Il nuovo diritto societario
nelle procedure concorsuali

La recente riforma della materia societaria comporta riflessi notevoli e rilevanti anche nell'ambito delle procedure concorsuali, richiedendo per l'interprete un lavoro di adattamento. L'Autore propone un'analisi del vecchio diritto concorsuale e della nuova disciplina societaria, nel tentativo di porne in luce gli aspetti più rilevanti.

 

Premessa

Seppure in modo limitato e disorganico, bisogna riconoscere che a partire dagli anni '70 il diritto societario ha subito numerosi interventi legislativi. Spesso le modifiche al codice sono state determinate dalla necessità di adeguare il nostro ordinamento alle Direttive comunitarie, altre volte dall'esigenza di sopperire alla nuova realtà socio economica.

Negli ultimi tempi si è giunti finalmente ad alcune riforme complete ed esaurienti. Va in questo senso ricordato il D.P.R. 1° settembre 1993, n. 385 con cui si è innovato nel sistema delle imprese bancarie e creditizie ed il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. decreto Draghi) con cui si è attuata la prima regolamentazione organica concernente la materia dell'intermediazione finanziaria e delle società quotate in borsa.

Con la legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 sono stati enunciati i principi della riforma delle società di capitali e delle cooperative e con i decreti legislativi n. 61/2002, 5 e 6/2003 si è provveduto a darne attuazione, introducendo un nuovo governo delle nostre imprese societarie.

Innanzitutto, ha trovato ingresso il principio della flessibilità, nel senso che non sono stati più previsti schemi legali rigidi in ordine al modello societario da adottare, ma si è dato vita a società per azioni c.d. "aperte" che possono fare ricorso al mercato di capitale di rischio, osservando, però, talune regole dirette a garantire la presenza di un assetto organizzativo idoneo a promuovere l'efficienza della gestione e ad assicurare gli interessi dei soci, dei creditori e dei terzi. Ciò non ha impedito di prevedere altre società c.d. chiuse che non fanno ricorso al mercato di capitali di rischio e che sono caratterizzate da una semplificazione delle procedure e da una gestione più agile, soggetta a minori controlli.

Il principio dell'autonomia statutaria è stato un altro aspetto peculiare della novella legislativa con cui si è voluto riconoscere alle società la più ampia facoltà di regolare il contratto sociale e la stessa attività imprenditoriale, pur non mancando di contemperare tale esigenza con quella inerente alla sfera giuridica di tutti gli altri soggetti interessati, in modo tale che tanto maggiore sia la capacità di ottenere il capitale di rischio, più estesi siano i controlli della gestione e, quindi, più adeguata la tutela degli diritti dei soci di minoranza, dei creditori e dei terzi. Sotto tale profilo si è affermato che i criteri direttivi della delega abbiano inteso attuare un sistema equilibrato di disciplina dell'autonomia privata e di perfezionamento degli strumenti di corporate governance.

Peraltro, la differenza tra le società per azioni e quelle a responsabilità limitata si è fondata su connotazioni funzionali più che dimensionali e si è creata una nuova società a responsabilità limitata, fondata essenzialmente sulla rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci, rispetto alla società per azioni, ricollegabile alla rilevanza centrale dell'azione.

Un'ulteriore connotazione comune a tutte le società di capitali è stata quella della trasparenza, nel senso che mediante il ricorso ad adeguate forme di pubblicità si è voluta ottenere la maggiore chiarezza possibile dei rapporti in essere, consentendo così a chiunque di avere piena consapevolezza dei fatti gestionali di ciascuna impresa.

L'inosservanza delle prescrizioni imposte sugli obblighi di pubblicità di determinate iniziative societarie comporta l'impossibilità di realizzarne gli effetti contemplati dalla legge. Così in materia di iscrizione di una nuova società nel registro delle imprese, in materia di patti parasociali, di costituzione e durata delle società unipersonali, di aumento del capitale sociale, di costituzione del patrimonio destinato, di liquidazione e di cancellazione della società, di direzione e coordinamento del gruppo, di trasformazione, di fusione e scissione di società, ecc.

Nel campo concorsuale non sono mancati in questi anni taluni interventi legislativi, ma si è trattato, come è avvenuto in passato per il diritto societario, di modifiche limitate, per lo più destinate a tutelare specifici interessi, senza una visione globale dell'esigenza di ammodernamento della regolamentazione dell'insolvenza.

Così vanno ricordati l'art. 45 del D.P.R. 30 settembre 1973, n. 602 con cui si è stabilito che i crediti di imposta contestati devono essere ammessi al passivo fallimentare con riserva; l'art. 51 del D.P.R. 30 settembre 1973, n. 602 con cui è stato sancito che i pagamenti di imposte scadute non sono assoggettabili all'azione revocatoria fallimentare; il D.L. 30 dicembre 1987, n. 536 conv. in legge 29 febbraio 1988, n. 48 con cui è stata disposta l'irrevocabilità dei contributi sociali obbligatori e degli accessori; la legge 24 luglio 1978, n. 391 con cui si è modificato l'art. 187 legge fallimentare e si è stabilito che per l'ammissione all'amministrazione controllata occorre che vi siano comprovate possibilità di risanare l'impresa; il D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 conv. in legge 3 aprile 1979, n. 95 con cui si è introdotta la procedura di amministrazione straordinaria e la legge delega 30 luglio 1998, n. 270 ed il D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 con cui si è provveduto alla modifica della stessa; il D.L. 5 giugno 1986, n. 233 conv. in legge 1° agosto 1986, n. 430 sulla disciplina della liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione; la legge 27 luglio 1979, n. 301 per consentire la Cassa integrazione guadagni ai lavori delle imprese fallite; la legge 23 luglio 1991, n. 223 in tema di affitto d'azienda; la legge 2 gennaio 1991, n. 1 in materia di liquidazione coatta amministrativa delle società d'intermediazione mobiliare.

L'elencazione potrebbe continuare, se si pensa alle leggi intervenute per affrontare l'insolvenza di determinate imprese o gruppi imprenditoriali, quali la SIR, l'EFIM, ecc.

