LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA STATUISCE CHE IL CONSUMATORE PUO’ CONTESTARE L’ABUSIVITA’ DI CLAUSOLE ANCHE NELLE PROCEDURE ESECUTIVE PROMOSSE A SEGUITO DI DECRETI INGIUNTIVI NON OPPOSTI

Sulla questione, sollevata da giudici italiani e spagnoli, si è espressa la Corte di Giustizia della Comunità Europea il 17 maggio 2022, che si è pronunciata su varie domande di pronuncia pregiudiziale, vertenti sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE [1] concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

Sulle cause C-693/19 e C-831/19, di rinvio pregiudiziale [2], aventi ad oggetto l’interpretazione degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Corte di Giustizia si è pronunciata con la sentenza del 17.5.2022. Tali domande venivano presentate nell’ambito di procedimenti di esecuzioni forzate basati su titoli esecutivi (decreti ingiuntivi) che avevano acquisito autorità di cosa giudicata, per mancata opposizione.

La Corte di Giustizia Europea ha riunito le domande di pronuncia pregiudiziale ed ha statuito il seguente principio di diritto:

“L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa �€' per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità �€'successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo.”

Sulla normativa dell’Unione Europea di riferimento va precisato quanto segue:

  1. Direttiva 93/13, L’articolo 2, lettera b), di tale direttiva così dispone: «Ai fini della presente direttiva si intende per: (…) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale”.
  2. L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva prevede quanto segue: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
  3. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva: «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
  4. Art. 47 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea che prevede il diritto ad un ricorso effettivo per l’ipotesi di violazione di diritti e libertà garantiti dal diritto dell’Unione.

Secondo la statuizione della Corte sarebbe irrilevante il c.d.  “Giudicato implicito”, generatosi a seguito del decreto ingiuntivo non opposto entro i 40 giorni previsti dall’ art. 647 del codice di rito italiano.

Il Tribunale di Milano con provvedimento del 31/10/2019[3] depositato presso il registro della Corte di Giustizia Europea in data 14 novembre 2019 N. C-831/19 ha mosso le seguenti questioni pregiudiziali in un procedimento esecutivo il cui titolo non è stato opposto costituendo pertanto un giudicato esplicito ed implicito, e chiedendo alla CGUE: a) “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato. b) “Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualifìcabilità del fideiussore come consumatore. E ciò ai sensi dell’art. 33, co. 1, d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. “codice del consumo”) che contiene la vigente disciplina nazionale di trasposizione dell’art. 3.1 della direttiva 93/13/CEE: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Il Tribunale di Milano effettuava il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito alla possibilità, negata dal diritto processuale italiano, di consentire al Giudice dell’esecuzione la valutazione della vessatorietà di un contratto di fideiussione, nel caso de quo trattasi di decreto ingiuntivo non opposto dal Fideiussore-Consumatore, e quindi in sostanza, se esiste una possibilità per quest’ultimo di bloccare l’esecuzione in corso.

In particolare, il codice di rito italiano dispone sul procedimento d’ingiunzione due regole fondamentali:

  1. L’articolo 647, intitolato «Esecutorietà per mancata opposizione o per mancata attività dell’opponente», così recita: «Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito, il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo. (…) Quando il decreto è stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l’opposizione non può essere più proposta né proseguita, salvo il disposto dell’articolo 650, e la cauzione eventualmente prestata è liberata».
  2. L’articolo 650, relativo all’opposizione tardiva: «L’intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. L’opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione».

Il giudice del rinvio riferiva che, secondo la giurisprudenza maggioritaria della Corte suprema di Cassazione, il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro che non sia stato oggetto di opposizione, acquista autorità di cosa giudicata, non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda. Tale giurisprudenza ha portato ad applicare al decreto ingiuntivo non opposto il principio del «giudicato implicito», secondo il quale si ritiene che il giudice che si è pronunciato su una determinata questione abbia necessariamente risolto tutte le altre questioni preliminari. Il tutto in evidente spregio del diritto di difesa sancito all’ art. 113 Cost. secondo cui “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. 

