Ogni contratto stipulato tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato deve necessariamente rivestire la forma
scritta "ad substantiam". In mancanza di tale requisito formale, il
contratto non è validamente concluso e, nessun rapporto di natura
negoziale potrà dirsi instaurato tra la P.A. ed il privato. Trattasi
invero di una nullità di tipo assoluto e di conseguenza "insanabile":
"Tutti i contratti stipulati dalla pubblica amministrazione richiedono la
forma scritta "ad substantiam", non rilevando a tal fine la deliberazione
dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il
conferimento dell'incarico, dell'appalto o della fornitura ove tale
deliberazione (costituente mero atto interno e preparatorio del negozio)
non risulti essersi tradotta in un atto, sottoscritto da entrambi i
contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto
con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da
eseguirsi e al compenso da corrispondersi; il contratto privo della forma
richiesta "ad substantiam" è nullo e pertanto insuscettibile di
qualsivoglia forma di sanatoria, dovendosi quindi escludere l'attribuzione
di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive" (Cass civ,
S.U., 7 marzo 2001 n. 95) Viene pertanto categoricamente preclusa
la possibilità che, rapporti contrattuali tra privato e P.A. possano
nascere per comportamento concludente ai sensi dell'articolo 1327
c.c.. Cosa accade nell'ipotesi in cui un soggetto privato compia
comunque una prestazione a favore della P.A. anche in assenza di
contratto? Quali azioni sono esperibili a tutela del
privato?
Innanzitutto diciamo che il primo presupposto per cui al
privato possa essere attribuito qualche diritto azionabile giudizialmente,
è che la P.A. abbia riconosciuto l'utilità della prestazione svolta o che
ne abbia tratto una qualche utilità. Questo può avvenire o perché la
P.A. oggettivamente si è avvalsa dei risultati della prestazione del
privato traendone tutti i benefici o perché essa, attraverso apposita
procedura ha riconosciuto il debito (Procedura di Riconoscimento del
Debito). Preclusa la possibilità di agire con l'azione di
responsabilità contrattuale, nelle ipotesi sopra descritte l'unica azione
esperibile dal privato è quella di ingiustificato arricchimento. Per
consolidato orientamento giurisprudenziale, l'elemento costitutivo della
pretesa indennitaria azionata ex art. 2041 c.c., è il configurarsi
dell'indebito arricchimento da parte della P.A. che abbia riconosciuto
l'utilità del servizio realizzato o espressamente riconosciuto l'esistenza
di un debito. Il vincolo tra Pubblica Amministrazione e privato, pur
non potendosi qualificare come contrattuale, per carenza di forma scritta
richiesta "ad substantiam", è fonte di responsabilità e di obbligazione ex
art. 2041 c.c.
Come rimedio finalizzato alla reintegrazione del
patrimonio del creditore, l'indennizzo ex art. 2041 c.c. configura un
debito di valore e non di valuta, da liquidarsi, tenendo conto, anche,
della svalutazione monetaria intervenuta tempore solutionis (Cass., 6
febbraio 1998 n. 1287). A compensare l'ulteriore pregiudizio costituito
dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario, sulla somma vanno
corrisposti, dal giorno del verificarsi dell'altrui arricchimento, gli
interessi ad un saggio anche diverso da quello legale, nella misura non
assorbita dal tasso di adeguamento monetario del capitale (Cass., 10
maggio 2001 n. 6502; Cass., 12 gennaio 1999 n. 256). In relazione
all'ipotesi di prestazioni effettuate da un imprenditore a vantaggio di
ente pubblico in difetto di valido contratto, l'impoverimento subito è
costituito non solo dal costo di acquisto delle merci, dei servizi e dal
costo del personale, ma anche da ogni genere di spesa affrontata per
eseguire le prestazioni (quota parte dei costi generali, imposte, etc.:
tutti esborsi sicuramente effettivi, destinati ad essere recuperati
attraverso il prezzo di vendita dei servizi) nonché del mancato guadagno
per utile di impresa connesso alle prestazioni erogate (così, Cass., 11
settembre 1999 n.9690; Cass., 25 settembre 1998 n.9584). Tutte queste
voci, pertanto, debbono essere indennizzate ove l'imprenditore agisca nei
confronti della P. A. con l'azione di ingiustificato arricchimento (Cass.
civile, sez. III, 25-09-1998, n. 9584).
Come affermato più volte
dalla Corte di Cassazione, la pretesa indennitaria è in ragione dei prezzi
di mercato usualmente praticati che, sarebbero stati i costi sopportati
dalla P.A. per assicurarsi beni e servizi dello stesso contenuto
qualitativo e quantitativo. Pur prevedendo l'art. 2041 cod. civ. che
l'indennità per indebito arricchimento sia liquidata nella minor somma tra
l'arricchimento ricevuto da chi si sia avvantaggiato della prestazione
senza causa, e la diminuzione patrimoniale subita da chi ne sia stato
impoverito, deve rilevarsi che, nel caso di forniture di prestazioni
effettuate da un imprenditore in favore di un ente pubblico in assenza di
un valido contratto, la diminuzione patrimoniale subita dall'imprenditore
non è costituita dal solo costo d'acquisto dei beni o servizi forniti.
L'impoverimento dell'imprenditore, infatti, è costituito, innanzitutto, da
ogni genere di spesa affrontata per effettuare le forniture, senza che
possa distinguersi tra costo di acquisto, quota parte delle spese generali
destinate ad essere ammortizzate con la loro vendita, imposte corrisposte
in relazione alle forniture effettuate, e costi di consegna. Trattasi,
infatti, di esborsi sicuramente effettivi, destinati ad essere recuperati
attraverso il prezzo della vendita, prezzo che essi concorrono a
determinare. E deve ritenersi che anche il mancato guadagno per utile
d'impresa connesso a prestazioni erogate - "sine causa", costituisca
perdita patrimoniale che deve entrare in conto della "diminuzione
patrimoniale" subita dall'imprenditore, liquidata eventualmente ex art.
1226 cod. civ. (Cass. civile, sez. III, 25-09-1998, n. 9584 - Cass.
civile, sez. I, 12-04-1995, n. 4192). Ne consegue che, cosi come
affermato dalla Corte di Cassazione in sentenza 05-06-1997, n. 5021 ove
l'imprenditore abbia emesso fatture, la diminuzione patrimoniale da lui
subita possa presumersi coincidente con il prezzo fatturato, ma non
riscosso, e che, essendo - per converso - il vantaggio patrimoniale
conseguito, in questi casi, dall'ente pubblico "accipiens", rappresentato
dal valore di mercato delle merci ricevute (e cioè, dal prezzo normalmente
praticato nella stessa zona per merci e contrattazioni dello stesso tipo
coincidenti per quantità, qualità e contenuto accessorio ), ove il prezzo
fatturato dall'imprenditore sia quello di mercato, l'importo della
diminuzione patrimoniale risentita da quest'ultimo e quello
dell'arricchimento conosciuto dall'ente "accipiens" coincidano, e
rappresentino l'importo dovuto a titolo di indebito arricchimento.
Autore: Avv. Matteo Santini - tratto dal
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