Pendenze interferenti, vis attractiva e legittimazioni
in tema di revocatoria ordinaria e fallimentare
(nota a Trib. Milano 04.03.2005)


 articolo tratto dal sito www.tidona.com
 
TESTO DELLA SENTENZA:
Tribunale di Milano sez. II, Fall., Sentenza 04.03.2005, estensore Dr. A. Martinengo
 

"Come e noto, ai sensi dell'art. 38, ultimo comma, c.p.c. le questioni relative alla competenza devono decidersi in base a quello che risulta dagli atti e, come da pacifica giurisprudenza, in base all'oggetto della domanda come proposta dall'attore, tenendo conto dei soli fatti dedotti dal medesimo, indipendentemente dalla loro fondatezza e senza che abbiano, a tal fine, rilevanza le contestazioni formulate dal convenuto e le diverse prospettazioni delle circostanze di causa dallo stesso avanzate."(1)
"Nel caso in cui siano proposte cumulativamente le azioni di cui agli artt. 66 L.F. e 2901 c.c., in virtu di quanto previsto dall'art. 66, secondo comma, L.F., sussiste la competenza funzionale e territoriale del Tribunale Fallimentare davanti al quale pende la procedura concorsuale a conoscere delle revocatoria ordinaria promossa dal Curatore stante la "vis attractiva" specificatamente prevista al riguardo dal legislatore ed in deroga ai normali principi di cui all'art. 18 c.p.c., cui altrimenti detta controversia sarebbe pacificamente soggetta."(2)
"L'amministratore di una societa, fin dall'accettazione di tale investitura, assume la veste di debitore nei confronti della societa, dei soci e del ceto creditorio della stessa avente quale oggetto il compimento del mandato ricevuto con la diligenza propria del ruolo rivestito, a mente di quanto previsto, a tacer d'altro, dal combinato disposto di cui agli artt. 2392, primo comma c.c., 1710 e 2394 c.c., con consapevole assunzione del rischio di vedersi esposto alle azioni risarcitorie di responsabilita previste dagli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c. e 146 L.F. conseguenti alle violazioni dei doveri di cui alle citate norme."(3)
"Essendo la costituzione di fondo patrimoniale pacificamente atto a titolo gratuito idoneo ad incidere riduttivamente sulla garanzia generica dei creditori ai sensi dell'art. 2740 c.c. e certo non compiuto in adempimento di un dovere, bensi per scelta liberamente assunta dai costituenti senza alcun obbligo al riguardo, al di la del motivo del tutto soggettivo, ininfluente ed inopponibile verso i terzi, che li possa avere indotti in tal senso, e indubbio che lo stesso vada revocato ex art. 2901 c.c. nei confronti della curatela procedente, in quanto idoneo a rendere i beni conferiti aggredibili solo alle determinate condizioni previste dall'art. 170 c.c."(4)

 

NOTA  ALLA  SENTENZA:
 

La sentenza che si annota, aldila delle caratteristiche del caso concreto, costituisce un'ottima occasione per ripercorrere la trattazione di alcuni degli aspetti piu problematici e dibattuti nell'applicazione della disciplina in discorso, vale a dire quelli incidenti sul tema dei rapporti (in termini di interferenza e competenza) tra l' actio pauliana esperita ex art. 2901 c.c. dal singolo creditore prima dell'intervento della sentenza dichiarativa di fallimento e legittimazione del curatore fallimentare ad esperire, in via alternativa ovvero esclusiva detta azione anche cumulandola con l'azione revocatoria ex art. 66 l.f.
 

Preliminarmente, il Tribunale, esprimendosi sulla eccezione di competenza territoriale proposta da entrambi i convenuti (sul presupposto che fosse competente il Tribunale di Reggio Emilia ex art 18 c.p.c.), si ritrova a dover intervenire sulla questione e, sul solco tracciato dalla totalita della giurisprudenza, ribadisce dal canto proprio come, ai sensi dell'art. 38 ult. co. c.p.c., la decisione sulle questioni relative alla competenza deve essere presa in base a quanto risulta dagli atti ed in base all'oggetto della domanda cosi come proposta dall'attore senza che possa assumere alcun rilievo qualunque allegazione dallo stesso effettuata sul piano del fatto, ovvero la fondatezza della stessa domanda attorea e ancor meno le eventuali contestazioni, o differenti prospettazioni, avanzate sulle circostanze di causa dal convenuto.
 

