L'accertamento in via presuntiva del
danno da dequalificazione

(commento alla sentenza Cassazione Sezione Lavoro n. 24732/2008)

 

Autore: D. Trombino (www.ilpersonale.it 13/11/2008)

Lavoratore di alto profilo professionale costretto ad adire le vie legali, per aver subito dequalificazione, dopo essersi assentato a causa di grave malattia.
Una volta rientrato fu  destinato dapprima ad attività di studio, successivamente privato di ogni incarico. Per quattro anni fu totalmente emarginato dall'attività lavorativa.

Dalla complessa vicenda processuale, rileviamo innanzitutto quanto affermato dal Tribunale, nell'accogliere la domanda di risarcimento del danno professionale, in misura pari al 40% della retribuzione relativa al periodo del demansionamento, contestualmente rigettando la domanda di risarcimento del danno d'immagine, con la seguente motivazione: "Nella fattispecie, non sembra possa negarsi che una lesione alla personalità morale ed al bagaglio di capacità professionali si sia verificata sia in considerazione del notevolmente lungo tempo in cui il demansionamento si è protratto (1992 - 1997), sia per l'elevata qualificazione raggiunta dal lavoratore, sia per la considerevole anzianità di servizio, con presumibile raggiungimento di un alto livello di esperienza specifica, sia per il fatto che non sono state semplicemente attribuite mansioni inferiori, ma il lavoratore è stato lasciato quasi in totale inerzia, salvo lo svolgimento di compiti di scarso impegno qualitativo e quantitativo. A diverse conclusioni, invece, può giungersi quanto al più specifico danno all'immagine professionale poiché Attilio S. non ha dedotto specifici elementi di fatto da cui possa desumersi che l'immagine professionale e cioè la stima e la considerazione di cui il lavoratore godeva innanzi tutto nel suo ambiente di lavoro, potesse essere diminuita per effetto del demansionamento, non essendo a ciò sufficiente il fatto in sé della dequalificazione" (1).

Senza scendere nel dettaglio delle censure sollevate nel ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale, peraltro da entrambe le parti, rileviamo soltanto, in quanto d'odierno interesse, che la Sezione Lavoro s'è pronunciata sul caso con la sentenza n. 24732 del 7 ottobre 2008, ribadendo che il danno da dequalificazione può essere accertato in via presuntiva.
In particolare, secondo la Suprema Corte, il giudice del merito ha propriamente dedotto la grave costrizione imposta allo sviluppo delle attitudini del lavoratore ed al processo d'arricchimento della sua esperienza specifica, ergo la ricorrenza del danno professionale, stante l'accertata diversità delle mansioni da ultimo assegnategli, rispetto a quelle in precedenza svolte, prima che la totale inerzia, di cui s'è detto sopra.

In altra occasione (2), annotando la sentenza della Sezione Lavoro n. 20616 del 22 settembre 2006, su fattispecie analoga, abbiamo richiamato la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite civili della Cassazione, n. 6572 del 24 marzo 2006. Un intervento volto a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto in argomento (3), con il quale è stato escluso che il danno possa essere ravvisato come conseguenza automatica del comportamento del datore di lavoro ed affermata la necessità della prova (iuxta alligata et probata).
Nondimeno, è stato ivi precisato che il giudice di merito, una volta accertato che vi sia stata dequalificazione, può desumere l'esistenza del danno da elementi probatori, anche solo presuntivi, elaborati attraverso processo logico giuridico: una deduzione che consente al giudice, partendo dalla conoscenza di un fatto noto, di ricostruire il fatto ignoto (4).
E' l'applicazione del principio dell'id quod prerumque accidit (presunzione semplice), in virtù del quale si fa riferimento a ciò che normalmente si verifica, come effetto di uno specifico accadimento, non diversamente provato.  
Siffatto principio, in particolare, ci dice che la coatta inoperosità cagiona una rilevante lesione all'immagine professionale del lavoratore.
L'intensità di tale lesione è strettamente dipendente dal livello della posizione occupata e dal ruolo effettivamente svolto: tanto più elevati sono tanto maggiore è il pregiudizio subito, senza tralasciare la frustrazione del fondamentale bisogno umano di percepirsi e farsi percepire utile nel contesto lavorativo (5) e nella società.
La dequalificazione professionale può scaturire da diverse condotte del datore di lavoro, di là dalla specifica violazione dell'art. 2103 C.C. (nei casi di demansionamento), con conseguenti danni, di varia natura, per il lavoratore che la subisce.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, è stata accertata la sussistenza di un danno da demansionamento, nella forma di danno alla professionalità (6), mentre è stata esclusa, come detto,  la risarcibilità d'altri profili di danno, segnatamente quello all'immagine, non adeguatamente provato dal lavoratore.
Secondo le Sezioni Unite, i fatti noti dai quali muovere posso essere rappresentati: dal periodo d'esposizione agli atti dequalificanti, dalla loro gravità, dalla risonanza all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro, dalla mortificazione di "(precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale", dai fatti attestanti l'incrinatura delle relazioni tra lavoratore e datore di lavoroe, oltre tutto, dagli "effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto" (7).

