DANNO ESISTENZIALE E DANNO MORALE:
DIFFERENZE E RISPETTIVI AMBITI DI APPLICAZIONE

Sovente, a seguito  di fatto illecito altrui,  non si verifica una vera e propria compromissione dell'integrità psico-fisica sfociante in una vera e propria patologia, con conseguenti riflessi sotto il profilo della cd "pecunia doloris", ma si determina un disagio definito dagli psichiatri come "depressione sottosoglia" che si manifesta con alterazioni della personalità del soggetto e del suo modo di essere consistenti nel disinteresse per attività prima piacevoli, nella passività, nel maggiore affaticamento, nella chiusura in se stessi, in disturbi del sonno, interrogativi sul significato della vita, riduzione dell'appetito, dell'attività sessuale , ecc.
Tali alterazioni comportamentali, ove conseguenti a fatto illecito, debbono trovare una adeguata forma di tutela risarcitoria, anche indipendentemente dalla circostanza che siano conseguenza di  fatto reato, ove vi sia una compromissione di valori costituzionalmente garantiti.
Ai fini del risarcimento del danno non reddituale subito dai soggetti lesi a causa di fatto illecito altrui, occorre analizzare e rapportare il relativo diritto alle recenti pronunce della giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale che hanno rivoluzionato il sistema risarcitorio antecedentemente vigente.
Appare utile, preliminarmente, distinguere le principali voci di danno non patrimoniale.
Il danno morale ricomprende il   dolore e le sofferenze cioè il  cd "pretium doloris"; il danno biologico  è costituito dalla lesione dell'integrà psico-fisica, suscettibile di accertamento medico-legale, risarcibile indipendentemente dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato; il danno esistenziale va individuato, in base alla stessa definizione del Prof. Cendon,  nella  lesione della personalità del soggetto, nel suo modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in un "agire altrimenti" o in un "non poter più fare come prima".
In particolare il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all'ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell'estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa.
Prima dell'ultimo intervento della giurisprudenza di legittimità e della Consulta, di cui si dirà, restavano esclusi  dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale, non risarcibile in mancanza di fatto reato e le alterazioni fisio-psichiche non rilevabili con criterio medico-legale
Tali limitazioni risarcitorie avevano dato luogo a profili di incostituzionalità sotto il profilo della parità di trattamento (art. 3 della Cost.)
Il danno morale soggettivo è stato recentemente ampliato  dalla Corte di Cassazione (col trittico di sentenze n. 7281, 7282, 7283 in data 12.5.2003), ricevendo un ulteriore avallo dalla Corte Costituzionale (sentenza n, 23 del 11.7.2003), ricomprendendo anche "la fattispecie corrispondente nella sua oggettività all'astratta previsione di una figura di reato, con la conseguente possibilità che, ai fini civili, la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge" (Corte Cost. 11.7.2003, n. 233), confermando l'orientamento già emerso dalle tre sentenze della Corte di Cassazione sopra citate.
E' stata  sottoposta a revisione critica la tradizionale tripartizione risarcitoria tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.), danno non patrimoniale (art 2059 c.c.), liquidabile, originariamente, ma con giurisprudenza consolidata fino al maggio 1993, solamente in caso di reato (art. 185 c.p.) e danno biologico, di cui tuttora è  controversa la natura patrimoniale o non patrimoniale, liquidabile comunque, indipendentemente dalla natura giuridica, in base alla sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986, trattandosi della lesione di un bene costituzionalmente garantito, quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.), in base al combinato disposto dell'art. 2043 c.c. (e non , invece, 2059 c.c. dando così origine alle incertezze sulla sua natura giuridica) e la norma costituzionale di riferimento.
Il processo di costituzionalizzazione del diritto civile consente, di interpretare le  relative norme alla luce dei principi fondamentali della stessa Carta Costituzionale che non possono essere, essere, comunque, frustrati dalla legge ordinaria
In particolare occorre far riferimento all'art. 2 della Carta Costituzionale che "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"
La stessa Corte di Cassazione ha indicato una chiave di lettura costituzionale dell'art. 2059 c.c. (Cass. n. 8827 e n. 8828 del 31.5.2003), ribadita dalla corte Costituzionale che ha ritenuto ("per relationem") corretta l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c..
Appare, peraltro, auspicabile  la "reductio ad unum"  del danno non patrimoniale,  individuando tutte  voci di danno che ne confluiscono e verificare se la liquidazione possa essere o meno unitaria.
