Rimesse in conto corrente bancario e loro revocabilità in caso di fallimento del correntista
Dopo un'iniziale indifferenza al problema, la giurisprudenza degli anni '70 aveva ripetutamente dichiarato revocabili tutte le rimesse sul conto corrente bancario, effettuate dal debitore fallito nell'anno anteriore al fallimento. Ciò perché tali rimesse (o versamenti, o accreditamenti) dovevano essere considerate aventi funzione solutoria ed estintiva di un debito nei confronti della banca, e rappresentavano comunque atti a titolo oneroso, depauperativi del patrimonio dell'imprenditore fallito e quindi revocabili ex art. 67, secondo comma, legge fallimentare. Né poteva essere invocata la compensazione ex art. 56 legge fallimentare, poiché gli accreditamenti (la colonna Avere) e gli addebitamenti (la colonna Dare) rappresentavano un fatto meramente contabile della possibilità per il correntista di variare continuamente la disponibilità sul conto (secondo la nozione fissata dagli artt. 1852 ss. codice civile).
Sulla base di tali considerazioni, quindi, gran parte della giurisprudenza di merito e più volte la stessa Corte di cassazione, pur con qualche estensione interpretativa da parte dei commentatori, aveva proclamato la revocabilità indiscriminata di tutte le rimesse affluite sul conto corrente (Cass. 27 gennaio 1975, n. 317, in Foro it. 1975, I, 2038; Cass. 10 ottobre 1975, n. 3236, ivi. 1976, I, 378; Cass. 20 ottobre 1975 n. 3415, in Dir. fall. 1976, II, 33; Cass. 28 ottobre 1975 n. 3603, in Giur. comm. 1976, II, 397).
Senonché questa soluzione era stata giudicata «profondamente iniqua», oltreché illegittima, da gran parte della dottrina, che non aveva mancato di sottolineare come la banca di fatto nulla ricevesse dai versamenti effettuati sul conto, che fossero stati riutilizzati dal correntista: non solo quindi in termini economici, ma anche in termini giuridici, doveva escludersi l'esistenza di un atto solutorio o comunque depauperativo nella rimessa sul conto, poiché con tale versamento il correntista non diminuiva ma aumentava la propria disponibilità (ed infatti determinava la creazione di una «moneta bancaria» di cui poteva continuare a disporre), né in ciò poteva configurarsi in alcun modo un pagamento effettuato alla banca (così diffusamente Danovi, L'azione revocatoria degli accreditamenti e addebitamenti sul conto corrente bancario, in Il fallimento 1981, 1, e più in generale Bertozzi, La revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente bancario, Roma, 1980). Occorreva dunque indagare quali rimesse avessero avuto effettiva funzione solutoria e in questo senso una parte della giurisprudenza, soprattutto milanese, riconosceva che i versamenti sul conto non potevano avere funzione solutoria quando gli stessi fossero stati destinati a ricreare la provvista per consentire successive movimentazioni del conto: con la conseguenza che soltanto gli importi che avessero effettivamente ridotto l'esposizione del debito verso la banca (con una ricostruzione ex post e nella misura pari alla differenza tra la massima esposizione del conto nell'anno anteriore al fallimento e il saldo finale) potevano essere revocati, poiché appunto, in questo caso, solutori di un debito (così ad esempio Trib. Milano 24 gennaio 1974; Trib. Milano 11 dicembre 1975; Trib. Milano 8 gennaio 1976 e altre numerose richiamate in Danovi, In ricordo della revocatoria fallimentare degli accreditamenti sui conti correnti bancari, in Il fallimento 1982, 1429).
Queste erano le contrapposte principali tendenze della giurisprudenza e della dottrina quando è intervenuta la prima decisione della Corte di cassazione veramente puntuale sul tema (Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, in Il fallimento 1982, 1429).
Questa decisione, che costituisce ancor oggi il leading case, ha distinto il conto corrente «passivo» (che è quello su cui il correntista opera nei limiti di un affidamento o apertura di credito concessa), da quello «scoperto» (cioè non assistito da alcuna delibera formale di affidamento).