Si segnala, in conclusione, per quanto occorrer possa, la posizione giurisprudenziale in materia di dequalificazione professionale per omissione, con riferimento all'inottemperanza da parte del datore di lavoro dell'obbligo di curare l'aggiornamento professionale del dipendente, che, a ben vedere,  può ricorrere, specie in ipotesi d'inattività totale, considerato il sostanziale disinteresse per la prestazione lavorativa del dipendente, sotteso ad un tale comportamento.

La Sezione Lavoro della Cassazione Civile, con la recente sentenza n. 11142 del 7 maggio 2008 (7), ha ben chiarito che "in linea generale, tra gli obblighi del datore lavoro non rientra quello di curare la formazione professionale del dipendente per metterlo in grado di eseguire esattamente la prestazione lavorativa. Ma un obbligo specifico sorge (.) allorché, per effetto di scelte imprenditoriali (.) si introducono radicali innovazioni dei sistemi e metodi tali da incidere, modificandoli, sugli originari contenuti dell'oggetto della prestazione lavorativa. In siffatte ipotesi, i precetti desumibili dalle clausole generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto di lavoro (art. 1175 e 1375 c.c.) fondano l'obbligo dell'impresa di predisporre strumenti di formazione idonei a consentire il necessario aggiornamento professionale del dipendente".

Autore: D. Trombino (www.ilpersonale.it 13/11/2008)

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NOTE

(1) Da www.legge-e-giustizia.it, ottobre 2008, nella nota alla sentenza in esame.

(2) "Sufficienza della prova per presunzioni nel danno da demansionamento", in questa rivista 18/10/2006.

(3) Fra i giudici che ritenevano sufficiente dimostrare la mera potenzialità dannosa della condotta subita - in pratica, il pregiudizio considerato insito all'azione lesiva - e altri secondo i quali  il lavoratore deve sempre fornire la prova della sussistenza del danno alla propria professionalità ed evidentemente il nesso eziologico con la condotta lesiva, anche come presupposto indispensabile per una valutazione equitativa, da parte del giudice, nel rispetto della norma di cui all'art. 2697 C.C..

(4) L'articolo 115 C.p.c., rubricato "Disponibilità delle prove", così dispone: "Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza". In base a tale norma il giudice può formare il proprio convincimento sulla base dei c.d. fatti notori, circostanze che le parti non hanno bisogno di provare, stante la loro oggettiva divulgazione ed incontestabilità.

(5) In tal senso Cassazione 10/2002, 1443/2002.

(6) Con riferimento al danno professionale, in ipotesi di provvedimento disciplinare illegittimo, "Danno professionale subito a causa di trasferimento illegittimo", in questa rivista 19/9/2006.  

(7) Ce ne siamo occupati in questa rivista "Dequalificazione professionale per omissione: la sentenza n. 11142/2008 della Sezione Lavoro" 11/9/2008.