Regime patrimoniale della famiglia
e comunione dei beni
Le pagine che seguono sono parte di capitolo di uno dei volumi dedicati alla disciplina del diritto di famiglia nel Trattato di diritto privato che a cura di Mario Bessone è in corso di pubblicazione presso leditore Giappichelli
1. Il concetto di amministrazione nella comunione legale
I beni che costituiscono loggetto della comunione legale si differenziano dai beni personali di ciascun coniuge sotto il duplice profilo delle regole, che presiedono alla loro amministrazione, e dei limiti entro i quali essi rispondono delle obbligazioni contratte dai coniugi, congiuntamente o separatamente, nel linteresse della famiglia ovvero per il conseguimento di scopi esclusivamente individuali.
Dal primo punto di vista , il legislatore della riforma del diritto di famiglia se, da una parte, quanto ai beni personali del coniuge, si è limitato a richiamare lapplicabilità delle norme del regime di separazione dei beni (art. 185 c.c.) dallaltra, per i beni della comunione legale, ha configurato un complesso di regole giuridiche (artt. 180-184 c.c.), che attua un delicato equilibrio tra interessi diversi ed esigenze talvolta contrapposte.
Un problema preliminare allesegesi delle norme è rappresentato dalla valutazione di adeguatezza del concetto di «amministrazione» riferito ad unentità patrimoniale (beni della comunione legale), che non si appalesa, prima facie, teleologicamente funzionale ad uno specifico interesse giuridico tipizzato dalla legge ed ontologicamente distinto dal mero utile patrimoniale dei singoli coniugi. Tecnicamente, infatti, il concetto di amministrazione evoca figure normative, nelle quali un bene o un complesso patrimoniale risulta preordinato al soddisfacimento di un interesse «superiore», al cui perseguimento è vincolata, conseguentemente, anche la condotta del soggetto, al quale la legge attribuisce il potere di compiere atti giuridici incidenti sul bene o sul patrimonio stesso.
Il tentativo dottrinale ,esperito sul punto, di presentare la comunione legale alla stregua di un patrimonio destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia si scontra, tuttavia, con i dati normativi, che dimostrano linesistenza di qualsivoglia vincolo di destinazione dei beni comuni, quali, in particolare, la mancata inclusione (art. 177, lett. c), c.c.), tra i beni oggetto della comunione legale, dei proventi dellattività separata (strumento primario di realizzazione quotidiana dei bisogni familiari), nonché lespressa previsione (art. 186, lett. d), c.c.) della responsabilità dei beni della comunione per le obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi per cause anche estranee alle esigenze della famiglia [4].
Limpossibilità di configurare la comunione legale in termini di patrimonio finalizzato ad uno scopo familiare evidenzia, quindi, limproprietà terminologica del concetto di amministrazione ed induce a ritenere che lattività dei coniugi sui beni della comunione si sostanzia, invero, nellesercizio delle normali facoltà (di conservazione, godimento e disposizione) costituenti il contenuto del diritto soggettivo avente ad oggetto i singoli beni [5]. In questo senso, lamministrazione dei beni della comunione legale non si presenta concettualmente e strutturalmente dissimile dallamministrazione della cosa comune nella comunione ordinaria (art. 1105 c.c.), laddove la nozione di amministrazione si riferisce semplicemente alla conservazione della cosa comune (funzionale al godimento ed alla successiva divisione) e non anche ad un vincolo eterogeneo rispetto allinteresse dei singoli contitolari.
Linevitabile corollario dogmatico di una siffatta ricostruzione consiste nel lesclusione di ogni profilo di doverosità negli atti di ciascun coniuge aventi ad oggetto i beni della comunione legale e nella correlativa affermazione della piena libertà dellattività di amministrazione dei coniugi che, in quanto rivolta al perseguimento di interessi loro propri, non rappresenta altro che la naturale espressione giuridica della situazione di contitolarità del diritto sui beni in comunione [6].
Il rischio teorico di tale impostazione è rappresentato, invece, dallo svilimento delle peculiarità distintive della comunione legale rispetto alla comunione ordinaria, fino al punto da connotare la prima come una species della seconda, in quanto caratterizzata soltanto dalla maggiore incisività dei poteri di disposizione del singolo contitolare e da più accentuati profili di tutela dellaffidamento dei terzi nelle vicende correlate alla circolazione dei beni.
