LA C.D. DOMANDA PRE-CONCORDATO INTRODOTTA, CON EFFETTO DALL'11/09/2012, DAL D.L. N. 83/2012
Tra le modifiche alla normativa fallimentare introdotte dal Decreto Legge n. 83/2012 recante “Misure urgenti per la crescita del Paese” una delle più attese era senz’altro la c.d. domanda di pre-concordato o domanda di concordato con riserva o domanda di concordato in bianco (secondo le varie denominazioni che nella prassi vengono attualmente attribuite alla domanda ex art. 161, comma 6, L.F.).
L’attenzione era del resto ben comprensibile. Si trattava di introdurre nel nostro ordinamento una procedura ispirata al c.d. Chapter 11 statunitense che ha dato più volte prova di efficienza e rapidità, consentendo, tra l’altro, i salvataggi di General Motors e Chrysler. Nessuna delle procedure concorsuali italiane si era in effetti, fino ad ora, guadagnata fama altrettanto positiva. Mentre negli Stati Uniti il tempestivo ricorso al Chapter 11 da parte delle società in crisi è una prassi consolidata e spesso un elemento chiave del successo delle operazioni di ristrutturazione, in Italia gli imprenditori, grandi e piccoli, avevano, fino ad ora, continuato a fare tutto quanto possibile per evitare l’accesso alle tipiche procedure concorsuali (concordato preventivo, amministrazione straordinaria e fallimento), privilegiando semmai il ricorso agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. o ai piani di risanamento attestati ex art. 67 l. fall.
Tra i principali pregi del Chapter 11 vi è la possibilità per un imprenditore in crisi di avviare immediatamente la procedura, mantenere la gestione dell’impresa (sotto la supervisione del giudice competente), predisporre il nuovo piano industriale e finanziario e condurre le negoziazioni con i vari soggetti coinvolti (soci, banche, fornitori, lavoratori ecc.) beneficiando di importanti norme di favore finalizzate a preservare la continuità aziendale durante le negoziazioni stesse (blocco delle azioni esecutive e cautelari, possibilità di essere autorizzati dal giudice a contrarre nuovo indebitamento c.d. senior o super-senior e non esposto al rischio di azioni revocatorie, sostanziale irrilevanza dei rischi di responsabilità penale a condizione che si rispettino le regole della procedura). La procedura di Chapter 11 costituisce quindi un c.d. safe harbournell’ambito del quale può essere più agevolmente individuata la corretta soluzione della crisi. Soluzione che poi l’imprenditore sottoporrà al voto dei creditori chiamati a decidere a maggioranza qualificata. In caso di votazione favorevole l’imprenditore potrà quindi attendersi di uscire rapidamente dalla procedura risanato.
Il nostro sistema, al contrario, imponeva all’imprenditore in crisi la dura scelta tra gettare la spugna – presentando istanza di fallimento o di ammissione all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (Prodi-bis o Marzano), i.e. procedure ad accesso immediato ma che comportano il passaggio della gestione ad un curatore o commissario – e condurre l’attività di predisposizione del nuovo piano industriale e finanziario e le negoziazioni (con i soci, con il ceto bancario, con possibili nuovi investitori, con i fornitori ecc.) al di fuori di una procedura concorsuale, con la conseguenza non solo di non poter beneficiare di nessuna delle predette tutele ma anche di esporsi al rischio di gravi responsabilità personali, sia in sede civile che penale, in caso di insuccesso del tentativo di ristrutturazione.
In particolare, diversamente dal Chapter 11, la normativa del concordato preventivo imponeva di presentare, insieme al ricorso introduttivo, sia il piano sia la dettagliata proposta ai creditori. Il ricorso per il concordato preventivo doveva quindi necessariamente seguire le negoziazioni (concordati non preceduti da negoziazioni si sono infatti rivelati possibili quasi solo in contesti puramente liquidatori). Lo stesso valeva di fatto anche per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.. Invero, nonostante il tentativo effettuato dal legislatore nel 2010, la moratoria durante le negoziazioni prevista dai commi 6, 7 e 8 del predetto articolo ha trovato scarsa applicazione per i suoi requisiti molto stringenti (il piano industriale e finanziario deve sostanzialmente essere completato, l’esperto – chiamato a rendere una dichiarazione gravosa – deve aver svolto buona parte della sua attività e le negoziazioni con i creditori devono essere a buon punto).
