Il danno non patrimoniale ed il rapporto di lavoro dopo la sent. Cass. S.U. 11/11/2008

 

1.- Una prima, preliminare, considerazione indotta dalla pronuncia delle sezioni unite n. 26972/08 è che anche nella lettura di una sentenza occorre partire dalla presunzione del rispetto - da parte del giudice - del principio di coerenza e non contraddizione. A maggior ragione ciò vale per una decisione proveniente dalle Sezioni Unite; ed ancora di più vale per una sentenza di rilevantissima portata sistematica. Certo - è superfluo dirlo - se si avverte questa necessità, è perché molti passaggi della pronuncia danno adito al dubbio che contraddizioni o incoerenze vi siano.

Tentiamo allora una lettura che consenta di pervenire ad un esito coerente e non contraddittorio. A mio avviso, questo è forse possibile articolando il ragionamento della S. C. su tre piani.

2.- Il primo piano si potrebbe definire trascendentale, in quanto si occupa degli schemi generali - per l'appunto, trascendentali - con cui l'operatore del diritto legge, filtra, ordina il grezzo dato fenomenico, portandolo ad espressione giuridica; si occupa dunque delle forme a priori di percezione della realtà fattuale. Questi a priori, nel sistema della responsabilità civile sul versante del danno non patrimoniale, erano costituiti dalle tre categorie del danno biologico, danno morale e danno esistenziale. Ebbene, su questo piano la risposta delle Sezioni Unite è ugualmente negativa per le tre categorie. Non esistono forme trascendentali, porte d'ingresso obbligate per l'accesso dei pregiudizi nella grande casa del danno non patrimoniale.

3.- Un secondo piano del ragionamento delle Sezioni Unite attiene agli eventi lesivi. È questo il dominio del principio di tipicità. Il quale principio costituisce la risultante dell'incrocio del requisito dell'ingiustizia con il requisito della specificità dell'interesse leso. Sotto questo profilo, nella visione delle Sezioni Unite, la posizione del danno biologico è diversa da quella del danno morale e del danno esistenziale.

Il sintagma danno biologico, infatti, è idoneo a designare, prima che una tipologia di danni-conseguenza, un tipo di evento lesivo; e, va aggiunto, un tipo di evento lesivo che soddisfa il requisito della specificità, dunque conforme al principio di tipicità. Infatti, il danno biologico è - per usare l'espressione dell'art. 138 d.lgs. n. 209/2005 - "la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona (.)".

Diversamente, sembrano dire le Sezioni Unite, deve ritenersi per il danno morale e il danno esistenziale. Si tratta di eventi lesivi atipici. Ciò - pare potersi evincere - a motivo della non individuabilità dello specifico interesse-diritto tutelato dall'ordinamento. Non ritengono dunque le Sezioni Unite che si possa configurare né uno specifico diritto all'integrità morale - e qui smentiscono qualche pronuncia della S. C. che, muovendo dall'opposta premessa, aveva conseguentemente ritenuto tipico il danno morale - né uno specifico diritto all'integrità della vita di relazione. La lesione dei quali diritti sostanzierebbe rispettivamente il danno morale e il danno esistenziale, intesi come tipi di eventi lesivi.
Simili eventi lesivi non superano il filtro del principio di tipicità. La casa con tre porte d'ingresso è stata sostituita da una casa senza porte ma con un tornello da cui si entra uno solo alla volta con un pass individuale.

3.- Vi è poi il versante dei danni-conseguenza. Sotto questo profilo, le Sezioni Unite riconoscono la risarcibilità delle voci prima ascritte nel danno morale e nel danno esistenziale. Solo si muta la denominazione: così dal danno morale si passa alla sofferenza morale, e dal danno esistenziale ai pregiudizi di tipo esistenziale.

Con particolare riferimento al danno esistenziale, le Sezioni Unite dunque accolgono gli esiti pratici cui ha condotto la figura del danno esistenziale. Osservano che essa ha avuto la funzione di coprire un vuoto di tutela. Tutela che non intendono per nulla disconoscere. Solo che, dicono i giudici, non è più necessario fare ricorso a tale categoria.

Insomma, per richiamare una nota metafora, il danno esistenziale viene trattato come la scala che ha permesso di salire al piano superiore e che, una volta saliti, non serve più e può essere gettata via. Ma in ultima istanza, quel che più conta dal punto di vista pratico è che la S. C. abbia confermato di voler rimanere al piano superiore.
La situazione allora cui mette capo la sentenza può essere descritta nei seguenti termini: non vanno più bene i vecchi otri, ma va ancora bene il vecchio vino.


4.- Veniamo ora al danno non patrimoniale da inadempimento ed in particolare da inadempimento del contratto di lavoro.
Le Sezioni Unite affermano con decisione la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, quando vi sia la lesione di un diritto inviolabile del creditore. Decretano la fine del cumulo delle azioni, qualificato come "espediente".

Là dove esigono la lesione - anche nella responsabilità contrattuale - di un diritto inviolabile, sembrano smentire l'assunto delle Sezioni Unite n. 6572/2006 - sul danno esistenziale da demansionamento - che invece avevano precisato non essere necessaria, a proposito dell'art. 2087 c. c., la verifica circa il rango costituzionale del diritto, dal momento che era il codice civile ad avere assicurato l'accesso alla tutela risarcitoria ad interessi non patrimoniali. È questo però un passaggio della pronuncia non molto chiaro. Si pensi in particolare al punto 4.5. (pag. 43), in cui si afferma che "L'art. 2087 c.c. (.), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale". Di contro, in altri passaggi, la pronuncia fa riferimento alla lesione di diritti inviolabili. Su ciò appare dunque indispensabile un chiarimento.

Comunque, sul piano operativo, l'estensione del requisito dell'inviolabilità del diritto anche alla responsabilità da inadempimento - estensione che desta perplessità - lascia prevedere che uno dei nodi che più impegnerà la giurisprudenza sarà stabilire in cosa consista l'interesse alla "personalità morale" del lavoratore, presidiato a livello costituzionale dal diritto alla dignità personale.

Altro punto che interessa il giuslavorista è l'assorbimento - se ben si comprende quanto statuito nelle pagg. 48 e 49 - del danno morale (recte: la sofferenza morale) e del danno esistenziale (recte: "i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita") nell'ambito del danno biologico. Il che potrebbe portare alla quasi integrale scomparsa del danno differenziale qualitativo (o danno complementare). Vale a dire del danno non rientrante nella copertura assicurativa e quindi nell'area dell'esonero parziale. Tale danno quindi va risarcito integralmente dal datore di lavoro, secondo i criteri civilistici. In relazione ad esso non occorre che il comportamento datoriale costituisca un reato perseguibile d'ufficio. Prima di questa pronuncia, secondo l'opinione pacifica, il danno morale rientrava nel danno complementare. L'assorbimento del danno morale nel danno biologico potrebbe revocare in questione tale acquisizione.

Più controversa, fin qui, era la riconducibilità del danno esistenziale nel danno complementare. La giurisprudenza - che sembrava - decisamente prevalente era nel senso di far rientrare il danno esistenziale nel danno complementare, rendendo quindi il primo estraneo all'assicurazione obbligatoria. Non mancavano però posizioni secondo cui le conseguenze esistenziali derivanti dalla menomazione dell'integrità psico-fisica dovevano ritenersi già valutate nel sistema di tutela antinfortunistica. Questo orientamento ora riceve nuova forza dal verdetto delle Sezioni Unite.

Autore: Natalino Sapone - tratto dal sito www.personaedanno.it