Lacune del contratto, dottrine dell'integrazione, teoria della presupposizione
Le pagine che seguono sono parte di capitolo della monografia "Il contratto in generale. La presupposizione", volume del Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone, edito dalla casa editrice Giappichelli (*)
Lo spettro degli interessi, per il soddisfacimento dei quali i privati ricorrono alla stipulazione di un contratto, è indefinibile; di qui un preciso, ovvio problema, quello dellindividuazione dei criteri mediante i quali discriminare, in relazione a ciascun contratto, gli interessi tutelati dallordinamento dagli interessi giuridicamente irrilevanti.
Nellaffrontare tale problema è bene prender lavvio da due sicure, elementari considerazioni:
a) il codice civile organizza la disciplina dei contratti su due distinti piani: gli artt. 1470 ss. predispongono modelli dettagliati di operazioni economiche; gli artt. 1321 ss. (e le connesse disposizioni sullobbligazione) pongono regole applicabili in via di principio a qualsivoglia contratto (art. 1323). Ne segue che, rispetto ad ogni contratto (tipico o atipico), lordinamento si configura, e sia pure in varia misura, come criterio di selezione degli interessi coltivati dai contraenti;
b) lart. 1322 riconosce ai privati la facoltà sia di stipulare contratti atipici che di arricchire e, comunque, riorganizzare i modelli di già predisposti dallo stesso legislatore. Ne segue che un interesse, valutato dal legislatore come non meritevole di tutela in via autonoma, può in concreto divenire giuridicamente rilevante in virtù di un accordo tra le parti (o viceversa). Anzi, può al riguardo osservarsi come lo stesso ordinamento si sia curato di predisporre e organizzare vari modelli di giuridicizzazione in via pattizia di un interesse di per sé irrilevante (ad esempio, il modello della condizione).
Riassumendo: un interesse può acquisire rilevanza giuridica o in via pattizia, cioè per effetto dellesercizio del diritto di libertà negoziale, o in via autonoma e, quindi, per così dire, in ragione della sua qualità o, meglio, in virtù di una autonoma valutazione del legislatore circa la meritevolezza di tale interesse in relazione al contesto normativamente considerato.
Sulla base della superiore premessa rivolgiamo, adesso, lattenzione a taluni dei problemi che sorgono nellistante in cui ci si accosti allautonomia privata e allordinamento quali criteri di selezione della pluralità di interessi in fatto coltivati dai contraenti.
Per quanto attiene al versante dellordinamento, ci si può chiedere, in primo luogo, se la rilevanza di un interesse in via autonoma sia subordinata alla esistenza di un enunciato normativo che tale rilevanza puntualmente preveda; in particolare ci si può chiedere: a) se la rilevanza di un interesse automaticamente protetto dallordinamento debba rimanere confinata entro lambito puntualmente indicato dal legislatore; b) se gli interessi automaticamente protetti dallordinamento (cioè rilevanti in via autonoma) costituiscano un numero chiuso.
Al fine di unappropriata impostazione di unindagine sui superiori quesiti, è necessario distinguere, e per una pluralità di ragioni, le due diverse, fondamentali forme di rilevanza del mancato soddisfacimento di un interesse conosciute dal codice, non vanno cioè unificati i due diversi profili della possibile rilevanza di un interesse sul piano delle tutele in via contrattuale e/o sul piano dellinvalidità negoziale.
Operata la superiore distinzione, lattenzione va qui specificamente rivolta alla figura dellannullabilità del contratto viziato da errore; al riguardo, vanno in particolare segnalate le due seguenti questioni: a) se la descrizione dei casi di errore essenziale, che si ritrova nellart. 1429 c.c., debba essere considerata esemplificativa o «tassativa»; b) se sia annullabile il contratto viziato da errore (essenziale) bilaterale non riconoscibile.
Al fine della risoluzione delle superiori questioni ci si dovrebbe chiedere, in primo luogo, se esistano indici univoci circa la volontà del legislatore di organizzare il sistema degli artt. 1429-1431 come un sistema normativo chiuso ed autosufficiente, sì da non darsi lacuna del diritto scritto; qualora si risponda negativamente a tale quesito, ci si può porre lulteriore domanda se esistano delle buone ragioni che giustifichino una qualificazione della disciplina dellart. 1428 (annullabilità del contratto) come disciplina irrazionale o comunque da sterilizzare in base a giudizi di valore (art. 14 disp. prel.) .