Il legislatore ha quindi deciso di intervenire sul punto con una riforma, come vedremo, di grande portata. I nuovi commi da 6 a 10 dell’art. 161 l. fall., applicabili ai procedimenti introdotti dall’11 settembre 2012, prevedono che l’imprenditore possa presentare una domanda di concordato allegando solamente i bilanci degli ultimi tre esercizi e riservandosi di depositare in seguito tutta la restante documentazione (inclusi tra l’altro il piano e la proposta). Il giudice fisserà un termine compreso fra 60 e 120 giorni, prorogabile in presenza di giustificati motivi di non oltre 60 giorni, per il deposito della documentazione mancante. Qualora penda procedimento per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, il termine è di 60 giorni prorogabile in presenza di giustificati motivi di non oltre 60 giorni. L’imprenditore ha anche la possibilità di depositare, in luogo della documentazione per il concordato preventivo e nello stesso termine, ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis (ovviamente qualora sia stato in grado nel frattempo di raggiungere tale accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti) conservando sino all’omologazione dell’accordo gli effetti prodotti dalla domanda di concordato. Si rileva inoltre che il tribunale ha il potere di disporre obblighi informativi periodici anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa.
La domanda di pre-concordato (o più precisamente la sua pubblicazione nel registro delle imprese) produce diversi effetti rilevanti. In particolare:
(i) i creditori per titolo o causa anteriore sono soggetti ad una moratoria ex lege (non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore fino allo spirare del predetto termine fissato dal giudice);
(ii) le ipoteche giudiziali eventualmente iscritte nei 90 giorni precedenti sono inefficaci;
(iii) l’imprenditore continua a gestire l’azienda relativamente all’attività ordinaria mentre deve chiedere l’autorizzazione del tribunale per compiere eventuali atti urgenti di straordinaria amministrazione;
(iv) le controparti terze vengono tutelate in quanto i loro crediti nascenti da atti legalmente compiuti dall’imprenditore sono prededucibili ai sensi dell’art. 111 l. fall.;
(v) le norme relative alla riduzione o perdita del capitale sociale e alla relativa causa di scioglimento della società (artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter, 2484, n.4 e 2545-duodecies del codice civile) sono sospese sino all’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis.
Inoltre il Tribunale può autorizzare (pure nel contesto di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis) l’imprenditore a contrarre finanziamenti prededucibili, eventualmente anche assistiti da pegno o ipoteca, e non soggetti al rischio di azioni revocatorie. L’autorizzazione può essere concessa non solo per specifici finanziamenti ma anche in via preventiva individuando esclusivamente tipologia ed entità dei finanziamenti e rimettendo la successiva negoziazione degli stessi all’imprenditore. Al riguardo, il legislatore ha tuttavia aggiunto un’importante condizione che, come vedremo a breve, ha notevoli conseguenze pratiche: l’esperto, verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, deve attestare che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori.
Il Tribunale può anche autorizzare l’imprenditore che presenta domanda di concordato preventivo, o di pre-concordato, con continuità aziendale a pagare crediti anteriori alla domanda verso i c.d. fornitori essenziali. Come noto, tutti i crediti anteriori dovrebbero essere cristallizzati e pagati successivamente all’omologa ma non di rado la continuazione dell’attività di un’azienda dipende da alcuni fornitori, ad esempio di materie prime, che tipicamente interrompono i rapporti se non pagati regolarmente. In tali casi l’applicazione rigorosa del principio di cristallizzazione dei crediti anteriori impedirebbe di preservare la continuità aziendale oppure, a monte, avrebbe costretto l’impresa a non avvalersi del concordato preventivo, in definitiva con un danno per i creditori stessi. Anche in questo caso però il legislatore ha previsto un importante intervento dell’esperto che deve attestare che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione non è richiesta solo nell’ipotesi, che ci si può attendere di limitata applicazione pratica, in cui l’imprenditore faccia fronte a tali pagamenti con nuovi fondi che gli siano forniti in forma di equity o tramite finanziamenti subordinati.