(2) La seconda massima in rassegna, affrontando la tematica della sussistenza o meno di una esclusiva competenza funzionale del Tribunale fallimentare in caso di proposizione di entrambe le azioni revocatorie - ovvero della pendenza della prima ad opera del singolo creditore ed intervento del fallimento con eventuale proposizione della seconda (ex artt. 2901 c.c. e 66 L.F.) da parte del curatore -, ribadisce come sussista la competenza funzionale e territoriale del Tribunale Fallimentare a conoscere anche della pendente revocatoria ordinaria.
 

In considerazione dell'aspetto piu importante di tutta la disciplina e cioe della finalita tipica delle azioni recuperatorie promosse dal curatore: dei mezzi di reintegrazione della garanzia patrimoniale deve necessariamente profittare la generalita dei creditori, (generalita nei cui confronti deve essere dichiarata l'inefficacia dei singoli atti revocandi in ossequio alla par condicio creditorum) , il Tribunale di Milano ribadisce, dunque, che qualora l'azione pauliana sia pendente davanti ad altro Tribunale, il Tribunale Fallimentare, a seguito della sentenza dichiarativa, evidentemente intervenuta in costanza di quel giudizio, diviene competente a conoscere di anche di detta azione in virtu del disposto dell'art. 24 L.F.
 

Ai sensi dell'art. 24 L.F. il Tribunale che ha dichiarato il fallimento e, infatti, competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, incluse quelle relative a rapporti di lavoro , e senza limiti di valore, (ad eccezione delle azioni reali immobiliari per le quali restano ferme le ordinarie norme di competenza). E con riferimento alle azioni che "derivano" dal fallimento, la giurisprudenza e consolidata nel sancire come le azioni che dipendono dai rapporti che si trovano gia nel patrimonio della impresa sottoposta a procedura concorsuale al momento dell'apertura della procedura stessa, e che si pongono con questa in relazione di mera occasionalita , non riguardano la formazione dello stato passivo dell'impresa e non sono quindi attratte nella particolare sfera di competenza del tribunale fallimentare ex art. 24 l. fall., restando soggette alle regole processuali applicabili ove fossero state promosse dalla societa in bonis, con la sostituzione degli organi della procedura a quelli della societa che ne avevano la rappresentanza processuale. Quanto all'individuazione dei rapporti (rectius: diritti azionati e) preesistenti al fallimento e che giustificano dunque la non operativita della vis attractiva, il criterio da utilizzare parrebbe essere quello della titolarita del credito (rectius: diritto) in capo al fallito, sulla scorta della considerazione che appunto dette azioni esulano dal contenzioso circa l'accertamento del passivo fallimentare.
 

Ne deriva che, al contrario, ogni credito vantato nei confronti del fallito va accertato, ai sensi dell'art. 52, comma 2, L.F., salvo diverse disposizioni di legge, secondo le norme stabilite dal capo V della L.F., che, agli artt. 92 - 103, fissa una serie di regole sulle operazioni di formazione e verificazione dello stato passivo, da compiersi, ineludibilmente, dinanzi al giudice delegato, alla stregua del principio di concorsualita che disciplina il procedimento fallimentare in tutte le sue articolazioni.
 

Come anticipato, non fanno eccezione a questo principio le domande relative a controversie di lavoro benche la giurisprudenza lucidamente differenzi tra differenti ipotesi. Nel caso in cui il datore di lavoro sia sottoposto a procedura concorsuale nelle more della controversia, infatti, il criterio di ripartizione della competenza adoperato poggia sulla differenziazione tra domande di mero accertamento (ad es. in ordine alla pregressa esistenza del rapporto di lavoro) ovvero costitutive (ad es. di annullamento del licenziamento e reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento aventi funzione strumentale). Per le prime viene, infatti, costantemente affermata la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde in caso di fallimento opera la vis attractiva del foro fallimentare.
 

Quanto finora evidenziato in termini di competenza funzionale ed inderogabile del Tribunale Fallimentare non puo non riversare conseguenze di un certo peso anche sul differente profilo della legittimazione a proseguire le azioni derivanti dalla dichiarazione di fallimento e che non siano con questo in relazione di mera occasionalita come appunto e la actio pauliana ordinaria promossa dal singolo creditore prima dell'intervenuta sentenza dichiarativa.
 

