LA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE CONFERMA LA NULLITA’ PARZIALE DELLE FIDEJUSSIONI REDATTE SULLA BASE DELLO SCHEMA ABI

(Commento a Sentenza Cassazione SS.UU. Civili 30/12/2021 n. 41994)

 

I precedenti

L’Autorità di Vigilanza, a seguito di un preventivo parere dell’Autorità della Concorrenza e del Mercato che aveva ad oggetto il testo predisposto dall’ABI nel 2003 riguardante le “Condizioni generali di contratto per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, evidenziava il contrasto tra l’art. 2, co. 2, l. a) della Legge 10 ottobre 1990 n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) (Legge Antitrust) e tre clausole contenute nello schema ABI che, ove applicate dalle banche in modo uniforme, avrebbero comportato una lesione del principio della libera concorrenza e nullità della fideiussione espressiva di una condotta anticoncorrenziale in quanto prevedono a favore dell'Istituto di credito la reviviscenza della garanzia dopo l'estinzione del debito principale, introducendo nella prassi una deroga ai termini di cui all'art. 1957 c.c., ed estendono la garanzia della banca agli obblighi ulteriori e diversi a quelli di garanzia delle obbligazioni assunte dal debitore.

Le clausole che integrano la fattispecie di fideiussione omnibus, redatto sulla base dello schema ABI ritenuto nullo, sono tre:

– l’art. 2, a mente del quale “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”;

– l’art.6, a mente del quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”;

– l’art.8, infine, a mente del quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”;

Ebbene la Cassazione a Sezioni Unite ha confermato la nullità parziale delle fideiussioni prestate dai soggetti suindicati quando all’art 2, 6 ed 8 delle fideiussioni sono ripetute le espressioni ritenute lesive della concorrenza sanzionate dall’autorità antitrust.

La Banca d'Italia, già nel 2005, aveva qualificato come lesive della normativa antitrust le clausole dei contratti di fidejussione riproduttive dello schema ABI: si tratta delle clausole n. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale di cui sopra.

 

Il contrasto giurisprudenziale

La materia è stata oggetto di un annoso dibattito circa le conseguenza della nullità di dette clausole nei contratti di fidejussione rispetto a quello principale. Su fronti contrapposti chi ravvisava anche la nullità assoluta dei contratti derivati, chi la nullità parziale (nulle le sole clausole in violazione della normativa antitrust) e chi, invece, riconosceva al fideiussore la sola tutela risarcitoria rimanendo valide le stipulazioni fideiussorie.

 

La decisione delle Sezioni Unite della Cassazione

Con la sentenza n. 41994 del 30/12/2021, le Sezioni unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: "i contratti di fidejussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell'art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti."

La ragione di tale soluzione deriva dalla normativa antitrust volta a punire, appunto con la nullità, le intese restrittive della concorrenza. Le SS.UU. indicano in particolare che “in   tal   senso  si  pone,  del  resto,  la  stessa   norma  antitrust succitata, la cui ratio è diretta  a  realizzare  un  bilanciamento  tra libertà di concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi  dagli  imprenditori.  Lo  evidenzia,  con  estrema  chiarezza,  la sentenza di queste Sezioni Unite n. 2207/2005, nella parte in cui precisa che la legge antitrust «detta norme a tutela della libertà di concorrenza  aventi come destinatari, non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato», in particolare i consumatori, tenuto conto che il «contratto a valle costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale e realizzarne e ad attuarne gli effetti». In tale prospettiva -  come si è detto -  la pronuncia legittima il destinatario ad esperire sia la tutela reale che quella risarcitoria”.

Sulla base di questa ratio, la pronuncia in esame fa derivare la nullità dell’intesa restrittiva della concorrenza (e, poi, anche delle sue successive applicazioni): “se tale  è  la  ratio  della  predetta  normativa,  il  tenore letterale  dell'art.  2, comma  3,  della  legge n.  287 del 1990, poi, è a sua volta inequivoco nello  stabilire che  «le intese  vietate  sono  nulle ad ogni effetto».

E' del tutto evidente, infatti, che siffatta previsione -ed in particolare la locuzione «ad ogni effetto», riproduttiva, nella specifica materia, del principio generale secondo cui quod nullum est nullum producit effectum- legittima la conclusione dell'invalidità anche dei contratti che realizzano l'intesa vietata, come -sia pure incidentalmente- affermano le stesse Sezioni Unite nella pronuncia summenzionata”.

Si pone così fine al contrasto giurisprudenziale appena richiamato con l'affermazione, da parte della Suprema corte, che la finalità e gli obiettivi della normativa antitrust, oltre che della salvaguardia del contratto, possano essere raggiunti consentendo la tesi della nullità parziale delle sole clausole e non dell'intero contratto di fidejussione. E' una soluzione volta ad assicurare il bilanciamento di tutti gli interessi in campo: da un lato viene più efficacemente tutelato il garante, dall'altro la Banca mantiene in ogni caso la sua garanzia fideiussoria. Le fidejussioni in conclusione restano pienamente valide ed efficaci, sebbene depurate delle sole clausole dichiarate nulle dalla Banca d'Italia.

Il Supremo consesso della giustizia civile ha inoltre motivato l’estensione della nullità dell’intesa restrittiva facendo leva sul carattere speciale ed ulteriore di tale figura di nullità rispetto a quelle che l’ordinamento già conosceva.

Infatti, la nullità disciplinata dall’art. 2 co. 3° della L. 287/90 ha una portata più ampia della nullità codicistica e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento  in quanto, essendo posta a presidio di un interesse pubblico, dato dall’ordine pubblico economico, può colpire anche atti o combinazioni di atti avvinti da un “nesso funzionale”, non tutti riconducibili alle tradizionali fattispecie di natura contrattuale.