Sempre al fine di favorire la conservazione della continuità aziendale, il legislatore si è anche occupato, sotto due importanti profili, dei problemi posti dai contratti in corso di esecuzione nel momento in cui la domanda di concordato (e secondo diversi autori anche di pre-concordato) viene proposta. Per l’impresa in crisi, da un lato, la prosecuzione di alcuni contratti pendenti potrebbe risultare troppo onerosa (con conseguente danno per le prospettive di recupero dei creditori o addirittura impossibilità di proseguire l’attività) e, dall’altro lato, sussiste il rischio che le controparti si sciolgano dai contratti pendenti proprio per il fatto che l’imprenditore ha presentato domanda di concordato o pre-concordato con conseguente pregiudizio per la conservazione della continuità aziendale. Il legislatore ha quindi previsto chel’imprenditore possa chiedere al tribunale di autorizzare lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione o la loro sospensione per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta. Il terzo contraente avrà diritto ad un indennizzo (equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento) che sarà però soddisfatto in moneta concordataria (vale a dire come un qualsiasi credito chirografario anteriore alla domanda di concordato). Pur se la disciplina del concordato con continuità aziendale (che peraltro pone alcuni delicate questioni di coordinamento con la disciplina del pre-concordato) esula dall’oggetto di questo scritto, tuttavia si può rilevare che in tale fattispecie il legislatore ha previsto, tra l’altro, che, a certe condizioni, i contratti in corso di esecuzione, anche con le pubbliche amministrazioni, non si risolvano per effetto dell’apertura della procedura e che siano inefficaci eventuali patti contrari.
Così delineati i tratti chiave della nuova disciplina del pre-concordato o concordato con riserva o concordato in bianco (diciamo subito che le differenze tra le denominazioni in uso nella prassi, e la stessa difficoltà nell’individuarne una condivisa, non siano un aspetto irrilevante o puramente nominalistico bensì al contrario rappresentino un primo indice di alcuni concreti problemi applicativi), la prima conclusione da trarsi è a mio avviso legata ad un aspetto quantitativo. Se il legislatore voleva vincere la tradizionale diffidenza degli imprenditori italiani verso le procedure concorsuali, la pioggia di domande di pre-concordato che ha investito molti dei Tribunali italiani a partire dallo scorso 11 settembre indica che l’obiettivo è stato chiaramente raggiunto.
Indubbiamente si è aperta una fase nuova nella gestione delle crisi aziendali, o quantomeno di quelle più gravi, e sono stati messi a disposizione delle imprese importanti strumenti più adeguati alle esigenze dell’attuale sistema economico. Tuttavia si può sospettare che il colpo di fulmine di imprenditori e società per il pre-concordato (ma qui sarebbe meglio dire per il concordato in bianco) sia destinato a riservare in non pochi casi alcune amare soprese e possa talvolta terminare in burrascosi litigi anziché in un lungo e felice matrimonio.
Società ed imprenditori italiani non hanno infatti la consuetudine con le procedure concorsuali che negli Stati Uniti deriva da una lunga e temprata convivenza e che senz’altro facilita la comprensione, sin dall’inizio, dei vantaggi che la procedura potrà offrire ma anche dei sacrifici che richiederà.
La nuova normativa consente effettivamente all’imprenditore in crisi di accedere alle importanti tutele che abbiamo descritto presentando una vera e propria “domanda in bianco”, senza avere ancora iniziato ad elaborare un nuovo piano industriale e finanziario, senza avere avviato negoziazioni con i principali creditori e financo senza alcuna idea su quella che sarà la proposta che alla fine verrà sottoposta ai creditori stessi. Non bisogna anzi nascondersi che in moltissimi casi proprio questo è avvenuto sotto la spinta di decreti ingiuntivi, azioni esecutive o istanze fallimentari.
Tuttavia, una volta presentata la domanda di concordato in bianco, l’impresa si troverà ad affrontare alcuni difficili ostacoli il cui superamento è essenziale perché la continuità aziendale possa essere preservata. Il primo in ordine cronologico nella maggior parte dei casi sarà il mantenimento dell’operatività delle linee c.d. autoliquidanti (anticipo fatture, RIBA, s.b.f., ecc.). Al riguardo le banche avranno bisogno di comprendere se il mantenimento dell’operatività di tale linee debba considerarsi atto di ordinaria ammnistrazione, in quanto si continua ad eseguire un contratto pendente, oppure concessione di un nuovo finanziamento, che come tale deve essere autorizzato dal Tribunale e richiede l’attestazione dell’esperto di cui abbiamo parlato. Le Banche si chiederanno se i loro crediti siano o meno prededucibili e se, continuando a far operare le linee, possano trattenere gli incassi ricevuti dopo la domanda di concordato in bianco ma relativi a crediti anticipati prima (anche qualora non vi sia stata una cessione del credito debitamente notificata) o se stiano di fatto duplicando la loro esposizione. E’ quindi probabile che l’impresa debba presentare una specifica istanza al riguardo al tribunale e che nel frattempo si veda sospesa l’operatività.
