CAUSE E MODALITA' DI RECESSO DEL SOCIO EX ART. 2437 BIS COD. CIV.

 

 

Il diritto di recesso, espressamente previsto dall'art. 2437 del codice civile, rappresenta un equilibro al c.d. principio maggioritario da cui risulta impostato il funzionamento della società per azioni, concedendo all'azionista un mezzo di tutela contro le variazioni di tipo sostanziale dell'iniziativa cui è partecipante.
Al riguardo, la Corte di cassazione, con la sentenza 8 novembre 2005, n. 21641, ha posto in rilievo, dopo aver premesso che lo stesso permette, con il disinvestimento del capitale investito, l'uscita dalla compagine societaria e, quindi, ottenere la liquidazione della propria quota di partecipazione, che tale diritto non deve essere valutato alla stregua di un accessorio marginale del titolo azionario, ma una mera alternativa che prende consistenza solamente nell'ipotesi di sussistenza di uno degli accadimenti previsti nell'articolo citato.
Ovviamente, è opportuno tenere in considerazione che l'esercizio del diritto di recesso può essere vanificato dalla determinazione della società di procedere alla revoca della deliberazione che lo legittimava o, anche, dalla decisione di procedere alla messa in liquidazione della società e, quindi, al conseguente scioglimento.
Il recesso dell'azionista, pertanto, altro non è che l'esercizio di un atto unilaterale recettizio per il quale non è prevista alcuna specifica accettazione e, di conseguenza, come risulta anche affermato dalla Corte di cassazione nelle sentenze 26 agosto 2004, n. 17012, 19 marzo 2004, n. 5548 e 3 gennaio 1998, n. 12, si deve ritenere perfezionato e atto alla produzione dei conseguenti potenziali effetti fin dal momento in cui la comunicazione che lo manifesta è pervenuta nell'ambito della conoscenza della soggetto giuridico destinatario.
Si è precisato "potenziali effetti", in quanto, a seguito della dichiarazione/comunicazione di recesso, il rapporto sociale non viene meno, anzi procede fino alla liquidazione delle azioni, ma, come detto, anche sia con l'eventuale revoca della delibera che ha legittimato l'esercizio del diritto di recesso, sia con lo scioglimento della società per azioni.
L'art. 2437 del codice civile specifica i diversi casi di recesso presumendo un insieme di fonti concorrenti che possono essere distinte in ipotesi legittimanti il recesso di:
1) tipo legale non derogabile (art. 2437, comma 1, del codice civile) riferite ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti:
-  la modifica della clausola dell'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell'attività della società;
-  la trasformazione della società;
-  il trasferimento della sede sociale all'estero;
-  la revoca dello stato di liquidazione;
-  l'eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;
-  la modifica dei criteri di determinazione del valore dell'azione in caso di recesso;
-  le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione;
2) tipo legale derogabile, in quanto il diritto può essere vanificato da una distinta previsione statutaria (art. 2437, comma 2, del codice civile):
-  la proroga del termine di durata della società;
-  l'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari;
3) tipo convenzionale, in quanto rimesse all'autonomia delle clausole o regole statutarie delle società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2437, comma 4, del codice civile):
-  fatti esterni alla società che possono incidere sulle condizioni economiche dell'investimento, come, a titolo meramente indicativo, la conclusione di specifici accordi di mercato, l'ingresso della società in mercati di altri continenti o in particolari Paesi esteri considerati a rischio, la rottura di alleanze commerciali o la revoca di licenze e autorizzazioni per l'esercizio dell'attività;
-  fatti interni alla società stessa, come, sempre a titolo di mera esemplificazione, al cambiamento del sistema di amministrazione e controllo o al non riuscito raggiungimento dei previsti volumi d'affari o fatturati entro fissati limiti temporali.
Quest'ultima tipologia si deve ritenere, come detto, riservata alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in considerazione delle difficoltà che numerosi e facili recessi potrebbero causare in società con un elevato numero di azionisti, nonché in funzione di tutela della stabilità dei mercati e della fiducia degli stakeholders.
