in materia di investimento in obbligazioni Cirio, la posizione dell'intermediario appare del tutto simile a quella di un qualsivoglia altro professionista che, ricevuto un incarico per la soluzione di un determinato caso sottoposto alla sua attenzione, non fornisca al richiedente quelle informazioni grazie alle quali lo stesso può operare una scelta consapevole (19) . Tanto è vero che l'art. 23, comma 6, Tuf stabilisce l'inversione dell'onere della prova nei «giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori»: con ciò evidenziando che la valutazione sulla condotta diligente dell'intermediario va effettuata nell'ambito di un giudizio risarcitorio, posto che l'azione risarcitoria è tipicamente connessa con l'inadempimento di un contratto già perfezionato, piuttosto che con l'invalidità di un negozio, nella qual ipotesi, al più, potrebbe parlarsi di ripetizione di quanto attribuito in virtù del negozio invalido.

La responsabilità precontrattuale

Da ultimo, appare opportuno rammentare anche la soluzione individuata dal Tribunale di Roma (sentenza 8 ottobre 2005, cit.) che richiama l'insegnamento giurisprudenziale formatosi in materia di violazione dell'obbligo del venditore di informarsi sull'esatta specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto per teorizzare l'applicazione dei doveri di correttezza, di buona fede e di diligenza (di cui agli artt. 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 cod. civ.) anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di informazione e di collaborazione. Il richiamo consente ai giudici capitolini di dichiarare la risoluzione del contratto per negligente inadempimento dell'intermediario alle summenzionate obbligazioni collaterali di protezioni, rectius : informazione e valutazione dell'adeguatezza dell'operazione. Di qui il corollario per cui ricade sull'intermediario l'onere di provare che tra la violazione e il danno non vi sia alcun nesso di causalità, dimostrando che il danno è derivato da eventi estranei alla sua sfera di azione.

Le argomentazioni addotte dai giudici del Tribunale di Roma evidenziano come l'intermediario possa essere considerato responsabile anche sotto un altro profilo, quello precontrattuale. L'intermediario cioè nel consigliare un investimento svantaggioso e inadeguato al profilo di rischio del cliente e omettendo di rivelare le informazioni sulle caratteristiche del titolo che avrebbero altrimenti indotto il risparmiatore a investire diversamente il proprio risparmio, ha violato il canone di buona fede nella fase di formazione del contratto, ex art. 1337 cod. civ. Questa soluzione, avanzata in dottrina (20) , non è stata percorsa almeno nelle cause di cui si è avuto notizia sino ad ora. La spiegazione può essere facilmente rinvenuta nel fatto che, mentre la pronuncia di nullità o di risoluzione del contratto implica la condanna alla restituzione della somma investita dal risparmiatore, quella di accertamento della responsabilità precontrattuale comporta la determinazione, secondo il criterio dell'interesse negativo, del risarcimento.

Note:

(1) La disapplicazione delle regole di condotta nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati è pressoché integrale: salvo diverso accordo tra le parti non si applicano i doveri di informare il cliente, né quello di informarsi al fine di valutare l'adeguatezza dell'operazione di investimento; gli intermediari sono altresì esonerati dagli obblighi in tema di conflitto di interessi e dall'onere di redazione del contratto in forma scritta. Cfr. art. 31, comma 1, del regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998 - detto anche regolamento intermediari - successivamente modificato e integrato.

(2) La notizia è riportata da Il Sole 24 Ore del 2 luglio 2005.

(3) Si segnalano: Trib. Mantova 18 marzo 2004, in Bbtc, 2004, II, pag. 440 con osservazioni di F. Stocco e nota di D. Maffeis, «Conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento: la prima sentenza sulla vendita a risparmiatori di obbligazioni argentine»; in Giur. it., 2004, 2128, con nota di P. Fiorio, «Doveri di comportamento degli intermediari finanziari, suitability rule, conflitto di interessi e nullità virtuale dei contratti di investimento in bond argentini»; in Giur. comm., 2004, II, pag. 690, con nota di E. Scimeni, «La prima sentenza italiana sulla vendita di tango bond»; in Le Società, 2004, pag. 1142, con nota di L. Gaffuri; Trib. Taranto, Sez. III, 27 ottobre 2004, n. 2273, in Diritto e Pratica delle Società n. 5/2005, pag. 68 e segg., Trib. Genova, Sez. I, 18 aprile 2005, pubblicata in Danno e Responsabilità, 2005, pag. 604, insieme a Trib. Genova 15 marzo 2005, e Trib. Venezia 22 novembre 2004, n. 2654, con nota di Roppo, «La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond e tango bond)»; Trib. Mantova, Sez. II, 1° dicembre 2004, inedita; Trib. Venezia, Sez. II, 22 novembre 2004, n. 2654, in Contratti, 2005, 5, con nota di D. Maffeis, «Il dovere di consulenza al cliente nei servizi di investimento e l'estensione del modello al credito ai consumatori»; Trib. Palermo, Sez. III, 17 gennaio 2005, in www.dirittobancario.it; Trib. Firenze 30 maggio 2004, inedita; Trib. Monza, Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 218, inedita; Trib. Treviso 26 novembre 2004, inedita; Trib. Brindisi 21 febbraio 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Ferrara 25 febbraio 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Parma 13 aprile 2005, inedita; Trib. Firenze 19 aprile 2005, inedita; Trib. Firenze 18 febbraio 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Roma 11 marzo 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Mantova 5 aprile 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Roma 20 aprile 2005, n. 8840, inedita; Trib. Roma 13 giugno 2005, n. 13475 / n. 13479 (inedite).

