La condizione sospensiva o risolutiva nel contratto
Il contratto può essere subordinato a condizione sospensiva (quando al verificarsi dell'evento futuro e incerto consegue l'efficacia del contratto) o risolutiva (quando consegue la cessazione degli effetti del contratto).
Condizioni generali
Le parti possono subordinare l'efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto (art. 1353 c.c.).
Le condizioni generali di contratto sono costituite dalle clausole utilizzate per regolare uniformemente i rapporti contrattuali.
Le condizioni generali sono efficaci nei confronti dell'aderente se questi le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando la normale diligenza al momento della conclusione del contratto. Inefficaci sono dunque le condizioni conosciute o conoscibili in un tempo successivo alla conclusione del contratto.
La condizione può ritenersi apposta nell'interesse di una sola parte soltanto in presenza di una espressa previsione contrattuale oppure quando sussista una serie di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse, ma non può desumersi l'unilateralità dal semplice fatto che una sola delle parti può essere interessata al verificarsi o meno dell'evento dedotto in condizione (Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2004, n. 19146, in Mass. Foro it., 2004, voce: Contratti in genere, n. 411).
La condizione costituisce di regola un elemento accidentale del negozio giuridico, come tale distinto dagli elementi essenziali astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive norme. Tuttavia, in forza del principio generale dell'autonomia contrattuale, i contraenti possono prevedere validamente come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell'efficacia) il concreto adempimento (o inadempimento) di una delle obbligazioni principali del contratto; con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornire la prova ed al giudice del merito compiere una approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 1990, n. 8051, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I).
Il contratto è nullo se ad esso è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
L'atto condizionato, al momento della stipulazione, è ancora incompleto, non essendosi ancora verificata la vicenda condizionale (Costanza, La condizione e gli altri elementi accidentali, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, Torino, 1999, 813).
La condizione è sospensiva quando al verificarsi dell'evento futuro e incerto consegue l'efficacia del contratto; è risolutiva quando consegue la cessazione degli effetti del contratto. Per mezzo della condizione sospensiva, i contraenti possono eliminare il rischio dell'operazione che intendono porre in essere, mentre, attraverso la condizione risolutiva, si perviene a definire l'ambito delle circostanze nelle quali il contratto debba produrre i propri effetti.
La condizione identifica una condizione di incertezza, di cui non sono noti gli sviluppi. Il termine incerto non equivale a imprevedibile: il fenomeno condizionale implica, invece, che le parti abbiano valutato l'evento e si siano assunte il rischio del suo verificarsi o meno. L'incertezza non coincide neppure con l'improbabilità, attribuendo questo termine a situazioni considerate difficilmente attuabili e come tali destinate ad ostacolare lo svolgersi della vicenda contrattuale. La previsione della condizione è, invece, la conseguenza di una previsione probabilistica non necessariamente di segno negativo (Costanza, La condizione e gli altri elementi accidentali, cit., p. 815).
La condizione sospensiva impossibile rende nullo il contratto; la condizione risolutiva, si ha come non apposta. (art. 1354 c.c.). L'impossibilità che rileva in questi casi è quella naturale in quanto, nell'ipotesi di impossibilità giuridica trova applicazione la disciplina dell'illiceità.
La condizione illecita o impossibile, apposta a un patto singolo del contratto, importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella condizione (art. 1354, 3° comma).
L'impossibilità che rileva è quella originaria della condizione, cioè coeva alla stipulazione del contratto, e non anche a quella sopravvenuta (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 1993, n. 63, in Riv. notar., 1993, p. 145; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2003, n. 1288, in Mass. Foro it., 2003, voce: Contratti in genere, n. 395 ).
Se l'evento al cui verificarsi le parti hanno subordinato l'attualità degli obblighi da esse contrattualmente assunti risulti oggettivamente indeterminato o indeterminabile, il contratto è nullo poiché tale indeterminabilità, costituendo un originario ed insuperabile ostacolo all'accertamento del verificarsi dell'evento condizionante, si risolve in una situazione di irrealizzabilità del medesimo coeva al negozio cui la condizione sia stata apposta (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1453, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I).
Condizione e termine
La condizione si distingue dal termine sulla base dell'elemento della certezza e dell'incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l'assunzione di un obbligo o per l'adempimento di una prestazione. Ricorre l'ipotesi del termine quando l'evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa previsione di collocazione cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si verificherà certamente. Come tale può riguardare sia l'efficacia iniziale che quella finale di un negozio giuridico o di un'obbligazione o di un credito di una parte.
Nell'ipotesi di condizione, invece, si versa nell'incertezza dell'evento futuro dal cui verificarsi dipende il sorgere (condizione sospensiva) o il permanere (condizione risolutiva) dell'efficacia di un contratto o di un'obbligazione ad esso inerente.
