L'affidamento c.d. "in house"
commento a sentenza Consiglio di Stato 01/06/07 n. 2932
Con la sentenza 1 giugno 2007 n. 2932, il Consiglio di Stato ha ribadito l'impossibilità di operare l'affidamento c.d. "in house" -ossia senza il previo espletamento di una gara ad evidenza pubblica- nei confronti di società per azioni a partecipazione pubblica non esclusiva; ciò in quanto l'apertura ai privati del capitale sociale della società affidataria, non consentirebbe all'ente pubblico di esercitare su detta società un controllo completo e analogo a quello esercitabile sui servizi gestiti in proprio, controllo che solo consente -secondo la giurisprudenza comunitaria- di derogare alle regole per l'aggiudicazione degli appalti pubblici.
La controversia posta all'attenzione dei Giudici di Palazzo Spada traeva origine da una concessione demaniale dello specchio acqueo in zona Porto S. Stefano per la realizzazione di un approdo turistico, rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Livorno in favore della società Porto Turistico Domiziano, la cui proposta veniva preferita a quella presentata dal Comune di Monte Argentario, in quanto offriva -secondo l'Autorità portuale- "maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione".
Il Comune di Monte Argentario impugnava detto provvedimento innanzi al T.A.R. competente, chiedendone l'annullamento; il Giudice di prime cure respingeva però la domanda del ricorrente, il quale proponeva appello al Consiglio di Stato, ribadendo l'illegittimità della concessione sopra descritta.
Con la citata sentenza n. 2932/07, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha rigettato l'appello, ritenendo legittima e adeguatamente motivata la scelta effettuata dalla Capitaneria di Porto di Livorno.
In proposito, sottolinea il Collegio come la proposta presentata dal Comune di Monte Argentario -implicante il ricorso ad una costituenda s.p.a. mista- presentasse aspetti di incertezza tali da indurre ragionevolmente ad una valutazione negativa dell'istanza.
Sotto un primo profilo, infatti, la s.p.a. mista che avrebbe dovuto realizzare e gestire l'approdo turistico non era ancora costituita al momento della comparazione delle domande, cosicchè la Capitaneria concedente non era in grado di conoscere quali sarebbero stati i soci privati che il Comune avrebbe chiamato a partecipare alla gestione del servizio.
Sotto altro profilo, sarebbe stato problematico l'affidamento diretto (c.d. "in house", ovvero senza gara) che il Comune intendeva effettuare in favore di detta società, una volta ottenuta la concessione; ciò in quanto il capitale sociale della costituenda s.p.a. sarebbe stato aperto anche ai privati (ancorché nella misura minoritaria del 49%) cosicchè tra Comune e società non sarebbe sussistito quel rapporto di sostanziale immedesimazione che consente di derogare -in sede di affidamento- all'esperimento di una procedura di gara ad evidenza pubblica. Su tale secondo profilo il Collegio si sofferma, illustrando -alla luce della giurisprudenza comunitaria- i presupposti della suddetta immedesimazione e, dunque, dell'affidamento "in house".
L'istituto del c.d. "in house providing" (fornitura interna, gestione in proprio) costituisce un particolare modulo organizzativo di matrice comunitaria, attraverso il quale le amministrazioni pubbliche provvedono a lavori, servizi o forniture senza ricorrere al libero mercato ma attraverso propri organismi, ad esse collegati dal punto di vista funzionale e organizzativo (anche se eventualmente separati dal punto di vista formale, potendo essere dotati di una distinta personalità giuridica) e comunque privi di qualsiasi autonomia contrattuale e gestionale nei confronti dell'amministrazione di cui sono emanazione.
Il ricorso a tale modulo -come anticipato- esenta le amministrazioni dall'indizione di una procedura di gara per la scelta del contraente.
Il modello dell'affidamento "in house" è stato recepito nell'ordinamento interno, con riferimento al settore dei servizi pubblici, dall'art. 113 T.U.E.L. come modificato dall'art. 14 del d.l. 30.9.2003, n. 269, convertito nella legge 24.11.2003, n. 236. Il nuovo testo dell'art. 113, comma 5, lett. c) -a differenza della previgente disposizione che ammetteva solo procedure ad evidenza pubblica- prevede che gli enti locali possano "affidare direttamente" la gestione o l'erogazione del servizio a "società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico", "a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano".
Dunque, ai sensi della norma citata -che peraltro codifica quanto affermato dalla Corte di Giustizia in numerosi casi, a partire dal celebre "caso Teckal" (causa C-107/98, sentenza del 18 novembre 1999)- per essere definita "in house", una società deve presentare tre requisiti: 1) capitale interamente pubblico; 2) l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale devono esercitare sulla società un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi; 3) la parte più importante dell'attività societaria deve essere realizzata con l'ente o con gli enti pubblici controllanti.
La sussistenza dei requisiti sopra elencati è indice di un'immedesimazione tra soggetto aggiudicatore e soggetto aggiudicatario; quest'ultimo, in altre parole, non si trova in un rapporto di reale terzietà rispetto al primo, ma piuttosto ne è parte, cosicchè -data la sostanziale identità fra i due soggetti- viene meno l'esigenza di svolgere procedure ad evidenza pubblica per la scelta del soggetto affidatario dell'appalto. Detti requisiti sono di volta in volta oggetto di indagine, posto che -come sottolineato dalla Corte comunitaria nella vicenda "Parking Brixen" (sentenza 13 ottobre 2005, causa C-458/2003)- per aversi "controllo analogo" non è sufficiente la totale partecipazione pubblica ma va effettuata una verifica in relazione al singolo caso, esaminando il particolare assetto societario, le previsioni statutarie, il funzionamento degli organi di amministrazione e l'allocazione del potere decisionale, onde accertare che l'ente pubblico possa esercitare concretamente un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni importanti dell'affidataria.
Alla luce di quanto esposto, è agevole constatare come, nella vicenda in commento, tali requisiti non fossero soddisfatti dalla costituenda società cui il Comune di Monte Argentario avrebbe voluto affidare il servizio, trattandosi di una società aperta al capitale privato (anche se in misura minoritaria) la cui azione poteva certamente non sempre coincidere con i principi dell'azione amministrativa; una società che si sarebbe trovata -ove costituita- in rapporto di terzietà, e non già di immedesimazione, rispetto al Comune, il quale non avrebbe potuto avere su di essa quel "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi (cfr. Corte di Giustizia sentenza 11 gennaio 2005, in causa C-26/03), tale -secondo la giurisprudenza innanzi citata- da giustificare il ricorso ad un affidamento diretto.
La sentenza in commento tiene vivo il dibattito sull'in house, confermando il disfavore con cui è recepito, ma pone con forza la questione di fondo del significato -per un ente locale anche alla luce delle recente decretazione- della costituzione di una società mista e della sua effettiva valenza e convenienza.
Autori: Prof. Avv. Stefano Gattamelata e dott.ssa Francesca Romana Feleppa - tratto da "Il Quotidiano Giuridico" 07/09/07