Utilizzazione delle parti comuni del condominio
(commento alla sentenza Cass. Civ., Sez. II, 27 febbraio 2007 n. 4617)
La sentenza in esame tocca una tra le questioni più interessate dal contenzioso condominiale: la violazione dell'art. 1102 c.c. sotto il profilo dell'uso della cosa comune.
La questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguarda l'utilizzazione, da parte di un solo condomino, di una superficie del tetto spiovente dello stabile condominiale pari ad oltre la metà, per l'installazione di una antenna.
Un simile comportamento può ritenersi confliggente - e come tale illegittimo ex art. 1102, I° comma, c.c. - con l'uso che del medesimo bene potrebbero fare gli altri condomini ?
La sentenza in rassegna risponde negativamente, affermando la piena legittimità dell'utilizzazione del bene comune, così come realizzata dal condomino nel caso di specie e l'inesistenza, perciò, di una violazione dell'art. 1102 Codice civile.
Occorre pertanto esaminare da vicino tale articolo e valutarne le esatte implicazioni di contenuto rispetto alla complessa realtà dei rapporti tra il singolo condomino e la comunità condominiale.
La norma di cui all'art. 1102, I° comma, c.c. - applicabile in tema di condominio ai sensi dell'art. 1139 c.c. - traccia una linea di confine tra diritti dei singoli condomini e diritti del condominio, la quale passa attraverso la statuizione di due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto.
Tale disposizione mira a consentire al singolo condomino il maggior godimento possibile nell'utilizzazione del bene comune condominiale per fini esclusivamente propri, nel senso che, nel rispetto delle due limitazioni su elencate, il condomino può e deve ritenersi libero di servirsi di una parte comune del condominio per perseguire uno scopo che è solo suo proprio, traendone ogni possibile utilità.
Il singolo condomino, nell'osservanza dei limiti stabiliti nell'art. 1102 Codice civile, può legittimamente apportare modifiche alla cosa comune, sobbarcandosi il relativo onere economico, per massimizzarne il godimento individuale, senza avere la necessità di essere per ciò autorizzato dall'assemblea condominiale.
Ciò che specificamente è stata chiamata a valutare la Corte di Cassazione nella fattispecie in esame è se l'installazione da parte di un unico condomino di una antenna che occupa la metà del tetto spiovente, fermo restando, in via implicita, il rispetto del vincolo della destinazione della cosa comune, sia o meno in contrasto col secondo dei limiti sanciti dall'art. 1102 Codice civile, cioè con l'obbligo di non impedire agli altri condomini di fare del medesimo bene comune un uso paritetico.
Secondo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. n. 1499/98, citata da Terzago, Il condominio, Milano, 2006), che la Corte di cassazione conferma nella motivazione della sentenza in commento, la nozione di pari uso della cosa comune non va intesa nel senso di <<usoidentico e contemporaneo>>, perché l'identità nello spazio e nel tempo potrebbe comportare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio della parte comune.
Ne deriva che, al fine di stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino alteri effettivamente il rapporto di equilibrio tra i vari condomini e perciò sia da ritenere vietato a norma dell'articolo 1102 c. c., non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale rapportato ai diritti di ciascuno (v. in tal senso Cassazione civile, sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268).
Afferma infatti la Corte nella pronuncia in oggetto che l' "uso paritetico [.] va tutelato in funzione della ragionevole previsione dell'utilizzazione che in concreto ne faranno gli altri condomini e non di quella identica e contemporanea che in via meramente ipotetica ed astratta ne potrebbero fare; dovendosi anche i rapporti tra i condomini informare al generale principio di solidarietà, che il nostro ordinamento pone a presidio di ogni relazione giuridica".
Nello stesso senso: "La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c. può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti di costoro" (Cassazione civile, sez. II, 5 maggio 2000, n. 5666).
E ancora: "[.] per pari uso [si deve intendere] non l'uso identico in concreto, bensì l'astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere potenzialmente mantenuto tra tutte le possibili concorrenti utilizzazioni del bene comune da parte dei partecipanti al condominio; ne consegue che deve ritenersi nulla perché lesiva del diritto dio ciascun condomino all'uso della cosa comune la delibera con la quale l'assemblea, senza l'unanimità di tutti i partecipanti al condominio, vieti il suddetto uso particolare delle aree comuni" (Cassazione civile, sez. II, 26 settembre 1998, n. 9649).
Quindi è pacifico che ciascun condomino possa servirsi delle parti comuni nella loro interezza ed in qualsiasi momento, senza peraltro che a tal fine sia necessario proporzionare la misura del godimento al valore della quota millesimale di cui è titolare il condomino.
Per stabilire la liceità dell'uso operato dal singolo condomino sulla cosa comune sarà quindi necessario valutare astrattamente le possibili, concorrenti e potenziali utilizzazioni del bene condominiale da parte degli altri membri del condominio.
D'altro canto, laddove si dovesse intendere per uso paritetico un uso identico e contemporaneo, conseguenza inevitabile, ed inaccettabile, sarebbe la sussistenza di un sostanziale divieto, in capo a ciascun condomino, di fare un qualsiasi uso particolare della cosa comune.
Il diritto riconosciuto dal legislatore al singolo condomino, quindi, va inteso non nel senso di assoluta identità e contemporaneità di utilizzo, bensì come facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione, però, che questa sia compatibile con i diritti degli altri, dal momento che i rapporti condominiali - così come i rapporti sociali in genere - devono essere informati al principio di solidarietà, che, come tale, richiede il mantenimento di un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i condomini.
<< Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. >> (in questi termini, Cass. n. 1499/98, cit.).
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