Effetti del decesso di uno dei due soci di una
societa' di persone
Premessa
L'ipotesi della morte di un socio di societa' personale e regolata da due
norme: l'art. 2272, n. 4, c.c., il quale prevede lo scioglimento della societa'
quando sia venuta meno la pluralita' dei soci e questa non venga ricostituita nel
termine di sei mesi e l'art. 2284 che, qualora si verifichi la morte di uno dei
soci, pone a carico degli altri soci superstiti, salvo fattispecie particolari,
solo l'obbligo di liquidare la quota agli eredi.
Secondo l'opinione
prevalente in giurisprudenza ed in dottrina le due disposizioni appena descritte
sono compatibili anche nell'ipotesi di morte di un socio in una societa' composta
da due soli soci.
Tale orientamento viene fondato sulla considerazione che la
nascita del diritto degli eredi alla liquidazione della quota e lo scioglimento
della societa' sono, in sostanza, conseguenze di due eventi distinti: il primo
costituito dalla morte del socio ed il secondo dalla mancata ricostituzione
della pluralita' dei soci (in questo senso, Cass. 16 luglio 1976, n. 2812; Cass.
22 dicembre 1978, n. 6156; Cass. 16 febbraio 1981, n. 936; Cass. 6 febbraio
1984, n. 905; Cass. 14 marzo 2001, n. 3671).
Cio' comporta che, anche nelle
societa' con due soli soci, e possibile lo scioglimento limitato ad uno solo di
essi, senza che tale circostanza implichi lo scioglimento generale della societa'
( Cass. 11 aprile 1995, n. 4169; Trib. Palermo 3 febbraio 1984; Trib. Milano 14
gennaio 1988; Trib. Torino 10 febbraio 1994. Contra: Trib. Napoli 12 maggio
1993).
In quest'ultimo caso, il decesso del socio non comporta la
trasmissione mortis causa della sua qualita' agli eredi: lo
status sociale, infatti, comprende situazioni soggettive che non
possono essere accollate agli eredi senza il loro consenso (basti pensare alla
responsabilita' personale per le obbligazioni sociali precedenti che l'art. 2269
c.c., prevede a carico del nuovo socio e a quella per le nuove obbligazioni
sociali che e possibile assumere durante la liquidazione, pur senza violare il
divieto di nuove operazioni di cui all'art. 2279 c.c.).
1. Intrasmissibilita' mortis causa della qualita' di socio e diritto degli eredi alla liquidazione della quota
Sul piano normativo, peraltro, l'art. 2284, c.c., sancisce incontestabilmente
l'intrasmissibilita' mortis causa della qualita' di socio.
Conseguentemente, non e dato agli eredi alcun potere di interferire negli affari
sociali, sia in ordine all'eventualita' dello scioglimento della societa', sia in
ordine alla possibilita' di continuarla con i soci superstiti; cio' in quanto
l'ingresso in societa' degli eredi, e subordinato ad un accordo (espresso o
tacito) con i soci superstiti, unico riferimento valido per qualificare l'entita'
e le caratteristiche di un'eventuale loro partecipazione.
Con riguardo,
invece, al diritto alla liquidazione della quota, pur sorgendo immediatamente
per effetto della morte del socio, esso e esigibile dagli eredi solo quando sia
scaduto il sesto mese a partire da tale evento poiche', dovendo il relativo
debito essere adempiuto entro tale termine, il debitore ha il potere di
rinviarne l'adempimento fino a tale scadenza (in questo senso, Cass. 11 aprile
1995, n. 4169, argomentando dal combinato disposto degli artt. 2284 e 2289,
ultimo comma, c.c.).
La scadenza del termine semestrale, tuttavia, non
comporta la trasformazione del diritto alla liquidazione della quota, degli
eredi in quanto tali, in diritto allo scioglimento generale della societa' (Cass.
16 luglio 1976, n. 2812; 22 dicembre 1978, n. 6156.; 16 febbraio 1981, n. 936).
Ne - secondo la prevalente opinione giurisprudenziale - il diritto degli eredi
subisce una trasformazione in tal senso se - alla scadenza del termine,
anch'esso semestrale, di cui all'art. 2289, ultimo comma - resta insoddisfatto.
Il termine ex art. 2289, infatti, non ha alcun collegamento con quello
di cui all'art. 2272, n. 4: l'inutile scadenza del primo produce, quindi, solo
l'effetto di rendere immediatamente esigibile il credito e applicabile, alla
fattispecie, le disposizioni in materia di mora e di inadempimento.
Qualora,
poi, decorra inutilmente il termine semestrale a disposizione del socio
superstite per la ricostituzione della pluralita' dei soci, allora si avra'
l'automatico scioglimento anche della societa' e, quindi, pure la liquidazione
della stessa (secondo quanto dispone l'art. 2272, n. 4, c.c.).
