Il rapporto di lavoro nel trasferimento d'azienda.
Le tutele in favore dei lavoratori
dell'azienda ceduta

INDICE:

1.   La nozione di trasferimento d'azienda
2.   La normativa di riferimento
3.   L'azienda e l'attività economica organizzata
4.   Identificazione del trasferimento d'azienda
5.   Cessione di un ramo d'azienda
6.   L'atto di conferimento nella cessione di ramo d'azienda
7.   La fusione
8.   La scissione
9.   Esclusione dalla disciplina dell'art. 2112, c.c.
10. La successione nei contratti di lavoro dipendente nel trasferimento d'azienda
11. Aziende con più di 15 dipendenti
12. Aziende in crisi
13. La tutela dei lavoratori e la conservazione dei diritti del lavoratore - i trattamenti economici e normativi
14. Il Trattamento di Fine rapporto.

 
1. La nozione di trasferimento d'azienda

Il trasferimento d'azienda da un imprenditore ad un altro è oggetto non solo di norme civilistiche, ma anche di una complessa normativa lavoristica volta a tutelare i lavoratori dell'azienda ceduta. La materia, nel suo complesso, è stata accompagnata da un progressivo consolidamento da parte della giurisprudenza di legittimità, che a sua volta ha tratto spunto anche dagli interventi della Corte di Giustizia Europea. 

Per trasferimento d'azienda si intende ogni operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata esistente prima del trasferimento e che conservi nel trasferimento la propria identità a prescindere da quale atto giuridico sia posto in essere per l'operazione. In altre parole le cessioni e i trasferimenti dell'azienda altro non sono che una cessione di un'attività con passaggio dei dipendenti ivi impiegati, analogamente a quanto avviene nei cosiddetti passaggi diretti. L'art. 2112, c.c., infatti, così dispone:

"ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento di parte dell'azienda e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sul quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda".
E prosegue al comma 6: "le disposizioni si applicano anche al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionale autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento".

Siamo quindi in presenza di un trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112, c.c., ogni qualvolta si verifichi la sostituzione del titolare, a patto che l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'impresa non risulti compromessa. Il mezzo attraverso il quale questa operazione avviene non rileva in alcun modo, tanto che si è soliti ricomprendere in questa fattispecie anche istituti giuridici apparentemente estranei, come la successione ereditaria purché si mantengano inalterate la struttura e l'organicità del complesso aziendale ereditato.

2. La normativa di riferimento
I molteplici adempimenti a carico dei datori di lavoro che intendono trasferire l'azienda o un ramo di essa, sono disciplinati da una serie di norme che sono state oggetto di continua evoluzione.

Recependo le Direttive comunitarie n. 187/77/CEE del Consiglio delle Comunità Europee del 14/02/1977 e n. 98/50 del Consiglio dell'Unione Europea del 29/06/1998, successivamente trasfuse nella Direttiva 23/2001/CEE del Consiglio dell'Unione Europea del 12/03/2001, il D.Lgs. 02/02/2001, n. 18, con l'intento di salvaguardare i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, aveva riscritto l'art. 2112, c.c.. 

Successivamente il comma cinque dello stesso art. 2112, c.c., è stato modificato dall'intervento del D.Lgs. 10/09/2003, n. 276, in attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla L. 14/02/2003, n. 30, che attraverso l'art. 32, ha eliminato il requisito della preesistenza del ramo d'azienda rispetto al momento del passaggio dal cedente al cessionario. Con questo suo intervento il Decreto ha inoltre esteso la nozione di trasferimento ai casi di fusione prima non espressamente previsti.

