La Terza Sezione della Cassazione e la responsabilità civile

 

 

Abstract

Vengono analizzate le posizioni della Terza Sezione della Corte di Cassazione su tre importanti questioni:

a) i cambiamenti intervenuti nel risarcimento del danno non patrimoniale , con un deciso allontanamento dallo statuto fissato nelle note decisioni delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, senza però richiedere l’intervento delle sezioni unite;

b) la posizione assunta dalla Terza Sezione in materia di pluralità delle Tabelle giudiziali dopo l’iniziale riconoscimento del ruolo paranormativo delle Tabelle giudiziali milanese;

c) infine nel settore specifico delle infezioni nosocomiali, l’elaborazione di una sorta di “statuto” volto a chiarire la prova liberatoria gravante sulla struttura sanitaria ex art.1218  c.c.

 

 

Premessa

Queste annotazioni non vogliono affrontare il vivacissimo dibattito culturale che ha toccato lo stato dei rapporti tra giurisprudenza e dottrina e che, soprattutto negli ultimi anni, ha visto sollevarsi un coro sempre più critico e allarmato sul ruolo troppo creativo assunto proprio dalla giurisprudenza. Il riferimento quasi scontato è all’immagine della c.d. “dottrina delle Corti” o al fenomeno di “Eclissi del Diritto” o anche al passaggio “dallo Stato di diritto allo Stato dei Giudici” (dal Rechtsstaat al Richterstaat) avanzata da autorevoli studiosi che hanno sottolineato la progressiva perdita del ruolo centrale svolto dalla dottrina nella formazione del diritto, in generale, e del giurista, in particolare, a tutto vantaggio del peso sempre più importante svolto dalla giurisprudenza.
Si vuole, piuttosto, porre l’accento sulle diverse “filosofie” seguite dalla Terza Sezione della Cassazione negli ultimi quindici anni in relazione ai tanti problemi posti da un sempre più impetuoso e debordante corso della responsabilità civile (si è anche parlato di un vero e proprio “imperialismo” della responsabilità civile) e dalle tante omissioni di un legislatore poco attento, quasi sempre in affanno, di certo mai tempestivo.

Tre, in particolare, saranno i campi di osservazione:
a) danno non patrimoniale: nel 2018, dapprima con l’ordinanza 901, poi con l’ordinanza 7513, la Terza Sezione abbandona, pur professandone una persistente fedeltà ad altri principi di diritto affermati in quella sede, lo statuto risarcitorio fissato nelle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, senza, però, richiedere, come pure era stato insistentemente rilevato da alcun, un nuovo esame delle stesse Sezioni Unite.
b) la posizione della Corte di cassazione nei confronti della pluralità delle Tabelle giudiziali oggi esistenti in Italia: in una prima stagione, la Cassazione si mostrò apertamente favorevole alle determinazioni tabellari adottate dall’Osservatorio della Giustizia Civile Milanese (Cass. Civ. n. 12408/2011 ); ma poi, in una seconda e recentissima epoca, la Cassazione si è mostrata fortemente critica (a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 124/2017 ) con i criteri risarcitori previsti dalle tabelle milanesi, ancorati ai non più applicabili principi del 2008, in punto di autonoma risarcibilità del danno morale (Cass. Civ. n. 25164/2020 ) e in punto di danno da relazione parentale (Cass. Civ. n. 10579/2021  e anche Cass. Civ. n. 20301/2021 );
c) responsabilità sanitaria: l’attività interpretativa svolta recentemente (Cass. Civ. n. 6386/2023 ) in merito alla determinazione del significato della prova gravante sul debitore-struttura sanitaria per escludere la sua responsabilità contrattuale ex art. 1218  c.c. in tema di infezioni nosocomiali.

 

Danno non patrimoniale: la Terza Sezione come “Sezioni Unite” della responsabilità civile

Il motivo dell’abbandono dello statuto di San Martino venne fondato sull’entrata in vigore della L. n. 124/2017  che, nel riformare gli artt.138 e 139 c. ass., distinse le due forme di danno non patrimoniale (danno dinamico-relazionale e danno morale) che tanta discussione avevano sollevato dopo il 2008. Di qui, non la illegittima autoattribuzione di una potestas iudicandi che avrebbe dovuto essere demandata nuovamente alle sezioni unite della Corte, bensì la sostanziale inutilità di tale rimessione alla luce di un diverso disposto normativo.

