Il protocollo d’intesa sulle regole redazionali degli atti del giudizio di cassazione in materia civile e tributaria

 

Il Primo Presidente della Corte di cassazione e il Presidente del Consiglio Nazionale Forense hanno sottoscritto il 17 dicembre 2015 un Protocollo d’intesa concernente le «regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria» (un Protocollo separato, sottoscritto lo stesso giorno, ha ad oggetto il ricorso per cassazione in materia penale). Si tratta di un documento significativo che, pur con molte difficoltà, incoraggia la semplificazione degli atti processuali, con lo scopo di rendere più efficiente l’intero giudizio di cassazione.

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  1. Il canone di sinteticità e chiarezza degli atti processuali nella più recente legislazione.

Va detto con franchezza: il riconoscimento definitivo, quale principio del nostro ordinamento, del canone di sinteticità e chiarezza degli atti del processo civile appare ad oggi un esito difficilmente eludibile.

Il protocollo sulle regole redazionali degli atti del giudizio di cassazione, assunto d’intesa tra la Corte di Cassazione ed il CNF, costituisce una tappa di un percorso, che appare lineare e sinora privo di effettive battute d’arresto.

La prima affermazione positiva del principio si deve – come noto – al codice del processo amministrativo (art. 3, co. 2, d.lgs. n. 104/2010), ma rapidamente si diffonde l’idea che ciò possa valere anche per il processo civile:

- nel 2012 la Cassazione espressamente ritiene che «il processo celere» imponga atti «sintetici» e «redatti con stile asciutto e sobrio» (Cass., 4 luglio 2012, n. 11199);

- di lì a breve il principio fa la sua comparsa anche nella giurisprudenza di merito (cfr. ad es. T. Milano, 14 marzo 2013, e App. Milano, 14 ottobre 2014, in www.ilcaso.it);

- con la comunicazione del 17 giugno 2013, il Primo Presidente della Corte di Cassazione invia al Presidente del CNF «raccomandazioni» in punto di chiarezza e sinteticità degli atti del giudizio di cassazione (breve sommario introduttivo, lunghezza massima di 20 pagine, riassunto dell’atto che supera il limite suddetto);

- il progetto di riforma del c.p.c. presentato nel dicembre del 2013 dalla Commissione Vaccarella prevede l’inserimento del principio di sinteticità al secondo comma all’art. 121;

- con il d.l. n. 83/2015, si realizza il primo riconoscimento normativo del principio, posto che l’attuale comma 9octies dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 (l. conv. n. 221/12) prevede che «gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica»;

- pochi giorni fa la Cassazione ha affermato per la prima volta che «il canone generale della chiarezza e della sinteticità espositiva degli atti processuali (di parte e di ufficio), […] è uno dei pilastri su cui si basa il giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU» (Cass., 5 gennaio 2016, n. 34).

 

  1. Il Protocollo sulla redazione degli atti del giudizio di cassazione. Lo schema di ricorso

Quanto appena ricordato evidenzia il rilievo che assume oggi il nuovo Protocollo sulla redazione degli atti del processo di cassazione ed al contempo induce a valorizzarne l’importanza.

Il Protocollo è diviso in due distinte parti: una prima dedicata alla «Redazione dei ricorsi» ed una seconda destinata al chiarimento de «Il principio di autosufficienza».

La prima parte disciplina uno «schema» di ricorso, valevole – in quanto compatibile – anche per i controricorsi e per le memorie ex art. 378 c.p.c.; «schema», che si articola in 10 sezioni: 1) parte ricorrente; 2) parte intimata; 3) sentenza impugnata; 4) oggetto del giudizio; 5) valore della controversia; 6) sintesi dei motivi; 7) svolgimento del processo; 8) motivi d’impugnazione; 9) conclusioni; 10) documenti allegati.

Il contenuto di molte di queste sezioni replica nella sostanza quanto già richiesto dalla legge (art. 366 c.p.c. e 14, co. 3-bis, d.P.R. n. 115/2002) o in ogni caso rispecchia prassi virtuose già sollecitate dalla lettera del Primo Presidente della Cassazione in precedenza menzionata.

Ciò che innova significativamente sono i limiti quantitativi stabiliti per le diverse sezioni del ricorso; per il cui rispetto vengono addirittura indicati il carattere utilizzabile, le dimensioni, l’interlinea ed i margini del foglio di lavoro.

Più precisamente, l’oggetto del giudizio dovrà essere indicato con «un massimo di 10 (dieci) parole chiave», tra le quali dovranno figurare quelle riportate nell’allegato alla nota d’iscrizione a ruolo in Cassazione.