Peraltro, non si può dire che i tentativi di riforma organica della legge fallimentare siano mancati. Non vogliamo ripercorrere la storia delle iniziative ufficiali ed ufficiose con cui si è inteso manifestare questo intendimento e ci limitiamo ad annoverare il progetto di legge delega "Pajardi" del 1984 [1], quello del Ministro Guardasigilli del 27 ottobre 2000 e del gruppo parlamentare DS ed il progetto 1° marzo 2002 in ordine alle modifiche urgenti al R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

Nessuno di questi ha completato il suo iter legislativo, ma da qualche tempo si è in attesa del risultato dei lavori della commissione ministeriale insediata dal Ministro Guardasigilli per la riforma della legge fallimentare. Le prime indiscrezioni lasciano presagire tempi lunghi non soltanto sulla conclusione di detti lavori, ma anche sulle ulteriori iniziative necessarie per portare alla luce la nuova regolamentazione.

Pertanto la disciplina concorsuale del 1942, che ha resistito agli interventi della Corte costituzionale e che continua ad operare nel contesto di numerose leggi speciali che ne hanno sensibilmente ridotto l'efficacia, oggi, con l'avvento della riforma societaria, si presenta maggiormente inadeguata e costringe l'interprete ad un faticoso lavoro di adattamento.

In questi termini ci proponiamo di svolgere un'analisi del vecchio diritto concorsuale e della nuova disciplina societaria, nel tentativo di porne in luce gli aspetti più salienti.

 

Unico azionista o quotista

Quanto alla responsabilità del socio unico azionista, nella disciplina vigente è previsto che egli debba essere chiamato a rispondere illimitatamente, in caso d'insolvenza della società, delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui tutte le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona.

Nella nuova normativa è stato stabilito che, in caso d'insolvenza, la società risponde illimitatamente per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'art. 2342 o quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dagli artt. 2362 e che l'illimitata responsabilità opera, ai sensi degli artt. 2325 e 2462 codice civile.

In relazione ai conferimenti l'art. 2342 codice civile commina la loro esecuzione integrale ed il fondamento giuridico di tale obbligo può essere ricollegato ad una sorta di sfiducia che il legislatore avrebbe riposto nel corretto esercizio da parte degli amministratori del potere di riscuotere dal socio unico il residuo dovuto e di eseguire il procedimento che la legge indica nei casi in cui sussista un suo inadempimento.

Ovviamente lo stesso principio è stato ribadito per le società a responsabilità limitata dal secondo comma dell'art. 2462 in relazione agli artt. 2464 e 2470 codice civile, uniformando la precedente normativa 127/1993 con cui era stata introdotta la società unipersonale, limitatamente a questa forma societaria.

Piuttosto si è discusso, in passato, per le società a responsabilità limitata - ma il problema si ripropone anche per le società per azioni unipersonali - se l'esecuzione tardiva dei conferimenti faccia o meno cessare l'illimitata responsabilità dell'unico socio. Se è apparso esatto affermare che, nel caso di costituzione o di aumento di capitale della società per azioni unipersonale, il socio incorre in una responsabilità illimitata, se non vi provvede, più incerta è apparsa la soluzione nel caso di colui che diventi socio unico dopo la costituzione della società o dopo un aumento di capitale non integralmente eseguito, opinandosi da parte di alcuni che la responsabilità sorgerebbe nel momento in cui è avvenuta la riunione di tutte le azioni in capo ad un unico socio [2]. Altri sono stati di parere contrario, considerando che il quarto comma dell'art. 2342 sancisce che "se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni". Sotto tale profilo si è sostenuto che, ove l'unipersonalità sopravvenga, l'illimitata responsabilità operi dopo la scadenza del termine suddetto [3].

Un ulteriore interrogativo riguarda la decorrenza di detto termine ed, in particolare, se esso inizi dal momento del trasferimento inter partes oppure dalla successiva iscrizione nel libro dei soci. Anche su tale questione la dottrina si è pronunciata per la prima soluzione, osservando che l'annotazione menzionata è produttiva di effetti nei confronti della società, mentre nei confronti dei creditori sociali assume rilevanza l'appartenenza delle azioni che si realizza con l'atto di trasferimento [4]. Altri hanno aderito alla tesi opposta, affermando che l'obbligo degli amministratori di esigere i versamenti dovuti sorge con detta iscrizione [5].

Come è noto sull'assoggettabilità al fallimento del socio unico di società di capitali è sorto, in passato, un notevole dibattito tra coloro che hanno aderito alla soluzione negativa e chi, invece, ha sostenuto che l'art. 147 legge fallimentare potesse trovare applicazione non soltanto per le società, la cui disciplina contempla la presenza di soci illimitatamente responsabili, ma anche per quelle di capitali, i cui soci possono essere chiamati a rispondere delle obbligazioni dell'ente solo eccezionalmente.

Introdotto ormai il principio normativo, secondo cui è possibile la costituzione delle società unipersonali a responsabilità limitata e per azioni, la prospettiva dell'illimitata responsabilità si restringe ai casi in cui il socio unico non adempia agli obblighi di pubblicità e dei conferimenti, ma si ripropone il problema della sua assoggettabilità al fallimento negli stessi termini in cui si era discusso prima della riforma societaria.

Ancora oggi, infatti, non credo che le incertezze interpretative siano state del tutto dissipate, ché anzi vale sottolineare che la giurisprudenza, dopo un primo orientamento piuttosto rigido [6], circa la preclusione del fallimento al socio unico, sembra mutare indirizzo, ampliando sempre più il consenso verso il coinvolgimento del socio unico illimitatamente responsabile nel concorso collettivo [7].

L'interrogativo si è posto anche in ordine all'assoggettabilità al fallimento del socio tiranno, ma la soluzione non può che essere negativa sotto il profilo dell'impossibilità di potere ricondurre tale figura nella stessa ratio dell'art. 2362, rilevandosi che un conto è l'abuso di cui quest'ultimo si rende responsabile ed altro è la tematica dell'anomalia dell'illimitata responsabilità del socio unico.

Né è possibile assimilare il socio tiranno alla holding personale, essendo stato lucidamente sottolineato che la figura del socio tiranno "è caratterizzata non da un agire economicamente in proprio ed in prima persona od anche in prima persona del socio dominante, ma dall'azione in via esclusiva attraverso gli organi delle società dominate, ed inoltre dalla creazione di confusione tra il patrimonio del socio dominante e delle società dominate, con la carenza rispetto alla figura della holding delle caratteristiche essenziali" dell'esercizio diretto dell'attività imprenditoriale e dello status di socio unico [8].