Riassumendo, l'art. 2112, c.c., quindi ha subito tre modifiche fondamentali:

  1. la prima con l'art. 47, L. 428/1990 (la Legge Comunitaria per il 1990) che ha sostituto i primi tre commi dettando nuove norme circa la procedura da adottare in caso di aziende con più di 15 dipendenti;
  2. la seconda attraverso l'art. 1, D.Lgs. 18/2001, che ha da un lato modificato l'art. 2112, c.c., e dall'altro l'art. 47, L. 428/1990, con la sostituzione dei primi quattro commi;
  3. la terza modifica si è attuata per mezzo dell'art. 32, D.Lgs. 276/2003, che ha novellato il comma 5 ed aggiunto il sesto, sul quale poi è intervenuto il Decreto Legislativo correttivo n. 251/2004.
3. L'azienda e l'attività economica organizzata

È nell'art. 2555, c.c., e seguenti che troviamo la nozione di azienda e di attività economica organizzata quale complesso dei beni organizzati dall'imprenditore (art. 2082, c.c.) per l'esercizio dell'impresa. 

Due sono i requisiti rilevanti per la definizione del concetto di azienda:

  1. l'organizzazione dei beni, inteso come il collegamento funzionale tra i beni di un complesso produttivo unitario;
  2. la strumentalità per l'esercizio dell'impresa, in quanto si può parlare di un'impresa senza azienda ma non di un'azienda al di fuori di un contesto imprenditoriale.

In riferimento agli elementi che concorrono a formare l'azienda, invece, la dottrina maggioritaria ricomprende tutti i beni materiali ed immateriali, ivi compresi i rapporti obbligatori con l'esclusione dei debiti.

Abbandonando il richiamo di nozione di azienda di cui all'art. 2555, è del tutto evidente che già con le modifiche apportate al quinto comma dell'art. 2112, c.c., D.Lgs. 18/2001, si accoglie una nozione semplicistica di "azienda" contenente l'operatività della tutela lavoristica nel trasferimento d'azienda anche nei trasferimenti di attività non più identificata solo come "complesso di beni", ma anche di quell'attività dove i beni materiali rappresentano una piccola componente rispetto all'attività economica organizzata, consentendo ugualmente l'inizio o la prosecuzione dell'esercizio imprenditoriale. 
Una certa elasticità nella nozione di trasferimento di azienda, si ritrova anche nelle Direttive CEE (187/1977 - 50/1998) che hanno ispirato il D.Lgs. 18/2001, nelle quali i giudici comunitari hanno osservato come primario obiettivo la protezione del lavoro attraverso un ampliamento delle tutele lavoristiche. 
Il concetto di trasferimento di ramo di azienda si basa sulla verifica dell'autonomia funzionale dell'articolazione di impresa oggetto di cessione. Secondo i giudici di legittimità l'articolazione da trasferire deve presentarsi come una sorta di piccola azienda che possa funzionare in modo autonomo al fine della produzione di beni o servizi, in grado di realizzare autonomamente, con propria organizzazione, una fase della produzione aziendale, accessoria o strumentale a quella finale.

Il quinto comma dell'art. 2112, c.c., precisa che "le tutele giuslavoristiche si applicano a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato" comprendendo quindi non solo i casi di vendita, affitto e usufrutto di azienda, ma anche tutti quelli in cui si verifica la sostituzione della persona del titolare. 
Il mutamento del titolare deve in questo caso lasciare immutata la struttura del complesso aziendale trasferito di modo che i beni trasferiti rendano possibile lo svolgimento di una specifica impresa.

4. Identificazione del trasferimento d'azienda

Dopo i frequenti interventi normativi e le numerose modifiche apportate che ne hanno fortemente caratterizzato la struttura, è importante ora accertare in quali situazioni si concretizza un trasferimento d'azienda benché non sia possibile proporre un'elencazione esaustiva dei casi ricadenti nella disciplina in oggetto.

La novellata disciplina fa rientrare nell'applicabilità dell'art. 2112, c.c., tutti quei casi in cui è determinante l'effettivo passaggio della titolarità dell'azienda, prescindendo dalle modalità tramite le quali questo passaggio viene effettuato. 
Rientrano quindi in questa fattispecie: la vendita, i trasferimenti temporanei quali l'usufrutto e l'affitto d'azienda, la cessione d'azienda (anche da una società in liquidazione - Corte di Giustizia 12/03/1998 e 12/11/1998), la cessione di ramo d'azienda, inteso come parte funzionalmente autonoma dell'impresa sotto il profilo organizzativo e gestionale, a condizione che esso sia preesistente all'azienda e conservi in seguito una propria identità (superando la definizione d'azienda di cui all'art. 2555, c.c.); vi rientrano inoltre i trasferimenti non volontari ma determinati, ad esempio, da provvedimenti della pubblica autorità - purché si verifichi il passaggio dell'organizzazione - e le fusioni. 