Se alle superiori domande si dà una risposta negativa, si potrà allora porre anche una questione ulteriore e diversa da quelle pocanzi indicate ai punti a-b, ci si potrà cioè chiedere se, in relazione ai contratti con prestazioni corrispettive, debba essere tenuta ferma lidea che tra la figura dellerrore essenziale e la figura del dolo tertium non detur o se, al contrario, sia consentito dare ingresso al meccanismo dellanalogia in relazione a situazioni marginali, delle quali si dica (più o meno verosimilmente) che sono state ignorate dal legislatore; in particolare ci si potrà chiedere se sia valido oppure annullabile il contratto viziato da: 1) un errore non essenziale (art. 1428), che risulti essere stato determinante del consenso di ambedue i contraenti ; 2) un errore non essenziale che, determinante del consenso di uno dei contraenti, risulti essere stato il frutto anche delle erronee valutazioni espresse dalla controparte nel corso delle trattative; 3) un errore non essenziale noto, ed anche in relazione alla sua portata determinante del consenso, alla controparte.
È opportuno adesso abbandonare il territorio dellinvalidità negoziale per rivolgere lattenzione alla figura dellinteresse automaticamente rilevante in via contrattuale . Orbene, a tale riguardo, pare sicuro che, almeno in via di principio, il sistema normativo sia un sistema aperto; non è chiaro, però, quale sia la tecnica normativamente deputata ad assicurare lintegrazione del diritto scritto.
Stando al disposto dellart. 1374 «il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e lequità»; orbene, della locuzione «in mancanza (della legge)» possono darsi due diverse interpretazioni:
a) si può in primo luogo pensare che per «mancanza della legge» debba intendersi lassenza di una precisa disposizione. Accolta questa interpretazione, si escluderà che il diritto dei contratti si autointegri e si dirà quindi che il compito proprio dellanalogia (analogia legis; analogia iuris) spetta allequità, nel senso, appunto, che compete allequità decidere circa la rilevanza giuridica di un interesse che risulti né regolato in via pattizia né automaticamente protetto (o comunque disciplinato) da «una precisa disposizione» (art. 12, c. 2°, disp. prel.) ;
b) si può, al contrario, pensare che per «mancanza (della legge)» debba intendersi lassenza di una regola imputabile allordinamento in via diretta o in via mediata (analogia legis; analogia iuris) . Questa interpretazione pare rendere la locuzione in esame intrinsecamente priva di senso e, comunque, incontra lostacolo costituito dalla considerazione che, dato ingresso al procedimento analogico, non si vede quale spazio residui per il criterio dellequità e, ancor prima, per il criterio degli usi . Il nodo diviene definitivamente irresolubile nellistante in cui si conducano le disposizioni circa il criterio della buona fede allinterno del corpo dellart. 1374 e, al contempo, si assegnino a tale criterio compiti ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore.
Linterpretazione, pocanzi illustrata sub a, ha il pregio di rispettare il tenore letterale dei vocaboli e di conferire, al contempo, un senso compiuto allintero enunciato dellart. 1374 ; ma questo non è, di per sé, un argomento risolutivo, a meno che si dissolva linterpretazione di un testo di legge nella ricognizione del significato dei vocaboli connessi secondo le regole della sintassi. In altri termini, se si pongono in correlazione dialettica il testo della disposizione in esame, il contesto dal quale la disposizione si origina e il criterio di coerenza dellordinamento, apparirà inverosimile lipotesi interpretativa secondo la quale lequità designerebbe un sistema generale di riferimento, chiamato a coprire il ruolo spettante ex art. 12, c. 2°, disp. prel. al sistema di regole e di princìpi del diritto codificato ; ma, alla stessa maniera, non si potrà dare credito allipotesi opposta secondo la quale il richiamo allequità si dissolverebbe in un flatus vocis, necessariamente privo di contenuto normativo specifico.