In conclusione, la nuova normativa societaria non ci aiuta a risolvere questi interrogativi che da tempo travagliano gli interpreti della disciplina del fallimento, e si limitano a spostare il presupposto dell'illimitata responsabilità e, quindi, dell'apertura del fallimento non ad una semplice titolarità di azioni o di quote, ma all'inadempimento di obblighi di conferimenti e di pubblicità, come abbiano osservato, non perfettamente delineati.

 

Partecipazioni sociali

Un altro aspetto rilevante è l'innovazione che il legislatore ha introdotto al secondo comma dell'art. 2361 sulla legittimità dell'assunzione di partecipazioni comportante un'illimitata responsabilità per le obbligazioni delle medesime per la quale occorre l'autorizzazione dell'assemblea e la specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.

In passato si è dibattuto in dottrina della possibilità che la società per azioni potesse assumere delle partecipazioni in una società di persone, ma malgrado l'orientamento favorevole della prevalente dottrina [9], la giurisprudenza ha negato tale eventualità [10].

Quest'innovazione trova fondamento giuridico nell'esigenza di rinnovare vecchi schemi societari preclusivi ad un'espansione produttiva ed economica di una moderna gestione imprenditoriale.

Ovviamente l'acquisizione di dette partecipazioni deve essere autorizzata dall'assemblea in conseguenza dell'impegno che essa comporta e deve rispettare taluni obblighi di pubblicità in vista di quel principio di trasparenza della quale si è fatto carico l'intero sistema normativo della riforma.

E' stato anche stabilito che, allorché i soci di società personali (in nome collettivo ed in accomandita semplice) siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a responsabilità limitata, debba essere redatto il bilancio secondo la disciplina dettata per le società per azioni e redatto e pubblicato il bilancio consolidato secondo il d.lgs. 127/1991. Ciò in adempimento della quarta e della settima Direttiva CE [11].

L'eventuale dichiarazione di fallimento di una di queste società di persone partecipate da società di capitali comporta l'estensione della procedura fallimentare anche a carico di questi ultimi soggetti che verranno, perciò, coinvolti nel concorso collettivo per l'intera disponibilità patrimoniale posseduta.

 

Responsabilità degli organi

Abbiamo in precedenza affermato che uno dei principi fondamentali su cui si fonda il nuovo diritto societario è la trasparenza. Tuttavia, non sempre la chiarezza e la conoscenza dei fatti gestionali consente di realizzare una tutela preventiva idonea ad evitare il pregiudizio dei soggetti interessati.

Sono troppi, infatti, gli aspetti inesplorati ed i meccanismi gestionali dell'amministrazione delle imprese e con essi il rischio di non potersi rendere edotti preventivamente e con sufficiente certezza della loro evoluzione. Oggi, lo sviluppo tecnologico, la possibilità di operare in tempo reale, la complessità dei rapporti economici e giuridici cui si può dar vita sono talmente vasti e sofisticati da escludere una completa ed esauriente informazione.

Sussistono, poi, all'esterno ed all'interno dell'impresa sociale altre ragioni che precludono ai creditori ed ai terzi di svolgere un'efficace azione di tutela preventiva.

Innanzitutto, i creditori non sempre si trovano in una situazione di vantaggio per assicurarsi un'adeguata garanzia accessoria personale o reale e spesso subiscono quella dei creditori più forti; non sempre la qualità del loro credito assicura posizioni di preferenza nel concorso con tutti gli altri. Accade sovente che i rapporti economici non vengano instaurati in situazioni di equilibrio contrattuale o di scambio equivalente; non sempre, poi, risulta rispettata la regola della buonafede tra le parti.

Neppure il ricorso al controllo giudiziario attualmente vigente, ma fortemente ridimensionato con l'avvento della novella legislativa societaria, ha consentito di attuare una tutela preventiva ed esauriente per fronteggiare le iniziative imprenditoriali di mal governo.

Alla stessa stregua, la tutela giudiziaria delle responsabilità degli organi amministrativi e di controllo non ha sortito positivi risultati perché si è constatato che siffatte iniziative dipendono pur sempre da quegli stessi soggetti cui è ricollegabile il governo delle società. Non a caso si è posto in luce che le azioni di responsabilità concretamente esercitate sono state solo quelle proposte in situazioni di insolvenza.

Infatti, tali azioni, sin dall'emanazione del codice civile del 1942, pur essendo destinate ad assicurare una tutela rafforzata rispetto a quella generale aquiliana prevista dal codice civile per la generalità dei cittadini, di fatto non sono apparse concretamente idonee a perseguire gli illeciti societari sia perché sono risultate frequentemente condizionate dalle determinazioni della maggioranza, sia perché non è stato affatto facile individuare ipotesi di responsabilità degli organi gestori e di controllo alla luce dell'interpretazione che si è formata.

Probabilmente neppure la nuova riforma societaria è riuscita nell'intento di assicurare ai soci di minoranza, ai creditori ed ai terzi interessati un sufficiente grado di tutela in ordine all'amministrazione ed al controllo societario.

Da un lato, la novella legislativa ha introdotto un'azione sociale di responsabilità anche da parte dei soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale od un ventesimo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; ha, inoltre, stabilito che i soci possano opporsi alla rinuncia od alla transazione dell'azione di responsabilità da parte della società, secondo le medesime maggioranze prima menzionate; dall'altro, ha introdotto una vasta gamma di ipotesi gestionali e di controllo, ha modificato sensibilmente il conflitto di interessi, ha ridimensionato il controllo giudiziario delle società per azioni, limitandolo alle irregolarità della gestione e lo ha abrogato per le società a responsabilità limitata, ha mantenuto l'azione dei creditori sociali per le società per azioni, ma non l'ha più prevista per quelle a responsabilità limitata.

Nel fallimento o nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria è stato espressamente sancito che le azioni di responsabilità di cui agli artt. 2392-2394 codice civile spettano al curatore, al commissario liquidatore ed al commissario straordinario.

Il primo effetto di questa regolamentazione comporta che perde ogni rilievo la previsione normativa in ordine ai quorum necessari per l'assunzione delle iniziative giudiziarie sia da parte della società, sia dei soci. Essendo, infatti, il curatore portatore degli interessi della società fallita e dei creditori della stessa, la sua azione è rappresentativa degli interessi di tutti i soggetti interessati, non esclusi gli stessi soci ai quali è stata riconosciuta dalla novella legislativa la legittimazione attiva ad esercitare l'azione sociale di responsabilità. Non diversamente il curatore ha la facoltà di transigere o rinunciare all'azione intrapresa, senza che occorra il consenso dei soci previsto dall'art. 2393 codice civile.