Ebbene, la pronuncia - nel sancire come sussista la competenza funzionale e territoriale del Tribunale Fallimentare a conoscere della pendente revocatoria ordinaria- pare scontare l'adesione all'orientamento maggioritario in giurisprudenza ed in dottrina -la c.d. Tesi Tradizionalista- che vede nel curatore l'unico legittimato a proporre, ovvero proseguire in via esclusiva, entrambi i tipi di azioni (quella ex art. 2901 c.c. e quella ex art. 66 L.F.) una volta che sia intervenuta la sentenza dichiarativa.
 

Si contrappone all'orientamento della Tesi Tradizionalista l'altro opposto orientamento (sostenuto da una minoritaria ma agguerrita dottrina e supportato da qualche sporadica decisione dei giudici di merito in giurisprudenza) che professa invece la persistenza della legittimazione del singolo creditore nonostante l'intervenuto fallimento. Il quesito cui entrambi gli orientamenti tentano di rispondere con differenti soluzioni si pone come segue: nel caso in cui il singolo creditore abbia proposto azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e, nelle more di questo giudizio, si sia verificato il fallimento del debitore-convenuto, legittimando in questo modo il curatore ad esperire nei confronti dello stesso bene azione revocatoria ex art 66 l.f., la legittimazione attiva del creditore-attore resiste, concorre, ovvero deve cedere versus quella del curatore?
Senza poter in questa sede ripercorrere l'ampio e tormentato dibattito dottrinale, ci si limita a far presente che i problemi interpretativi che affiorano da tale panorama attengono per un verso alla interpretazione delle norme fallimentari (interpretazione che tuttavia non puo prescindere dal contesto dei principi e delle rationes che ispirano tutta la disciplina de qua) e, per altro, da quelle che disciplinano il rito.
 

Ebbene, il coordinamento tra la norma fallimentare e quelle codicistiche cui la stessa rinvia rappresenta da sempre un profilo problematico stante la impossibilita di traslitterare semplicisticamente gli artt. 2901 e ss c.c. (dedicati alla classica actio pauliana) nell'ambito delle procedure fallimentari senza il necessario adattamento ad integrazione e deroga . La legittimazione del curatore ad esperire detta azione e, ed e stata, tradizionalmente intesa dalla giurisprudenza e da buona parte della dottrina come legittimazione esclusiva. La sentenza annotata, come anticipato, sembra scontare l'adesione convinta a tale interpretazione sia pure esprimendola in via incidentale e con riferimento alla vis attractiva del Tribunale Fallimentare in termini di competenza funzionale.
 

Tuttavia, attorno al tema di detta legittimazione si riscontrano voci discordanti in dottrina, la quale, per mezzo di alcuni autorevoli esponenti, da tempo si diffonde nel tentativo piu o meno riuscito di dare una sistemazione dogmatica, quella di volta in volta proposta con varieta creative, ai fini del superamento dell'esclusivita della legittimazione del curatore. Preliminare e presupposto della trattazione della natura della legittimazione del curatore si presenta l'analisi della natura dell'azione revocatoria ordinaria e di quella fallimentare anche allo scopo di individuarne una eventuale identita. E proprio in relazione a cio secondo la totalita della giurisprudenza e la dottrina nettamente maggioritaria, detta identita sussiste stante la stessa natura indennitaria delle due azioni.
 

Tuttavia le pronunce che accolgono detta identita non tralasciano di sottolineare alcune differenze (non quanto ai presupposti poiche comuni) in relazione al piu leggero onere probatorio a carico del curatore e all'ampiezza delle conseguenze legali della pronuncia di revoca. Secondo una diversa opinione, sostenuta da una minoranza, tale identita non vi sarebbe non solo perche differenti i presupposti delle due azioni (negando la natura indennitaria all'azione revocatoria fallimentare si arriva ad affermare che per l'esperimento della stessa non si necessita del presupposto del danno cagionato dall'atto revocando -forse tralasciando di considerare che e la legge stessa a presumere l'esistenza del danno-), ma anche per il differente oggetto in quanto la revocatoria fallimentare avrebbe quale scopo quello di far ripartire la perdita dovuta all'insolvenza accertata tra un insieme piu ampio di creditori rispetto a quello riscontrato (rectius: riscontrabile) alla data della sentenza.
 