Ma è proprio la premessa concettuale, dalla quale occorre muovere per concludere un simile sillogismo premessa costituita dal riconoscimento in capo ad entrambi i coniugi di una situazione di contitolarità sui singoli beni facenti parte della comunione legale che necessita di essere dimostrata, non essendo automaticamente desumibile dalle regole che disciplinano i meccanismi acquisitivi nellambito della comunione. Qualora, infatti, si dovesse ritenere che lingresso di un bene nella comunione legale non produce ex lege leffetto della contitolarità sul bene da parte del coniuge che non ha posto in essere latto di acquisto , sarebbe inevitabile concludere nel senso dellassoluta irriducibilità della comunione legale a figura rientrante nel genus della comunione ordinaria o, comunque, ad ipotesi speciale di contitolarità di diritti facente parte della più ampia categoria dogmatica della comunione.
Abbandonando, invece come appare preferibile lo schema della contitolarità, il profilo dinamico dellamministrazione dei beni, caratterizzato dalla regola binaria dellart. 180 c.c., rinviene il suo autonomo fondamento dogmatico nelloriginale parallelismo tra titolarità (comune o esclusiva) del diritto e legittimazione (disgiunta o congiunta) allesercizio delle facoltà costituenti il contenuto di quel medesimo diritto, pur al di fuori di quellottica di discrezionalità e doverosità propria delle tradizionali e più diffuse ipotesi di legittimazione straordinaria allesercizio di unaltrui situazione giuridica soggettiva.
Il concetto di amministrazione adoperato, dunque, per designare la legittimazione di ciascun coniuge al compimento di atti giuridici sui beni della comunione legale, pur in difetto di titolarità formale su ogni singolo elemento del complesso patrimoniale si arricchisce, così, di una maggiore pregnanza economica e giuridica, non venendo più a connotare unattività meramente conservativa o funzionale, ed esprimendo, al contrario, lespansione degli ambiti di libertà riservati, nel settore patrimoniale, ai coniugi in regime di comunione legale dei beni.
2. Gli atti di amministrazione e gli acquisti compiuti separatamente da uno dei coniugi
Le norme in materia di comunione legale non contengono una tipizzazione degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, limitandosi a dettare la disciplina giuridica del compimento di essi e rimettendo allinterprete il problema della loro individuazione.
Su tale piano esegetico, si è posta, anzitutto, la questione relativa al coordinamento tra le norme rispettivamente contenute nellart. 177, lett. a), c.c. e nel lart. 180 c.c., allo scopo di stabilire se, tra gli atti di ordinaria o straordinaria amministrazione, possano ricomprendersi gli acquisti compiuti dai coniugi. Al proposito, il mero dato letterale dellart. 177, lett. a), c.c. talvolta valorizzato in dottrina 11 per comprovare la tesi contraria allinclusione degli atti di acquisto tra quelli sottoposti alla disciplina di cui allart. 180 c.c. non appare risolutivo: si potrebbe ritenere, infatti, in ipotesi, che la legittimazione del singolo coniuge allacquisto separato valga soltanto in relazione ad acquisti di ordinaria amministrazione, mentre, per gli acquisti di straordinaria amministrazione, la legittimazione congiunta, prevista dallart. 180, c. 2°, c.c., si esprima, invece, nel necessario compimento dellatto di acquisto da parte dei due coniugi insieme (così come stabilito nella prima parte dellart. 177, lett. a), c.c.).
Ma anche gli argomenti di carattere logico-sistematico riconducibili, sinteticamente, da una parte, allesigenza di sottoporre la decisione di acquistare beni, anche con denaro personale, alla regola generale dellaccordo tra coniugi nella definizione dellindirizzo della vita familiare (art. 144 c.c.), e, dallaltra, alla necessità di rimediare allapparente contraddizione tra l«anarchia» nellacquisto di diritti reali e lobbligo, ex art. 180, c. 2°, c.c., di procedere congiuntamente allacquisto di meri diritti personali di godimento non si rivelano persuasivi.
