Sentenza Cassazione Civile, Sez. II°, 16/02/2007 n. 3645 Svolgimento del processo F.G. convenne dinanzi al tribunale di Busto Arsizio B.A., Bo.Gi., B.G., B.M. T. e B.R., chiedendo la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di compravendita con gli stessi stipulato nell'aprile del 1989 e la loro condanna al risarcimento dei danni. A sostegno di tali richieste, il F.G. dedusse che gli odierni convenuti, quali promittenti venditori, avevano disertato l'appuntamento dinanzi al notaio Be. fissato per la stipula del contratto definitivo il giorno 30 giugno 1989, dopo che la precedente convocazione era stata rinviata per consentire loro una regolarizzazione di ordine fiscale, precisando che tale assenza gli impedì di vendere, a sua volta, un proprio immobile, per il deciso rifiuto dell'altro contraente di procrastinare l'atto di acquisto. Si costituirono in giudizio i B., ad eccezione di B. A., rimasta contumace, chiedendo il rigetto delle domande e, in caso di loro accoglimento, di essere manlevati dal mediatore, la s.a.s. Studio Busto di Freri Marco e C. che, chiamata in causa, si difese proponendo, in via autonoma, richiesta nei confronti dei convenuti di pagamento della provvigione. Esaurita l'istruttoria, il tribunale adito rigettò sia la domanda del F.G., che quella della terza chiamata. Con sentenza del 31.12.1999, la Corte di appello di Milano, cui si erano rivolte tutte le parti del giudizio, così dispose: a) respinse l'appello principale del F.G., reputando che,essendo il termine fissato nel contratto preliminare non essenziale, il comportamento dei promettenti venditori integrasse un ritardo di non grave importanza e non già un inadempimento definitivo, tale da legittimare la risoluzione del contratto, b) accolse l'appello incidentale proposto dalla s.a.s. Studio Busto di Freri Marco e C. e condannò i B. al pagamento della provvigione a questa dovuta; c) rigettò l'appello incidentale proposto da Bo.Gi., B.M.T. e B.R. - essendo rimasti contumaci B.G. e B.A. - sulle spese di giudizio. Avverso questa sentenza, ha proposto ricorso per cassazione F.G., deducendo due motivi. Si è costituito con controricorso la s.a.s. Studio Busto Arsizio di Luigi Ferrara (già Freri Marco) e C.. Con ordinanza pronunciata all'udienza del 17.9.2003, questa Corte, avendo accertato che il ricorso era stato notificato in modo invalido nei confronti di B.M.T.; B.R., Bo.Gi. e B.A., disponeva la integrazione del contraddittorio nei loro confronti, adempimento che la parte ricorrente eseguiva. Con successiva ordinanza dell'11.2.2004, la Corte, rilevato che la notificazione del ricorso era stata compiuta presso il domicilio del difensore, nonostante fosse passato un anno dalla sentenza, e verificato che sul punto esisteva un contrasto di giurisprudenza in ordine al luogo in cui deve, in questi casi, essere eseguita la notifica dell'impugnazione dopo un anno dalla sentenza, se presso la parte personalmente o presso il procuratore, rimetteva la causa al Primo Presidente affinchè il punto controverso fosse deciso dalle Sezioni Unite. Con sentenza dell'1.2.2006 le Sezioni Unite hanno quindi deciso nel senso che "nei giudizi di impugnazione, la notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili ai sensi dell'art. 331 c.p., qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente". Rimessa la causa sul ruolo, alla successiva udienza del 3.4.2006 è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso nei confronti di B.M.T., B.R. e B. G., adempimento eseguito a cura del ricorrente, nel termine indicato dall'ordinanza, il 4 e 5.5.2006. Parte ricorrente ha quindi depositato memoria. I consorti B. sono intervenuti, tramite difensore, alla discussione orale. Motivi della decisione Con due motivi illustrati congiuntamente, il ricorso denunzia i vizi di violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1218, 1223, 1350, 1351, 1453, 1455 e 1457 cod. civ. e dell'art. 116 cod. proc. civ., nonchè di insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia. Si sostiene che la sentenza gravata è incorsa in molteplici violazioni e false applicazioni di norme di legge ed in illogiche ed incongrue valutazioni dei fatti, frutto di inadeguata ed erronea interpretazione degli elementi probatori acquisiti nel corso del processo, che le hanno impedito di giungere alla conclusione di ritenere che il termine stabilito dalle parti per la conclusione del contratto definitivo era essenziale ovvero, comunque, di qualificare in termini di inadempimento grave e definitivo la condotta posta in essere dai promittenti venditori. La corte territoriale, in particolare, non ha considerato, anche in ragione della mancata ammissione delle prove orali ritualmente dedotte, che la essenzialità del termine