Suprema Corte di Cassazione

Sezione 6°

Ordinanza n. 29520 del 07/12/2017

 

Presidente: SCALDAFERRI ANDREA, Relatore: FERRO MASSIMO

 

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. F. F. s.r.l. impugna la sentenza App. Napoli 27.6.2016, n. 101/2016, in R.G. 114/2016, con cui è stato rigettato il suo reclamo proposto avverso la sentenza Trib. Avellino 28.12.2015, n.81/2015 di declaratoria di fallimento reso su originaria istanza di O. M. s.r.l.;

2. la corte di appello ha riconosciuto: a) la irrilevanza, ai fini della richiesta revoca, della desistenza del creditore ricorrente, sopraggiunta solo a fallimento dichiarato e reclamo già promosso; b) l'infondatezza dell'eccezione di inesistenza del credito dell'istante, perché convenuto su fattura di comodo, sia per mancata prova sia per omessa deduzione nel giudizio ordinario di tale eccezione sia per il maggior importo, circa il doppio, comunque recato a supporto dell'iniziativa di fallimento rispetto alla somma da ultimo contestata; c) la sussistenza dell'insolvenza, non contraddetta dalla prospettata rateizzazione del debito fiscale (già per mancata prova del pagamento delle prime rate), la assunta continuità del fido bancario (invero già utilizzato del tutto), la regolarità degli stipendi (corrisposti invece solo a metà dicembre 2015 per le prestazioni dei lavoratori del mese anteriore), a nulla soccorrendo le risultanze contabili, inattendibili per la confessata abitudine di emettere fatture di comodo ed invece sussistendo, nonostante e al di là di una situazione patrimoniale non aggiornata, altri indici come esecuzioni, decreti ingiuntivi, sbilancio tra attivo liquidabile e debiti correnti; 3. con il ricorso, in due motivi la ricorrente contesta la legittimazione dell'istante al fallimento e la sussistenza dello stato d'insolvenza;

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile ex art.360b1s co.1 n.1 c.p.c., contravvenendo al principio, pacifico, per cui «nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento hanno rilievo esclusivamente i fatti esistenti al momento della sua decisione, e non quelli sopravvenuti, perché la pronuncia di revoca del fallimento, cui il reclamo tende, presuppone l'acquisizione della prova che non sussistevano i presupposti per l'apertura della procedura alla stregua della situazione di fatto esistente al momento in cui essa venne aperta; ne discende che la rinuncia all'azione o desistenza del creditore istante, che sia intervenuta dopo la dichiarazione di fallimento, è irrilevante perché al momento della decisione del tribunale sussisteva ancora la sua legittimazione all'azione.» (Cass. 19682/2017, 16180/2007, 8980/2016);

2. il secondo motivo è parimenti inammissibile, alla stregua dei limiti riservati al controllo di legittimità sulla valutazione dello stato d'insolvenza, per come riservata al giudice di merito; ed invero, da un canto può ripetersi che «lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell'imprenditore non è escluso dalla circostanza che l'attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell'insolvenza, che è quello rilevante agli effetti dell'art. 5 legge fall., deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell'esperienza economica, nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta.» (Cass.7252/2014);

3. d'altro canto, Cass. s.u. 8053/2014 ha deciso che «la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione », circostanze puntualmente escluse dalla analiticità del quadro giustificativo rendicontato dalla Corte d'appello, considerato che tutti gli elementi rilevanti sono stati esaminati, tanto più ove la pronuncia ha apprezzato la scarsa attendibilità delle scritture contabili della società e il mancato deposito di una situazione patrimoniale aggiornata al fallimento, non oggetto di puntuale e specifica censura;

4. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, co. 1- quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1 -bis dello stesso art. 13.