Tale particolare regime, pur essendo giustificato dall’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico economico a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed Europee antitrust, non è stato ritenuto idoneo a determinare l’automatica invalidità dell’intera fideiussione bancaria. Infatti, questa particolare figura di nullità non assume una valenza tale da svuotare di rilevanza pratica il principio di conservazione del contratto (collettore del criterio di economia dei mezzi giuridici e del rispetto dell’autonomia privata), a cui è ispirato l’ordinamento italiano (v. Greco – Zurlo, Analisi della garanzia fideiussoria, tra validità anticoncorrenziale e revisionismo consumeristico, in Resp. civ. prev., 2020, 1422).

In tale ottica, la nullità di singole clausole contrattuali potrà invalidare l’intero contratto solo ove si dimostri che la porzione colpita da invalidità abbia una rilevanza tale nell’economia contrattuale che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.

Ciò posto, le Sezioni Unite ritengono che “l’avere inserito all’interno del contratto alcune clausole estratte dal programma anticoncorrenziale non appare circostanza sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragion di essere e della sua validità”, perché l’istituto bancario ha interesse ad una garanzia, seppur ridotta, mentre il consumatore vede per tal via caducate clausole effettivamente a lui sfavorevoli.

Dal punto di vista sostanziale, la pronuncia della Suprema Corte parte dall’assunto che la nullità di cui all’art. 2, terzo comma, della L. 287/90 sia una nullità speciale, posta a presidio dell’ordine pubblico economico che, in virtù della portata letterale “nulle ad ogni effetto”, potrebbe colpire anche le fideiussioni bancarie omnibus, le quali a loro volta sono legate alle intese restrittive della concorrenza in virtù di un “nesso funzionale”.

La concorrenza, infatti, è un bene di rilievo costituzionale ma non per questo impone la creazione di una nuova figura di nullità, la quale, non avrebbe altro effetto se non quello di dar vita ad una “tutela reale atipica” contrastante con il principio di tassatività delle ipotesi di nullità.

Inoltre, a ben vedere il contratto a valle ha ad oggetto un rapporto tra l’istituto di credito ed il cliente, il quale non lamenta tanto il rispetto della concorrenza ma il non aver potuto effettuare una scelta, impedita dalla predisposizione di un modello contrattuale che non gli ha consentito alternative, stante il generalizzato recepimento dello schema ABI.

Pertanto, ciò che viene in rilievo è il comportamento, contrario ai dettami della buona fede, tenuto dall’istituto bancario che, pur conoscendo la natura anticoncorrenziale di talune clausole, le ha inserite nel contratto di fideiussione bancaria.

Il problema della sorte del contratto a valle, quindi, deve essere affrontato attraverso la ben nota distinzione tra regole di validità, la cui violazione è presidiata da rimedi invalidatori, e regole di comportamento, la cui lesione è tutelata, all’opposto, da rimedi risarcitori.

Sul punto giova richiamare l’insegnamento delle Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007 (v. Cass., Sez. Un., 19 settembre 2007 nn. 26724-5, con note, in Giust. civ., 2008, di Nappi, Le sezioni unite su regole di validità, regole di comportamento e doveri informativi, 1189 e Febbraio, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite, 2785) le quali, partendo dal presupposto che la distinzione tra norme di comportamento e di validità del contratto sia fortemente radicata nei principi del codice civile, avevano affermato che il dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza – desumibile dal principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. – non può mai dar luogo al rimedio della nullità ancorché l’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo (Così C. Scognamiglio, Regole di validità e di comportamento: i principi ed i rimedi, in Eu. dir. priv., 2008, 623).

Pertanto, considerato che l’interprete non può usare il precetto della buona fede per sostituirsi al legislatore – configurando un rimedio caducatorio al posto di quello risarcitorio normativamente imposto – deve ritenersi che solo l’assenza di qualsiasi tecnica di tutela diversa da quella della nullità potrebbe determinare, in ossequio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti di cui all’art. 24 Cost., la necessità di utilizzare il rimedio della nullità. Tuttavia, tale circostanza non viene in rilievo nel caso di specie, atteso che l’art. 7 d.lgs. n. 3/2017 tutela la libera concorrenza del mercato e il consumatore, assicurandogli il diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, attraverso lo strumento risarcitorio.

Di conseguenza, il “rimedio” che a tale problema si addice è quello risarcitorio, nelle forme del dolo incidente di cui all’art. 1440 c.c., il quale consente di reagire al comportamento, contrario a buona fede, di chi, abusando della propria maggior forza contrattuale, in dipendenza di un’anomalia del mercato di riferimento entro il quale quella relazione è maturata, induca l’altra parte ad accettare delle condizioni sconvenienti (Cfr. Camilleri, Validità della fideiussione omnibus conforme a schema-tipo dell’ABI e invocabilitá della sola tutela riparatoria in chiave correttiva, in Nuova giur. civ.. comm., 2020, 404).

 

Le conseguenze

Le conseguenze sui processi in corso sono che le clausole del modello ABI nn. 2, 6 e 8 derogative degli artt. 1941, 1939 e 1957 cod. civ. sono nulle.

Viene però ripristinato l’art. 1957 c.c., per il quale il fideiussore è obbligato solo se il creditore, entro sei mesi dalla cessazione del contratto, agisce contro il debitore.

Quella in esame è una sentenza questa che farà discutere e la cui portata non è al momento ancora pienamente valutabile: se da un lato avrà certamente un impatto positivo sull'enorme mole di cause pendenti nei tribunali italiani, dall'altro potrebbe portare gli Istituti di credito ad un irrigidimento nell'erogazione del credito.

 

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