La superiore conclusione logicamente comporta che fra i criteri, normativamente chiamati a distribuire il rischio (il costo) del silenzio delle parti rispetto a questioni non disciplinate da una precisa disposizione di legge, vanno annoverate a pieno titolo sia lequità che lanalogia. Ciò suggerisce che il tema dei rapporti tra lequità e lanalogia e, in particolare, il problema della ripartizione di competenze tra i due concorrenti criteri sia da affrontare sul piano dellindividuazione di due distinti àmbiti problematici ossia disaggregando lonnicomprensiva (e generica) figura delle «lacune» del contratto (cioè, delle «questioni non regolate né dallaccordo, né da una precisa disposizione di legge»), e sia poi da risolvere operando la distinzione tra lacune del sistema di regole proprie dellordinamento pattizio (ed è qui che è destinato ad operare il criterio dellequità) e lacune del sistema di regole proprie dellordinamento legale (ed è qui che è destinato ad operare il criterio dellanalogia) .
Si può adesso riprendere il filo del discorso, dal quale siamo partiti, per ricordare che, riconosciuto allanalogia il compito di provvedere alle lacune del diritto scritto, potranno porsi due diverse questioni aventi portata generale.
In primo luogo ci si può chiedere quale sia il punto di vista (recte, lo spettro dei punti di vista) mediante il quale il sistema normativo definisce vuoi il quadro degli interessi automaticamente rilevanti in via contrattuale vuoi lambito di rilevanza di tali interessi, e sulla base del quale, pertanto, linterprete potrà, se del caso (artt. 12, c. 2°, e 14 disp. prel.), o qualificare un interesse come automaticamente garantito in via contrattuale nonostante lassenza di una puntuale previsione di legge o ridefinire lambito di rilevanza dellinteresse di già protetto.
Risoluta la superiore questione, ci si può porre il quesito se laccordo pattizio costituisca lunico criterio generale di giuridicizzazione degli interessi normativamente valutati come irrilevanti in ragione della loro qualità obiettiva e, in particolare, ci si può chiedere se il sistema conosca un ulteriore criterio, il quale sia in qualche modo partecipe della natura e della logica del criterio dellaccordo pattizio senza tuttavia identificarsi con esso.
Rivolgiamo, adesso, lattenzione allautonomia negoziale quale criterio di giuridicizzazione di un interesse irrilevante in via autonoma. Sembra evidente che, a tale riguardo, il problema di fondo risieda nellindividuazione e definizione delle condizioni in presenza delle quali un interesse, non garantito automaticamente dallordinamento, possa qualificarsi come giuridicizzato in via pattizia, in ragione cioè della decisione di ambedue i contraenti di mettere allopera il diritto di libertà negoziale .
È sicuro che, in relazione ai contratti con prestazioni corrispettive, i due fondamentali modelli, posti dallordinamento a disposizione dei privati in vista della contrattualizzazione di un interesse irrilevante in via autonoma, siano da ravvisare nelle due diverse figure dellobbligazione e della condizione. Ed è altrettanto sicuro che la rilevanza di un interesse attraverso lo schema dellobbligazione non sia subordinata ad un accordo che disciplini le conseguenze del mancato soddisfacimento di tale interesse, mentre la rilevanza di un interesse attraverso lo schema della condizione risolutiva è, per contro, subordinata ad un accordo che comunichi la comune volontà dei contraenti di non tenere in piedi il contratto in caso di mancato soddisfacimento di quellinteresse (art. 1353).
Tenute ferme le superiori premesse, lattenzione del lettore va adesso richiamata su quella peculiare figura di enunciativa che, in prima approssimazione, si può designare come «enunciativa contrattuale incompleta», cioè su quella figura di enunciativa che, facente parte del testo sottoscritto dai contraenti (dellaccordo convenuto fra i contraenti), presenti la triplice caratteristica: a) di essere imputabile ad ambedue le parti ; b) di non essere inquadrabile nello schema dellobbligazione (né in quello della condizione); c) di menzionare un interesse che, obiettivamente (cioè sul piano di una valutazione socialmente tipica), concorre a determinare la logica delloperazione economica concordata dai contraenti, e il cui mancato soddisfacimento risulta non regolato in via pattizia.