La scissione totale o parziale della società rientra nella disciplina in esame solo se il trasferimento si realizza in ogni suo elemento con passaggio all'impresa subentrante del complesso dei beni e degli strumenti, dell'identità di struttura e oggetto delle due attività e quando vi sia continuità delle prestazioni lavorative. 
Viene così esclusa dal concetto di "trasferimento d'azienda" l'ipotesi di scissione parziale quando la società non abbia ceduto tutto il patrimonio (ossia il complesso di beni), ma solamente una parte dei beni, mobili e immobili.

Altro aspetto rilevante é l'estensione dell'applicabilità della norma sul trasferimento d'azienda, alle attività senza scopo di lucro e ai professionisti, purchè titolari di un'attività. 

Rimangono escluse da tale disciplina le organizzazioni non imprenditoriali, tuttavia, se l'azienda viene trasferita da un imprenditore ad un soggetto non imprenditore, la stessa è ugualmente applicabile in virtù dell'art. 2239, c.c., secondo il quale:
"i rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all'esercizio di un'impresa sono regolati dalle disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II in quanto compatibili con la specialità del rapporto (2904 e seguenti; artt. 98; codice di procedura civile 409)".

Parimenti esclusa da tale disciplina è la cessione dei singoli beni aziendali sebbene, a parere di numerose sentenze di cassazione, le varie componenti di un'azienda trasferite allo stesso cessionario attraverso più contratti in un arco di tempo non eccessivo, configurano comunque un trasferimento, esprimendo la volontà di voler cedere un'azienda.

Non si intende trasferimento d'azienda neanche il passaggio di un appalto o di una concessione amministrativa da un titolare all'altro, anche se il subentrante è obbligato a rilevare il personale impiegato nell'appalto in forza di legge, contratto collettivo o clausola del contratto di appalto, come previsto dall'art. 29, D.Lgs. 276/2003, che al comma 3 così recita: "L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda".

5. Cessione di un ramo d'azienda

Quando si parla di cessione di un ramo d'azienda, si deve intendere un conferimento che ha per oggetto non un singolo elemento patrimoniale o una semplice pluralità di beni, ma uno specifico complesso di beni e rapporti organizzati al fine di esercitare un'attività imprenditoriale svolta fino al momento del trasferimento dal soggetto che la conferisce. 
Si considera quindi trasferimento la cessione di ramo che abbia una propria autonomia organizzativa e funzionale rispetto all'impresa precedente, anche se una volta inserite nell'impresa cessionaria rimangano assorbite, integrate e riorganizzate nella più ampia struttura di quest'ultima e quando al nuovo soggetto non passi tutta l'attività svolta dal titolare precedente ma solo quella imputata ad un'autonoma unità organizzativa e produttiva. 
Il requisito dell'autonomia funzionale non deve più preesistere al momento del trasferimento ma deve essere verificato dal cedente e dal cessionario al momento dell'operazione a condizione che il ramo d'azienda ceduto risulti idoneo ad esercitare l'impresa anche tramite successiva integrazione di risorse e mezzi. 
Il requisito della preesistenza, vigente sino alla modifica introdotta dall'art. 32, co. 1, D.Lgs. 276/2003, impediva al cedente di interrompere i rapporti di lavoro in essere con gli addetti ad un'articolazione aziendale costituita. 

È quindi "ramo d'azienda" ciò che l'imprenditore cedente e l'imprenditore cessionario insieme, indicano come tale al momento del trasferimento, purché sia conservata la sua identità nel passaggio della proprietà.