Nel primo caso (conto corrente passivo) le rimesse non costituiscono pagamenti, né atti a titolo oneroso, poiché la funzione del versamento sul conto è quella di creare provvista, e vi è dunque incompatibilità logica e giuridica a considerare l'esistenza di una diversa funzione di pagamento. In se stesso, infatti, il versamento sul conto non è né oneroso né gratuito, poiché consiste in una semplice operazione contabile di accreditamento, con la conseguenza che i veri beneficiari delle operazioni sono i terzi e verso questi soltanto è esperibile l'azione revocatoria (mentre nei confronti della banca, la revoca degli accreditamenti può essere consentita soltanto in relazione al rientro effettivo dopo la chiusura del conto, poiché in tal caso residua soltanto il credito di restituzione vantato dalla banca).
Nel secondo caso invece (conto corrente scoperto) è ammissibile la revoca di tutte le rimesse affluite sul conto che hanno riportato lo «scoperto» nei limiti dell'affidamento, poiché in tali casi le rimesse non creano disponibilità e ogni versamento è da considerare automaticamente come «pagamento» e in quanto tale è revocabile, data l'immediata esigibilità del credito della banca.
Sull'indirizzo così tracciato da Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, cit., si sono posti i giudici di merito e così anche tutte le successive decisioni della Corte di cassazione (Cass. 29 ottobre 1983, n. 6430, in Il fallimento 1984, 831; Cass. 18 aprile 1984, n. 2548, ivi, 1984, 1352; Cass. 21 giugno 1984, n. 3657, ivi, 1984, 1389; Cass. 4 luglio 1985, n. 4022, ivi, 1986, 32; Cass. 29 novembre 1985, n. 5956, in Foro it. 1985, I, 451; Cass. 23 aprile 1987, n. 3919 e 3 luglio 1987, nn. 5819 e 5820, in Il fallimento 1987, 1135; Cass. 3 novembre 1989, n. 4598, in Dir. banc. e merc. fin. 1990, I, 299, con nota di Nigro, Conto scoperto e limite della differenza; Cass. 29 maggio 1990, n. 5023, in Il fallimento 1990, 1199; Cass. 7 febbraio 1991, n. 1295, ivi, 1991, 690; Cass. 15 maggio 1991, n. 5448, ivi, 1991, 1237; Cass. 29 luglio 1992, n. 9064, ivi, 1993, 144; Cass. 11 settembre 1993, n. 9479, ivi, 1994, 249; Cass. 23 marzo 1994, n. 2744, in Giur. comm. 1995, II, 325, con nota di Arato, L'individuazione del saldo disponibile nella giurisprudenza della Cassazione in materia di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente; Cass. 23 giugno 1994, n. 6031, in Il fallimento 1995, 61; Cass. 15 novembre 1994, n. 9591, ivi, 1995, 724; Cass. 17 dicembre 1994, n. 10869, ivi, 1995, 817; Cass. 17 febbraio 1995, n. 1727, ivi, 1995, 947; Cass. 3 gennaio 1996, n. 12, ivi, 1996, 270; Cass. 26 agosto 1996, n. 7829, ivi, 1997, 68; Cass. 5 dicembre 1996, n. 10848, ivi, 1997, 807; Cass. 25 gennaio 1997, n. 778, ivi, 1997, 983; Cass. 20 maggio 1997, n. 4473, ivi, 1998, 255; Cass. 17 luglio 1997, n. 6558, ivi, 1998, 50; Cass. 28 maggio 1998, n. 5269, ivi, 1999, 388; Cass. 16 novembre 1998, n. 11520, ivi, 1999, 650, con nota di Tarzia; Cass. 26 febbraio 1999, n. 1672, ivi, 2000, 155; Cass. 21 gennaio 2000, n. 656, ivi, 2000, 1388, con nota di Tarzia, Disponibilità per il correntista delle somme accreditate sul c/c bancario per sconto di titoli; Cass. 11 gennaio 2001, n. 317, in Giur. it., 2002, 783).
Queste decisioni esprimono in sintesi i principi oggi consolidati: le rimesse effettuate dall'imprenditore, poi fallito (o dal terzo), sul proprio conto corrente bancario nel periodo «sospetto» di cui all'art. 67, secondo comma, legge fallimentare, sono suscettibili di azione revocatoria fallimentare soltanto se, all'atto della rimessa, il conto risulti «scoperto» (intendendosi tale sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo passivo, sia il conto scoperto a seguito di sconfinamenti del fido convenzionalmente accordato al correntista).