Anche, a seguito della riforma, potrà continuarsi ad applicare il principio interpretativo da tempo enunciato, secondo cui il curatore, che agisce con l'azione di responsabilità nei confronti degli organi amministrativi e di controllo della società fallita, cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni sociale e dei creditori sociali, avvantaggiandosi degli effetti che la natura dell'una e dell'altra azione gli consentono in materia di prova e di danno [12]. Così in tema di prescrizione, ove questa si sia maturata per l'azione sociale, ai sensi degli artt. 2949, primo comma ed art. 2941 n. 7 codice civile, potrà far ricorso a quella dei creditori sociali per la quale la prescrizione decorre non dal fatto illecito perpetrato, ma dal verificarsi dell'insufficienza del patrimonio sociale.

Avuto riguardo alla responsabilità degli amministratori il codice vigente ha stabilito che tali organi sono chiamati ad adempiere ai doveri loro imposti dalla legge e dall'atto costitutivo con la diligenza del mandatario. La nuova normativa ha modificato per le società per azioni il criterio suddetto, stabilendo che gli amministratori devono adempiere al loro incarico con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e delle loro specifiche competenze ed esigendo, perciò, che debba tenersi conto della specifica diligenza di ogni singolo soggetto in dipendenza dell'esperienza professionale acquisita e delle conoscenze personalmente conseguite.

Con riferimento alle società a responsabilità limitata non è richiamato né il criterio della diligenza del mandatario, né quello della specifica competenza, sicché dovrebbe trovare applicazione quello generale dettato dall'art. 1176 codice civile.

Sempre in tema di società a responsabilità limitata va sottolineata la specifica disciplina introdotta dall'art. 2476, settimo comma, codice civile in materia di responsabilità dei soci solidalmente con gli amministratori, allorché abbiano intenzionalmente deciso od autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci od i terzi.

In tal modo è stato implicitamente confermato quell'intendimento interpretativo che si era già delineato nella giurisprudenza di svincolare l'esercizio della funzione amministrativa dall'atto formale di investitura, ricollegandolo, invece, al mero compimento dell'attività cui viene imputata la responsabilità [13].

Queste nuove aperture normative sicuramente agevolano le iniziative del curatore per accertare i fatti di responsabilità ed ottenerne la sanzionabilità anche nei confronti dei soggetti formalmente estranei alla gestione societaria.

Rispetto alle società per azioni, per le quali è prevista l'azione dei creditori sociali, per le società a responsabilità limitata il legislatore tace e questo silenzio non può certo interpretarsi come una dimenticanza, sicché a parere dei primi commentatori, non dovrebbe essere più possibile per i creditori assumere questa specifica iniziativa giudiziaria nei confronti della società, ma dovrebbero ricorrere alla generale azione di responsabilità extracontrattuale.

Alla stessa stregua, al curatore del fallimento di una società a responsabilità limitata è preclusa l'azione dei creditori sociali, ma non potendo escluderne la natura surrogatoria di quella sociale, non dovrebbe essere difficile per detto organo perseguire la medesima finalità recuperatoria.

Nessuna innovazione è intervenuta sulla possibilità per il socio ed il terzo di esperire l'azione di responsabilità per i danni direttamente subiti dal fatto illecito degli amministratori, ai sensi degli artt. 2395 e 2476 codice civile (nuovo testo), ma sotto il profilo della legittimazione va riconosciuto, secondo un'interpretazione da anni consolidata, che il curatore del fallimento ne sia privo.

Ai sensi dell'art. 2449 del codice vigente, gli amministratori, quando si è verificato un fatto che determina lo scioglimento della società, non possono intraprendere nuove operazioni e sono responsabili per gli atti intrapresi in dispregio al predetto divieto. La disposizione risulta richiamata dalla disciplina dettata per la società a responsabilità limitata.

La modifica legislativa ha innovato al riguardo, dettando una regolamentazione unitaria sulla liquidazione di entrambe le società e stabilendo che gli amministratori, verificatasi una causa di scioglimento e sino alla consegna del rendiconto ai liquidatori, conservano il potere di gestire la società ai fini dell'integrità e del valore del patrimonio sociale e sono responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi per gli atti o le omissioni compiute in violazione del precetto suindicato.

Si è affermato da parte di alcuni studiosi che sarebbe stata confermata la disciplina attualmente vigente in ordine alla responsabilità di tali organi per i danni derivanti dal compimento di nuove operazioni in presenza di una causa di scioglimento, ma ne sarebbe stata cambiata tutta la filosofia.

Infatti, sarebbe venuto meno quell'automatismo derivante dalla semplice constatazione del verificarsi di una causa di scioglimento, perché per addebitare agli amministratori la responsabilità delle operazioni compiute dopo tale evento, sarebbe necessario dimostrare, altresì, che tali organi, usando l'ordinaria diligenza, avrebbero dovuto rendersi edotti della situazione determinatasi.

Ove, invece, gli amministratori avessero accertato il verificarsi della causa di scioglimento, sarebbero responsabili di tutte quelle attività gestorie che non risultano finalizzate alla conservazione del patrimonio.

A prescindere dalla maggiore complessità con cui può essere accertata la responsabilità degli amministratori, da un lato, non sembra potersi dubitare della legittimazione esclusiva dei singoli creditori e non del curatore, dall'altro, non neghiamo che le manchevolezze degli amministratori nella fattispecie considerata possano essere addotte quali titoli di responsabilità, ai sensi degli artt. 2394 bis (nella nuova formulazione).

Più in generale, volendo confrontare la complessiva normativa dettata dalla riforma in tema di responsabilità nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo con quella concernente le procedure concorsuali, si può osservare che i principi normativi di cui agli art. 146, secondo comma, 206 legge fallimentare e 36 del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 risultano confermati dagli artt. 2394 bis che attribuisce ai vari organi delle procedure di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, dei consiglieri di gestione e di amministrazione, ai sensi degli artt. 2393, 2394, 2409 undecies e 2409 novesdecies codice civile; dall'art. 2396 codice civile che regola la responsabilità dei direttori generali, dall'art. 2407 e 2409 sexies in relazione all'art. 2477 codice civile che disciplina la responsabilità dei sindaci; dall'art. 2489 codice civile riguardante i liquidatori.