In definitiva la cessione di un ramo d'azienda si concretizza quando si pone in atto un trasferimento parziale dell'organizzazione produttiva funzionalmente in grado di sostenere un'azione imprenditoriale unica da parte del cessionario, di un ramo dell'azienda originaria.

Questo tipo di conferimento può essere posto in essere da tutte le società giuridicamente costituite tranne che dalle società semplici.

L'unico caso che non si configura in questa ipotesi è quello che riguarda il passaggio per eredità di un'azienda che sia successivamente conferita in una società per esercitarla.

6. L'atto di conferimento nella cessione di ramo d'azienda

L'atto di conferimento, essenziale nella cessione del ramo d'azienda, può essere redatto direttamente in sede di costituzione di società o in un secondo momento e segue le stesse regole formali previste per la redazione dell'atto costitutivo della società conferitaria.

L'atto di conferimento deve individuare esattamente:

  • l'oggetto del conferimento;
  • l'indicazione del valore attribuito ai fini del conferimento alla cosa conferita;
  • i beni materiali e immateriali compresi nel complesso aziendale trasferito;
  • i rapporti obbligatori (crediti e contratti) conferiti;
  • le passività aziendali che per accordo tra le parti vengono accollate alla società conferita unitamente al trasferimento dell'azienda.
7. La fusione

È l'art. 32, Decreto Biagi, che introduce la fusione nella disciplina del trasferimento d'azienda.

La fusione è l'unione di due o più società che si trasferiscono l'intero capitale, senza transitare per la fase della liquidazione.
Bisogna distinguere, nella fattispecie, la fusione in senso stretto e la fusione per incorporazione
Con la prima si intende il caso di due o più imprese che si fondono costituendo una nuova società, mentre nella fusione per incorporazione una società, detta incorporante, rimane in vita, mentre l'altra, detta incorporata, si estingue. 
In entrambi i casi i soci delle società partecipanti alla fusione ricevono, in cambio delle azioni già possedute, nuove azioni dalla neo costituita società in un rapporto di concambio indicato nella delibera e che dipende dai valori di fusione assegnati a ciascuna società, incorporante compresa.

La società che risulta dalla fusione o quella incorporante, assumono tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti preesistenti.

La fusione ha effetto da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni dell'atto di fusione prescritte dall'art. 2054, c.c..
Nelle fusioni per incorporazione, tuttavia, può essere stabilita una data successiva all'iscrizione nelle operazioni di fusione.
Gli obblighi relativi ai versamenti delle imposte facenti capo ai soggetti estinti per effetto dell'operazione stessa, sono eseguiti dagli stessi soggetti fino alla data di efficacia della fusione, ossia fino a quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni previste dal codice civile. 
Successivamente tale obbligo spetta alla società incorporante o risultante dalla fusione che in seguito all'atto di fusione, assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione.

8. La scissione

Pur non essendo espressamente indicata nell'elencazione dell'art. 2112 c.c., la miglior dottrina non ha dubbi sulla possibilità che anche la scissione rientri nell'operatività della disciplina in oggetto determinando anch'essa un trasferimento d'azienda e rientrando per questo, nel concetto di "cessione contrattuale". 

L'operazione di scissione si caratterizza per una spiccata similitudine con la fusione alla quale il legislatore fa spesso riferimento nella determinazione delle norme ad essa relative e in considerazione del fatto che le tutele giuslavoristiche si applicano a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento in base al quale si sia attuato un trasferimento.
La scissione è l'operazione con la quale una società assegna l'intero patrimonio a più società preesistenti o di nuova costituzione e le relative quote o azioni ai soci, pur non comportando necessariamente l'estinzione della società "cedente".

La differenza tra la fusione e la scissione è puramente formale: quando una società confluisce interamente in un'altra si assiste ad una fusione, mentre lasciandone vivere autonomamente una parte, si realizza una scissione.

Anche in questo caso occorre distinguere la scissione totale o integrale da quella parziale.