derivava, nel caso concreto, dalla stretta connessione temporale, di cui i B. erano stati più volte informati, esistente tra la stipula del contratto de quo e la vendita, da parte dell'odierno ricorrente, del proprio appartamento, necessaria al fine di fargli procurare la provvista per il pagamento del prezzo e di mantenere, nel contempo, una abitazione, condizioni che richiedevano entrambe il rispetto del termine prefissato per la stipula del contratto definitivo. La mancata ammissione delle prove dedotte su tali circostanze è illegittima, atteso che esse non miravano a provare l'esistenza di un contratto formale, ma solo a dimostrare che i promittenti venditori conoscevano le circostanze di fatto in forza delle quali il termine doveva considerarsi essenziale. Non risulta perciò osservato il principio affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui l'essenzialità del termine, oltre che espressa, può essere anche implicita e desumibile dalla natura, dall'oggetto del negozio o da altre circostanze. Del tutto illogica ed incongrua appare poi la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, sia con riferimento ai motivi del breve rinvio deciso il 28.6.1989, che in relazione al telegramma inviato dal F. alla controparte il giorno successivo. Sotto altro profilo, la sentenza impugnata merita censura per l'erronea applicazione dei principi stabiliti dagli artt. 1453 e 1455 cod. civ. e per insufficiente motivazione sul punto, per non avere ritenuto, pur dopo aver escluso l'essenzialità del termine, che comunque il comportamento dei promittenti venditori, che avevano disertato l'appuntamento concordato del 30 giugno ed erano poi rimasti silenti per il mese successivo, non integrasse di per sè un inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare la domanda di risoluzione del contratto. A tal fine, la Corte di merito ha colpevolmente trascurato che la ragione della mancata conclusione del contratto in data 28 giugno era ascrivibile ai soli B., che tra essi erano sorti contrasti, e che, inoltre, il loro comportamento successivo era comunque contrario ai principi di correttezza e buona fede ed era stato causa di pregiudizio per la controparte, che si è vista costretta a rinunciare, pur sopportando, tra l'altro, le spese di mediazione, a concludere il contratto collegato di vendita del proprio appartamento; per contro, rilievo eccessivo è stato attribuito alla lettera dei B. del 28.7.1989, che manifestava una disponibilità a contrarre ormai inutile, disattendendo in questo caso la Corte il principio in forza del quale il comportamento delle parti del contratto va valutato, ai fini di accertare la gravità dell'inadempimento, tenendo conto della permanenza in capo alla parte non inadempiente dell'interesse ad un adempimento tardivo. Entrambi i motivi, nelle loro articolate censure, sono, in parte, inammissibili e, in parte, infondati. Giova invero precisare che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità le doglianze sollevate nel ricorso che lamentano una errata lettura e valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto incensurabili in cassazione, se non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione. Parimenti, appartengono alla specifica competenza del giudice di merito tanto l'interpretazione del contratto, quanto il giudizio in ordine alla rilevanza delle prove, sindacabili, in sede di legittimità, il primo, sotto il profilo della applicazione delle regole ermeneutiche stabilite dalla legge, e, entrambi, sotto il profilo della motivazione. Tanto precisato, assume il ricorso che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, di negare carattere di essenzialità al termine stabilito nel contratto preliminare per la stipula del contratto definitivo, è errata in quanto, pur in mancanza di espressioni contrattuali esplicitamente volte a qualificare il termine come essenziale, tale invocata qualità risultava impressa per implicito dalla presenza di un collegamento tra il contratto de quo e quello, sostanzialmente contemporaneo, in forza del quale l'odierno ricorrente avrebbe venduto ad altri il proprio appartamento. Aggiunge infatti il ricorrente che i due negozi dipendevano reciprocamente l'uno dall'altro, atteso che la vendita gli avrebbe procurato la provvista in denaro necessaria per l'acquisto, mentre quest'ultimo gli avrebbe consentito di avere un appartamento in cui abitare. Sul punto può osservarsi che certamente corretta, e nemmeno smentita dall'attuale difesa del ricorrente, è l'affermazione del giudice di merito secondo cui, in tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto. Tale conclusione appare conforme all'orientamento più volte ribadito da questa Corte, secondo cui il termine per l'adempimento