Quanto al richiamo allart. 144 c.c., è stato giustamente osservato come da tale norma, essendo essa parimenti applicabile ai coniugi in regime di separazione dei beni, non possa trarsi argomento per limitare il libero compimento di acquisti da parte del singolo coniuge. In ordine, poi, allargomento a fortiori tratto dalla previsione della stipulazione congiunta dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento la dottrina maggioritaria replica considerando impropria linclusione di tali atti tra quelli definiti dalla legge come di straordinaria amministrazione ed affermando che il significato della previsione normativa si riduce alla conseguenza che «il locatore o il comodante o il noleggiatore ove abbia stipulato il contratto con uno solo dei coniugi non può in nessun caso pretendere il pagamento dei canoni (o la restituzione del bene o il risarcimento dei danni a questo in ipotesi arrecato) dalla comunione (e quindi pure dallaltro coniuge), neppure qualora il bene sia stato destinato alla ed utilizzato dalla famiglia» . Ma anche a non voler accedere allinterpretazione secondo cui la norma concernente lacquisto dei diritti personali di godimento «non ha nulla a che vedere con la nozione di atti di amministrazione della comunione» occorre comunque considerare che molteplici possono essere le ragioni, che possono aver indotto il legislatore a richiedere la legittimazione congiunta dei coniugi nella concessione o nellacquisto di una categoria di diritti (diritti personali di godimento) aventi spesso (specie quando riguardino beni immobili) una significativa pregnanza economica; ciò non può implicare, tuttavia, che qualunque altro atto giuridico, astrattamente più incisivo sul piano patrimoniale, debba necessariamente essere sottoposto ai medesimi limiti di legittimazione. La conseguenza (inaccettabile) sarebbe quella di ritenere che il coniuge, adottando il regime di comunione legale, perda o veda menomata la propria capacità di acquisto . Al contrario, la disciplina normativa dellamministrazione dei beni della comunione presuppone la formazione del patrimonio c.d. comune attraverso loperatività di regole giuridiche autonome, secondo le quali il coniuge come espressamente sancito dallart. 177 c.c. è pienamente libero di disporre dei proventi e dei frutti propri per procedere ad acquisti di beni che, automaticamente (effetto, che costituisce il tratto peculiare di tale regime patrimoniale), entrano nel novero di quelli sui quali laltro coniuge può legittimamente compiere atti giuridici con i poteri ed i limiti di cui allart. 180 c.c.
Il problema, invero, è anche praticamente insussistente nel caso in cui lacquisto sia compiuto dal singolo coniuge con denaro o attività proprie. Qualora, invece, il coniuge attinga a beni o denari già in comunione legale, lapplicazione dellart. 180 c.c. (e dei rimedi stabiliti dallart. 184) consentirebbe al partner di reagire ad acquisti sconsiderati o investimenti dilapidatori.
Il prelievo di beni della comunione costituisce, però, un atto sempre successivo al contratto di acquisto, alla cui stipulazione si producono immediatamente i soli effetti del trasferimento del diritto e della nascita dellobbligazione avente ad oggetto la controprestazione. Il fatto, poi, che, per ladempimento di questultima, il coniuge, che ha posto in essere latto, abbia adoperato denari o beni della comunione, rileva esso sì sul piano dellamministrazione, ed in relazione a ciò il coniuge non acquirente potrà pretendere la ricostituzione della comunione (per equivalente) nello stato in cui era prima del compimento dellacquisto (art. 184, c. 3°) ed agire, se del caso, ex art. 183 c.c., per escludere laltro coniuge dallamministrazione dei beni della comunione in ragione della mala gestio; non potrà, invece, domandare lannullamento del contratto di acquisto, posto che questultimo logicamente e giuridicamente distinto dal successivo atto solutorio poteva essere onorato dal coniuge stipulante mediante limpiego di denari o beni propri.
Quanto, infine, alla possibilità che latto solutorio possa essere compiuto, dal coniuge stipulante il contratto di acquisto, disponendo di beni immobili della comunione (ad esempio, permuta o datio in solutum), lesperibilità del rimedio di cui allart. 184, c. 1°, c.c., discende non già dallindebita parificazione tra atto di acquisto ed atto di amministrazione, bensì dallautonoma qualificazione dellatto stesso in termini di atto dispositivo e, quindi, pacificamente, soggetto alla disciplina contenuta nellarticolo citato.
In definitiva, le norme sullamministrazione dei beni della comunione legale non limitano la capacità contrattuale individuale dei singoli coniugi, i quali, pertanto stante il disposto dellart. 177, lett. a), c.c. possono procedere anche ad acquisti separati di beni immobili o mobili di rilevante valore. Tuttavia, se nelladempimento dei suddetti contratti il coniuge stipulante compie prelievi o atti dispositivi di beni della comunione , laltro coniuge ha facoltà di agire per lannullamento dellatto o per la ricostituzione della comunione secondo le rispettive previsioni dei c. 1° e 3°, art. 184 c.c. con la conseguenza che, riguardo ai soli beni immobili 20 (o beni mobili registrati), il positivo esperimento dellazione di annullamento può effettivamente condurre alla risoluzione del contratto di acquisto stipulato dal coniuge separatamente col terzo, ma ciò soltanto come mera oggettiva conseguenza dellineseguibilità dellattribuzione patrimoniale compiuta dal coniuge quale corrispettivo dellacquisto (continua ).
Autore: Luciano Bruscuglia - tratto dal sito: www@notiziariogiuridico.it