Attraverso la scissione totale, tutto il patrimonio della società viene trasferito a più società già esistenti o di nuova costituzione e mentre la vecchia società si estingue, i suoi soci ricevono in cambio delle azioni della società scissa, un numero proporzionale di azioni dalla società che ha beneficiato della scissione.
È bene specificare che nel caso di scissione totale, dovrà necessariamente esistere una pluralità di società beneficiarie. Contrariamente, si tratterebbe di fusione per incorporazione. 

Con la scissione parziale viene trasferita solo parte del patrimonio e la società che effettua l'operazione continua ad esistere.
Bisogna pur ricordare che se l'unica società beneficiaria fosse costituita ex novo, ci si troverebbe in un caso di "trasformazione" e non di scissione.

9. Esclusione dalla disciplina dell'art. 2112 cod.civ.

L'applicabilità del trasferimento d'azienda di cui all'art. 2112, c.c., deve ritenersi preclusa nei casi di:

  1. "trasformazione di società". La semplice modificazione dello statuto non può costituire il mutamento del soggetto imprenditore ma solo il cambiamento della sua forma giuridica. I diritti dei lavoratori, seppure esclusi dalla disciplina del trasferimento d'azienda, sono in questo caso tutelati dall'art. 2498, c.c., che prevede, in caso di trasformazione, la prosecuzione di tutti i rapporti, finanche quelli processuali. Seppure esclusi dalla tutela dell'art. 2112, c.c., i dipendenti della società trasformata, sono comunque garantiti in virtù del citato articolo che recita: "Con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione";
  2. "conferimento di un'azienda individuale in società". La fattispecie configura un trasferimento di beni ma non realizza una modifica dell'organizzazione aziendale così come intesa nel trasferimento d'azienda. Tale conferimento è in tutto e per tutto assimilabile ad una trasformazione e pertanto soggetto anch'esso alla disciplina dell'art. 2498, c.c.;
  3. "trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società". In questo caso non si determina un mutamento del soggetto nella titolarità dell'impresa poiché la società titolare dell'azienda non si modifica;
  4. "modifica della denominazione sociale". Anche in questo caso non avviene il mutamento del soggetto titolare dell'impresa.

Infine non rientra nell'ambito dell'art. 2112, c.c., la successione degli appalti regolata dal comma 3, dell'art. 29, Decreto Biagi, che prevede: "l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte di azienda".

10. La successione nei contratti di lavoro dipendente nel trasferimento d'azienda

Quando in un'azienda trasferita o in un ramo di essa sia incluso il personale dipendente, le parti, in ottemperanza agli adempimenti comunitari circa il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda, devono rispettare quanto previsto all'art. 2112, c.c., e all'art. 47, L. 29/12/1990, n. 428, così come successivamente modificato dal D.Lgs. 18/2001 per l'osservanza e la garanzia dell'informazione e la consultazione sindacale circa il programma di trasferimento.
La giurisprudenza prevalente è del parere che non sia obbligatorio il consenso del lavoratore ceduto sebbene allo stesso sia data facoltà di risolvere il rapporto con il nuovo datore di lavoro.

L'impresa cedente, peraltro, ha facoltà di trattenere i dipendenti dislocandoli in altre unità produttive purchè siano tutelati i loro diritti, relativamente alle aspettative professionali; in questo caso non è necessario il consenso del lavoratore e la disciplina dell'art. 2112, c.c., non li coinvolge in quanto non trasferiti al nuovo imprenditore verso il quale non potranno vantare alcun diritto.
Nella lettura del comma 1, dell'art. 2112, c.c., osserviamo che:
"In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano".
Il trasferimento d'azienda quindi, non costituisce di per sé un giustificato motivo di licenziamento e tutti i rapporti continuano con il soggetto acquirente con la conseguente conservazione di tutti i diritti in precedenza acquisiti. 

Ad avvalorare questo concetto interviene il comma 2 dello stesso articolo che dispone:
"Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro".

Il codice civile riconosce al solo cedente la possibilità di liberarsi dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, purché vi sia un accordo con il cessionario formalizzato con atto scritto e stipulato in una sede istituzionale ovvero in sede sindacale, con l'osservanza di quanto disposto dagli artt. 410 e 411, c.p.c..