Ferma la conclusione sopra espressa, è di fondamentale importanza stabilire se un conto corrente sia affidato o scoperto, e in che limiti sia possibile determinare le scoperture, cioè individuare in concreto le rimesse da revocare. A tale fine, si discute se sia da adottare il criterio del saldo contabile (che rappresenta le operazioni compiute dal correntista, contabilizzate nella giornata nella loro successione operativa), ovvero del saldo per valuta (che riposiziona tutte le partite di dare e di avere secondo la data di maturazione e cessazione degli interessi), ovvero del saldo disponibile (che tiene conto della effettiva disponibilità delle somme sul conto).
La scelta è di rilevante importanza, poiché un conto coperto dal punto di vista contabile può risultare scoperto nella considerazione dei saldi per valuta (poiché la valuta degli addebiti è sempre retrodatata rispetto alla contabilizzazione e quella degli accrediti postdatata), con le inevitabili conseguenze in ordine alla revocabilità delle rimesse.
La giurisprudenza sul punto è sempre stata divisa. Secondo alcuni è il saldo contabile a dover essere considerato agli effetti della revocatoria, poiché è quello a cui le parti fanno riferimento nella movimentazione del conto (per il saldo contabile si sono pronunciate, ad esempio, App. Milano 25 gennaio 1985, in Foro pad. 1986, I, 72; Trib. Milano 19 settembre 1985, in Il fallimento 1986, 234; App. Milano 20 gennaio 1987, in Impresa 1987, 1790; Trib. Roma 27 febbraio 1988, in Il fallimento 1988, 721; Trib. Bologna 9 agosto 1989, in Giur. it. 1991, I, 2, 451. Per il saldo contabile si veda anche Danovi, Massimo scoperto, saldo giornaliero, saldo per valuta, sconfinamenti: nuove traiettorie delle iniziative fallimentari sui conti correnti bancari, in Giur. comm. 1986, I, 903).
Secondo altri, il criterio del saldo contabile non è utilizzabile, poiché, nel caso in cui siano versati assegni, ad esempio, il versamento è effettuato «salvo buon fine», e quindi non rifletterebbe esattamente la disponibilità del correntista (ed è la disponibilità il criterio per stabilire se un conto sia coperto o scoperto). Occorrerebbe dunque far riferimento al saldo per valuta «che segna l'effettiva variazione quantitativa del conto corrente nel rapporto tra banca e correntista» (Cass. 29 maggio 1990, n. 5023, in Il fallimento 1990, 1199; Cass. 7 febbraio 1991, n. 1295 e Cass. 16 marzo 1991, n. 2821).
Entrambi i criteri sono stati per altro ripudiati dalla Suprema Corte, che si è stabilmente orientata in favore del diverso criterio del saldo disponibile (Cass. 22 marzo 1994, n. 2744, ivi, 1994, 727, con nota di G. Tarzia, Criteri d'individuazione del «saldo disponibile» del conto corrente; Cass. 15 novembre 1994, n. 9591, ivi, 1995, 724; Cass. 3 gennaio 1996, n. 12, ivi, 1996, 270; Cass. 19 gennaio 1998, n. 462, ivi, 1998, 714; App. Firenze 7 agosto 1996, ivi, 1997, 217; Trib. Milano 23 settembre 1996, ivi, 1997, 217; Cass. 19 gennaio 1998, n. 462, ivi, 1998, 714; Trib. Milano 24 dicembre 1998, ivi, 1999, 455; Trib. Torino 24 maggio 1999, ivi, 1999, 1160; Trib. Milano 30 settembre 1999, ivi, 2000, 109; Trib. Roma 2 marzo 2001, in Gius, 2001, 2287; Cass. 10 settembre 2002, n. 13143, ivi, 2003, 623).
Secondo la Suprema Corte, infatti, «dovendosi verificare se la rimessa abbia funzione «solutoria» (lesiva della par condicio creditorum) ovvero semplicemente ripristinatoria della provvista, la «copertura» o meno del conto va accertata con riferimento al «saldo disponibile», da determinarsi in ragione delle epoche di effettiva esecuzione, da parte della banca, degli incassi e delle erogazioni» (Cass. 22 marzo 1994, n. 2744, cit.). Quanto poi al concetto di disponibilità, questa non coincide né con il saldo per valuta né con quello contabile. Infatti l'effettiva somma disponibile sul conto corrente, non risultando dall'estratto conto tale dato, potrà coincidere con il saldo per valuta, quando nel periodo considerato emergano solo operazioni di rimesse di titoli all'ordine o di carte commerciali (salva la prova da parte della banca dell'anteriorità del pagamento da parte del terzo, o comunque dell'anteriore disponibilità da parte del correntista, rispetto alla valuta), ovvero con il saldo contabile, quando nel periodo considerato emergano solo operazioni implicanti disponibilità immediata da parte del correntista come versamenti e bonifici in contanti e prelevamenti in contanti o a mezzo assegni; infine, quando nel suddetto periodo appaiano sul conto operazioni di varia natura, il saldo disponibile deve essere ricostruito «secondo un'interpolazione tra i dati per valuta e quelli contabili, a seconda del tipo di operazione» (così Cass. 15 novembre 1994, n. 9591, cit. e, da ultimo, Cass. 19 gennaio 1998, n. 462, cit. ).
