La Cassazione fa il punto sulla responsabilità medica
Con una pronuncia-saggio, la quale prende posizione su una serie di questioni di enorme importanza applicativa, la Corte di Cassazione esamina funditus il tema di colossale importanza della responsabilità medica, ribadendo il principio della sua dislocazione in ambito contrattuale ed indicando con analitica precisione le regole da applicarsi in tema di riparto dell'onere probatorio tra il paziente ed il medico.
In particolare, la decisione esamina gli aspetti: dell'intensità della diligenza richiesta al medico; dell'irrilevanza, ai fini del riparto dell'onere probatorio, della distinzione tra interventi «facili» e «difficili»; della qualificazione come inadempimento da parte del medico anche del solo mancato miglioramento del paziente; dell'irrilevanza, sempre ai fini del riparto dell'onere probatorio,della distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e obbligazioni «di risultato».
Questo, in sintesi, il contenuto di Cass., Sez. III°, 13 aprile 2007, n. 8826.
1. Gli argomenti della pronuncia . La pronuncia, come si è accennato, è di dimensioni assai cospicue e contiene approfonditi e completi riferimenti ai precedenti in materia della S.C. La decisione in commento, dunque, osserva quanto segue:
- la responsabilità della struttura ospedaliera ha natura contrattuale. L'ingresso del paziente in una struttura ospedaliera pubblica o privata, ai fini della fruizione di una prestazione sanitaria, determina infatti la conclusione di un contratto atipico di prestazione d'opera, definito come contratto di spedalità, il quale ha ad oggetto, oltre alla prestazione sanitaria intesa nel senso più ampio, comprensivo della messa a disposizione del personale ausiliario, dei mezzi tecnici e dei farmaci, anche prestazioni ulteriori di carattere alberghiero;
- la struttura ospedaliera risponde inoltre nei confronti del paziente delle condotte dolose o colpose del personale, in particolare di quello medico, di cui si avvale, indipendentemente dalla sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, secondo la disciplina dettata dall'art. 1228 c.c., il quale trova fondamento nel rischio, ricadente sul debitore, connaturato all'utilizzazione di terzi nell'adempimento dell'obbligazione;
- la responsabilità della struttura ospedaliera ai sensi del citato art. 1228 c.c. sussiste anche nel caso che la condotta dolosa o colposa venga posta in essere da un medico di fiducia del paziente, sempre che quest'ultimo abbia effettuato la propria scelta nell'ambito del personale di cui tale struttura si avvale. Viceversa, se il paziente abbia richiesto alla struttura ospedaliera l'esecuzione di una prestazione sanitaria effettuata da un medico di propria fiducia, estraneo alla struttura medesima, la responsabilità di questa ex art. 1228 c.c. viene meno, dal momento che essa va a collocarsi nella posizione di mero «cooperatore del creditore»;
- accanto alla responsabilità della struttura ospedaliera verso il paziente ha natura contrattuale anche quella del medico ospedaliero. La natura contrattuale del rapporto medico ospedaliero-paziente è fondata sul fenomeno del «contatto sociale» che si instaura tra le parti. Semplificando il concetto, possiamo dire che, quantunque tra i due soggetti non intercorra una vera e propria pattuizione, il medico è pur sempre tenuto ad eseguire la propria prestazione in conformità al profilo professionale che gli appartiene, sicché la sua responsabilità, discendendo dalla violazione di un'obbligazione preesistente, non può che essere inquadrata nell'ambito della disciplina dell'inadempimento delle obbligazioni posta in via generale dagli artt. 1218 ss. c.c.;
- dalla natura contrattuale della responsabilità del medico ospedaliero discendono precise conseguenze con riguardo ai parametri che egli deve osservare nell'esecuzione della prestazione. Trova in tal caso applicazione il combinato disposto degli artt. 1176, 2° co., e 2236 c.c.: il che vuol dire che il medico ospedaliero è tenuto ad osservare non già la diligenza del buon padre di famiglia, bensì quella, di più intenso grado, del buon professionista. E detto grado di diligenza deve essere ancor più intenso in considerazione della specializzazione del medico, tenuto conto che a diversi gradi di specializzazione corrispondono diversi gradi di perizia. Il che vuol dire, cioè, che il giudizio sull'osservanza del parametro di diligenza richiesto va calibrato in funzione delle caratteristiche del professionista e della struttura entro la quale egli opera;
- il medico ospedaliero, inoltre, in ragione della natura contrattuale dell'obbligazione, è contrattualmente tenuto al risultato dovuto - venendo così a cadere, come si ribadirà tra breve, la tradizionale distinzione dell'obbligazione «di mezzi» obbligazioni «di risultato» - ossia al risultato conseguibile secondo criteri di normalità, da valutarsi in relazione alle condizioni del paziente, all'abilità tecnica del professionista e alla capacità tecnico-organizzativa della struttura;
- sul piano probatorio si applicheranno naturalmente le regole della responsabilità contrattuale. A tal riguardo occorre anzitutto sottolineare che, ai fini del riparto dell'onere probatorio, nulla rileva che l'intervento da cui è derivato il danno sia o meno di difficile esecuzione, ai sensi dell'art. 2236 c.c.. Tale circostanza - qui la presa di posizione della S.C. è di rilievo fondamentale - incide esclusivamente sulla valutazione del grado di diligenza e sul corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario, senza dispiegare alcun effetto sulla ripartizione dei carichi probatori. La menzionata ripartizione, cioè, è indifferente alla distinzione tra interventi «facili» e interventi «difficili», mentre incombe in ogni caso al medico, dinanzi all'insuccesso dell'intervento, dare la prova della particolare difficoltà della prestazione;
- altro passaggio di importanza fondamentale è quello dedicato dalla pronuncia alla distinzione, giudicata priva di supporto normativo e logico, tra obbligazioni «di mezzi» ed obbligazioni «di risultato». Quella del medico, cioè, è obbligazione diretta al conseguimento di uno specifico obiettivo, avuto riguardo al criterio di normalità fondato sul dato statistico. Spetta al professionista, perciò, una volta che il paziente abbia provato l'esistenza del contratto, qualora sua prestazione del primo non abbia determinato il conseguimento del risultato normalmente ottenibile, dare la prova del verificarsi di eventi imprevedibili ed inevitabili ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e 2697 c.c.;
- il mancato conseguimento del risultato normalmente ottenibile, ancora, non si ha soltanto nel caso di aggravamento dello stato morboso del paziente, ma anche nel caso di mancato miglioramento, il quale rende inutile l'intervento effettuato e, pertanto, si caratterizza pure esso quale insuccesso. Anche questa importantissima osservazione, naturalmente, discende dall'inquadramento della responsabilità del medico nell'ambito della responsabilità contrattuale, essendo evidente che, qualora essa avesse natura aquiliana, il mero insuccesso non potrebbe mai presentarsi quale danno risarcibile;
- le conclusioni raggiunte in punto di riparto dell'onere probatorio - viene ulteriormente precisato - si armonizzano con il basilare principio di vicinanza della prova, già elaborato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, principio che si giustifica in ragione della maggiore possibilità per il debitore di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio: e ciò in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore.
2. Il principio affermato. Questo infine il principio di diritto affermato dalla pronuncia: «Il danneggiato è tenuto a provare il contratto e ad allegare la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza. Mentre al debitore, presunta la colpa, incombe l'onere di provare che l'inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, e cioè la prova del fatto impeditivi».
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