Resta ferma, comunque, la responsabilità in via solidale del cessionario per tutti i crediti che il lavoratore abbia maturato prima del trasferimento, a prescindere dal fatto che il cessionario ne abbia avuto o meno conoscenza diretta o possibilità di desumerli dalle scritture dei libri aziendali. 
Nell'obbligazione solidale sono compresi anche i crediti non risultanti dalle scritture contabili dell'azienda ceduta, quali ad esempio quelli inerenti prestazioni rese in nero con il sistema del "fuoribusta".

I debiti relativi ai contributi obbligatori omessi costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e rimangono soggetti alla disciplina dettata dall'art. 2560, c.c., senza che si attui l'automatica estensione di responsabilità al cessionario ai sensi dell'art. 2112, c.c. (Cass. 16/06/2001, n. 8179). 
È interessante anche osservare quanto disposto dal comma 6, dell'art. 2112, c.c., aggiunto dall'art. 32, D.Lgs. 276/2003. 
Il Decreto Biagi, infatti, introduce uno speciale regime di solidarietà nel caso in cui l'alienante e l'acquirente stipulino un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga per mezzo di un trasferimento di un ramo d'azienda oggetto della cessione. In questo caso, tra appaltante e appaltatore, opera il regime di solidarietà di cui all'art. 1676, c.c..

11. Aziende con più di 15 dipendenti

L'art. 47, L. 29/12/1990, n. 428, come novellato dal D.Lgs. 18/2001, disciplina le operazioni da adottare in caso di trasferimento di azienda con più di quindici dipendenti, prevedendo l'adozione di una particolare procedura
In particolare al comma 1 è disposto:
"Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono occupati più di quindici lavoratori, l'alienante e l'acquirente devono darne comunicazione per iscritto, almeno venticinque giorni prima, alle rispettive rappresentanze sindacali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria. 
In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. 
La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato

L'informazione deve riguardare:

  1. i motivi del programmato trasferimento d'azienda;
  2. le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
  3. le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi".

Si ritiene che la dimensione occupazionale dei quindici dipendenti faccia riferimento al periodo che precede il trasferimento, escludendo i dipendenti con rapporto occasionale e saltuario e quelli assunti con contratto di apprendistato e di inserimento; i lavoratori a tempo parziale devono essere considerati in proporzione all'orario svolto. 
Nel caso in cui il trasferimento interessi solo una parte dell'azienda, il limite dei quindici dipendenti opera in riferimento all'intera azienda.

Le parti hanno, quindi, l'obbligo di una comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali unitarie delle unità produttive interessate o in mancanza, alle rappresentanze aziendali costituite a norma dell'art. 19, L. 20/05/1971, n. 300; in mancanza delle predette rappresentanze aziendali, ai sindacati di categoria maggiormente rappresentativi o alle associazioni di categoria stipulanti il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. 
Tale atto deve essere trasmesso almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento. 

Su tale documento andranno indicati:

  1. la data certa o presunta del trasferimento;
  2. i motivi del programmato trasferimento;
  3. le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le misure da adottare per la loro tutela.

Deve, quindi, essere comunicato inequivocabilmente che il rapporto di lavoro prosegue senza soluzione di continuità, mantenendo tutti i diritti maturati fino alla data di perfezionamento dell'atto di trasferimento dell'azienda, presso il soggetto cedente. 
Le parti, inoltre, debbono avviare un esame congiunto della situazione con i sindacati quando questi ne facciano richiesta entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui sopra. 

Questa fase, intesa di consultazione e non di controllo sindacale sui motivi del trasferimento, si considera esaurita dopo dieci giorni dal suo inizio, con conseguente libertà di azione da parte delle aziende interessate anche nel caso in cui non si raggiunga un accordo. 
Questo sta a significare che il cedente e il cessionario non sono obbligati ad accordarsi con i sindacati in sede di esame congiunto e quindi non può esistere, da parte dei sindacati, la legittimazione a impugnare il trasferimento in quanto l'informazione è solamente finalizzata alla consultazione.