Riassuntivamente, pertanto, il saldo disponibile deve essere ricostruito, secondo le ultime decisioni della cassazione, utilizzando un criterio misto che coincide:
- con il saldo contabile per i prelevamenti e le operazioni in dare;
- con il saldo contabile, ancora, per il versamento in avere di denaro contante o assegni circolari della stessa banca o assegni bancari tratti sulla stessa succursale o bonifici;
- con il saldo per valuta per gli altri versamenti e le altre operazioni in avere.
Quanto infine alla distribuzione dell'onere della prova fra il curatore che agisce in revocatoria e la banca convenuta in giudizio, merita particolare segnalazione una decisione pronunciata dalla Cassazione (Cass. 23 giugno 1994, n. 6031, in Il fallimento 1995, 61, con nota contraria di Tarzia, L'onere della prova nella revocatoria delle rimesse su c/c bancario), per la quale «alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo "sospetto" e della scientia decoctionis del correntista da parte della banca; mentre questa ha l'onere di provare, per escludere la natura "solutoria" del versamento, sia l'esistenza, alla data di questo, di un contratto di apertura di credito, sia l'esatto ammontare dell'affidamento accordato al correntista alla medesima data, non essendo sufficiente, a tali ultimi fini, la produzione della "scheda degli affidamenti" e dell'estratto notarile del "libro fidi" della banca, qualora il contenuto di detti documenti sia contestato dalla curatela e, comunque, gli stessi non abbiano un significato congruo rispetto al fatto da dimostrare» (sul punto si veda anche Trib. Pordenone 31 gennaio 1996, ivi, 1996, 702, e ancora Cass. 5 dicembre 1996, n. 10848).
Sempre in tema di distribuzione dell'onere della prova (si veda anche Cass. 11 settembre 1998, n. 9018, ivi, 1999, 991; Cass. 1 ottobre 2002, n. 14087, in Dir e prat. soc., fasc. 12, 86) è intervenuta Cass. 26 febbraio 1999, n. 1672, cit.: la sentenza infatti, nel ribadire come alla curatela spetti la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo "sospetto" e della scientia decoctionis da parte della banca (mentre questa ha l'onere di provare l'esistenza, alla data del versamento, di un contratto di apertura di credito e l'esatto ammontare dell'affidamento accordato), ha precisato che non è sufficiente, ai fini della prova dell'esatto ammontare dell'affidamento accordato, invocare una presunta autonomia formale dei singoli rapporti instaurati, poiché l'eventuale "collegamento negoziale" attuato dalle parti, se finalizzato alla realizzazione del fine pratico unitario dell'estinzione dei debiti risultanti da un conto affidato e lasciato solo formalmente aperto, presenta carattere indiscutibilmente "funzionale", che prevale sui fini immediati (apparentemente) perseguiti dai singoli rapporti (che sono in realtà strumentali all'interesse finale dell'operazione).
Un volta poi che la Banca abbia dimostrato che in epoca precedente a quella della rimessa impugnata dal curatore sia stata accordata al correntista un'apertura di credito, non le si può far carico di provare anche la persistenza dell'affidamento fino alla data della rimessa, ma spetta semmai al curatore dar prova di fatti modificativi o estintivi del contratto (per un approfondimento sul punto si veda G. Tarzia, L'onere della prova revocatoria delle rimesse su c/c bancario, ivi, 1995, 63). Tuttavia, nel caso in cui l'apertura di credito sia concessa a tempo determinato, spetterà alla banca dimostrare l'esistenza di eventuali proroghe: in difetto di tale prova le rimesse effettuate dopo la scadenza desumibile dalla richiesta di concessione di fido devono considerarsi effettuate su conto scoperto e quindi revocabili (così Trib. Palermo 11 marzo 2001, in Il fallimento 2002, 1991).