Non è più individuabile per le società a responsabilità limitata un preciso riscontro della disciplina concorsuale con quella dettata dalla riforma limitatamente alla responsabilità degli amministratori, dei sindaci, ove la loro nomina è facoltativa, e dei direttori generali.

Pur nel silenzio del legislatore, riteniamo che l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, se obbligatoriamente previsti, della quale sono portatori i soci, in caso di procedura concorsuale, possa essere esercitata ugualmente dal curatore nella sua qualità di sostituto dell'ente e così pure dovrebbe avvenire per quella dei creditori sociali per le ragioni prima dette.

 

Responsabilità nei gruppi

In tema di responsabilità nei gruppi, l'originaria previsione normativa di potere perseguire chiunque avesse svolto attività di direzione e coordinamento di società in violazione dei principi della corretta gestione societaria ed imprenditoriale, determinando un pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale avrebbe forse permesso di perseguire gli illeciti commessi dalle figure giuridiche sopra ricordate. Mentre la successiva limitazione della responsabilità res melius perpensa alle sole società ed enti che agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio od altrui vanifica ogni possibilità al riguardo per i soci di minoranza, i creditori ed i terzi.

Per quanto riguarda le procedure concorsuali, l'art. 2497, ultimo comma, codice civile sancisce che, nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria, di società soggetta alla altrui direzione e coordinamento, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore, dal commissario liquidatore e dal commissario straordinario.

In verità, questa regolamentazione è del tutto nuova e non trova riscontro nella vigente normativa codicistica, anche se non si può negare che il fenomeno giuridico del gruppo è ormai pienamente riconosciuto e con esso anche il tema della responsabilità degli amministratori della capogruppo che abbiano esercitato una direzione unitaria abusiva.

Infatti, la normativa sull'amministrazione straordinaria, ai sensi della legge 95/1979, essendo stata la prima a regolare la responsabilità in materia di gruppi, era anche servita per approfondire il tema al di fuori della dichiarazione di insolvenza delle imprese soggette ad amministrazione straordinaria.

Si aveva avuto modo di stabilire che l'attività di direzione unitaria e di coordinamento del gruppo non potesse essere considerata di per sé illegittima, ma lo era l'abuso con cui la capogruppo l'avesse esercitata. Si era, inoltre, affermato come la legge 95/1979 non avesse previsto l'esercizio di una direzione unitaria del gruppo da parte di soggetti estranei all'amministrazione della capogruppo, mentre era frequente il caso che tale attività potesse essere esercitata da un c.d. "direttorio" formato da amministratori delle diverse imprese facenti parte del gruppo o da un nucleo di soggetti privi di poteri rappresentativi formali e persino da una persona fisica dalla quale dipendevano tutte le decisioni dell'intero gruppo [14].

In questi casi, autorevole dottrina aveva posto in luce che non fosse configurabile un esercizio della direzione unitaria da parte di amministratori di fatto, in quanto gli organi amministrativi della controllante non amministrano le società controllate, ma si limitano a dirigerne la gestione, sicché si sarebbe potuto tutt'al più dar vita alla figura dell'amministratore indiretto [15].

Quanto alla natura giuridica della responsabilità, alcuni avevano sostenuto che la stessa dovesse essere individuata in una violazione dei doveri imposti dalla legge per assicurare una sana amministrazione, sicché non potesse che riguardare una responsabilità contrattuale. Altri, al contrario, avevano affermato che si trattasse di una responsabilità extracontrattuale concernente un'induzione ad un inadempimento [16]. In particolare, si era precisato che la controllata è un soggetto terzo rispetto all'illecito commesso dagli amministratori della controllante che sarebbero, perciò, chiamati a risponderne ai sensi dell'art. 2395 codice civile, onde la configurabilità di due titoli di responsabilità: quella contrattuale a carico degli amministratori della controllata e quella extracontrattuale a carico degli amministratori della società controllante.

Tuttavia la costruzione giuridica rappresentata non riscuoteva un particolare seguito sotto il profilo della difficoltà di individuare il nesso di causalità tra la direttiva degli amministratori della controllante ed il comportamento degli organi della controllata. Neppure il tentativo di superare la contrapposizione tra le due forme di responsabilità [17] riscuoteva successo.

Indipendentemente dalla natura di tale responsabilità, era certo che, al di fuori delle regole dettate dalla legge 95/1979 in tema di amministrazione straordinaria e dalla legge 430/1986 in materia di liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione, la responsabilità degli amministratori per abuso della direzione unitaria del gruppo non risultava regolata normativamente in presenze di altre insolvenze ed, in particolare, del fallimento.

Ulteriori incertezze interpretative erano sorte in materia di responsabilità degli amministratori della controllante per abuso della direzione unitaria verso la controllata e verso i creditori ed i soci di quest'ultima [18]. Si era anche posto l'interrogativo se la controllante potesse essere coinvolta nella responsabilità dei suoi amministratori per abuso della direzione unitaria [19].

La successiva novella 270/1999 con cui è stata disciplinata l'amministrazione straordinaria è servita a chiarire che gli organi amministrativi della società controllante sono responsabili dei danni causati in conseguenza dell'esercizio abusivo della direzione unitaria in solido con quelli della controllata dichiarata insolvente, ma ha lasciato senza risposta molti degli interrogativi che erano sorti nella vigenza della precedente normativa.

La riforma societaria ha avuto il merito di avere regolato per la prima volta la responsabilità in tema di direzione e coordinamento del gruppo, senza farsi carico, però, di individuare la nozione di gruppo e di controllo, consapevole del fatto che in passato tutti i tentativi in tal senso sperimentati sono risultati vani e che la continua evoluzione socio economica ha impedito di ottenere un quadro completo ed attuale.

Sotto tale profilo si è stabilito che le società e gli enti che esercitano un'attività di direzione e coordinamento di società, agendo nell'interesse imprenditoriale proprio od altrui ed in violazione dei principi di corretta gestione societaria sono direttamente responsabili nei confronti dei soci del pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale e dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.

Innanzitutto i soggetti, cui è imputabile l'attività di coordinamento che può dare luogo alla responsabilità, non sono "chiunque", ma sono le società e gli enti, ossia si è intesa negare la legittimazione di un soggetto privato o persona fisica, dovendo trattarsi di un complesso organizzato che agisca per un interesse imprenditoriale proprio o di altri. Si è voluto delimitare, quindi, l'applicabilità della norma destinata a regolare tipiche fattispecie di gestione imprenditoriale nelle quali si è portatori di interessi disomogenei e, quindi, conflittuali con quelli degli altri soci delle società sulle quali si opera la direzione ed il coordinamento.

