CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -
Dott. TAVASSI Marina Anna - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4073/2005 proposto da:
BONAPESCA S.P.A., già Bonapesca S.r.l., in persona del Presidente
del Consiglio di Amministrazione pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso l'avvocato FIORE
GIOVANNA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
BORGHESI DOMENICO, VILLANI ALBERTO, giusta procura in calce al
ricorso;
- ricorrente -
contro
EUROMAR S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (c.f. (OMISSIS)), già BOVO S.r.l.
in liquidazione, in persona del Liquidatore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TORINO 122, presso l'avvocato
COMEGNA CARMELO, rappresentata e difesa dall'avvocato BERTOLI
ANTONIO, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 46/2004 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA,
depositata il 12/01/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
25/06/2009 dal Consigliere Dott. TAVASSI MARINA;
udito, per la ricorrente, l'Avvocato FIORE GIOVANNA che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato COMEGNA CARMELO, con
delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso per ingiunzione depositato in data 16.06.1995, la s.r.l.
Bovo (in seguito Euromar s.r.l.) chiedeva al Tribunale di Padova di ingiungere alla s.r.l. Bonapesca il pagamento del debito della Nuova Deltapesca (pari a L. 413.101.103), oltre interessi e spese, con clausola di provvisoria esecuzione, deducendo:
- di essere creditrice della s.r.l. Nuova Deltapesca (la cui attività era cessata in data 28.01.95, essendo stata pronunciata sentenza di fallimento del Tribunale di Rovigo in data 2.03.95) a seguito di forniture di pesce;
- che la debitrice aveva trasferito tutta la merce dal proprio magazzino, mediante vendita fittizia alla s.r.l. Itticom, che l'aveva poi rivenduta alla Bonapesca;
- che Bonapesca aveva preso in affitto da Nuova DeltaPesca i 35 automezzi di questa, assumendo i relativi autisti ed acquisendone la clientela.
Ravvisando in tali fatti i reati di truffa, ricettazione e criptocessione dell'azienda, la società Bovo chiedeva al Tribunale di Padova il citato decreto ingiuntivo.
In data 28.06.95,, il decreto veniva emesso e in seguito notificato, insieme al precetto, in data 19.07.95.
Con atto di citazione a comparire avanti al Tribunale di Padova, notificato in data 25.08.95, la Bonapesca si opponeva al decreto eccependo in via pregiudiziale l'incompetenza per territorio del Tribunale adito e la mancanza di prova scritta idonea a fondare la domanda avanzata in via monitoria. Nel merito Bonapesca contestava la propria responsabilità, sia in via contrattuale che extracontrattuale.
La Bovo s.r.l. si costituiva in giudizio contestando le eccezioni sollevate da controparte.
Veniva dichiarata la sospensione provvisoria dell'esecuzione del decreto ingiuntivo.
In data 4.08/4.10.00 il Tribunale, ritenuta la propria competenza, escludeva sia la cessione di azienda, in mancanza di trasferimento dei beni essenziali ad essa, sia la responsabilità extracontrattuale. Riteneva, infatti, accertato che la merce di Bovo, rimasta non pagata, non fosse mai stata girata a Bonapesca e che la stessa non avesse mai concluso atti riconducili ad un acquisto di azienda. Revocava, quindi, il decreto, respingendo ogni altra domanda e condannando la Bovo alla rifusione della metà delle spese di lite, con compensazione della residua metà.
Avverso tale sentenza proponeva appello, in data 12.10.00, la Bovo s.r.l., chiedendo la conferma del decreto monitorio per il pagamento del credito maturato presso la Nuova Deltapesca, dovendosi configurare nella fattispecie sia la cessione di azienda (da Nuova Deltapesca a Bonapesca), sia la responsabilità extracontrattuale, con vittoria delle spese per il doppio grado di giudizio.
