COMPRAVENDITA: LA GARANZIA PER VIZI
Fra le obbligazioni principali del venditore, il legislatore indica quella di garantire il compratore dai vizi della cosa venduta (art. 1476 c.c., n.3). Il comma I dell'art. 1490 c.c. precisa che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata, o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore".
Pertanto, si deve ritenere che l'acquirente di un bene viziato possa agire, ai sensi dell'art. 1490 c. c., nei confronti del venditore. Tale garanzia è distinta e diversa rispetto a quella prevista dal D.P.R. 224/88 in tema di responsabilità del produttore per danni cagionati dal prodotto messo in circolazione (come, per esempio, nel caso di un televisore che esplode travolgendo il consumatore al momento della prima accensione dell'apparecchio). In tal caso ci troviamo di fronte ad un'ipotesi di responsabilità oggettiva, dato che il produttore risponde del danno cagionato dal suo prodotto a prescindere dalla presenza di colpa o dolo nel proprio comportamento e si tratta di una forma di responsabilità extracontrattuale che prevede a carico del consumatore danneggiato circa il danno, il difetto del prodotto, nonché il nesso di causalità. In questo caso il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del produttore (in ogni caso il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza del decimo anno dal giorno in cui il prodotto è stato messo in circolazione).
Ritornando alla garanzia per vizi a carico del venditore, bisogna rilevare come la natura giuridica di questa garanzia abbia dato luogo a diverse teorie, soprattutto per la difficoltà di ricondurre al mero inadempimento di un'obbligazione contrattuale una violazione collegata a cause preesistenti al contratto. Per questo, alcuni autori hanno ricondotto l'istituto nell'ambito della presupposizione, altri a quello della responsabilità precontrattuale, altri ancora a quello dell'assicurazione contrattuale o dell'impugnativa per errore. La prevalente dottrina (MESSINEO) e la giurisprudenza della Cassazione (sent. 3022 del 22.10.74) ravvisano nella garanzia per vizi lo stesso fondamento della garanzia per evizione, id est una violazione dell'impegno traslativo, considerato comprensivo anche dell'obbligo del venditore di verificare che il bene trasferito abbia i requisiti necessari per la sua utilizzazione (sic BIANCA) ed è un'obbligazione relativa alla responsabilità contrattuale del venditore (GALGANO).
I vizi devono essere di tale natura da rendere la cosa venduta inidonea all'uso cui è destinata, o da diminuire in modo apprezzabile il valore. Tra le due ipotesi previste dall'art. 1490 c.c. vi è una netta distinzione: la prima si riferisce a difetti strutturali, mentre la seconda comprende quelle deficienze che rendono la cosa soltanto meno idonea all'uso cui è destinata. Nel primo caso rientra l'ipotesi di un motore costruito male che non riesce a funzionare, mentre nella seconda ipotesi si è fatto l'esempio di di un monile d'oro marcato a 18 carati che, in un secondo momento, risulti di un titolo minore (o, addirittura, di metallo diverso: in tal caso si può ravvisare la c.d. consegna di aliud pro alio).
I vizi, inoltre, devono essere occulti; in caso contrario, ai sensi dell'art. 1491 c.c., qualora al momento della conclusione del contratto il compratore avesse conosciuto i vizi oppure se i vizi fossero stati facilmente riconoscibili, la garanzia non è dovuta. In terzo luogo, secondo la dottrina prevalente, deve trattarsi di vizi materiali della cosa, perché i vizi relativi alla condizione giuridica rientrano nella disciplina dell'evizione. I vizi, infine, devono essere preesistenti alla vendita o quantomeno devono derivare da preesistenti cause. Oltre all'esclusione legale prevista dall'art. 1491 c.c. in relazione ai vizi non occulti della cosa, è ammessa, anche in tema di vizi, una esclusione convenzionale della garanzia, ex art. 1490, comma II, c.c., che pone un solo limite: che il venditore abbia in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.
I vizi della cosa vanno distinti dall'ipotesi della vendita di aliud pro alio. La distinzione è di notevole importanza, dato che in caso di consegna di cosa diversa non si applica la normativa sui vizi o sulla mancanza di qualità, ma quella sull'azione generale di risoluzione; in particolar modo l'azione non è soggetta ai brevi termini di prescrizione e di decadenza ex art. 1495 c.c., ma alla prescrizione decennale, in base a quanto disposto dall'art. 2946 c.c. Teoricamente, la differenza non presenta dubbi: parlare di una cosa che presenta vizi non equivale a parlare di una cosa di genere diverso rispetto a quella pattuita; sul piano pratico, invece, è meno facile accertare quando una cosa possa definirsi viziata ovvero diversa da quella oggetto del contratto.