può ritenersi essenziale ai sensi dell'art. 1457 cod. civ. solo quando, all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare ormai perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine (così, ex multis, Cass. n. 5797 del 2005 e Cass. n. 1815 del 2004). Corretta appare altresì la soluzione della Corte di appello che ha negato rilevanza, al fine della essenzialità del termine, alla connessione tra le due compravendite dedotta dal F., assumendo che essa rifletteva mere esigenze personali dello stesso, mai esplicitate nel contratto. Ferma la valutazione di fatto operata sul punto dal giudice di merito, quale risultato della attività di interpretazione del contratto (Cass. n. 14611 del 2005), deve infatti osservarsi, in linea di diritto, che il collegamento negoziale è fenomeno incidente direttamente sulla causa della operazione contrattuale che viene posta in essere, risolvendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Al fine di acquisire autonoma rilevanza giuridica, specie nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e laddove la connessione rifletta l'interesse soltanto di uno dei contraenti, è necessario tuttavia che il nesso teleologico tra i negozi o si traduca nell'inserimento di appropriate clausole di salvaguardia della parte che vi ha interesse ovvero venga quanto meno esplicitato ed accettato dagli altri contraenti, in guisa da poter pretendere da essi una condotta orientata al conseguimento dell'utilità pratica cui mira l'intera operazione. In altri termini, la fattispecie del collegamento negoziale se, da un lato, è configuratale anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, richiede, dall'altro, pur sempre che i negozi siano concepiti ed accettati come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti (in questo senso: Cass. n. 18655 del 2004). La sentenza impugnata ha invece escluso tanto la presenza di clausole contrattuali espressione della dedotta interdipendenza tra i due contratti, quanto che un tale legame fosse noto e fosse stato condiviso e fatto proprio dagli altri contraenti. L'affermata inesistenza di questi presupposti rende la soluzione adottata pienamente condivisibile. Infondata appare infine la censura che lamenta l'errore della sentenza gravata per non aver qualificato la mancata comparizione dei promittenti venditori presso il notaio il giorno 30.6.1989 per la stipula del contratto definitivo come inadempimento grave, tale da giustificare la risoluzione, per loro colpa, del contratto. Il giudice di merito ha invero escluso la gravità dell'inadempimento, osservando che il termine per la conclusione del contratto definitivo, già qualificato come non essenziale, era stato oltrepassato soltanto di pochi giorni e che, pertanto, il ritardo non era tale, in relazione alla materia ed all'oggetto del contratto, da superare la normale tollerabilità. Si tratta, all'evidenza, di motivazione congrua e sufficiente, che da conto dei dati concreti su cui è fondato il relativo giudizio, nonchè pienamente conforme al dettato dell'art. 1455 cod. civ.. L'inadempimento di non scarsa importanza, ai fini dell'accoglimento della domanda di risoluzione, presuppone infatti, sotto l'aspetto temporale che qui interessa, un ritardo talmente prolungato da pregiudicare seriamente l'interesse della parte non inadempiente ad un adempimento tardivo. Nè coglie nel segno la critica secondo cui la decisione non avrebbe preso nella dovuta considerazione l'interesse dell'odierno ricorrente alla pronta conclusione del contratto, avendo sul punto il giudicante chiarito che tale interesse non era stato esplicitato nel contratto, aveva natura meramente personale e non era nemmeno giustificato dalladedotta necessità di procedere alla vendita e quindi all'acquisto di un diverso appartamento, dal momento che siffatta possibilità, di fatto, non risultava pregiudicata da un breve ritardo. A ciò si aggiunga che l'indagine volta ad accertare l'importanza dell'inadempimento ed il relativo giudizio costituiscono apprezzamenti di fatto, non censurabili in questa sede (Cass. n. 20791 del 2004; Cass. n. 16579 del 2002). In conclusione, il ricorso è respinto. Si rinvengono giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra il F. ed i consorti B.; le spese della s.a.s. Studio Busto Arsizio di Luigi Ferrara (già Freri Marco) e C. seguono invece la soccombenza del ricorrente. P.Q.M. rigetta il ricorso e compensa le spese tra il ricorrente ed i B.; condanna il ricorrente alle spese di giudizio dello Studio Busto Arsizio di TORREGROSSA DANTE (già Freri Marco) e C., che liquida in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre accessori. Così deciso in Roma, il 15 novembre 2006. Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2007 |