Orbene, la controversia, che insorga tra i contraenti in caso di mancato soddisfacimento dellinteresse menzionato (considerato) nel tipo di enunciativa sopra descritta, può in astratto essere affrontata attraverso due vie diverse, vale a dire o rimanendo sul piano dellinterpretazione dellaccordo o mettendosi alla ricerca del punto di vista dellordinamento. Imboccata la seconda di queste due vie, sarà agevole rendersi conto ed è questo il profilo che qui preme segnalare specificamente al lettore che le caratteristiche del tipo di enunciativa in discorso si ritrovano in una pluralità di fattispecie che dovrebbero essere non già unificate, bensì disaggregate in ragione della diversità del problema che pongono allordinamento; il che, per certi aspetti, può essere rapidamente mostrato attraverso i due seguenti casi: 1) viene venduta (e consegnata) una cosa determinata verso un corrispettivo il cui pagamento è regolato da una clausola del seguente tenore: «le parti convengono che il prezzo sarà pagato entro tre giorni dalla riscossione del contributo ministeriale di già richiesto dallacquirente» (e ci si interroghi allora sulle conseguenze della mancata concessione del contributo); 2) viene venduto (come cosa di specie) un bracciale che, descritto in contratto come «bracciale di platino», è in realtà dargento.
In relazione al primo dei due casi testé descritti, messe da parte le norme sullinterpretazione dei contratti e accantonata la formula magica «presupposizione», non dovrebbe essere particolarmente arduo rendersi conto che si è in presenza di unenunciativa che, eccentrica rispetto ai modelli legali, racchiude un contenuto dispositivo inidoneo a determinare compiutamente la fisionomia dellinteresse giuridicizzato, sicché ci si dovrà porre il problema se la lacuna del precetto pattizio (mancata o incompleta regolazione dellipotesi di diniego del contributo) debba essere affidata alla tecnica generale dellanalogia (autointegrazione delle discipline legali) oppure alla specifica tecnica dellequità (autointegrazione del regolamento pattizio) .
La situazione muta radicalmente nellistante in cui si passi a considerare il secondo dei casi pocanzi descritti, giacché adesso ci si dovrà porre la ben diversa domanda se lenunciazione di una certa qualità della cosa venduta come cosa di specie («bracciale di platino») si configuri come enunciativa contrattuale completa (avente, cioè, un contenuto dispositivo compiutamente determinato) o, allopposto, come enunciativa irrilevante in via contrattuale (rilevante, cioè, sul diverso piano dellinvalidità negoziale). E la diversità della domanda vieppiù si accentua ove poi si consideri che la risoluzione dellalternativa specificamente compete non già allanalogia, né tanto meno alle tecniche di autointegrazione del regolamento pattizio, bensì allinterpretazione del testo (qualità «promesse») dellart. 1497. Condivisa linterpretazione che qui si recepisce , si dirà che lenunciativa in discorso è unenunciativa contrattuale completa, poiché il mancato soddisfacimento del peculiare interesse dellacquirente, che risulta menzionato in contratto, rileverà giuridicamente secondo lo schema dellinadempimento contrattuale (inesattezza qualitativa della prestazione dovuta), indipendentemente pertanto dalla presenza o meno di una qualche formula negoziale che lo regoli specificamente.
Resta, in fine, da porre esplicitamente il problema di quali siano i compiti dellequità (art. 1374) e della buona fede (art. 1375) in sede di determinazione della rilevanza di un interesse non regolato né dalle parti, né dalla legge .
Nella prospettiva che ci pare appropriata, lanalogia, lequità e la buona fede si presentano come tre dei diversi criteri, cui lordinamento ha affidato il compito di regolare la distribuzione del rischio (la sopportazione del costo) del silenzio della dichiarazione rispetto a questioni non disciplinate da una precisa disposizione di legge. Pertanto, la ripartizione di competenze fra i criteri in esame esige che si disaggreghi lindifferenziata figura delle «lacune» del contratto e, in particolare, che si introduca la distinzione tra lacune proprie del regolamento pattizio e lacune proprie dellordinamento legale, di modo che possa poi convenientemente essere attuata in termini di specificazione del rapporto dialettico intercorrente tra «competenza dispositiva privata» e «competenza normativa legale» , vale a dire affidando allequità e alla buona fede quelle lacune rispetto alle quali lesigenza di una razionale disciplina del traffico giuridico richieda non già lespansione del sistema di valori dellordinamento, bensì lo sviluppo dello specifico sistema di regole dellordinamento pattizio. In altre parole può dirsi che allequità e alla buona fede spetti il compito di governare quel tipo di lacune rispetto al quale è razionale che lordinamento provveda non già a generare valutazioni di merito (è questo il compito proprio dellanalogia), bensì a statuirne la colmabilità a garanzia specifica della piena attuazione del criterio della «competenza dispositiva privata» (lacune del sistema di regole proprie dellordinamento pattizio) .