Oltre al profilo del tema della morfologia del danno alla persona, deve essere ricordato, e pur nei limiti di questo intervento fondatamente criticato, il fatto che non sono state seguite anche altre due indicazioni formulate dalle Sezioni Unite del 2008: cioè, la lesione di una situazione soggettiva costituzionalmente rilevante e la sussistenza (nella doppia dimensione della causalità materiale e della causalità giuridica) di un danno grave e di un pregiudizio consequenzialmente serio. Recentemente, risolvendo una vertenza di pendolari che chiedevano un risarcimento per il disservizio durato all’incirca 24 ore sulla linea Roma-Cassino per neve, la Corte di cassazione (Cass. Civ. n. 28244/2023 ) ha, difatti, riconosciuto, assai poco comprensibilmente e ancor meno condivisibilmente, un risarcimento di 400 euro a ciascun passeggero a titolo di danno non patrimoniale (sostanzialmente di natura esistenziale), convalidando l’affermazione del giudice di primo grado per cui “il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative in defatiganti condizioni di carenza di cibo, necessario riscaldamento e possibilità di riposare, un’offesa effettivamente seria e grave ...tale da non tradursi in meri e frammentari disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione”.
In definitiva, sembra del tutto lecito affermare che la Terza Sezione abbia in questa occasione elaborato una singolare interpretazione dello statuto del danno non patrimoniale - interpretazione che sembra evocare i tempi dei risarcimenti concessi dai giudici di pace per le più bizzarre vicende di ordinaria vita di relazione (interruzione di corrente durante una partita di calcio, la rottura del tacco della scarpa da sera di una signora in ferie, et similia) - diverso da quello accolto nel novembre 2008, senza “tornare” di fronte a quell’organo che pur aveva fissato per prima una certa interpretazione.
Volendo utilizzare un’espressione forte, quasi a titolo di provocazione, la Terza Sezione si è comportata come se fosse “le Sezioni Unite”, componendo essa stessa la pluralità di visioni dei giudici di merito.

Lo strappo è forte, anche se non paiono sussistere momenti di criticità istituzionale: se la Sezione cui è demandata la competenza di una certa materia trova, al proprio interno, coesione e armonia e prova, Lei, a fissare “decaloghi” o, in termini più generali, linee guida con le quali viene operata una rivisitazione di soluzioni in precedenza accolte dalle Sezioni Unite questa soluzione rafforza l’unità della giurisprudenza, dando vita ad una sorta di nomofilachia decentrata e affidata alla singola Sezione direttamente interessata alla specifica materia. E quello che la Terza Sezione ha fatto in relazione ad altri, vari problemi sorti ad esempio in tema di responsabilità sanitaria (Progetto Salute: le dieci decisioni dell’11 novembre 2019 sono un’eccellente conferma, ma anche le diverse decisioni pronunciate nel 2023 in tema di danni provocati da cose in custodia ex art. 2051  c.c., a cominciare dalla capostipite Cass. Civ. n. 11152/2023 ).
Nei confronti di chi ha pesantemente criticato la Terza Sezione per non aver devoluto alla competenza delle Sezioni Unite, si può replicare, dicendo che non sembra sussistere una ragione perché bisognerebbe privare le singole Sezioni, in generale, e la Terza Sezione, nel caso particolare, della possibilità di fissare punti fermi, a tutto vantaggio della certezza del diritto, in settori dinamici quali il risarcimento del danno alla persona e più in generale della responsabilità civile.

Il ruolo della Terza Sezione Civile della Cassazione sulla pluralità delle tabelle giudiziali

Come anticipato, la Corte di cassazione ha dovuto affrontare, come giudice di legittimità, le risposte dei giudici di merito in tema di determinazione del danno non patrimoniale, con applicazione delle Tabelle giudiziali in vigore dal 1995. Inutile ripercorrere qui le ragioni che hanno giustificato l’adozione delle Tabelle Giudiziali.