Non potendo in questa sede affrontare compiutamente l'argomento, bastera ricordare che il fine comune delle due azioni e quello in definitiva di rendere aggredibile attraverso un'azione esecutiva, o comunque rendere disponibile a fini satisfattori, un credito vantato nei confronti del debitore a seguito del suo atto dispositivo che pone in forse le garanzie di pagamento.
 

Nel caso dell'art. 2901 c.c. l'azione (che chiaramente si instaura in assenza di procedura concorsuale in corso) e esercitata dal (e ne trarra vantaggio il) singolo creditore procedente; nel caso di revocatoria fallimentare, al contrario, sara il curatore a garantire il rispetto della par condicio creditorum visto che l'atto di disposizione, essendo il patrimonio del fallito incapiente per definizione, arreca ontologicamente un danno alla massa dei creditori oltre che a ciascuno di essi uti singuli.
 

Quanto appena messo in luce permette di superare le critiche mosse alla impostazione tradizionale in tema di legittimazione del curatore; senza voler anticipare conclusioni che devono ancora essere dimostrate, sicuramente giova all'impostazione del problema, e alla relativa soluzione, non cadere nella tentazione di perdere di vista il contesto normativo nel quale ci si muove.
 

Infatti gia in passato autorevole dottrina ha messo perfettamente in evidenza la circostanza che al momento della dichiarazione di fallimento i divieti di intraprendere e/o proseguire azioni individuali rappresentano la concretizzazione processualistica del principio della par conditio espresso nella norma dell'art. 52 l.f. e cio allo scopo di garantire che l'esercizio di tutte le iniziative recuperatorie siano assegnate, per mezzo di investitura esclusiva, al curatore in nome e per conto di tutto il ceto creditorio.
 

Se questa e la ratio legis che pervade tutta la normativa fallimentare, il richiamo ad isolate norme che disciplinano singoli aspetti della dinamica rituale della procedura concorsuale si rivela inappagante.
 

Il riferimento e all'opera della giurisprudenza che, al fine di individuare il dato di diritto positivo da cui partire per enucleare il fondamento della legittimazione esclusiva del curatore per tutti i tipi di azione ha fatto riferimento nei confronti del solo art. 51 l.f. ; ma detta norma rappresenta esclusivamente un punto di vista per cosi dire parziale, ancorche necessario, nell'ambito del sistema, essendo dedicata esclusivamente alle azioni esecutive individuali.
 

Non e certo (solo) da detta norma che effettivamente si possa ricavare il fondamento della legittimazione esclusiva, bensi dalla lettura sinottica (e, lo si ripete, alla luce del "sistema fallimento") anche delle norme di cui agli artt. 52, 66, 67 e 107 L.F.
 

Ovviamente l'impostazione basata sul disposto dell'art. 51 ha offerto il fianco al tentativo di ricostruire la questione della legittimazione in termini differenti rispetto alla Tesi Tradizionale ad opera delle due sentenze lombarde supra richiamate (nt 16).
 

Tali decisioni (sostanzialmente rimaste isolate nel panorama giurisprudenziale) ed espresse in adesione all'opinione della dottrina minoritaria affermano l'idea che i singoli creditori conservino la propria legittimazione nell'agire con l'actio pauliana nonostante l'intervenuto fallimento poiche detta azione non e ictu oculi "una azione esecutiva" bensi uno strumento di conservazione della garanzia patrimoniale. E tale strumento legale di conservazione della garanzia patrimoniale, ancorche strutturalmente autonomo, risulta pero inevitabilmente prodromico rispetto all'azione espropriativa singolare. Da questa prospettiva partono le piu recenti decisioni dei giudici di legittimita che hanno fugato ogni dubbio circa la esclusiva proseguibilita delle azioni pendenti (ed aventi le caratteristiche sopra descritte) davanti al tribunale fallimentare e ad opera del curatore.
 

Notazione conclusiva: la terza e la quarta massima in rassegna si pongono nel solco dei principi ormai consolidati in giurisprudenza e non pare necessitino di trattazione specifica.

Luglio 2005
Autore: Danilo Scarlino. Tratto dal sito www.tidona.com