La mancata osservanza di questo obbligo di legge, da ambo le parti, costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28, L. 300/1970 (statuto dei lavoratori), anche se non incide sulla validità del negozio traslativo non potendosi considerare l'osservanza della procedura sindacale alla stregua di un presupposto di legittimità del negozio di trasferimento (Sent. Cass. 06/06/2003, n. 9130). Il mancato adempimento dell'obbligo di informazione, costituisce un comportamento che viola il solo interesse del sindacato, quindi, solo per questa motivazione, il sindacato è ammesso a ricorrere.

Il rispetto dei venticinque giorni può risultare problematico nei casi di fusione e cessione in cui non è facilmente individuabile la data da cui partire per il calcolo del termine indicato dalla legge. 
Diverse sono le interpretazioni, ne citiamo due: la data a cui fare riferimento potrebbe essere quella della delibera delle rispettive società oppure quella dell'atto pubblico di fusione che è posteriore. 
In precedenza questo dubbio non sorgeva in quanto non era indicata una precisa scadenza dell'obbligo di informazione e consultazione. 
Non esiste sul punto un consolidato orientamento giurisprudenziale ante D.Lgs. 18/2001.

12. Aziende in crisi

Il principio enunciato dall'art. 2112, c.c., non trova completa applicazione in caso di aziende in crisi come disposto dal comma 6, dello stesso art. 47, L. 428/1990:

"Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell'articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l'articolo 2112 del codice civile, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. 
Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte alle dipendenze dell'alienante".

Secondo quanto disposto dal presente articolo, l'applicazione delle garanzie previste dall'art. 2112, c.c., sarebbe esclusa anche ai casi di trasferimenti effettuati nell'ambito di procedimenti che consentono la prosecuzione dell'attività aziendale. 
La Corte di Giustizia della Comunità europea ha tuttavia rilevato che l'art. 47 non è conforme al diritto comunitario (Direttiva 187/1977/CEE) in particolar modo nella parte in cui sospende le garanzie dell'art. 2112, c.c., non solo nel caso di aziende sottoposte alle procedure concorsuali e di amministrazione straordinaria in caso in cui non sia prevista la continuità di un'attività, ma anche in caso di aziende dichiarate in stato di crisi che in futuro potrebbero proseguire la loro attività produttiva. Il provvedimento del Cipi, volto ad accertare lo stato di crisi aziendale è infatti subordinato alla presentazione di un piano di risanamento che preveda un piano per la risoluzione dei problemi legati all'occupazione. 
La Corte di Giustizia ha quindi chiarito che non rientrano nel campo di applicazione della direttiva comunitaria solo quei trasferimenti effettuati nell'ambito di procedimenti amministrativi o giudiziari finalizzati alla liquidazione dei beni del cedente e non anche quei procedimenti che consentono la prosecuzione dell'attività imprenditoriale.
 
In caso di aziende in crisi, gli accordi sindacali possono prevedere che non tutto il personale sia trasferito presso la nuova impresa, ma che parte di esso rimanga nella sfera dell'alienante che può disporre la messa in cassa integrazione o il licenziamento attraverso le procedure della mobilità. In questo caso i lavoratori oggetto di tale trattamento godranno del diritto di precedenza nell'assunzione per un periodo di dodici mesi o quanto disposto negli accordi sindacali, nel caso in cui la nuova impresa dovesse assumere nuovo personale, non scattando in questo caso la solidarietà del vecchio imprenditore per i crediti pregressi.

13. La tutela dei lavoratori e la conservazione dei diritti del lavoratore.
I trattamenti economici e normativi

La tutela operata a beneficio dei lavoratori oggetto di trasferimento, prevista nel novellato art. 2112, c.c., fa sì che per il lavoratore operi esclusivamente il cambiamento del soggetto titolare, rimanendo invariati il rapporto di lavoro e i diritti da questo derivanti che sono trasferiti in capo al cessionario in un automatico passaggio, salvo qualche piccola modifica soggettiva.