Nell'appello veniva ricordato che, in data 29.01.95, la Nuova Deltapesca aveva spedito un fax ai propri clienti avvisandoli che dal giorno seguente gli ordini avrebbero dovuto essere inviati alla Bonapesca, che si sarebbe curata di evaderli. Conseguentemente la Bonapesca aveva acquisito tutti i clienti di Nuova Deltapesca, aveva assunto la metà dei suoi autisti, acquistando, tramite usufrutto, la disponibilità degli automezzi per la consegna, nonchè il magazzino giacente.
Ricordava la difesa dell'appellante che parte della dottrina aveva affermato che, in caso di dubbia cessione di azienda, si dovevano valutare soprattutto le qualità oggettive del complesso dei beni trasferiti, controllando che ci fosse il passaggio anche di elementi organizzativi.
Nel caso di specie, l'unica cosa che Nuova Deltapesca non aveva trasferito erano state le celle frigorifere necessarie per la conservazione e lavorazione del pesce, ritenute essenziali dal Tribunale, ma, in realtà, non necessarie a Bonapesca, data la medesima attività di commercio del pesce dalla stessa già esercitata. La capacità commerciale connessa alla dotazione di una certa clientela era un fatto essenziale.
Il Tribunale aveva errato nel non accordare il risarcimento per illecito extracontrattuale nei confronti di B.R., sulla base della non corrispondenza tra la qualificazione giuridica dell'illecito commesso dallo stesso, individuata nella domanda, e quella corretta, individuata dal giudice penale. Tale diversa qualificazione, infatti, non aveva spostato i termini della questione.
Si costituiva Bonapesca s.p.a., chiedendo il rigetto dei motivi di impugnazione, con vittoria di spese e onorari.
Con sentenza del 10.11.03/12.01.04, la Corte d'Appello di Venezia accoglieva l'appello e, in riforma della sentenza del Tribunale di Padova, rigettava l'opposizione proposta dalla Bonapesca, confermando il decreto ingiuntivo e condannando l'appellata alle spese di giudizio.
Per la Corte il primo giudice aveva errato nell'escludere la configurabilità della cessione d'azienda.
La Bonapesca, avendo affittato 35 automezzi da Nuova Deltapesca ed avendo assunto i relativi autisti, dal momento della cessione dell'attività della Nuova Deltapesca, si era resa cessionaria di fatto di fronte ai terzi, nei confronti dei quali non era richiesta ad probationem la prova scritta per la validità della cessione.
Era emerso, poi, che la clientela di Deltapesca era passata in toto alla Bonapesca dopo l'avviso ai clienti, da parte dei responsabili della prima società, di inviare gli ordini alla Bonapesca. Il trasferimento d'azienda, quindi, si era verificato in pieno. Non occorreva, come ritenuto erroneamente dal Tribunale, che fossero ceduti tutti i beni essenziali, essendo sufficiente il passaggio di un minimo di elementi organizzativi per l'esercizio dell'impresa.
In ogni caso, vi era anche responsabilità extracontrattuale per i danni subiti da Bovo a causa del comportamento illecito dell'amministratore di Deltapesca, il quale era stato condannato per concorso in bancarotta fraudolenta per aver distratto i clienti e parte delle attività della società Nuova Deltapesca in favore di Bonapesca.
Quanto alla certezza e liquidità del credito oggetto del provvedimento monitorio, andava rilevato che lo stesso risultava provato alla stregua della sua ammissione al passivo del fallimento della Nuova Deltapesca.