La modalità di esercizio rimane la medesima, cioè la comunicazione con lettera raccomandata (la dichiarazione di recesso è, come accennato, un atto unilaterale ricettizio).
Non si distingue più, però, tra soci intervenuti e non intervenuti all'assemblea: per tutti, la dichiarazione di recesso deve essere spedita alla società entro quindici giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, tenendo anche presente che, in considerazione della facoltà di esercitare il recesso parziale, si rende necessaria la precisazione del numero e della categoria delle azioni per le quali si esercita il recesso.
Se il fatto che legittima il recesso non è una deliberazione, esso deve essere esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio. Sembra che tale ipotesi deve necessariamente riferirsi in via esclusiva alle "ulteriori cause di recesso" che possono essere previste dallo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Tale formulazione, forse, potrebbe far considerare l'ipotesi che sia stata data una qualche rilevanza al "mutamento di fatto" dell'oggetto sociale.
Al riguardo, però, è opportuno tenere in considerazione che, in genere, tale mutamento non si verifica in modo repentino, ma è riscontrabile e/o verificabile solamente tramite una valutazione a posteriori dell'attività della società, e non è, di conseguenza, immediatamente riconducibile ad un "fatto" di cui l'azionista può venire a conoscenza (salva, forse, l'ipotesi di assunzione di partecipazioni oltre i limiti previsti dall'art. 2361 del codice civile, ma anche in questa situazione è necessario un procedimento di tipo valutativo).
Recesso legittimato da un "evento" diverso da una delibera assembleare è quello che può essere esercitato ex art. 2437, comma 3, del codice civile, ma, in questa ipotesi, non sussiste un "fatto" di cui l'azionista debba necessariamente venire a conoscenza.
Il recesso viene meno in caso di deliberazione di scioglimento.
Infatti, come sostenuto dalla dottrina prevalente, lo scioglimento della società incide necessariamente sul rapporto sociale ancora in atto, impedendo l'operatività del recesso.
Lo scioglimento del contratto sociale, infatti, pur non determinando l'eliminazione del gruppo sociale come collettività organizzata, causa un mutamento o una variazione nella direzione dell'attività, in quanto la stessa non è più tendente all'esercizio di un'attività lucrativa, ma alla mera definizione dei rapporti giuridici pendenti.
In ogni caso è anche doveroso porre in rilievo che in considerazione dell'elemento letterale della norma è, entro certi limiti, possibile individuare un potere di assoluta discrezione nel prevedere eventuali cause di recesso per gli azionisti, in quanto si deve ritenere possibile indicare qualunque disposizione o evento cui è opportuno collegare il diritto di exit dalla società.
Al riguardo, si segnala che Consiglio notarile di Milano, nella massima 22 novembre 2005, n. 74, afferma che nello statuto di una società per azioni può essere legittimamente previsto il diritto di recesso anche al concretizzarsi di un accadimento con "giusta causa", anche se il medesimo non risulta specificamente individuato dall'atto costitutivo o dallo statuto o, anche, al mero volere dell'azionista recedente (c.d. recesso "ad nutum"); salva la necessità, in quest'ultimo caso, di accordare un preavviso di almeno 180 giorni di cui all'art. 2473, comma 2, del codice civile.
In altri termini, l'introduzione statutaria di specifiche diverse cause di recesso può avvenire con elencazione di tipo tassativo o meramente esemplificativo, in maniera da consentire margini aggiuntivi alle possibilità di uscita o recesso, fino al riconoscimento del recesso ad nutum per mancanza sia di esplicite preclusioni, sia per consentire situazioni di smobilizzo.
Di parere contrario, l'Assonime che, nella circolare 22 dicembre 2005, n. 68, afferma che la legittimità del recesso c.d. ad nutum previsto da una clausola statutaria potrebbe rendere meno semplice la valutazione del rischio di impresa, in quanto si verrebbe a individuare una compagine sociale di tipo "mobile".

Autore: Giancarlo Modolo - www.ipsoa.it - 17/10/2011