Qualora l’impresa abbia necessità di nuovi finanziamenti (ma anche per continuare ad utilizzare le linee autoliquidanti nei casi in cui il tribunale non aderisca alla tesi che si tratti di un atto di ordinaria amministrazione) si troverà a dover produrre la già menzionata attestazione dell’esperto in relazione al fatto che tali finanziamenti, pur se prededucibili, sono comunque funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori chirografari. Tale attestazione, che presuppone anche una verifica del fabbisogno finanziario fino all’omologa, difficilmente potrà essere resa dall’esperto in assenza di un piano industriale e finanziario o di linee guida dello stesso. Le imprese che avessero presentato una vera e propria domanda di concordato in bianco potrebbero quindi trovarsi inizialmente nell’impossibilità di ricevere nuova finanza.
Per le stesse ragioni potrebbero trovarsi nell’impossibilità di venire autorizzate al pagamento dei crediti anteriori alla domanda verso i c.d. fornitori essenziali. Inoltre, alcuni tribunali si stanno orientando nel senso che anche l’autorizzazione a sciogliersi da contratti in corso di esecuzione ed in generale a compiere qualsiasi atto di straordinaria amministrazione richieda di fornire al tribunale un livello di informativa non compatibile con un concordato completamente in bianco.
Si potrebbe ritenere che quanto sopra non costituisca un vero problema ma configuri piuttosto una sorta di nuova fattispecie a formazione progressiva in cui l’imprenditore inizialmente deposita una domanda di concordato in bianco al fine di beneficiare della moratoria e in seguito integra progressivamente le informazioni in corrispondenza delle eventuali richieste di autorizzazioni al compimento di atti straordinari che si rendano necessarie.
Mi pare però che una simile conclusione non tenga in sufficiente considerazione il fattore tempo. I termini concessi dalla legge, che al momento della presentazione della domanda possono apparire relativamente confortevoli, rischiano di rivelare ben presto la loro natura estremamente stringente (sono di fatto più brevi di quelli sinora mediamente necessari per le operazioni di ristrutturazione, quantomeno di imprese di medie o grandi dimensioni). Tale problema potrà essere ulteriormente accentuato dall’orientamento conservativo di alcuni tribunali che stanno concedendo termini vicini a quello minimo di 60 giorni in tutti i casi in cui l’imprenditore non fornisca valide ragioni per l’ottenimento di un termine maggiore. Infine, anche qualora i tempi fossero complessivamente sufficienti, l’obiettivo di preservare la continuità aziendale probabilmente imporrà che alcuni atti straordinari (quali l’erogazione di nuova finanza, il pagamento di fornitori essenziali ecc.) siano compiuti con grande tempestività, pena l’impossibilità poi di perseguire un ragionevole piano di risanamento.
Sebbene sia difficile, e probabilmente fuori luogo, trarre conclusioni su una riforma di questa portata dopo così poco tempo dalla sua entrata in vigore, tuttavia alcuni suggerimenti pratici possono probabilmente essere dati sin da ora.
Il pre-concordato non elimina affatto l’importanza dell’attività preparatoria che deve essere svolta dall’imprenditore e dai suoi consulenti. Può sembrare una pausa o un sollievo, che giunge talvolta in situazioni difficilissime, ma costituisce al contrario un severo esame a cui è logico e prudente cercare di giungere il più preparati possibile.
Molto agevolati saranno gli imprenditori che avranno potuto svolgere prima del deposito della domanda una parte rilevante delle attività di predisposizione del piano e di negoziazione con le parti coinvolte (ivi incluso il ceto bancario). In ogni caso sarà fondamentale definire in anticipo sia la strategia nel cui contesto il pre-concordato si inserisce sia gli obiettivi tattici di breve periodo imposti dalle improrogabili esigenze della continuità aziendale e aver, per quanto possibile, approntato i mezzi per conseguirli.
L’impiego più naturale e fisiologico del pre-concordato si avrà quindi probabilmente quando nel corso della predisposizione del piano e di serie negoziazioni, giunti ad una fase non preliminare, si dovesse rendere necessario tutelare l’impresa per tutta la durata della restante parte del percorso da azioni di creditori oppure richiedere l’autorizzazione del tribunale al compimento di uno o più degli atti di straordinaria amministrazione illustrati in precedenza.
Un vero e proprio concordato in bianco non dovrebbe essere esperito se non in condizioni di assoluta emergenza ed in mancanza di alternative concretamente percorribili e comunque essendo ben consapevoli dei rischi e delle difficoltà a cui ci si espone.