È tuttavia facoltà del lavoratore rinunciare alla prosecuzione del rapporto con il nuovo titolare o presentare le dimissioni per giusta causa ai sensi dell'art. 2119, c.c., quando, nei tre mesi successivi al trasferimento, le sue condizioni di lavoro subiscano una modifica sostanziale peggiorativa. In questa circostanza il lavoratore ha diritto al pagamento della relativa indennità sostitutiva del preavviso.

È bene ricordare che in caso di trasferimento parziale, l'automatico passaggio da un datore di lavoro all'altro, opera soltanto nei confronti di quei lavoratori che sono addetti al ramo d'azienda trasferito, mentre per gli altri lavoratori il passaggio opera solo nel caso in cui sia espresso esplicito consenso alla cessione del proprio contratto individuale di lavoro.

Il mantenimento della posizione contrattuale precedente è garantito dal comma 3, dell'art. 2112, c.c.:

"Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. 
L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello".
Per quanto disposto, il cessionario deve mantenere ai nuovi dipendenti tutti i diritti acquisiti inerenti l'anzianità di servizio ed eventuali riconoscimenti derivanti da accordi individuali precedenti, oltre a quelli migliorativi concessi per usi aziendali in atto con il precedente datore di lavoro.

A differenza dei diritti derivanti dal contratto individuale, che il lavoratore conserva nel trasferimento, per quanto concerne il mantenimento del contratto collettivo applicato il regime è diversificato e legato alla circostanza che presso l'azienda sia o meno in atto una specifica disciplina collettiva.

Il cessionario è, infatti, tenuto ad applicare ai nuovi dipendenti i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali, e aziendali vigenti alla data del trasferimento, ma solo fino alla loro scadenza, salvo che questi non siano già stati sostituiti da altri contratti collettivi applicati nell'impresa del cessionario con contratti collettivi del medesimo livello (precisazione inserita dal D.Lgs. 18/2001). 
L'eventuale sostituzione del contratto deve essere prontamente comunicata ai sindacati affinché possa essere attuata un'armonizzazione tra vecchi e nuovi dipendenti, nel caso in cui i nuovi contratti risultino peggiorativi rispetto a quelli applicati dall'azienda cedente. 
L'applicazione della contrattazione vigente presso il cessionario, tuttavia, non comporta un'efficacia retroattiva per i nuovi arrivati relativamente ad eventuali vantaggi economici concessi ai propri dipendenti in data anteriore al trasferimento e per fatti verificatisi precedentemente. 

Nel caso in cui il cessionario stipuli un contratto collettivo successivamente all'atto di trasferimento, questo dovrà essere applicato altresì alle nuove risorse, anche se il precedente contratto applicato non sia scaduto, in rispetto a quanto sancito al terzo comma dell'art. 2112, c.c..
Ai dipendenti ceduti, infine, rimane applicabile il contratto in uso nell'azienda cedente quando il cessionario non applichi alcun contratto collettivo indipendentemente dall'attività svolta dall'impresa acquirente.

14. Il Trattamento di Fine rapporto

La prosecuzione del rapporto implica necessariamente il trasferimento del trattamento di fine rapporto, rimanendo in capo al cessionario l'obbligo di corrispondere l'intero trattamento al termine del rapporto di lavoro senza distinzione tra quello maturato in precedenza e quello maturato successivamente ed essendo egli stesso l'unico debitore al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. Ciò nonostante molti tribunali civili hanno esteso al TFR il principio di solidarietà tra cedente e cessionario sancito dall'art. 2112, c.c., secondo l'orientamento che configura il trattamento di fine rapporto come credito nascente unitamente al sorgere del rapporto di lavoro ed esigibile alla sua cessazione.

Novembre 2008 - tratto dal sito www.eurgroup.biz

Con sentenza n. 13171 del 08/06/2009, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito che "integra gli estremi del trasferimento di ramo d'azienda, agli effetti dell'art. 2112 c.c., il trasferimento di un'entità economica dotata di propria identità, ossia di un insieme di mezzi organizzati per svolgere, in modo tendenzialmente stabile, un'attività economica, essenziale od accessoria