Evidentemente, quando la Corte costituzionale nel lontano 1986 aveva sottolineato la necessità di introdurre criteri volti ad assicurare uniformità di disciplina nel risarcimento del danno non patrimoniale aveva immaginato che potesse svilupparsi una sola Tabella Giudiziale per via normativa, evidentemente allo scopo di non riprodurre ulteriori e non consentite violazioni del generale principio di uguaglianza. Così non è stato perché la giurisprudenza - giustamente o non giustamente non è certo questa la sede per una più approfondita valutazione - si è rivelata non compatta e non coesa nella concreta determinazione del danno e si sono formate quindi diverse Tabelle giudiziali.
Sino ad un certo momento, come è ampiamente noto, e come si è accennato in precedenza le Tabelle milanesi hanno avuto un ruolo e una diffusione maggiore delle altre, non solo per la loro completezza e per la accuratezza dei dati ma anche perché si erano rivelate (sia pure apparentemente attraverso l’introduzione del punto pesante) più coerenti all’insegnamento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2008, giungendosi così al riconoscimento del 2011 (Cass. Civ. n. 12408/2011 ) del loro ruolo sostanzialmente paranormativo. Poi, la Terza Sezione, alla fine del decennio, allontanandosi dalle decisioni di San Martino del 2008, aveva cominciato a sottolineare la non correttezza di alcuni criteri nella determinazione del danno alla persona, mettendole così in crisi sotto il profilo dell’autonoma risarcibilità del danno morale e sui criteri di determinazione del danno da relazione parentale. Come conseguenza, l’Osservatorio della Giustizia Civile è stato costretto a rivedere due volte nel giro di due anni (marzo 2021 la prima volta e giugno 2022 la seconda) le stesse Tabelle sulla quantificazione del danno morale e su quella del danno parentale. Il quasi pressoché totale monopolio delle Tabelle Milanesi sembrava volgere al termine, e si è aperta, così, una nuova stagione di conflitto, quando non di aperta competizione, tra le varie Tabelle rispetto alla quale la Terza Sezione verificherà se le indicazioni delle diverse formulazioni tabellari (oltre a quelle romane e milanesi esistono infatti quelle le veneziane che sono seguite nel Triveneto) siano o meno coerenti con il generale statuto del risarcimento del danno alla persona fissato nell’ordinanza Decalogo.
In tal modo, la Terza Sezione viene chiamata a svolgere una funzione importante di controllo e di verifica non tanto sulla concreta quantificazione del pregiudizio (profilo evidentemente non consentito ai giudici di legittimità), quanto sui singoli metodi seguiti. In altri termini, la Cassazione non dispone degli strumenti per realizzare quello che ogni operatore del diritto vorrebbe veder realizzato, e cioè l’uniformità nei criteri di valutazione del danno alla persona su tutto il territorio nazionale. Questo compito può essere evidentemente raggiunto solo dal legislatore quando e se emanerà quanto previsto dall’art. 138 c. ass. che, seppur limitato alla circolazione auto e alla responsabilità medica, diventerà verosimilmente lex generalis per ogni danno alla persona; tuttavia, nelle more, la Cassazione è e resta arbitro degli eventuali allontanamenti delle singole Tabelle rispetto allo Statuto delineato dalla Terza Sezione.

 

Il ruolo para-normativo svolto dalla Terza Sezione nella identificazione della causa non imputabile che escluda la responsabilità del debitore-struttura sanitaria

Solo qualche “sciocco”, improvvido e superficiale commentatore aveva visto nella legge Gelli Bianco una sorta di rivendicazione anche morale della supremazia normativa del legislatore nei confronti della giurisprudenza, ritenuta, a torto o a ragione, responsabile della situazione di overdeterrence che si era determinata nella classe medica e anche indistintamente nelle strutture sanitarie, e, più in generale, dei costi sostenuti dal Servizio Sanitario nazionale per effetto del fenomeno definito come “medicina difensiva” nella sua duplice declinazione attiva e passiva.

La legge aveva, infatti, confermato la natura contrattuale della responsabilità della struttura, alla luce di un principio accolto da tempo dalla giurisprudenza, introducendo invece come unica novità la responsabilità extracontrattuale del medico strutturato.
Nella situazione che aveva anticipato l’emanazione della Gelli Bianco, la regola dell’art. 1218  c.c. era divenuta, però, di fatto, una forma di responsabilità paraoggettiva (in tal senso si era espressa, apertis verbis, Cass. Civ. n. 9471/2004 ) perché erano state progressivamente erose le possibilità per il medico convenuto in giudizio di escludere la responsabilità sullo stesso gravante: l’applicazione combinata di diverse regole giurisprudenziali (nesso di causalità probabilistico nella sua duplice accezione di “più probabile che non” e di “probabilità prevalente” (Cass. Civ. n. 25884/2022 ), decorrenza della prescrizione dal momento della conoscenza non oggettiva ma soggettiva della lesione del diritto, perdita di chance, vicinanza della prova etc.) aveva trasformato la regola dell’art. 1218  c.c., regola certamente non basata sulla colpa ma non per questo, secondo la dottrina dominante e la costante giurisprudenza di legittimità, di natura oggettiva (non è certo questa la sede per ripercorrere l’affascinante dibattito sull’art. 1218 tra Giuseppe Osti e Luigi Mengoni), in una responsabilità non lontana da quella oggettiva .
La giurisprudenza, pur dopo che è stata confermata da parte del legislatore la natura contrattuale della responsabilità sanitaria, ha cominciato a ripensare (ed a parzialmente modificare) le conclusioni che erano state raggiunte in precedenza, quasi raccogliendo le indicazioni inespresse del legislatore che era intervenuto proprio per porre un argine ai disequilibri creatasi in conseguenza di un indirizzo giurisprudenziale troppo incline ad un indiscriminato favor actoris.