Condizione meramente potestativa
È nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinate a una condizione sospensiva meramente potestativa, che la faccia cioè dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore (art. 1355 c.c.). La causalità della condizione, infatti, comporta che i contraenti non possano influenzare l'accadimento della condizione. Ammettendo questa possibilità si determinerebbe una contraddizione anche con il requisito dell'incertezza, che implica la neutralità delle parti nel determinarsi o non determinarsi a concludere il contratto e non sarebbe ravvisabile la ragione di tutela giuridica per un atto che sia rimesso al mero arbitrio del suo autore. L'apposizione della condizione meramente potestativa esclude inoltre la serietà della dichiarazione di assunzione dell'impegno, con conseguente invalidità del patto. A maggior ragione questa conclusione vale quando la condizione sia risolutiva, in quanto, in questi casi, la valutazione di meritevolezza degli interessi è collegata direttamente con l'attuazione del contratto, non alla sua costituzione.
Condizione potestativa impropria
La condizione è potestativa quando l'evento in essa dedotto è il fatto volontario di una delle parti. È casuale quando l'evento condizionante dipende dal caso o dal fatto del terzo; è mista nell'ipotesi in cui dipenda in parte dal caso e in parte dal soggetto.
Mentre la condizione potestativa invalidante il negozio è quella che dipende dal mero arbitrio del soggetto obbligato, così da presentarsi come effettiva negazione di ogni vincolo, la condizione medesima non sussiste quando l'impegno che la parte si assume, non è rimesso al suo mero arbitrio ma è collegato ad un interesse o una convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche il proprio interesse. Conseguentemente non sussiste nella circostanza la sanzione di nullità, in quanto l'evento dedotto dipende anche dal concorso di fattori estrinseci che possano influire sulla determinazione della volontà pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato (Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2000, n. 8390, in Giur. it, 2001, p. 1137).
Infatti per qualificare una condizione meramente potestativa (che invalida l'obbligazione), occorre che l'evento futuro si identifichi con la stessa volontà di uno dei soggetti, che cioè si deduca in condizione lo stesso volere o disvolere il negozio; il che non accade, quando, pur essendo l'avverarsi dell'evento futuro rimesso alla potestà di una delle parti, vi siano o vi possano essere delle ragioni estranee, capaci di influire sulla volontà.
Le parti possono prevedere l'adempimento o l'inadempimento di una di esse quale evento condizionante l'efficacia del contratto in senso sospensivo o risolutivo; perciò non configura una illegittima condizione meramente potestativa la pattuizione che fa dipendere dal comportamento della parte l'effetto risolutivo del negozio, e ciò non solo per l'efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell'evento, ma anche perché, in base a tale clausola, l'efficacia della condizione risolutiva così convenzionalmente stabilita la cui operatività è rimessa a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte, non è subordinata a una scelta arbitraria della medesima (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2006, n. 24299, in Mass. Giur. it., 2006).
In conclusione la condizione potestativa semplice è, in linea di principio, sempre valida, se il comportamento delle parti è conforme ai principi di buona fede durante lo stato di pendenza (Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2004, n. 14198, in Giust. civ., 2004, I, p. 2559) mentre quella meramente potestativa è, in via di principio, sempre invalida (o comunque portatrice di effetti invalidanti) quando si tratti di condizione sospensiva che riguarda l'assunzione di un obbligo o l'alienazione di un diritto da parte di colui cui è rimesso il fatto volontario.
Il principio di buona fede costituisce ad un tempo interpretazione e limite del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende in parte l'avveramento della condizione (Cass. civ., sez. un., 19 settembre 2005, n. 18450, in Giur. It., 2006, p. 1141).
Avveramento della condizione
Nel caso in cui una condizione sia costituita da un evento incerto anche nel "quando", le parti possono concordare un limite temporale riguardo al suo verificarsi, per non lasciare indefinitamente nell'incertezza l'efficacia del contratto (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 419, in Contratti, 2006, p. 765).
Se le parti non hanno indicato il termine dell'avveramento, il contratto può essere dichiarato giudizialmente inefficace per mancato avveramento se il giudice ritiene che sia trascorso un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente entro il quale l'evento avrebbe potuto verificarsi (Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1991, n. 13519, in Giust. civ., 1992, I, p. 3095).
La definitiva impossibilità del verificarsi dell'evento al quale le parti abbiano ricondotto il tempo della esecuzione della prestazione contrattuale comporta che il termine fissato per l'adempimento debba considerarsi già maturato (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 858, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I).
Se la condizione è costituita dall'adempimento di un'obbligazione contrattuale, si considera non avverata nel momento in cui la mora del soggetto obbligato ha assunto i caratteri di un inadempimento di non scarsa importanza che rende non più possibile l'adempimento dell'obbligazione contro la volontà del creditore (Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 1994, n. 11195, in Cod. civ. ipertest., p. 1980).