Per quanto attiene allequità, sembra che il campo di azione ne debba essere individuato con riferimento a quelle lacune in ragione delle quali il precetto pattizio risulti non valutabile compiutamente dallordinamento e, perciò, esposto anche al rischio di rimanere improduttivo di effetti (enunciative aventi un contenuto dispositivo che, incompiutamente determinato dalle parti, non sia completabile in forza dei modelli legali). Ne segue che le regole generate dallequità, a differenza delle regole generate dallanalogia o dal criterio della buona fede, saranno funzione, per un verso, della logica dellaccordo pattizio che integreranno e, per laltro, dellesigenza che sia equilibratamente ripartito su entrambi i contraenti il costo della comune imprevidenza, cioè di unimprevidenza imputabile a pari titolo ad ambedue le parti.
Nellottica che qui pare appropriata, non ha senso discorrere di ineffabilità del criterio dellequità, giacché lidentità di tale criterio risiede non già nella concreta statuizione del giudice, bensì nel riconoscimento, e in via generale, del potere del giudice di completare la regola che le parti hanno concordato di darsi, cioè di determinare compiutamente lidentità o la «misura» di un interesse disciplinato pattiziamente (di un interesse che le parti abbiano convenuto di giuridicizzare) .
Ciò ovviamente significa che il criterio dellequità attribuisce al giudice tuttaltro potere che quello di riscrivere la legge o laccordo ; ma significa pure che il campo di azione dellequità delimitato, da un canto, dalle dettagliate discipline dellobbligazione e dei contratti (o, eventualmente, dagli usi) e, dallaltro, dalla regola generale dellart. 1418 (nullità del contratto o della clausola, il cui oggetto non sia determinabile) è, oggi, pressoché inesistente.
Con riferimento al profilo della «misura», si può pensare al patto di prelazione (o alla clausola condizionale o al divieto di alienazione), nel quale non risulti indicata la durata del vincolo (la durata massima della fase di pendenza della condizione), né tale durata sia ricavabile attraverso la messa allopera degli artt. 1362 ss. cod. civ.
Con riferimento al profilo dell«identità», può risultare appropriato affidare allequità laccordo che giuridicizzi un peculiare interesse dei contraenti secondo uno schema ignoto allordinamento e al tempo stesso inidoneo, poiché lacunosamente organizzato, a definire compiutamente la fisionomia dellinteresse dedotto in contratto, sicché il giudice, esaurito il procedimento di interpretazione e qualificazione della dichiarazione, verrebbe altrimenti a trovarsi dinanzi allincongrua alternativa di dover o pronunciare la nullità dellaccordo o dare ingresso alla tecnica della finzione ossia procedere o a fittizie ricostruzioni della volontà negoziale o a fittizie espansioni delle logiche interne al sistema delle discipline legali .
Infine, rivolgendo lattenzione al criterio della buona fede, pare evidente che la disposizione dellart. 1375 riguardi unicamente il profilo dellattuazione del regolamento che le parti hanno organizzato; si può allora dire che la disposizione in esame consente di conferire rilevanza giuridica ad una pretesa non regolata soltanto se tale pretesa sia priva di autonomia rispetto allinteresse disciplinato in contratto e, perciò, si configuri come meramente strumentale-accessoria al soddisfacimento di quellinteresse .