(4) Cfr. Trib. Venezia 22 novembre 2004, cit. Nel caso di specie la banca aveva un personale interesse al collocamento dei titoli argentini in conflitto con quello dei clienti, che si è sostanziato nel trasferimento sui clienti del rischio di investimento (che altrimenti l'istituto di credito avrebbe sopportato in proprio). La negligenza dell'istituto si rinviene non già nella conclusione di operazioni in conflitto di interessi - che, come noto, non è vietata dalla legge - ma nella violazione della regola disclose or abstain, momento centrale di protezione del risparmiatore dal rischio di abusi nella gestione del suo patrimonio. I contratti di negoziazione sottoscritti e gli ordini di acquisto dei titoli sono stati dichiarati nulli e gli intermediari condannati al risarcimento dei danni.

(5) Cfr. Roppo, «La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione», cit., pag. 629 e segg., il quale correttamente osserva come le banche si siano limitate a chiedere la reiezione delle domande attoree, senza chiedere in subordine anche la restituzione dei titoli.

(6) Cfr. art. 23, comma 6, Tuf. Interpretano questa disposizione nel senso che il danneggiato non debba provare il nesso di causalità, M. De Mari, L. Spada, «Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari», cit., 865; sulla relazione tra il citato articolo del Tuf e l'art. 1218 cod. civ. cfr. M. Lobuono, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, pag. 210 e segg.

(7) Cfr. art. 28, comma 1, lett. a), regolamento intermediari.

(8) Cfr. art. 29, comma 3, regolamento intermediari, con il limite, ovviamente, che se l'investitore è comunque intenzionato a darvi corso, l'intermediario sarà legittimato ad eseguirla, avendo cura di farsi rilasciare la conferma dal cliente con specifiche formalità.

(9) Cfr. le comunicazione della Consob n. 95007939 del 15 settembre 1995 e n. DI/30396 del 21 aprile 2000. Come chiarito dal Tribunale di Monza, Sez. I, 27 gennaio 2005, n. 218, cit., dal rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste dall'istituto di credito non possono discendere conseguenze sfavorevoli per il cliente, nel senso che dall'assenza di informazioni l'intermediario non può che desumere una propensione al rischio minima o ridotta, una scarsa conoscenza degli strumenti finanziari e di conseguenza obiettivi di investimento orientati alla conservazione del capitale investito, piuttosto che alla massimizzazione della redditività.

(10) Cfr. art. 26, comma 1, lett. e), del regolamento intermediari.

(11) Trib. Roma 8 ottobre 2004, cit. Questi documenti non possono di per sé ritenersi sufficienti a soddisfare l'esigenza di tutela del risparmiatore prevista dal Testo unico: si tratta infatti di una informativa generica, inidonea a garantire quella conoscenza concreta che l'intermediario deve assicurare, al fine di rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi dell'investimento compiuto.

(12) In questo senso cfr. la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma 8 ottobre 2004.

(13) Cfr. Cass. 7 settembre 2001, n. 11495, in Contratti, 2002, 26, con nota di Girino; cfr. anche App. Milano 5 maggio 1998, in Bbtc, 2000, 674.

(14) Cfr. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, in Giust. civ., 2001, I, 2109, che rinviene nella normativa introdotta dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, interessi di carattere generale quali, oltre a quelli menzionati nel testo, l'esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall'impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, l'esigenza di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per l'economia pubblica, «interessi tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato».

(15) Cfr. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, cit.

(16) Tra le altre cfr. Cass., Sez. I civ., 6 aprile 2001, n. 5114, in Foro it., 2001, I, pag. 2185; Trib. Torino 19 dicembre 1989, in Riv. dir. comm., 1991, II, pag. 73; per un commento alla pronuncia del Trib. di Mantova, cfr. P. Fiorio, «Doveri di comportamento degli intermediari finanziari», cit., pag. 2130.

(17) Così Trib. Milano 20 febbraio 1997, in Bbtc, 2000, II, pag. 82; nonché Trib. Milano 11 maggio 1995, in Giur. comm., 1996, II, pag. 79, con nota di Squillace; per una chiara ricostruzione, cfr. Fiorio, «Doveri di comportamento degli intermediari finanziari, suitability rule, conflitto di interessi e nullità virtuale dei contratti di investimento in bond argentini», in Giur. it., 2004, pag. 2128.

(18) Motiva correttamente Trib. Milano 20 febbraio 1997, cit., che attraverso l'obbligo di acquisire informazioni sulla situazione finanziaria dei clienti, «non si vuole tutelare solamente l'interesse dell'impresa intermediatrice, ma tutelare sia i clienti che il mercato in generale, imponendo, sia pure indirettamente, uno specifico obbligo di correttezza in forza del quale i clienti non devono essere esposti a rischi sproporzionati, non solo alle loro possibilità, ma anche alle loro esigenze finanziarie, rischi che poi finiscono per ricadere sul mercato globalmente inteso».

(19) Si possono qui richiamare i principi sanciti dalla Corte di legittimità in tema di responsabilità medica da omessa acquisizione del consenso informato che il cliente deve esprimere dopo un primo approccio col medico che stabilisce di fargli seguire una determinata terapia o di sottoporlo ad un determinato intervento, o ancora in tema di responsabilità del notaio per omessa informazione a chi gli si rivolga per la conclusione di un rogito. Questi esempi sono riportati con ulteriori riferimenti da Trib. Taranto 27 ottobre 2004, n. 2273, cit.

(20) Cfr. Roppo, «La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione», cit., pag. 629 e segg.

Autrice: Angela Maria Carozzi - tratto da: "Diritto e Pratica delle Società" n. 16/2005