Non si è più adoperata la formula dell'abuso dell'esercizio della direzione unitaria, tipica dei gruppi insolventi, ma quella più specifica della correttezza nella gestione imprenditoriale delle società controllate in relazione al pregiudizio arrecato ai soci, per effetto della lesione alla continuità dell'impresa sociale, alla redditività ed alla valorizzazione della partecipazione, ed ai creditori in conseguenza della lesione all'integrità del patrimonio sociale.

Per la prima volta, tuttavia, il principio dell'autonomia patrimoniale di ciascuna società facente parte del gruppo e del pregiudizio alla stessa esclusivamente riferibile in dipendenza delle iniziative assunte dalla società controllante subisce una correzione in vista dell'interesse del gruppo e della inesistenza del danno alla luce del risultato complessivo dell'attività posta in essere o della sua eliminazione anche a seguito di operazioni a ciò dirette.

Questa responsabilità di indubbia natura extracontrattuale, che grava sulla società che ha esercitato l'attività di coordinamento, si estende solidalmente a tutti coloro che abbiano preso parte al fatto lesivo e nel limite del vantaggio conseguito a chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio, ma non è ipotizzabile, allorché il danno sia stato risarcito dalla società soggetta alla direzione.

Ne consegue che la responsabilità non coinvolge soltanto gli amministratori di diritto della società capogruppo, ma anche quelli di fatto e coloro che, indipendentemente dalla partecipazione all'attività di direzione e di coordinamento del gruppo, abbiano comunque concorso nel fatto lesivo o ne abbiano tratto beneficio.

La disciplina in esame si è fatta carico di precludere l'azione del socio e del creditore nei confronti della controllante, allorché questi siano stati soddisfatti dalla stessa società che ha subito l'attività di direzione. Infatti, l'azione verso la controllante si aggiunge a quelle previste dagli artt. 2393, 2394 e 2395 codice civile e sotto tale profilo potrebbe anche verificarsi che l'intervento della controllata verso i soci ed i creditori nell'ipotesi di responsabilità della controllante, abbia lo scopo di evitare proprio queste ultime iniziative.

In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria di società soggetta all'altrui direzione unitaria, l'azione spettante ai creditori sociali è esercitata dal curatore. Non c'è dubbio, infatti, che, trattandosi di un'iniziativa destinata a ricostituire il patrimonio sociale, abbia natura di azione di massa e come tale debba essere esercitata dall'organo suddetto nell'interesse di tutti i creditori. Diversamente, l'azione dei soci deve essere considerata di loro personale spettanza, riflettendo il diritto alla reintegra della redditività ed il valore della partecipazione sociale. Dunque di un'azione che può essere esercitata da ciascun socio della controllata che abbia subito un pregiudizio da parte della controllante.

 

Patrimoni destinati

La riforma societaria ha introdotto un nuova figura giuridica: quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare. Si tratta di un istituto del tutto nuovo nel nostro ordinamento giuridico che, in deroga al principio della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 codice civile, permette ad una società per azioni di destinare uno o più patrimoni, che non siano superiori complessivamente al valore del dieci per cento del patrimonio netto ad uno specifico affare oppure consente di potere convenire che in un contratto di finanziamento di uno specifico affare siano destinati al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo i proventi dell'affare o parte di essi.

Prescindendo dall'articolata regolamentazione delle due diverse fattispecie negoziali, sicuramente valide nella realtà moderna (perché, come giustamente è stato affermato, si evita di ricorrere alla costituzione di nuove società con conseguenti oneri di costituzione e di mantenimento), per quel che in questa sede può interessare, va esaminato il tema degli effetti che l'apertura del fallimento determina.

Con riferimento al finanziamento da parte di terzi per la realizzazione di uno specifico affare, la fattispecie, in caso di fallimento, è regolata dall'ultimo comma dell'art. 2447 decies, nel senso che, preclusa la possibilità di eseguire o di continuare l'operazione, cessano le limitazioni previste nel comma precedente ed il finanziatore ha diritto di insinuare al passivo il suo credito al netto delle somme di cui al terzo e quarto comma della disposizione sopracitata. Ossia, viene meno l'efficacia della limitazione imposta ai creditori sociali secondo cui questi, sino al momento del rimborso del finanziamento od alla scadenza del tempo massimo per provvedervi, possono esercitare sui beni strumentali destinati all'operazione esclusivamente le azioni conservative a tutela dei loro diritti, ma permane il diritto del finanziatore di continuare a percepire i proventi derivanti dall'affare, tanto è vero che egli ha diritto di insinuarsi al passivo della procedura, detratto quanto incassato dai proventi medesimi.

Quanto alla destinazione di una determinata parte del patrimonio ad uno specifico affare, in dottrina si è posto l'interrogativo se essa si possa configurare con riferimento a più società che destinino ognuna una parte del patrimonio, dando luogo ad una qualsiasi forma associativa. Sembra, però, prevalere l'orientamento negativo sia perché l'ipotesi rappresentata non è stata minimamente contemplata dal legislatore, sia perché essa è esclusa dalla disciplina prevista per la gestione del patrimonio separato che porterebbe a confermare che si tratti di un unico apporto e non di più patrimoni provenienti da più soggetti, sia infine in presenza di una procedura d'insolvenza la normativa sembra confermare il riferimento ad una sola società.

In particolare, per quanto attiene alla sopravvenuta dichiarazione di fallimento nel corso del compimento dell'affare, si procede ad una liquidazione separata dei beni ad esso destinati e col ricavato si provvede al soddisfacimento delle obbligazioni sorte in conseguenza dell'operazione, limitando il loro concorso soltanto a tale patrimonio e non estendendolo a quello residuo della società.

 

Scioglimento e liquidazione

Il secondo comma dell'art. 2448 del codice vigente prevede che la società per azioni si scioglie oltre che a seguito di provvedimento dell'autorità governativa, anche per effetto della dichiarazione di fallimento, qualora l'impresa abbia esercitato un'attività commerciale.

Il nuovo testo normativo non prevede più tra le cause di scioglimento il fallimento della società, ma al secondo comma si limita a precisare che la società si scioglie anche per altre cause previste dalla legge.