Tutte le tesi sopra esposte sono ormai abbastanza consolidate. E tuttavia in giurisprudenza e in dottrina si dibatte ancora se il saldo disponibile sia effettivamente idoneo a rappresentare la disponibilità concessa al correntista, tanto più che tale saldo non esiste (per così dire) in natura, essendo frutto di adattamenti e ricostruzioni a posteriori, e quindi sembrerebbe preferibile il riferimento al saldo per valuta (così, secondo Cass. 3 gennaio 1996, n. 12, in Il fallimento 1996, 270; Trib. Milano 28 febbraio 1996, ivi, 1996, 708), o al saldo contabile (così Tarzia, Criteri d'individuazione del «saldo disponibile» del conto corrente, ivi, 1994, 736, e da ultimo Danovi, Saldi rilevanti, disponibilità e ragionevolezza nella revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Dir. fall. 1997, I, 683).
Rimane poi sempre il problema di fondo, se sia effettivamente possibile continuare a revocare automaticamente tutte le rimesse affluite sul conto scoperto, o non sia invece possibile recuperare la funzione unitaria del conto corrente (coperto o scoperto che sia), per riconoscere la possibilità di revocare le rimesse affluite sul conto nei soli limiti tra il saldo contabile iniziale e il saldo contabile finale, poiché soltanto questa somma rappresenta il rientro effettivo della banca nel periodo considerato, e le rimesse effettuate costituiscono atti solutori (così, da ultimo, Corte d'appello di Firenze 28 gennaio 2004, in Foro it., 2004, 1714, seppure con toni particolarmente accesi, criticati nella nota di Fabiani).
In questo senso, può essere considerata ad esempio la decisione della Corte d'appello di Milano 11 ottobre 1994, in Corr. giur. 1995, 847 (con nota di G. Tarzia, Questioni in tema di compensazione, pegno e revocatoria nel fallimento), per cui «anche in presenza di conto scoperto non sono revocabili le rimesse aventi specifica funzione di fornire la provvista per l'esecuzione di determinati ordini di pagamento (c.d. «operazioni bilanciate»), mancando in tal caso il carattere solutorio della rimessa». E d'altra parte, proprio Cass. 17 febbraio 1995, n. 1727 (in Il fallimento 1995, 947), pur nell'ambito del conto passivo, sottolinea la necessità di individuare la rimessa che sia stata «incamerata» effettivamente dalla banca, a tacitazione della obbligazione restitutoria. Negli stessi termini è anche Trib. Milano 9 maggio 1996, ivi, 1996, 1239, per cui «allorché sussista una consequenzialità logica tra rimessa e prelievo, l'esistenza di un minimo ed occasionale sfasamento temporale delle operazioni non è idoneo a tramutare il prelievo in finanziamento da parte della banca e la rimessa in pagamento».
Inoltre, anche Cass. 17 luglio 1997, n. 6558, cit. (che pure cassa la decisione della Corte d'appello di Milano 11 ottobre 1994), pur non prendendo posizione sul punto, in mancanza di uno specifico motivo di ricorso, finisce per riconoscere che "nell'ipotesi di operazioni bilanciate, in virtù degli accordi presi, non c'è alcun rientro per la banca, essendo il versamento finalizzato concordemente non già a ripianare, sia pure in parte, il conto, ma a costituire una specifica provvista in funzione dell'ordine ricevuto e accettato".
Infine Cass. 26 gennaio 1999, n. 686, in Il fallimento 1999, 1323, ha stabilito che i versamenti in conto corrente di corrispondenza che il correntista abbia effettuato allo specifico scopo di consentire alla banca di adempiere un ordine di pagamento a terzi contestualmente conferito, non sono soggetti a revocatoria fallimentare anche quando il conto sul quale avviene l'accredito sia scoperto.