Il primo intervento, appena pochi mesi successivamente all’entrata in vigore della legge, si ha sul punto specifico dell’onere della prova del nesso causale, che verrà ritenuto gravante sul paziente danneggiato, alla luce del principio del doppio ciclo causale, il primo afferente al piano della causalità materiale condotta-evento di danno, gravante sul paziente, il secondo, avente ad oggetto la causa non imputabile (i.e. l’impossibilità oggettiva dell’adempimento),gravante sul sanitario di fatto trasformando la responsabilità da contrattuale in extracontrattuale (Cass. Civ. n. 18392/2017 , sempre confermata sia in una delle dieci decisioni depositate l’11 novembre 2010 (Progetto Salute: Cass. Civ. n. 28991/2019  e Cass. Civ. n. 28992/2019  sia in pronunce successive).

Il secondo intervento della Cassazione è recentissimo e riguarda uno dei punti centrali dell’intero capitolo della responsabilità sanitaria, cioè i danni sofferti come conseguenza delle infezioni nosocomiali, che costituiscono il dato quantitativamente più numeroso dell’intera responsabilità sanitaria. La Cassazione (Cass. Civ. n. 6386/2023  ma anche in precedenza Cass. Civ. n. 5490/2023  e Cass. Civ. n. 5808/2023 ) deve giudicare un classico caso di danno da infezioni nosocomiali (decesso a causa di un’infezione da stafilococco aureo) e afferma che mai e poi la responsabilità gravante sulla struttura sanitaria ex art. 1218  c.c. potrebbe essere considerata oggettiva, ma per riuscire a integrare la prova liberatoria spetta al convenuto dimostrare di avere fatto, verrebbe da dire, di tutto e di più, indicando un vero e proprio manuale operativo, imponendo cioè un qualcosa che alla fine ha il sapore, ad un primo e superficiale approccio, veramente di una probatio diabolica.

Ma una lettura più attenta della sentenza Cass. Civ. n. 6386/2023  postula, pur tuttavia, una non scontata riflessione preliminare: al di là delle declamazioni o dei travestimenti verbali adottati dalla giurisprudenza della Cassazione, la responsabilità da infezioni nosocomiali è sempre stata ricostruita, nella sua più intima sostanza, in termini di responsabilità oggettiva (se non addirittura assoluta) secondo il vieto criterio del post hoc-propter hoc.

Ecco, allora che una più approfondita lettura di quella pronuncia consentirebbe di ritenere che la Cassazione abbia voluto offrire una, sia pur ridotta e complessa ma anche irta di difficoltà, possibilità di prova contraria, attraverso la dimostrazione, da parte della struttura sanitaria, di aver seguito, nello specifico caso concreto, tutte le indicazioni offerte in motivazione (e non si dica che, nell’era dell’intelligenza artificiale e delle telecamere piazzate ad ogni angolo di strada, non sia possibile documentare, intervento per intervento, la completa osservanza di quelle prescrizioni): in definitiva, al di là delle poco sensate declamazioni provenienti specie dalla medicina legale, l’alternativa tra una prova impossibile (sino ad ora) ed una prova invece di grande difficoltà (ma pur sempre possibile).
Nei due settori ora indicati la funzione della Cassazione si presenta assai diversa: nel primo caso le decisioni della Cassazione sull’onere della prova sembrano essere quasi una confessione dell’eccessiva esuberanza mostrata dalla giurisprudenza nel tempo anteriore alla Gelli-Bianco: “il legislatore non ha voluto invadere la competenza giurisdizionale, ma noi giudici ci siamo resi conto di esserci spinti troppo avanti e che è quindi ragionevole un ripensamento, nostro, non cioè imposto dal legislatore”. In questo caso la Cassazione finisce per integrare le disposizioni della Gelli-Bianco.
Nel caso delle infezioni nosocomiali, la Cassazione si comporta da legislatore, elaborando Lei stessa un vero e proprio modulo operativo che ha tutto il sapore di una norma regolamentare, anche in ragione dei limiti mostrati dalla Gelli-Bianco che, a differenza di altre legislazioni, in particolare quella francese, non ha voluto emanare norme che stabiliscano la responsabilità oggettiva della struttura sanitaria quando compromessa sia stata la sicurezza della salute da infezioni nosocomiali e sia stato causato nel paziente una invalidità entro il 25%, mentre, per le invalidità superiori deve essere trovata una protezione in un sistema di solidarietà nazionale, prevedendo una formula indennitaria come in Francia.

 

Autore: Giulio Ponzanelli (Ordinario di istituzioni di diritto privato nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - Studio legale Bonelli Erede) - Pubblicato su: Danno e Responsabilità n. 1/2024 – Editore: Wolters Kluwer