La Cassazione, al fine di dirimere questo problema, ha fatto ricorso al concetto di funzione (sent. n.829 del 29.01.83), affermando che si ha consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa appartenga ad un genere del tutto dissimile da quello pattuito, ma anche quando difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale oppure a quella specifica funzione che le parti abbiano assunto quale essenziale. Con questo criterio sono state considerate come diverse anche cose appartenenti allo stesso genere: terreni venduti come edificabili in zone dove sia stato vietato costruire; acqua non potabile venduta come potabile, ecc.
A questo proposito si può esaminare il caso di compravendita di un immobile di nuova costruzione privo del prescritto certificato di abitabilità. E' prevalsa, soprattutto in giurisprudenza, la tesi per cui l'oggetto di tale contratto non sarebbe affetto da vizi o privo delle qualità essenziali, ovvero gravato di oneri che ne diminuiscano il libero godimento ai sensi dell'art. 1489 c.c., ma di un bene diverso (vale a dire di aliud pro alio) con la conseguente possibilità per l'acquirente di chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.
Il compratore della cosa viziata è tutelato con le azioni edilizie, la cui origine storica va ricercata nel diritto romano, essendo previste negli editti degli edili curuli (da cui derivano il nome). Tali azioni sono: a) la risoluzione del contratto (azione redibitoria) e b) la riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris), previste dall'art. 1492, comma II, c.c. L'azione redibitoria non è un'azione sui generis, ma ha la stessa natura dell'azione generale di risoluzione per inadempimento; trova il proprio fondamento in un difetto funzionale della causa che sussiste indipendentemente dall'eventuale colpa o dolo del venditore. La risoluzione del contratto comporta, per sua natura, il ripristino della situazione anteriore, così come previsto dall'art. 1493 c.c.: il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa vendutagli. Questa restituzione non potrà avvenire se la cosa sia perita in conseguenza dei vizi (artt. 1492, co.III e 1493, co.II). L'azione estimatoria, invece, consiste nella riduzione del prezzo in rapporto alla minore utilità offerta dalla cosa al compratore; tale riduzione si eseguirà diminuendo il prezzo pattuito di una percentuale pari a quella che rappresenta la menomazione che il valore effettivo della cosa subisce a causa dei vizi.
Le due azioni edili sono tra loro alternative e la scelta di una è irrevocabile quando sia proposta con domanda giudiziale (art. 1492, co.II). Il compratore decade dal diritto alla garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge (prescrizione di un anno); la denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato. In ogni caso, prescindendo da quale delle due azioni sia stata scelta, il compratore può promuovere un'azione di risarcimento del danno ex art. 1494 c.c.; a questo proposito si può ricordare come Cassazione e dottrina dominante (RUBINO e BIANCA) ritengano che, anche in questo caso, si applicano i brevi termini di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. Si esclude la possibilità di promuovere l'azione di adempimento affermando che la disciplina della garanzia per vizi costituisce una disciplina autonoma per cui non sarebbe possibile applicare le norme generali sulle obbligazioni e sulla tutela contrattuale (CASS. N.1194/76 e N.617/77).
L'art. 1512 c.c. prevede il caso in cui l'alienante abbia assunto, per un certo periodo di tempo, la garanzia di buon funzionamento della cosa oppure la possibilità che, in mancanza di patti, la garanzia sia stabilita dagli usi. Quest'obbligazione grava sul venditore indipendentemente dalla garanzia alla quale egli è tenuto per i vizi occulti e per il difetto di qualità; la sua inosservanza dà al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto, nonché il risarcimento dei danni, in virtù delle norme generali. Il compratore, pertanto, dovrà denunciare il difetto di funzionamento entro 30 giorni dalla scoperta, entro li termine di prescrizione di 6 mesi. Al compratore sarà sufficiente la prova del mancato funzionamento, mentre il venditore potrà liberarsi solo provando che il cattivo (o mancato) funzionamento è dovuto a fatto a lui non imputabile.
Autore: Andrea Sirotti Gaudenzi - dal sito: www.notiziariogiuridico.it