Nella sintesi dei motivi occorrerà indicare gli elementi essenziali per far intendere con immediatezza al Collegio il contenuto e l’articolazione delle diverse censure ed in ispecie, per ciascun motivo di ricorso, dovranno essere indicati «in non più di alcune righe»: numerazione del motivo; norme di legge violate; questione trattata; numero della pagina dell’atto ove inizia lo svolgimento del motivo.

L’esposizione dei fatti di causa dovrà essere «sommaria», ovvero, più precisamente, «funzionale» alla comprensione delle censure formulate nei motivi e dovrà essere contenuta «nel limite di 5 pagine».

Gli stessi motivi di ricorso non dovranno superare il «limite massimo di 30 pagine».

Al fine di garantire l’aderenza di queste prescrizioni alla complessità ed al numero delle questioni controverse, è prevista la possibilità di superare i limiti appena evidenziati, indicando specificamente – ovvero preferibilmente in un’apposita parte dell’atto – le ragioni che non hanno consentito il rispetto dei limiti dimensionali.

In caso d’omessa indicazione delle suddette ragioni o di loro infondatezza, il superamento delle soglie potrà essere sanzionato sul piano della liquidazione delle spese e non – precisano le note allo «schema» di ricorso – con l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso (si tenga presente tuttavia l’orientamento che dichiara inammissibile il ricorso per violazione dell’art. 366, n. 3, c.p.c.: cfr. ad es. Cass., 3 giugno 2014, n. 12355).

 

  1. (segue) Il principio di autosufficienza.

La seconda parte del Protocollo si occupa, come detto, di coordinare i criteri redazionali appena illustrati con il principio di autosufficienza ed in ispecie viene prospettata – tra le tante possibili – la versione meno rigorosa del principio, nonché maggiormente aderente agli artt. 366, n. 6, e 369, n. 4, c.p.c.

Viene, infatti, escluso l’onere di trascrizione integrale degli atti o dei documenti ai quali si riferisce il ricorso ed al contempo si richiede: a) l’indicazione dell’atto o del documento su cui si fonda il motivo di ricorso, comprensiva del «luogo (punto)» dell’atto o del documento stesso (numero di pagina e rigo), nonché del «tempo» (citazione, comparsa di risposta, memoria, ecc.) e della «fase» (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui è avvenuto il deposito (cfr. tuttavia Cass., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698, che richiede la riproduzione testuale della parte dell’atto o del documento – ad esempio – nel caso in cui si assuma che la sentenza debba essere cassata per non averne tenuto conto); b) l’allegazione separata, ovvero in un apposito fascicoletto, degli atti e dei documenti sui quali si fonda il motivo di ricorso (cfr. tuttavia Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7161, che esclude tale onere qualora l’atto o il documento sia già contenuto nei fascicoli della parte ricorrente appartenenti alle pregresse fasi di merito).

 

  1. Conclusioni

Da quanto sinora evidenziato appare evidente che il problema della sinteticità degli atti del giudizio di cassazione si pone in termini più specifici rispetto alle precedenti fasi di merito. Nel giudizio di legittimità, infatti, il sovradimensionamento degli atti di parte è in massima parte dovuto alla difficoltà riscontrata dai difensori nel comprendere «il senso e i limiti del c.d. principio di autosufficienza».

E tale difficoltà, nonostante quanto previsto nel Protocollo, è ben giustificata da provvedimenti della Suprema Corte che, anche a pochi giorni di distanza, applicano il suddetto principio in termini assai differenti (cfr. ad es. Cass., 11 febbraio 2015, n. 2617 e Cass., 6 febbraio 2015, n. 2218).

Va anche tenuto conto che sinora la risposta della Cassazione agli atti sovrabbondanti è stata proprio l’inammissibilità del ricorso; e ciò facendo leva – a nostro parere erroneamente – su quanto richiesto dall’art. 366, n. 3, c.p.c.

Si profila il rischio, insomma, che le indicazioni contenute nel Protocollo possano valere come mere «raccomandazioni» più per la Corte di cassazione che per le parti processuali. Ma forse questo è l’inevitabile frutto di orientamenti giurisprudenziali privi – quantomeno nelle loro impostazioni più radicali – di un reale fondamento positivo, nonché anche del tentativo di individuare le regole del processo in fonti diverse dalla legge.

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Tratto da: www.eclegal.it (Settimanale sul Processo Civile del 19/02/2016)