In relazione al tipo di pretesa in discorso, sarebbe incoerente con la stessa logica interna al ceto degli operatori economici (o tout court insensato) vedere in via tipica nel silenzio delle parti, anziché una lacuna dellaccordo pattizio, una tecnica di disciplina, cioè un indice della comune volontà dei contraenti di escludere la rilevanza della pretesa non regolata. Qualificato il silenzio delle parti come lacuna dellaccordo pattizio, apparirà ovvio lingresso (e, quindi, il ruolo) dellart. 1375, giacché è ovvia losservazione che soltanto un irrazionale antagonismo con il criterio dellautonomia negoziale potrebbe indurre un legislatore ad equiparare il peculiare tipo di lacuna in discorso alle lacune del diritto scritto, cioè ad affidare tale lacuna alla tecnica dellanalogia; per tale via, verrebbe infatti rimessa allautonomo sistema di valori dellordinamento (alle logiche interne a quelle discipline che il legislatore ha reputato razionali in via tipica) una valutazione il cui criterio ordinante non può, e proprio in ragione della peculiarità delloggetto (il carattere meramente strumentale-accessorio della pretesa), che rinvenirsi nella logica interna (nellesigenza di piena attuazione della logica interna) alla specifica operazione che le parti hanno concordato di porre in essere.
Nella prospettiva che qui pare appropriata, è priva di senso lipotesi che il criterio della buona fede possa costituire un canale di ingresso di istanze etiche o solidaristiche in qualche modo riconducibili a formule della Costituzione, poichè, per lappunto, il criterio della buona fede si inscrive (e si risolve compiutamente) nella logica del principio pacta sunt servanda .
Non vè dubbio che la condotta di un contraente possa essere valutata come «scorretta» con riferimento o alla logica propria dellaccordo pattizio o a codici sociali di comportamento o (e non è la stessa cosa) a «forme esemplari dellesperienza sociale dei valori» (Mengoni) o, in fine, alla logica generale dellordinamento; ma ciò dovrebbe indurre non già ad accorpare questioni e ordini di valutazione essenzialmente diversi, bensì a tenere ferma la distinzione tra buona fede (art. 1375) e correttezza (art. 1175) e tra correttezza e princìpi generali dellordinamento (art. 12, c. 2°, disp. prel.).
La distinzione tra buona fede e correttezza è oramai screditata da tempo ; essa, però, può acquisire un senso preciso, e può essere daiuto per la razionalità del discorso giuridico, se si coltiva lipotesi che «buona fede» e «correttezza» rispettivamente designino, luna, un criterio di sviluppo-specificazione del sistema di regole proprie dellordinamento pattizio e, laltra, un criterio di sviluppo-specificazione (integrazione-adattamento) del sistema di regole proprie dellordinamento legale.
Riassuntivamente può allora dirsi che lequità (art. 1374) e la buona fede (art. 1375) costituiscono le due diverse figure attraverso le quali lordinamento pattizio si autointegra, così come lordinamento legale si autointegra mediante lanalogia (e, per certi aspetti, la correttezza). Ciò ovviamente significa che un interesse, puntualmente non regolato né in via pattizia, né in via normativa, può ricevere rilevanza giuridica attraverso due vie diverse, vale a dire o sul piano dellautointegrazione del regolamento pattizio o sul piano dellautointegrazione delle discipline legali; ma va subito aggiunto che lequità e la buona fede non avranno nulla da dire circa la rilevanza o meno di un interesse in senso forte, cioè dotato di autonomia, che possa dirsi in senso proprio non regolato, dato che la risoluzione di tale problema va necessariamente cercata allesterno dellordinamento pattizio, cioè sul piano della ricostruzione e, se del caso, dello sviluppo del sistema delle discipline legali .
Nella prospettiva indicata, è per definizione priva di fondamento lipotesi che sia costruibile un principio generale di irrilevanza degli interessi non regolati né dalle parti né da una precisa disposizione di legge; ma è altrettanto inappropriata lipotesi di segno opposto, secondo la quale il tema della rilevanza degli interessi (o «circostanze») in discorso definirebbe una sorta di «spazio lasciato vuoto dalle norme» (Bessone). E, infatti, in tanto ha senso costruire lindifferenziata figura degli interessi (o circostanze) puntualmente non regolati né in via pattizia né in via normativa in quanto non ci si metta alla ricerca di un introvabile (e inesistente) criterio unitario di disciplina (e v. infra) e ci si ponga, invece, specificamente (esclusivamente) il problema di definire la strategia dintervento, cioè di determinare compiutamente lo spettro e, poi, lidentità e il complessivo equilibrio dei criteri operativi di segno diverso che il codice ha, più o meno chiaramente, messo a disposizione del giudice.