La condicio iuris riguarda un elemento di efficacia del contratto che esula dall'autonomia negoziale; le parti possono tuttavia dedurre in condizione il termine entro il quale l'avveramento della condicio iuris può intervenire, ed anche stabilire che tale termine sia posto nell'interesse esclusivo di una di esse o rinunciare, anche in modo tacito mediante comportamenti concludenti, a farlo valere (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1997, n. 4514, in Giur. it., 1998, p. 2293).
Gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso (art. 1360, 1° comma). Se però la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o periodica, l'avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite (art. 1360, 2° comma).
L'art. 1360 c.c. sulla retroattività della condizione non opera tutte le volte che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto. Pertanto la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione del pagamento del prezzo si inquadra nella figura della compravendita con riserva di proprietà e il trasferimento del relativo diritto si realizza col pagamento dell'ultima rata del prezzo (Cass. civ., 8 aprile 1999, n. 3415, in Giust. civ. mass., 1999, p. 780).
L'avveramento della condizione non pregiudica la validità degli atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa, spettava l'esercizio del diritto. Salvo diverse disposizioni di legge o diversa pattuizione, i frutti percepiti sono dovuti dal giorno in cui la condizione si è avverata (art. 1361 c.c.).
Per atti di amministrazione si intendono non solo quelli di ordinaria amministrazione, ma anche quelli di straordinaria amministrazione, essendo esclusi dall'ambito di applicazione della norma solo gli atti di disposizione.
Finzione di avveramento
Ai sensi dell'art. 1359 c.c., se la condizione dedotta non si verifica per fatto di colui che aveva interesse contrario al suo avveramento, la condizione stessa si considera avverata (Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2003, n. 6423, in Contratti, 2003, p. 1096).
Nell'ipotesi di negozio condizionato, per l'operatività della disposizione di cui all'art. 1359 c.c. è però necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa della parte, non riscontrabile in un semplice comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge (Cass. civ., sez. lav., 9 agosto 1996, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I). Il negozio condizionato importa la produzione di effetti preliminari, ed in particolare quello della vincolatività di esso. Più specificamente da detto negozio sorge l'obbligo della parte di comportarsi in buona fede per conservare integre le ragioni dell'altra parte a cui consegue l'obbligo di non impedire l'avverarsi della condizione allorquando la parte abbia un interesse contrario all'avveramento della suddetta condizione. Se la condizione diventa impossibile per causa imputabile alla parte, essa si considera avverata Si verifica in tal caso una finzione di avveramento della condizione, ravvisandosi una sorta di risarcimento in forma specifica in conseguenza del quale si determina sul piano giuridico la stessa situazione che si sarebbe determinata in seguito all'avveramento; e si è anche precisato come l'autore dell'illecito non possa in alcun modo far derivare dal mancato verificarsi della condizione conseguenze giuridiche a sé favorevoli. L'art. 1359 c.c. opera allorquando la condizione sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa. La norma non opera nel caso in cui la parte, tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione, abbia anch'essa interesse all'avveramento (Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1998, n. 4178, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I). Se il mancato avveramento si debba attribuire a causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario per trarne la conseguenza di considerare la condizione come avverata involge una indagine di mero fatto il cui risultato è insindacabile in sede di legittimità, se non ricorrono vizi logici o errori di diritto (Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1992, cit.)
La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa nella sola ipotesi di condizione casuale (il cui avveramento dipende cioè dal caso o dalla volontà di terzi) o di condizione mista (il cui avveramento dipende in parte dal caso o dalla volontà dei terzi, in parte dalla volontà di uno dei contraenti) ma non nell'ipotesi di condizione potestativa semplice o impropria (Cass. civ., sez. lav., 5 giugno 1996, n. 5243, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I).
La funzione di avveramento costituisce la sanzione specifica per l'inosservanza della regola di correttezza, cui la parte che opera per impedire il fatto oggetto della condizione contravviene pregiudicando le aspettative acquisite dalla controparte. La disposizione è applicabile sia alla condizione sospensiva che a quella risolutiva. Bisogna però rilevare che la giurisprudenza ha ritenuto che l'avveramento dell'evento futuro ed incerto, previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto, produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti, in ordine al verificarsi dell'evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni nel contratto, ove non possono trovare applicazione i principi che regolano l'imputabilità in materia di obbligazioni, detta indagine è rilevante solo nella diversa ipotesi del mancato avveramento della condizione medesima (Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1991, n. 9388, in Cod. leggi d'It., cd-rom, parte I).
Non è stata giudicata applicabile la funzione di avveramento nell'ipotesi del mancato pagamento del compenso al professionista, compenso subordinato al finanziamento regionale dell'opera pubblica oggetto del contratto, quando il comune committente si sia attivato per ottenere il finanziamento, poi negato, anche se il comune stesso non ha provveduto ad impugnare la decisione della corte dei conti (Cass. civ., sez. II, 22 settembre 2004, n. 19000, in Mass. Foro it., 2004, voce: Contratti in genere, n. 366).