Pertanto nasce l'interrogativo se in questa generica indicazione possa comprendersi anche il fallimento.

Avuto riguardo al tenore della innovazione legislativa, sembra potersi desumere che la dichiarazione di fallimento, di per sé, non costituisce più causa di scioglimento e che le società fallite sono rappresentate dagli organi sociali in carica alla data dell'apertura della procedura concorsuale e possono essere poste in liquidazione sia nel corso del concorso collettivo, sia al termine dello stesso, soltanto in presenza dei presupposti e con le modalità stabiliti dalla legge comune.

In questo nuovo quadro normativo si potrebbe ritenere che essendo state ormai le procedure concorsuali finalizzate, ove possibile, al recupero imprenditoriale, il legislatore della riforma societaria abbia inteso rinviare alla disciplina speciale per decidere la sorte dell'impresa societaria, allorché si trovi in stato di insolvenza, ossia di volta in volta si stabilisce se essa debba essere o meno liquidata, senza più prevedere che l'apertura del concorso collettivo debba costituire un'automatica causa di scioglimento della società.

Un ulteriore aspetto che va posto in luce in questa materia è l'interpretazione che in passato era stata seguita in ordine alle società liquidate e cancellate dal registro delle imprese.

Come è noto, la giurisprudenza, allo scopo di apprestare una valida tutela alle ragioni creditorie, aveva affermato il principio che le imprese societarie, anche se cancellate dal registro delle imprese, avrebbero dovuto ritenersi esistenti ed essere chiamate a rispondere delle loro obbligazioni. Così pure aveva affermato che dette società, in presenza di obbligazioni non adempiute avrebbero potuto essere assoggettate al fallimento oltre il termine dell'anno di cui all'art. 10 legge fallimentare, potendo questo decorrere a seguito dell'esaurimento di qualsiasi rapporto giuridico obbligatorio [20].

La riforma societaria ha indubbiamente modificato questo assetto normativo, introducendo il principio dell'effetto costitutivo della cancellazione della società. In proposito è sufficiente considerare il contenuto del secondo comma dell'art. 2495 c.c. secondo cui, fermo restando l'estinzione della società, dopo la sua cancellazione, i creditori possono far valere le loro pretese nei confronti dei soci sino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale e nei confronti dei liquidatori se il pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi.

In altri termini l'estinzione della società si verifica con la cancellazione dal registro delle imprese, senza che possa assumere rilevanza alcuna la sussistenza di passività sociali.

Il problema dell'assoggettabilità al fallimento della società cancellata dal registro delle imprese è stato pure risolto con l'intervento della Corte costituzionale la quale, res melius perpensa, con una recente decisione ha affermato che il termine dell'anno decorre da tale epoca [21].

 

Trasformazione

L'art. 2499 codice civile nella nuova formulazione consente di potere fare luogo alla trasformazione anche in pendenza di procedura concorsuale, salvo che non vi sia incompatibilità con le finalità o lo stato della stessa.

Come abbiamo detto, nel codice civile vigente la dichiarazione di fallimento è contemplata come una causa di scioglimento delle società in nome collettivo (art. 2308), di quelle in accomandita semplice (art. 2323), della società per azioni (art. 2448) e di quella a responsabilità limitata (art. 2497). Ne consegue che l'apertura del concorso collettivo sembra risultare incompatibile con la trasformazione che costituisce un'attività estranea alla liquidazione.

Il testo della riforma non contempla il fallimento tra le cause di scioglimento della società per azioni, né tale procedura determina l'automatica estinzione dell'ente, anche se bisogna riconoscere che in siffatta evenienza si verifica di solito la perdita del capitale sociale e l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale.

E' stato peraltro affermato che le procedure concorsuali alle quali sembra far riferimento la nuova formulazione dell'art. 2499 determinano vincoli sul patrimonio del debitore, ma non sulla forma organizzativa dell'impresa e sotto tale profilo non dovrebbe derivare alcuna incompatibilità tra la loro pendenza e la trasformazione.

Occorre ancora ricordare che la Relazione governativa allo schema di decreto delegato afferma che la trasformazione può realizzare un vantaggio per l'impresa sociale ed indica il caso della trasformazione di società per azioni in società a responsabilità limitata al fine di ridurre gli oneri di procedura.

Pur dovendosi osservare che tali oneri non sono ricollegabili al tipo di schema societario adottato, tuttavia si può ritenere che nelle ipotesi di recupero imprenditoriale il mutamento della compagine societaria può influire a rendere più conveniente la ristrutturazione e la prosecuzione dell'attività.

 

Fusione

In relazione al codice vigente secondo cui la partecipazione alla fusione non è consentita alle società sottoposte a procedure concorsuali, con la riforma si è limitata tale preclusione esclusivamente alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo. Così facendo, secondo la stessa Relazione governativa, si è utilizzato il margine di discrezionalità consentito dalla Direttiva comunitaria 78/855 del 9 ottobre 1978 cui era stata data attuazione nel nostro Paese con il D.lgs. 16 gennaio 1991, n. 22.

 

Scissione

Negli stessi termini si è operato in materia di scissione, sostituendo la formula adoperata nel secondo comma dell'art. 2504 septies con il quarto comma dell'art. 2506 del nuovo testo normativo.

 

Conclusioni

Necessariamente abbiamo esaminato i nuovi risvolti della nuova normativa societaria nel raffronto con la disciplina fallimentare del 1942 e con le altre dettate in materia di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrative delle società fiduciarie e di revisione.

Non sappiamo, se i lavori della commissione incaricata di redigere il progetto di legge delega di riforma del diritto fallimentare potranno avere una rapida conclusione, ma soprattutto nutriamo notevoli incertezze che il suo iter legislativo possa avvenire in breve tempo e ciò malgrado riteniamo che il mancato adeguamento di questa parte del diritto commerciale dovrebbe indurre ad approfittare della rara occasione per formulare nuovi schemi normativi concorsuali compatibili ai nuovi profili del diritto societario.

Autore: Lo Cascio Giovanni in Il fallimento, 2003, 6, 593


Note:

1 Il progetto di riforma della legge fallimentare, in Quaderni di giurisprudenza commerciale n. 72, Milano 1985.

2 Spolidoro, La legge sulla s.r.l. unipersonale, in Riv. soc. 1993, 114.

3 Campobasso, La responsabilità del socio nella s.r.l. unipersonale, in Giur. comm. 1994, I, 229 ss., in particolare, 233.