Il quadro va allora chiuso facendo menzione specifica del criterio dellautoresponsabilità, che costituisce non tanto una struttura profonda dellordinamento quanto invece un criterio sistemico indiscutibilmente sancito nellart. 1374 .
Pare a chi scrive che dalle indicazioni e considerazioni sin qui proposte si possa ricavare una conclusione precisa, e cioè che vanno ritenute prive di fondamenta le costruzioni erette allo scopo di definire la figura dellinteresse idoneo a rilevare pur in mancanza di una puntuale previsione sia pattizia che normativa. Questa conclusione può essere riformulata e meglio precisata dicendo che non è possibile dare alcuna compiuta risposta alla domanda con cui si chieda quali caratteristiche debba avere una «situazione» o «circostanza» non regolata affinché, nonostante il silenzio sia della legge sia delle parti, ne possano rilevare giuridicamente la sopravvenienza, la mancanza originaria, il mancato avveramento; infatti, nellottica del sistema normativo dato, il quesito risulta avere un oggetto non riducibile a valutazione unitaria ed è perciò indecidibile.
In altri termini, al quesito in discorso in tanto si dà una risposta appropriata in quanto ci si limiti ad indicare la strategia dintervento. Ciò può apparire intollerabile alle dottrine a vocazione sistematica; ma, anche a metter di canto il profilo dellautointegrazione del regolamento pattizio, sarà sufficiente pensare, per un verso, alle caratteristiche del procedimento analogico e, per laltro, al vario articolarsi del sistema normativo per percepire lintrinseca inconsistenza dellipotesi che sia costruibile il modello delle molteplici situazioni che rileveranno sul piano dellinvalidità negoziale e delle tutele in via contrattuale nonostante il silenzio sia della legge sia delle parti. Ne seguirà non già il sacrificio dellesigenza di stabilizzazione dogmatica delle regole poste attraverso il procedimento analogico, bensì la sollecitazione ad attuare, se del caso, unappropriata riorganizzazione degli ambiti problematici, dei vari e diversi ambiti disciplinari, in cui quelle regole siano chiamate ad operare .
Riassuntivamente può dirsi che, dato ingresso al quesito circa le condizioni di rilevanza delle circostanze o situazioni non regolate né dalle parti né da una precisa disposizione di legge, si dovrebbe tenere per ferma una sequenza di questo tipo: 1) dallordinamento non è ricavabile un preciso punto di vista mediante il quale decidere circa la distribuzione del rischio da circostanze non regolate, dato che la formula «rischio da circostanze non regolate» racchiude un oggetto che non è valutabile unitariamente nellottica del sistema del codice; 2) rispetto allindifferenziato problema del governo delle circostanze non regolate, ciò che linterprete può lecitamente chiedere al codice (ciò che deve ricercare nel codice) sono soltanto le indicazioni attinenti alle possibili strategie di intervento; 3) il costo della sopravvenienza o della mancanza di una circostanza non regolata non graverà necessariamente sul contraente deluso (criterio dellautoresponsabilità), ed in ragione del possibile ingresso delle tecniche di integrazione (a nostro avviso, autointegrazione) delle discipline legali e/o dei criteri di integrazione (a nostro avviso, autointegrazione) del regolamento pattizio.
Le considerazioni svolte in questa introduzione suggeriscono che le dottrine della presupposizione, imperniate sul classico schema «fattispecie-disciplina», non apprestano strategie dintervento circa il tema generale del rischio da circostanze non regolate; correlativamente segnalano che tali dottrine, quandanche si presentino come costruzioni generali, nullaltro realmente racchiudono (e nullaltro sono idonee a racchiudere) che costruzioni particolari o di settore. Ovviamente, ciò non esclude che la teoria della presupposizione abbia unapprezzabile ragion dessere, a condizione, però, che essa riesca allora ad offrire la sistemazione appropriata di una sezione specifica del rischio da circostanze non regolate.