A margine poi della questione principale vi sono problemi particolari che riguardano:
- il saldo giornaliero: al riguardo, in tal senso è stato recentemente deciso (Cass. 17 dicembre 1994, n. 10869, in Il fallimento 1995, 816; Trib. Torino 24 maggio 1999, cit. ) che «nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata, in cui appaia uno scoperto di conto, l'onere probatorio del fallimento di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti (non essendo idonei al fine né l'ordine dell'estratto conto della banca né le indicazioni delle schede contabili) può essere adempiuto anche con prova logica (il fallimento, avvalendosi dell'ipotesi più favorevole alla banca, può computare prioritariamente tutte le rimesse)» e che «il criterio più prudente, in mancanza di una specifica prova della cronologia delle operazioni, è quello dell'annotazione virtuale secondo l'ordine indicato nell'estratto conto, in quanto l'estratto costituisce un documento che viene inviato al correntista e che se non è contestato deve essere approvato dal cliente» (Trib. Milano 30 luglio 2001, in Il fallimento, 2002, 763)
- il giroconto: al riguardo si veda Trib. Torino 28 luglio 1993, in Giur. it. 1994, I, 2, 772, per cui non è revocabile l'operazione di «giroconto» con la quale l'azienda di credito ha trasferito il saldo dal conto in attivo sul conto corrente recante uno scoperto del cliente. Da ultimo anche Cass. 17 luglio 1997, n. 6558, cit., ha ammesso la compensazione (e quindi la non revocabilità) dei giroconti fra due conti intestati al medesimo correntista presso la stessa banca, mentre Cass. 26 febbraio 1999, n. 1672, cit., ha affermato la revocabilità del versamento attuato tramite un "giroconto" preceduto da un accordo di "congelamento" del conto corrente passivo, lasciato aperto al solo scopo di consentire l'estinzione delle passività senza ricorrere a rimesse "dirette", ma interponendo il filtro di altri conti attivi;
- il castelletto di sconto: al riguardo si veda, ad esempio, Cass. 19 gennaio 1995, n. 559, in Il fallimento 1995, 1183 (con nota di Fabiani, Collegamento funzionale tra apertura di credito e castelletto di sconto) e Cass. 28 aprile 1995, n. 4718, ivi, 1996, 118 (con nota di Tarzia, Castelletto di sconto e revocatoria fallimentare), per cui «con il castelletto di sconto, a differenza di quanto avviene nell'apertura di credito, la banca non attribuisce al cliente la facoltà di disporre immediatamente di una somma di denaro, ma si impegna ad accettare per lo sconto, entro un ammontare predeterminato, i titoli che l'affidatario presenterà, sicché, nell'ipotesi indicata, il fido non rappresenta l'ammontare delle somme di cui il cliente può disporre (in quanto queste saranno determinate dall'entità degli acreditamenti effettuati a seguito delle singole operazioni di sconto), bensì il limite entro il quale la banca è tenuta ad accettare i titoli presentati dal cliente. Pertanto, l'esistenza di un fido per lo sconto di cambiali non può far ritenere coperto un conto corrente bancario, né può valere ad escludere il carattere solutorio delle rimesse effettuate dal cliente, poi fallito, su tale conto». Negli stessi termini, ancora, Cass. 5 febbraio 1997, n. 1083, in Il fallimento 1997, 1173; Cass. 30 gennaio 1998, n. 970, ivi, 1999, 46; Cass. 20 marzo 1999, n. 2589, ivi, 2000, 161 e Trib. Roma 12 luglio 1999, ivi, 1999, 1394, hanno ribadito il principio esposto (pur con notevoli dissensi della dottrina: si veda al riguardo Ruffini, Castelletto di sconto, apertura di credito in conto corrente e revocatoria delle rimesse in conto, in Banca, borsa, tit. cred. 1998, I, 558; Quagliotti, La revocatoria fallimentare del giroconto, in Giur. comm. 1999, I, 75). Si veda anche Cass. 5 maggio 2000, n. 5634, ivi, 2001, 404, ad avviso della quale la differenziazione tra "castelletto di sconto" e apertura di credito "mantiene il suo significato anche se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto" tale per cui i ricavi consentiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corretto che riflette l'apertura di credito. Si veda però Trib. Brescia 11 febbraio 2000, in Il fallimento 2001, 95 secondo il quale tale differenziazione viene meno qualora la convenzione relativa al castelletto di sconto sia stata pattiziamente inserita nello schema di apertura di credito in conto corrente, si da perdervi la propria autonomia causale, finendo col costituire una mera modalità di utilizzo dell'affidamento concesso;
- il versamento sul conto mediante girata di titoli (si veda sul punto Cass. 19 agosto 1996, n. 7615, in Il fallimento 1997, 167, con nota contraria di Tarzia, Revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario e, con riferimento all'accertamento del termine ex art. 67, secondo comma, Trib. Milano 31 maggio 1999, ivi, 1999, 1160).
È augurabile che non manchi l'attenzione ulteriore della dottrina su questi problemi, nella ricerca della soluzione più giusta.
Autore: Remo Danovi - tratto dal sito www.fallimento.ipsoa.it