La questione posta dal Tribunale di Milano ha un’importanza epocale, perché il principio sancito dalla CGUE può estendersi oltre la nullità delle fideiussioni ed applicarsi a tutti i contratti in cui ci sia uno squilibrio tra consumatore e professionista.

Ed infatti la direttiva 93/13 e in particolare l’art. 7.1 impone agli Stati membri di fornire al Consumatore (inteso come contraente-debole) mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti.

Nel caso sottoposto al vaglio del Giudice italiano era controversa la qualifica di consumatore del fideiussore esecutato (socio non amministratore della società garantita con una quota del 22% del capitale sociale).

Il giudice del rinvio riteneva che, nella controversia dinanzi ad esso pendente, l’esecutato fosse qualificabile come consumatore, per i seguenti motivi:

1.alla data in cui aveva stipulato i contratti di fideiussione di cui al procedimento principale, non aveva acquistato la sua integrale partecipazione nel capitale sociale della società debitrice, che ammontava al 22%;

2.non risultava provato il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività [4];

  1. non avrebbe percepito utili in relazione alle quote detenute;
  2. era appurato che, dal 1976, era titolare di un rapporto di lavoro dipendente con un’altra società e che, di conseguenza, al momento della conclusione dei contratti di fideiussione, non aveva alcun collegamento di natura funzionale con la debitrice principale garantita.

Di conseguenza il Giudice di Milano rilevava che l’esecutato non avesse potuto decidere se opporsi al decreto ingiuntivo con cognizione di causa, se era opportuno invocare, il carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti conclusi con il professionista e con cui aveva prestato la garanzia, in quanto all’epoca ignorava il suo status di consumatore. I fatti di causa avvenivano prima del 2015, anno in cui la Corte di Giustizia (e dopo la Cassazione) hanno chiarito quando il fideiussore sia qualificabile o meno quale consumatore.

Pertanto, il giudice del rinvio si chiedeva se l’assenza di certezza quanto alla possibilità di qualificare un fideiussore come consumatore, alla data in cui sono stati emessi i titoli esecutivi de quo, possa rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dalla normativa nazionale, (codice del consumo) di recepimento della direttiva 93/13.

Ciò considerato, il Tribunale di Milano decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

a)“Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato.

b)“Se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere su un’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualifìcabilità del fideiussore come consumatore.

Orbene secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia Europea, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione (v., in particolare, sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C�€'421/14, EU:C:2017:60)

Alla luce di una tale situazione di inferiorità-squilibrio, l’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori e siano quindi NULLE. Si tratta di una disposizione imperativa tesa a rimediare lo squilibrio contrattuale delle parti e finalizzata a ristabilire l’uguaglianza (v., in particolare, sentenze del 21dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C�€'154/15, C�€'307/15 e C�€'308/15, EU:C:2016:980, punti 53 e55, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C�€'421/14, EU:C:2017:60, punto 41).

A tal proposito, dalla giurisprudenza costante della Corte risulta che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C�€'415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; del 21 dicembre2016, Gutiérrez Naranjo e a., C�€'154/15, C�€'307/15 e C�€'308/15, EU:C:2016:980, il rispetto, e del 26gennaio 2017, Banco Primus, C�€'421/14, EU:C:2017:60, punto 43). Da qui ne discende la rilevabilità officiosa della nullità del titolo esecutivo per violazione della normativa posta a tutela del consumatore.

Nonostante l’importanza che il principio di autorità di cosa giudicata rivesta nell’ordinamento italiano [5] e nel diritto dell’Unione in genere, la Corte ha ribadito che l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

La Corte dichiara poi che il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 [6] e che gli Stati membri sono obbligati a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive [7].

In linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, ed esse sono pertanto soggette all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri. Le disposizioni procedurali nazionali devono soddisfare il principio di effettività, vale a dire assolvere un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva [8]. A tale riguardo, la Corte ritiene che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non possa essere garantito [9]. Sulla base di tali considerazioni la Corte si è pronuncia su le quattro sentenze [10].

È irrilevante anche la circostanza secondo cui il consumatore – fideiussore, ignorasse la sua qualifica di contraente debole al momento in cui gli sia stato notificato il decreto ingiuntivo.

La conseguenza logico giuridica di tale affermazione comporterebbe che anche i decreti ingiuntivi passati in giudicato potranno essere opposti, e la relativa nullità del titolo potrà essere rilevata d’ufficio dal Giudice dell’esecuzione anche solo se la garanzia personale ed il decreto ingiuntivo non opposto siano anteriori al 2015, ovvero prima che la Corte di Giustizia (cui poi ha fatto eco la Cassazione) procedesse a chiarire quando il fideiussore sia qualificabile quale consumatore.

È irrilevante anche lo stato in cui si trova il giudizio di esecuzione, nel senso che il Giudice è chiamato a pronunciarsi sulla nullità del titolo con cui è stata azionata la procedura esecutiva in qualunque momento.

Nell’ipotesi in cui il bene staggito sia stato venduto all’asta, secondo la Corte, è inoltre necessario assicurare al consumatore il risarcimento del danno patito. (Rinvio pregiudiziale Tribunale Spagnolo) Pertanto, la rilevazione delle nullità non è soggetta a preclusioni processuali di sorta avanti il Giudice dell’esecuzione; qualora il bene esecutato sia stato già aggiudicato all’asta, il Consumatore ha comunque diritto al risarcimento del danno.

Per quanto riguarda il rinvio pregiudiziale dello Stato della Romania, la Corte ha statuito che il cd Tasso floor [11] è da considerarsi clausola vessatoria per mancanza di trasparenza. Il consumatore che sia stato obbligato a pagare una somma di denaro in interessi, scaturenti da un mutuo con tasso floor sarà legittimato alla restituzione di quanto indebitamente pagato in applicazione della clausola.

In conclusione, nei rapporti tra consumatore e professionista, se non vi è stata espressa pronuncia di vessatorietà delle clausole, questa può essere eccepita dalle parti e rilevata d’ufficio dal Giudice dell’esecuzione e comunque in generale in ogni stato e grado del processo.

Inizia così una nuova era nella difesa dei consumatori esecutati sulla base di decreti ingiuntivi non opposti, i quali potranno far valere la nullità del titolo anche in fase avanzata dell’esecuzione immobiliare. Ci si augura pertanto che i Tribunali Italiani applichino i principi contenuti in questa epocale statuizione della Corte di Giustizia Europea [12].

 

Vai alla Sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea del 17/05/2022

 


Note:

[1] Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29)

[2] Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

[3] Tribunale di Milano, rimessione alla CGUE 31 ottobre 2019

[4] Per quanto attiene al principio di equivalenza, si deve rilevare che la Corte non dispone di alcun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità della normativa nazionale a tale principio. Come osserva il governo italiano, risulta che il diritto nazionale non consenta al giudice dell’esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un’eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico.

[5] Art 2909 cc “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (GIUDICATO SOSTANZIALE); ART 324 C.P.C. “Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395” (GIUDICATO FORMALE)

[6] Sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C-415/11, (v. CS 30/13).

[7] Sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C-407/18

[8] Sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C-776/19 a C-782/19 (v. CS n. 100/21).