In base agli ultimi citati orientamenti giurisprudenziali anche il danno biologico può legittimamente essere inserito nel danno non patrimoniale
Nell'ambito del danno non patrimoniale dovrebbero, quindi, essere ricompresi il danno morale soggettivo  , il danno biologico e il danno esistenziale, nella accezione già indicata
Quest'ultima voce di danno ha trovato riconoscimento, oltre che nella giurisprudenza di merito, anche nella giurisprudenza della S.C. e , per ultimo, della Corte Costituzionale (sentenza n. 233/2003), quale "danno derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona".
Quanto alla discussa natura giuridica dei danni biologico ed esistenziale, la stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 233/2003) attribuisce al  danno biologico natura di danno non patrimoniale, aderendo alla recente interpretazione della Corte di Cassazione che auspica una definitiva collocazione del danno biologico nell'alveo del danno non patrimoniale (Cass. 31.5.2003, n. 8827 e n. 8828)
Le novità giurisprudenziali consentono, ai  fini di una equa liquidazione dei danni subiti dalla vittima,  una  valutazione unitaria dell'entità e delle ripercussioni negative sulla personalità del soggetto offeso, al fine di pervenire ad una liquidazione unitaria, "nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale", auspicato dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 233 del luglio 2003, anche sull'orientamento espresso nelle recenti pronunce della Corte di Cassazione (CASS. 31.5.2003, n. 8827 e n. 8828).
Il principio ispiratore della Consulta è individuabile nella  tutela integrale di tutti i diritti della personalità , intesi anche come diritti dell'individuo che, pertanto, vanno risarciti senza limitazione alcuna.
La liquidazione del danno non patrimoniale, quale categoria unitaria, pur con la necessaria  distinzione, al suo interno, delle voci che lo compongono, consentirà di evitare duplicazioni risarcitorie, possibili, invece, nel caso di separati risarcimento di autonome voci di danno.
Sia il danno biologico che il danno esistenziale vanno, quindi, inquadrati nel danno non patrimoniale, trattandosi, in entrambi i casi,  di danno non reddituale, quale conseguenza di evento lesivo che non incide direttamente sulla capacità di guadagno o patrimoniale dei soggetti lesi, ma che ha ripercussione sullo stato di salute del soggetto leso (danno biologico) o sui rapporti extra -lavorativi e più specificamente familiari, di intrattenimento o svago, sociali e culturali (danno esistenziale)
Tale ultima voce di danno  è individuabile nelle  ripercussioni sulle attività non reddituali dei danneggiati ed, in particolare, nella  alterazione delle normali abitudini di vita e  va distinta dal danno biologico in senso stretto, in quanto non comporta un'alterazione dello stato di salute o l'insorgere di una malattia, ma  consiste in un'alterazione dei normali ritmi di vita che si riflettono sulla personalità del soggetto danneggiato, incidendo negativamente, sulle normali attività quotidiane e provocando uno stato di disagio conseguente alla impossibilità di  esplicazione di attività realizzatrici della persona umana, pur non cagionando una vera e propria patologia sotto il profilo medico-legale.
La tutela deve quindi ammettersi in base al precetto costituzionale violato, indipendentemente dalla prova di perdite patrimoniali, in quanto oggetto del risarcimento è la diminuzione o privazioni di valori della persona inerenti al bene protetto.
Sia per il danno biologico che per quello esistenziale il precetto costituzionale consente di fondare un sistema completo di garanzia del principio generale del "neminem laedere", inteso quale violazione di un diritto fondamentale dell'individuo, tutelabile, senza limitazioni risarcitorie, ex art 2059 c.c.. che , interpretato ed applicato, per il danno esistenziale, alla luce dell'art. 2 della Costituzione, va esteso fino a ricomprendere la  risarcibilità anche di tutti i danni connessi alla mancata realizzazione della persona umana.
Altro delicato problema concerne l'onere della prova.
Trattandosi di danno "evento" , conseguente alla accertata lesione di un diritto fondamentale dell'individuo ne andrebbe riconosciuta "la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale" (cfr in tema di danno biologico, Corte Cost., 14.7.1986, n. 184). Occorre, peraltro, accertare quali prove siano sufficienti ai fini risarcitori
Un orientamento, seguito anche dalla S.C. , ritiene che la prova della lesione di un diritto costituzionale è anche prova del danno, nel senso che la lesione è  "in re ipsa" (CASS., 3.4.2001, n. 4881 e CASS, 10.5.2001, n. 6507).