Contro tale sentenza Bonapesca s.p.a. ricorreva per Cassazione, con ricorso notificato in data 11.02.05, deducendo sei motivi di doglianza, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Resisteva Euromar s.r.l. in liquidazione (già Bovo s.r.l. in liquidazione), notificando controricorso in data 11.03.05.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. La ricorrente s.p.a. Bonapesca esordiva nel proposto ricorso con la trattazione sintetica dei fatti di causa. Sulla propria pretesa responsabilità contrattuale nei confronti di Bovo s.r.l., in quanto asseritamente acquirente della Nuova Deltapesca, deduceva, come primo motivo di ricorso (punti A.1 e seguenti del ricorso), la violazione degli artt. 2555, 2560, 2561, 2562, 2727, 2729 c.c., nonchè l'illogicità della motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Affermava che, pur essendo vero che non era necessario il trasferimento di tutti i beni aziendali per configurare una cessione d'azienda, tale accertamento non poteva prescindere dall'accertamento dell'alienazione dei beni significativi della stessa, che fossero rimasti collegati tra loro al fine di configurare almeno formalmente un abbozzo di azienda. Non veniva contestata la circostanza secondo cui Bonapesca aveva stipulato con Nuova Deltapesca un contratto di usufrutto temporaneo (per 3 anni) dei mezzi di trasporto. L'usufrutto temporaneo era trattato in modo sensibilmente diverso rispetto all'acquisto di beni aziendali, soprattutto avuto riguardo alla responsabilità per debiti aziendali. Diversamente da quanto previsto per la vendita, l'usufrutto temporaneo non prevedeva alcuna responsabilità per i debiti aziendali.
La Corte aveva considerato come acquisto di beni rilevanti dell'azienda l'assunzione degli autisti degli automezzi presi in usufrutto. Tale affermazione era da considerarsi errata in quanto, secondo la dottrina, la manodopera non poteva essere considerata un bene e, comunque, essendo Deltapesca un'azienda ittica e non di autotrasporto, i beni rilevanti erano da considerarsi le attrezzature destinate alla lavorazione e alla conservazione del pesce, non i mezzi di trasporto.
Il fatto che le due aziende si fossero susseguite nell'evasione degli ordini non poteva essere sintomo della cessione d'azienda, perchè la clientela non poteva essere considerata alla stregua di un bene aziendale.
Non era nemmeno configurabile la cessione di clientela, essendo questa inscindibilmente connessa alla cessione di azienda.
In ogni caso, era logico che la clientela passasse da un'azienda all'altra, data la medesima fattispecie di commercio e la vicinanza territoriale delle due imprese.
La Corte aveva altresì erroneamente affermato che Bonapesca avrebbe anche acquistato la disponibilità del magazzino. Ciò in contrasto con quanto riportato nella stessa sentenza in merito alle dichiarazioni del teste M., che mai aveva parlato dell'acquisto da parte di Bonapesca del magazzino di Nuova Deltapesca. La sentenza sarebbe stata comunque errata, anche se la Corte avesse ritenuto che la cessione dei beni indicati facesse presumere l'esistenza di una cessione di azienda, poichè secondo i principi regolanti la prova per presunzioni non sarebbe stato lecito inferire da fatti noti, dai quali non si poteva ravvisare una cessione di beni aziendali, l'esistenza di un fatto non diversamente dimostrato, quale la cessione d'azienda.
1.2 - Come secondo motivo di censura la difesa di Bonapesca deduceva la violazione degli artt. 2697, 2727, 2729, 2560 c.c., e l'illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Rilevava la difesa ricorrente come il dell'art. 2560 c.c., comma 2, sancisse che l'acquirente dell'azienda dovesse rispondere "dei soli debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie", avendo la giurisprudenza chiarito che l'onere di provare l'inclusione tra i debiti trascritti nelle scritture obbligatorie dell'azienda delle passività, che si sarebbe inteso porre a carico dell'acquirente della stessa, incombeva su chi pretendeva di far valere tale responsabilità. La s.r.l. Bovo nel caso di specie non si era curata di acquisire tale prova.
La Corte veneziana aveva ritenuto di poter considerare ugualmente raggiunta la prova che il credito fosse stato annotato sulle scritture obbligatorie di Nuova Deltapesca, desumendola dal fatto che Bovo era stata ammessa allo stato passivo della società fallita. La Corte in tal modo aveva mal applicato i principi elaborati dalla Cassazione in materia di prova, in particolare di prova per presunzioni. L'induzione avrebbe potuto essere condivisa solo se qualche disposizione di legge avesse posto un divieto di ammissione al passivo fallimentare di crediti non risultanti dai libri contabili obbligatori dell'impresa, mentre nessuna norma poneva un simile divieto. L'ammissione al passivo fallimentare avrebbe potuto essere fondata su prova certa, quale la registrazione del debito nel libro IVA, che non rientrava fra le scritture contabili obbligatorie, ovvero sugli accertamenti eseguiti nella specie dalla Polizia Tributaria, attivata nel corso del procedimento penale per la pretesa truffa o insolvenza fraudolenta.