[9] Sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C-495/19

[10] Causa C-869/19, Unicaja Banco:  La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra L e il Banco de Caja España de Inversiones, Salamanca y Soria SAU, nei cui diritti è subentrato l’Unicaja Banco SA, quanto al mancato rilievo d’ufficio, da parte del giudice nazionale di appello, di un motivo relativo alla violazione del diritto dell’Unione. L’istituto bancario ha concesso a L un mutuo ipotecario. Tale contratto prevedeva una «clausola di tasso minimo», in forza della quale il tasso variabile non poteva essere inferiore al 3%. L’ha proposto ricorso contro tale istituto, al fine di ottenere la nullità di tale clausola e la restituzione degli importi indebitamente percepiti, sostenendo che detta clausola doveva essere dichiarata abusiva a causa della sua mancanza di trasparenza. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, pur limitando nel tempo gli effetti restitutori conformemente a una giurisprudenza nazionale. Il giudice d’appello, adito dall’istituto bancario, non ha disposto la restituzione integrale degli importi percepiti in base alla «clausola di tasso minimo», dal momento che non aveva proposto appello avverso la sentenza pronunciata in primo grado. Secondo il diritto spagnolo, quando un capo del dispositivo di una sentenza non è contestato da nessuna delle parti, il giudice di appello non può disapplicarlo o modificarlo. Tale regola presenta talune similitudini con l’autorità di cosa giudicata. La Corte suprema spagnola ha quindi interrogato la Corte sulla compatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione, in particolare quanto alla circostanza che un giudice nazionale, adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione degli importi indebitamente corrisposti dal consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non può sollevare d’ufficio un motivo relativo alla violazione della direttiva 93/13 e disporre la restituzione integrale di detti importi. Richiamando la propria giurisprudenza, la Corte riafferma che il diritto dell’Unione osta a una giurisprudenza nazionale che limiti nel tempo gli effetti restitutori alle sole somme indebitamente versate in applicazione di una clausola abusiva successivamente alla pronuncia della decisione giurisdizionale che ha accertato tale carattere abusivo . La Corte ritiene altresì che l’applicazione dei principi del procedimento giurisdizionale nazionale di cui trattasi sia tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile la tutela di tali diritti, pregiudicando così il principio di effettività. Infatti, il diritto dell’Unione osta all’applicazione di principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali un giudice nazionale, adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione delle somme indebitamente corrisposte dal consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non può sollevare d’ufficio un motivo relativo alla violazione di tale disposizione e disporre la restituzione integrale di dette somme, laddove la mancata contestazione di tale limitazione nel tempo da parte del consumatore interessato non possa essere imputata a una completa passività di quest’ultimo.

Causa C-600/19, Ibercaja Banco: La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra MA e l’Ibercaja Banco SA relativamente a una richiesta di pagamento degli interessi dovuti all’istituto bancario a causa dell’inadempimento da parte di MA e PO del contratto di mutuo ipotecario concluso tra tali parti. Il tribunale competente ha disposto l’esecuzione del titolo ipotecario detenuto dall’Ibercaja Banco e ha autorizzato il sequestro a carico dei consumatori. Solo nel corso del procedimento di esecuzione, precisamente dopo la vendita all’asta dell’immobile ipotecato, MA ha fatto valere il carattere abusivo della clausola relativa agli interessi di mora e della clausola di tasso minimo, vale a dire quando gli effetti dell’autorità di cosa giudicata e della preclusione non consentono né al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole né al consumatore di far valere il carattere abusivo di dette clausole. Il contratto è stato oggetto di un esame d’ufficio al momento dell’avvio del procedimento di esecuzione ipotecaria, senza tuttavia che l’esame delle clausole controverse fosse né esplicitamente menzionato né motivato. Secondo la Corte, il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che, a causa degli effetti dell’autorità di cosa giudicata e della preclusione, non consente né al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di clausole contrattuali nell’ambito di un procedimento di esecuzione ipotecaria né al consumatore, dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, di far valere il carattere abusivo di tali clausole in tale procedimento o in un successivo procedimento di cognizione, quando dette clausole siano state oggetto di un esame d’ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, ma la decisione giurisdizionale che autorizza l’esecuzione ipotecaria non comporti alcun motivo, nemmeno sommario, che dia atto della sussistenza di tale esame né indichi che la valutazione effettuata dal giudice di cui trattasi in esito a detto esame non potrà più essere rimessa in discussione in assenza di opposizione nel termine citato. Tuttavia, quando il procedimento di esecuzione ipotecaria è terminato e i diritti di proprietà sono stati trasferiti a un terzo, il giudice non può più procedere a un esame del carattere abusivo di clausole contrattuali che condurrebbe all’annullamento degli atti di trasferimento della proprietà e a rimettere in discussione la certezza giuridica del trasferimento di proprietà già effettuato nei confronti di un terzo. Il consumatore deve nondimeno, in una tale situazione, essere in grado di far valere, in un successivo procedimento distinto, il carattere abusivo delle clausole del contratto di mutuo ipotecario, al fine di poter esercitare effettivamente e pienamente i suoi diritti ai sensi della direttiva per ottenere il risarcimento del danno economico causato dall’applicazione delle clausole di cui trattasi.

Cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza e a. Le domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposti, da un lato, la SPV Project 1503 Srl e la Dobank SpA, in quanto mandataria dell’Unicredit SpA, a YB e, dall’altro, Banco di Desio e della Brianza SpA e altri istituti di credito a YX e ZW, in merito a procedimenti di esecuzione forzata basati su titoli esecutivi che hanno acquisito autorità di cosa giudicata. I giudici italiani dell’esecuzione si interrogano sul carattere abusivo della clausola penale e della clausola che prevede un interesse moratorio dei contratti di finanziamento, nonché sul carattere abusivo di talune clausole dei contratti di fideiussione. È sulla base di tali contratti che i creditori hanno ottenuto decreti ingiuntivi divenuti definitivi. Tuttavia, i giudici rilevano che, in forza dei principi processuali nazionali, in caso di mancata opposizione da parte del consumatore, l’autorità di cosa giudicata di un decreto ingiuntivo copre il carattere non abusivo delle clausole del contratto di fideiussione, e ciò anche in assenza di qualsiasi esame espresso, da parte del giudice che ha emesso tale decreto ingiuntivo, del carattere abusivo di tali clausole. La Corte ritiene che una tale normativa nazionale possa privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. L’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

Causa C-725/19, Impuls Leasing România. La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra IO e la Impuls Leasing România IFN SA, relativamente a un’opposizione all’esecuzione avverso atti di esecuzione forzata www.curia.europa.eu riguardanti un contratto di leasing. Il giudice rumeno riferisce che il contratto di leasing sulla base del quale è stato avviato il procedimento di esecuzione forzata contiene alcune clausole che potrebbero essere considerate abusive. Tuttavia, la normativa rumena che non consente al giudice dell’esecuzione di un credito, investito di un’opposizione a tale esecuzione, di valutare, d’ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista che costituisce titolo esecutivo, per il motivo che esiste un ricorso di diritto comune nell’ambito del quale il carattere abusivo delle clausole di un tale contratto può essere controllato dal giudice adito con detto ricorso. È vero che il giudice di merito, adito con un ricorso distinto da quello relativo al procedimento di esecuzione, dispone della facoltà di sospendere detto procedimento. Tuttavia, il consumatore che chiede la sospensione del procedimento di esecuzione è tenuto a versare una cauzione calcolata sulla base del valore dell’oggetto del ricorso. Orbene, secondo la Corte, è verosimile che un debitore insolvente non disponga delle risorse finanziarie necessarie per costituire la garanzia richiesta. Inoltre, tali spese non possono scoraggiare il consumatore dall’adire il giudice ai fini dell’esame della natura potenzialmente abusiva delle clausole, ipotesi che risulta ricorrere a maggior ragione quando il valore delle azioni proposte è notevolmente superiore al valore totale del contratto. La Corte ritiene quindi che il diritto dell’Unione osti a una tale normativa nazionale.

[11] Il floor bancario altro non è che un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere. In tal modo gli istituti di credito si proteggono da eventuali flessioni significative del tasso Euribor.

[12] https://curia.europa.eu/jcms/jcms/j_6/it/

Autrice: Avv. Monica Mandico, tratto da www.diritto.it, Maggio 2022