Occorre, tuttavia, accertare se l'accertata violazione di un diritto fondamentale attribuisca il  diritto al risarcimento del danno, anche senza necessità di prova specifica.
A tale quesito ritengo debba darsi risposta negativa.
La prova dell'esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno.
Nel codice civile sono previste forme di responsabilità oggettiva (es: responsabilità dei genitori per fatti commessi dai figli minori, art. 2047 cod. civ.; dei datori di lavoro, art. 2049 cod. civ.) o presunta (artt. 2050-2054 cod. civ.), ma  non è prevista alcun danno di natura oggettiva, risarcibile indipendentemente dalla sua prova né alcuna  presunzione di danno, e la tutela accordata alla lesione di valori costituzionali, anche in mancanza di una normativa specifica, non può legittimare l'esclusione della prova del danno.
La necessità della prova del danno, anche in caso di violazione di diritti fondamentali della persona non è, inoltre,  contrastante  con i principi della Carta Costituzionale, vigendo anche in materia di onere della prova del danno la generale enunciazione di cui all'art. 2697 cod. civ.
Peraltro Il risarcimento del danno esistenziale, riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i diritti fondamentali della persona, non può fondarsi su considerazioni che, sia pure basate sulla comune esperienza, si limitino ad un aspetto interiore della persona lesa, occorrendo la prova dell'incidenza, in concreto, della lesione di valori fondamentali dell'individuo sulle attività realizzatrici del soggetto danneggiato, con conseguente alterazione, di contenuto apprezzabile, della personalità del soggetto, sia sotto il profilo personale che relazionale, quindi "esterno" ,quale conseguenza del fatto illecito altrui.
Anche se la lesione, in tal caso, è "in re ipsa", non ne può discendere, quale corollario, che  il danno debba essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l'onere di fornire la prova della sua esistenza, costituendo la lesione di valori costituzionali un semplice indizio, sia pure di valenza pregnante, dell'esistenza del danno che, tuttavia, dovrà essere provato facendo ricorso ai principi generali in tema di prova.
Si ritiene che la prova, per le considerazioni dianzi espresse,  possa essere agevolata o meno rigorosa, anche mediante il ricorso, in base al prudente apprezzamento del giudicante, alle presunzioni, ai "fatti notori", alle massime di "comune esperienza", ma senza esonerare il danneggiante dall'onere di allegare i fatti e gli elementi concreti posti a  fondamento della richiesta risarcitoria.
Peraltro costituisce principio pacifico, che, anche ove si ricorra alla valutazione equitativa, nel caso in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare (art. 1226 c.c.), occorra pur sempre fornire la prova del danno stesso.   
Non può infatti escludersi, in linea di principio, che la lesione di valori costituzionali, non provochi, per ragioni peculiari o contingenti legati alla sfera soggettiva del soggetto leso o alle particolari situazioni ambientali, alcun danno concreto nella sfera del danneggiato.
Relativamente ai mezzi di prova ammissibili , in mancanza di un accertamento medico-legale, potrà anche farsi riferimento alle presunzioni semplici o a  situazioni reali, di valenza sintomatica, da cui desumere in termini di certezza o di elevata probabilità, l'effettività del pregiudizio subito.
Si ritiene, invece, che occorra cautela qualora si voglia fondare la tutela risarcitoria sui  "fatti notori" o sulle nozioni di "comune esperienza", in mancanza di riscontri concreti, riferibili alla fattispecie in esame, che consentano l'utilizzazione a fini probatori di tali  elementi presuntivi, in quanto ogni individuo ha una propria personalità , unica e diversa da ogni altro soggetto e, quindi,  diverse da individuo a individuo saranno le conseguenze psichiche  collegate a fatti illeciti di valenza simile, sotto il profilo della concreta incidenza sulla personalità del soggetto leso.
Nondimeno sarà, in linea generale, ammissibile, ai fini della prova del danno,  Il ricorso alle cd. presunzioni semplici, che dovranno tenere conto non solamente degli aspetti cd "interni" della lesione esistenziale, ma anche e soprattutto delle ripercussioni nell'ambito cd "esterno". In mancanza di tali ulteriori elementi la tutela risarcitoria, ove fondata su presunzioni, va riconosciuta in quella minima, individuata dal giudice in base a parametri riferibili alla fattispecie, astrattamente considerata. 