Orbene, e questa introduzione lo ha già suggerito al lettore, uno dei tratti che definiscono lidentità della vicenda della presupposizione risiede nel fatto che tale vicenda si è andata svolgendo non già intorno ad un medesimo, ben determinato problema di disciplina, bensì con riferimento ad una pluralità di questioni, che risultano talora affrontate attraverso un segmento o, addirittura, un frammento. In altri termini, la verità è che non esiste «il» problema della presupposizione, e già per la ragione che la molteplicità di opinioni, che si riscontra circa la figura in esame, costituisce funzione non solo della pluralità delle risposte date alla stessa domanda, ma altresì della diversità delle domande in concreto affrontate sotto la stessa etichetta, cioè delle modificazioni, più o meno marcate, via via apportate alloggetto dellindagine o, comunque, della costruzione .
Se si vuole rappresentare per grandi linee la vicenda della presupposizione si può soltanto dire che essa ha ruotato attorno al tema generale dei criteri di giuridicizzazione o selezione degli interessi (delle situazioni o circostanze) puntualmente non regolati né in via pattizia né in via normativa, e si è andata confusamente svolgendo attraverso due itinerari essenzialmente diversi, rispettivamente incentrati, luno, sul profilo dellautointegrazione del regolamento pattizio e, laltro, sul profilo dellautointegrazione delle discipline legali. Più precisamente: una dottrina ha collegato la figura della presupposizione al tema dei requisiti necessari affinché un interesse, non garantito automaticamente dallordinamento, possa dirsi giuridicizzato in forza dello specifico accordo concluso, nonostante lassenza di una regolamentazione pattizia puntuale; unaltra dottrina ha invece rivolto lo sguardo al profilo delle condizioni in presenza delle quali un interesse, non garantito sul piano specifico dellaccordo pattizio, potrà rilevare giuridicamente in virtù dellautonomo sistema di valori dellordinamento, nonostante lassenza di una precisa disposizione di legge.
Il quadro può essere chiuso esplicitando uno dei punti di vista sottesi a questa introduzione, e cioè che per lo più si discorre di presupposizione per la sola ragione che non si interrogano appropriatamente i fatti e/o le strutture giuridiche di riferimento, cosicché non si ha chiara la reale natura del problema che il fatto, in qualche modo organizzato in concetto, pone allinterprete .
Il punto di vista testé esplicitato può essere convenientemenre riformulato dicendo che la teoria della presupposizione fondamentalmente si configura o come una teoria della marginalità, cioè come teoria specificamente costruita su casi-limite rispetto ai quali il comune senso giuridico reclama una regola che non si riesce a ricondurre armonicamente allinterno del sistema dato , o come una teoria generale dellirrazionalità , cioè come teoria che eleva a modello la formulazione di meri giudizi liberi ossia svincolati da un reale sostegno argomentativo sul piano del valore del fatto e/o in relazione al punto di vista dellordinamento (la presupposizione come figura che condensa e stabilizza pratiche interpretative e modelli decisionali non razionali (continua).
Autore: Dott. Angelo Belfiore - tratto dal sito www.notiziariogiuridico.it
(*) Figura non espressamente prevista da norme di legge, la presupposizione è istituto di creazione dottrinale poi ampiamente precisato dal diritto giurisprudenziale che in materia di presupposizione è ormai composto da molto numerose sentenze.
Si distingue tra presupposizione in senso soggettivo e presupposizione in senso oggettivo, rilevanza del rischio contrattuale, dogma della irrilevanza dei motivi e motivo che sia presupposizione in quanto condizione implicita e tacita del contratto.
Se in passato la giurisprudenza in tema di presupposizione ha richiamato lart. 1467 del codice civile, si è poi consolidato altro genere di orientamenti che per la presupposizione richiamano lart. 1428 c.c. e la disciplina della invalidità del contratto viziato da errore essenziale,le norme di interpretazione del contratto e specialmente lart. 1366 cod. civ. legando presupposizione e interpretazione del contratto secondo buona fede, altra volta ritenendosi che invece norma di riferimento sia lart. 1374 del codice civile che connette la presupposizione alla integrazione del contratto e infine assumendosi la presupposizione come possibile causa di risoluzione del contratto.