L'orientamento
dominante, tuttavia, ritiene che se uno solo e il socio superstite, sono
inapplicabili gli artt. 2275 c.c. e ss. in tema di liquidazione della
societa'.
In particolare, deve escludersi che - oltre al socio superstite
(cfr. Cass. 16 febbraio 1981, n. 936 cit.) - alla liquidazione della societa'
possa procedersi dall'autorita' giudiziaria su richiesta degli eredi del socio
(cfr., Cass. 16 febbraio 1981, n. 936, cit.) o su autonoma iniziativa del
giudice, giacche l'intervento del giudice, a norma dell'art. 2275 c.c.,
presuppone un disaccordo tra i soci e tali non possono essere ritenuti gli eredi
del socio defunto (si veda Cass. 20 dicembre 1985 n. 6525 ).
Per la
liquidazione della societa', non essendo necessaria l'adozione di una procedura
formale (cfr., tra le altre, Cass. 22 novembre 1980, n. 6212), nulla impedisce
al socio superstite di procedere semplicemente all'estinzione di tutti i debiti
sociali verso i terzi (oltre a quelli verso gli eredi del socio defunto), in
modo da proseguire individualmente l'esercizio dell'attivita' imprenditoriale
attraverso l'utilizzazione dei beni costituendi il vecchio patrimonio sociale
(Cass. 6 febbraio 1984, n. 905).
2. Soggetti su cui grava l'obbligo della liquidazione della quota
Nel caso in cui non si verifichino i descritti presupposti per lo
scioglimento della societa', si discute se il diritto alla liquidazione della
quota spettante agli eredi del socio defunto debba esser fatto valere nei
confronti della societa', e debba quindi essere soddisfatto sul patrimonio
sociale (salva la eventuale responsabilita' sussidiaria ed illimitata degli altri
soci), o se invece al relativo pagamento siano tenuti direttamente ed
esclusivamente (nonche' solidalmente) i soci superstiti con il loro personale
patrimonio
Sulla questione, gli interpreti sono decisamente divisi.
Una
parte della giurisprudenza, infatti, individua nella societa' il soggetto su cui
grava tale obbligo in quanto e ormai pacificamente riconosciuta a quest'ultima
la qualifica di autonomo centro di diritti e doveri (cfr., Cass. 22 aprile 1994,
n. 3842; Cass. 28 gennaio 1993, n. 1027; Trib. Napoli 19 dicembre 1991; Trib.
Milano 12 gennaio 1989; Trib. Milano 12 giugno 1990; Cass. 16 luglio 1976, n.
2812; Cass. 3 aprile 1973, n. 896; Cass. 13 gennaio 1972, n. 103; App. Cagliari
21 maggio 1982; Trib. Monza 2 giugno 1989).
Anche la dottrina, salvo qualche
eccezione, e pressoche' unanime nel ritenere la societa' e non i singoli soci
quale soggetto tenuto alla liquidazione della quota agli eredi del socio defunto
(si veda, Rivolta; Belviso, Maugeri, Tarzia, Cottino, Galgano, Menghi, Di
Sabato; contra Ascarelli).
Nel senso, invece, che tale diritto debba essere
fatto valere nei confronti del socio superstite si esprime altra parte della
giurisprudenza (cfr., Cass. 11 aprile 1995, n. 4169.; Cass. 6 febbraio 1965, n.
186; Cass. 23 maggio 1972, n. 1577; Cass. 17 maggio 1974, n. 1439; Trib. Milano
8 giugno 1972; Trib. Perugia 5 marzo 1979; Trib. Torino 27 maggio 1982; Trib.
Milano 15 febbraio 1982; Trib. Milano 3 novembre 1986; Trib. Milano 14 gennaio
1988, e, recentemente, anche Cass. 14 marzo 2001, n. 3671).
Deve dirsi che le
argomentazioni logiche e sistematiche, addotte a sostegno delle due opposte
tesi, non mancano di rilievo. Ad una piu' attenta riflessione, tuttavia, la tesi
che fa gravare l'obbligo della liquidazione sul socio superstite non convince
fino in fondo.
Sul piano testuale, si osserva innanzitutto che l'art. 2284 cod.
civ. si limita a rimettere, salvo patto contrario, ai soci superstiti la scelta
tra liquidazione in favore degli eredi, scioglimento dell'intera societa', oppure
accettazione in societa' degli eredi, consenzienti ma non disciplina il modo in
cui deve realizzarsi la liquidazione della quota nel caso in cui gli altri soci
abbiano optato in tal senso.