4 Spolidoro, La legge sulla s.r.l. unipersonale, cit., 108.

5 Campobasso, La responsabilità del socio nella s.r.l. unipersonale, 229 ss., in particolare, 233.

6 Cass. 9 maggio 1985, n. 2879, in Giur. comm. 1986, II, 537; Cass. 9 dicembre 1982, n. 6712, in Giur. it. 1983, I, 1, 201; Cass. 7 ottobre 1982 n. 5143, in Foro it. 1982, I, 2410; Cass. 19 novembre 1981, n. 6151, ivi, 1982, I, 2897; Cass. 6 dicembre 1976, n. 4577, in Giur. comm. 1977, II, 628, con nota di Domenichini.

7 In dottrina, per tutti, Fabiani, Società insolvente e responsabilità del socio unico, in Quaderni di giurisprudenza commerciale n. 195, Milano, 1999, in particolare 87 ss., ivi ulteriori richiami; Trib. Milano 26 aprile 2001, in Il fallimento 2001, 1063; Trib. Milano 19 luglio 2001, ivi, 2001, 1287; Trib. Bologna 23 settembre 2001, ivi, 2001, 1401; Trib. Ferrara 7 marzo 1994, in Nuova giur. civ. 1995, I, 711; Trib. Bologna 13 novembre 1990, in Giur. comm. 1992, II, 112; Trib. Ravenna 28 marzo 1987, in Dir. fall. 1988, II, 138.

8 Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439, in Il fallimento 1990, 495, con nota di Lamanna, La Holding quale impresa commerciale (anche individuale) ed il dogma della personalità giuridica.

9 Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1992, 61 ss.; Ferri, Delle società, Commentario al codice civile a cura di Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1981, 359; Galgano, L'impresa e le società, Trattato diritto civile e commerciale, diretto da Galgano, Padova, 1990, III, 1, 295 ss.; Giuliani, Partecipazione di società di capitali a società personali: ricostruzione critica della tesi di nullità e delle sue possibili conseguenze, in Giur. comm. 1993, I, 728 ss.; Montalenti, La partecipazione di una società di capitali ad una società in accomandita semplice in qualità di accomandante, ivi, 1989, I, 640 ss.; Mossa, Partecipazione di società di capitale a società in accomandita semplice, in Giur. merito 1969, I, 355; Oppo, Sulla partecipazione di società a società personali, in Riv. dir. civ. 1976, I, 1; Satta, Società di persone tra società di capitali, in Riv. dir. comm. 1968, I, 1; Stolfi, In tema di partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, ivi, 1970, II, 110; Id., Trasformazione di società e partecipazione di una persona giuridica quale socio accomandante, ivi, 1969, II, 295.

10 La giurisprudenza di legittimità si era occupata della configurabilità di un rapporto sociale tra una società di capitali ed una persona fisica od una società di fatto od irregolare, sostenendone l'incompatibilità ontologica e strutturale tra le due forme di impresa (Cass. 10 novembre 1992, n. 12087, in Giust. civ. mass. 1992, 1649; Cass. 28 gennaio 1985, n. 464, in Giur. comm. 1986, II, 418; Cass. 19 maggio 1980, n. 3263, in Giust. civ. mass. 1980, 1412; Cass. 9 dicembre 1976, n. 4577, ivi 1976, 1896; Cass. 7 agosto 1963 n. 2235, ivi 1963, 1047). La Cassazione ha anche negato la configurabilità di una partecipazione di una società di capitali in una società di persone (Cass. 19 novembre 1981 n. 6151, in Foro it. 1982, I, 2898 con nota di Marziale, Brevi note sul principio della responsabilità limitata nelle società di capitali e sul suo superamento). Ha, inoltre, affermato che la partecipazione di una società di capitali ad una società in accomandita semplice in veste di accomandante, comportando la violazione di norme inderogabili, è nulla (Cass. sez. un. 17 ottobre 1988, n. 5636, in Foro it. 1988, I, 33248, con nota di Marziale; in Giust. civ. 1989, I, 349 con nota di Bartolomucci, la questione di ammissibilità delle società di capitali socia di società personale e le problematiche connesse; in Dir. fall. 1989, II, 315 con nota di Ragusa Maggiore, E' nulla la partecipazione di una società per azioni ad una accomandita semplice?; in Giur. it. 1989, I, 1, 1368, con nota di Preite, Mezzi di tutela per i soci di società di capitali accomandante, alternativi alla dichiarazione di nullità della s.a.s. Nel senso che l'atto costitutivo della partecipazione di una società a responsabilità limitata ad una società in nome collettivo è nullo e, pertanto, resta estraneo alla previsione di cui all'art. 147 legge fallimentare, Cass. 2 gennaio 1995, n. 7, in Il fallimento 1995, 758, con nota di Patti, Riflessi fallimentari della partecipazione di società di capitali in società di persone.

11 Montalenti, La riforma del diritto societario: appunti, in Le Società 2002, 1449, in particolare, 1451.

12 Cass. 6 dicembre 2000, n. 15487, in Il fallimento 2001, 476.

13 Cass. 6 marzo 1999, n. 1925, con nota di Perrone, in Corr. giur. 1999, 1396; Cass. 27 febbraio 2002, n. 2906, in Giur. it. 2002, 1424.

14 Richiamiamo la nostra opera, Commentario alla legge sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, Milano 2000, 452 ss.

15 Così, Bonelli, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Quaderni di giurisprudenza commerciale n. 135, Milano 1992, 136.

16 Jaeger, Responsabilità solidale degli amministratori della capogruppo nella legge sull'amministrazione straordinaria, in Giur. comm. 1981, I, 407 ss.

17 Bonelli, La responsabilità degli amministratori, cit., 144.

18 Ceccherini, La responsabilità degli amministratori delle società controllate, in Le Società 1987, 1121; Panzani, Gruppi di società e responsabilità degli amministratori della controllante, in Il fallimento 1995, 537.

19 Il nostro scritto, L'amministrazione straordinaria, cit., 458-459.

20 La stessa Corte costituzionale aveva confermato detta interpretazione (Corte. cost. 20.maggio 1998, n. 180, in Giur. comm. 2000, II, 281).

21 Corte cost. 21 luglio 2000, n. 319, in Il fallimento 2001, 13 con nota di Genovese, note a margine a corte costituzionale n. 319 del 2000.