Il criterio risarcitorio, non può, allo stato, che essere equitativo, ex art. 1226 cod.civ., stante le difficoltà intuitive di pervenire, per la particolare natura del danno,  ad una sua precisa quantificazione.
Tuttavia, ai fini della determinazione del "quantum", occorre individuare , per evitare possibili liquidazioni arbitrarie, parametri di valutazione omogenei che tengano conto di tutti gli elementi della fattispecie;  pertanto, a fini esemplificativi,  si dovrà tenere conto : a) della personalità del soggetto leso; b) dell'interesse violato; c) dell' attività svolta dalla vittima; d) delle ripercussioni del fatto illecito sulla personalità del soggetto leso; e) delle alterazioni, provocate dal fatto illecito, anche nell'ambito familiare e sociale del danneggiato
Qualunque danno alla persona può determinare ripercussioni negative alla sfera individuale e soggettiva riconducibili astrattamente sia al danno morale, sia al danno alla salute, sia al disagio conseguente all'impossibilità di realizzare attività che prima si era solito attuare e certamente la  visione unitaria di tali compromissioni agevola il giudice nell'equa quantificazione del danno  da rapportare all'effettivo pregiudizio subito che non può subire limitazioni, avendo il danneggiato il diritto all'integrale risarcimento, in caso di violazioni di diritti costituzionalmente garantiti.
Le tre voci risarcitorie, nell'ambito dell'unitaria liquidazione del danno non patrimoniale, potranno essere individuate alternativamente o cumulativamente.
Ai fini della imputabilità al danneggiante occorre sempre accertare, tuttavia, il nesso di causalità "adeguato" tra fatto illecito ed evento, acclarando se  il primo sia astrattamente idoneo a provocare l'evento lesivo
In sintesi e riassumendo, ove  il fatto illecito costituisca violazione del diritto alla libera estrinsecazione della personalità della vittima, sorgerà sempre l'obbligazione risarcitoria, trattandosi di violazione di un  diritto  garantito dall'art. 2 della Costituzione, che  tutela i "diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", e ricomprende  anche le attività di svago, culturali , di intrattenimento, di riposo, di relax, ecc. che incidono, con modalità e gradi diversi,  conseguenti alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità, nella  sfera psichica del soggetto leso, ove venga alterato, in misura non irrilevante, l'ambito dei rapporti  interpersonali  (familiari, sociali, culturali, affettivi, etc).
Trattasi, generalmente,  di alterazioni non riconducibili direttamente ad una lesione psichica, accertabile medicalmente, ma che, tuttavia, appaiono suscettibili di tutela, provocando  una alterazione del modo di essere dell'individuo che, se non assume rilievo sotto il profilo del danno psichico in senso stretto, connesso ad una vera e propria patologia, lede tuttavia diritti fondamentali dell'individuo, di rango costituzionale, che vanno tutelati dall'ordinamento, indipendentemente da limitazioni risarcitorie previste da singole leggi ordinarie.
Un ulteriore profilo concerne la imputabilità al danneggiante dei danni di natura psichica psichici agevolati dalla predisposizione della vittima .
Deve  escludersi  che lo stato di particolare debolezza emotiva della vittima possa determinare una attenuazione della responsabilità o una riduzione del risarcimento, ma ciò solamente qualora il fatto sia ritenuto sufficiente a provocare il danno psichico, in base ad un giudizio di valore che si fondi sul senso comune.
Solamente in tal caso, anche se la vittima versi in uno stato di particolare sensibilità emotiva che dia causa a danni psichici più gravi di quelli prevedibili, ritengo che questi ultimi debbano essere risarciti integralmente e sempre che  si provi che le ripercussioni psichiche negative, pur accertate, siano riconducibili causalmente al fatto illecito.
Ove ricorra tale evenienza il risarcimento del danno dovrà essere integrale, indipendentemente dalle pregresse condizioni psichiche del soggetto.
Un diverso orientamento ritiene che dovrebbe operarsi, invece, una valutazione "ex ante" e considerare la situazione preesistente, limitando il risarcimento all'aggravamento delle condizioni psichiche della vittima (come ipotetico corrispettivo di un'assicurazione contro i danni).
Sarà la giurisprudenza a dare la spinta decisiva verso l'uno o l'altro orientamento. 

Autore: Dott. Domenico Chindemi - Consigliere della Corte d'Appello di Milano - Tratto dal sito: www.lapraticaforense.it