D'altro canto non si capirebbe perche' il
legislatore abbia previsto l'obbligo di liquidazione a carico dei soci
superstiti nello specifico caso di morte di uno di essi e, invece, non abbia
inserito tale regola nell'ambito della disciplina piu' generale della
liquidazione del socio uscente di cui all'art. 2289, c.c. Si aggiunge, poi, che,
almeno per quel che concerne le societa' semplici, esiste un'altra ipotesi di
scioglimento del vincolo sociale circoscritto ad un socio (quella
dell'esclusione di diritto del socio nei cui confronti il creditore particolare
abbia ottenuto la liquidazione della quota), nella quale e incontestabile che
l'obbligo di liquidazione grava sul patrimonio sociale.
Sul piano
sostanziale, non sembra inoltre cogliere nel segno l'argomentazione fondata sul
diverso atteggiarsi dell'autonomia patrimoniale delle societa' di persone nei
rapporti con i terzi e nei rapporti interni al gruppo sociale, atteso l'oramai
pacifico riconoscimento delle societa' personali come autonomo centro di diritti
e doveri rispetto ai singoli partecipanti.
Infine, come acutamente rilevato,
la liquidazione della quota agli eredi del socio defunto appare configurata in
modo speculare rispetto all'opposta scelta di continuare la societa' con gli
stessi eredi. Da cio' puo' desumersi che, come in questo secondo caso gli eredi
divengono partecipi della societa' in forza del conferimento gia a suo tempo
eseguito dal loro dante causa a vantaggio del patrimonio sociale, cosi nel caso
opposto e logico che dal medesimo patrimonio sociale debba essere tratto il
controvalore della quota da liquidare (cfr. in tal senso Menghi, Rordorf).
3. Modalita' di calcolo della liquidazione della quota agli eredi
Quanto alle concrete modalita' di calcolo della quota che deve essere
liquidata agli eredi, la Suprema Corte ha affermato che il diritto l'avviamento
non e un bene ma una qualita' dell'azienda, quale complesso di beni organizzati
dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.), e si traduce
nel maggior valore che il complesso aziendale unitariamente considerato presenta
rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono (in questo
senso, Cass. 14 marzo 2001, n. 3671; Cass. 6 dicembre 1995, n. 12575; Cass. 2
agosto 1995, n. 8470; Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, cit.; conf. Tribunale
Verona 25 ottobre 1995).
In particolare, il principio stabilito dall'art.
2289 c.c. - a norma del quale in tutti i casi in cui il rapporto sociale si
scioglie limitatamente ad un socio la liquidazione della sua quota e fatta in
base alla situazione patrimoniale della societa' nel giorno in cui si verifica lo
scioglimento - comporta la computabilita' del valore di avviamento nella quota di
liquidazione spettante al socio uscente, al fine di evitare l'ingiusta
locupletazione, che altrimenti ne conseguirebbe, di colui il quale continua ad
avvalersi dell'organizzazione alla quale l'avviamento inerisce e giova (Cass. 2
agosto 1995, n. 8470, cit.).
Da tale premessa discende che non puo essere
condivisa la tesi secondo cui l'avviamento sarebbe un bene immateriale in
relazione al quale la valutazione della licenza di esercizio costituirebbe una
duplicazione.
Secondo i giudici di legittimita', infatti, l'avviamento e
qualita' non di elementi singoli, ma dell'azienda nel suo complesso; esso
pertanto rimane distinto dall'elemento "licenza" che postula una separata
valutazione in quanto elemento dotato di potenzialita' economica. Ne, in senso
contrario, puo' validamente argomentarsi che la licenza sarebbe strumentale
all'esercizio dell'impresa: ogni componente dell'azienda e infatti organizzato
dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa, per cui il carattere di
strumentalita' e insito in tale destinazione funzionale (Cass. 14 marzo 2001, n.
3671).
E', quest'ultima, una soluzione "in linea" con l'orientamento secondo
cui, la quota del socio deceduto di una societa' di persone dev'essere liquidata
in base alla situazione patrimoniale della societa' al momento della morte,
determinata secondo l'effettiva consistenza economica del patrimonio sociale,
prescindendo dai dati meramente contabili: a tal fine la valutazione
dell'avviamento non deve essere riferita solo alla situazione esistente al
momento del decesso del socio. Il concetto stesso di avviamento indica infatti
la potenzialita' dell'impresa di proseguire e sviluppare la sua attivita' nel
futuro e, quindi, la sua determinazione e imprescindibile dall'esame
dell'effettivo esercizio della attivita' della societa' negli anni successivi allo
scioglimento del rapporto societario limitatamente a un socio (cfr. Trib. Milano
3 novembre 1986).
Con riguardo alla valutazione dell'avviamento, si vedano
inoltre, Cass. 3 aprile 1973, n. 896, Trib. Milano 19 gennaio 1984 ed App.
Milano 20 settembre 1985, ibidem n. 4, 1986, 378, con nota di Betti).
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www.ipsoa.it - settembre 2005