Era, al contrario, probabile che l'annotazione non fosse avvenuta, anche perchè la fornitura era stata effettuata nell'imminenza del fallimento, quando l'apparato contabile ed amministrativo di Nuova Deltapesca era ormai "fuori combattimento".
1.3 - In merito all'asserita responsabilità extracontrattuale, come primo motivo di censura (punto B-l; terzo motivo del ricorso), veniva dedotta la violazione dell'art. 183 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c..
La Bovo s.r.l., a sostegno della propria richiesta di ingiunzione contro Bonapesca per il pagamento della fornitura effettuata a Nuova Deltapesca, aveva addotto a titolo extracontrattuale il preteso acquisto da parte di Bonapesca della merce non pagata da Nuova Deltapesca, presentandolo come fatto delittuoso.
In occasione della discussione finale della causa innanzi al Tribunale di Padova, la Bovo aveva sostenuto che la responsabilità extracontrattuale di Bonapesca avrebbe dovuto essere affermata per i fatti in forza dei quali l'amministratore B.R. era stato condannato per bancarotta dal Tribunale di Rovigo. Tale tesi, non accolta dal Tribunale di Padova, era stata poi accolta dalla Corte di Venezia. Bovo aveva, quindi, posto alla base dell'asserita responsabilità extracontrattuale argomenti diversi da quelli fatti valere originariamente.
1.4 - Come secondo motivo di ricorso in tema di responsabilità extracontrattuale (quarto motivo) veniva dedotta la violazione dell'art. 651 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
La ricorrente sottolineava che la decisione del Tribunale Penale di Rovigo, cui la sentenza impugnata faceva riferimento, era stata poi ribaltata dalla Prima Sezione Penale della Corte d'Appello di Venezia, che aveva assolto il B. dall'accusa di concorso in bancarotta per distrazione, con la formula "il fatto non sussiste".
La decisione impugnata, quindi, era stata fondata su elementi non definitivi, in contrasto con i principi di efficacia del giudicato.
1.5 - Come terzo motivo di censura sulla responsabilità extracontrattuale (quinto motivo del ricorso) la difesa di Bonapesca deduceva la violazione degli artt. 1223 e 2043 c.c., e l'illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, il tutto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Il preteso illecito che l'amministratore della Bonapesca avrebbe commesso sarebbe stato da individuarsi nella presa in usufrutto dei mezzi di trasporto, nella pretesa appropriazione della clientela e nell'assunzione degli autisti.
Asseriva la difesa ricorrente che in ogni caso diretto danneggiato in relazione a tali fatti non sarebbe stato il Bovo, creditore di Nuova Deltapesca, bensì la Nuova Deltapesca stessa.
Legittimato a richiedere il danno sarebbe stato il curatore fallimentare di quest'ultima, mentre Bovo s.r.l. avrebbe potuto solo far valere il proprio credito mediante l'insinuazione al passivo.
Non esisteva alcun diretto nesso di causalità tra l'assunzione degli autisti, il preteso sviamento di clientela, la presa in usufrutto dei camion ed il mancato pagamento della fornitura effettuata da Bovo a Deltapesca.
La Corte veneziana, nel ritenere ammissibile il risarcimento, era incorsa nella violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c..
1.6. - Come ultimo motivo di ricorso (sesto motivo) veniva dedotta la violazione dell'art. 2697 c.c. e l'illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Nel caso in cui fosse stato possibile ritenere corretta la pronuncia della Corte veneziana in merito al danno subito direttamente dalla Bovo a seguito dei fatti di asserito concorso in bancarotta, non si sarebbe, comunque, potuto ritenere che il danno patito da Bovo fosse esattamente coinciso con il prezzo della merce non pagata da Deltapesca.
Tale decisione era da ritenersi contraria ai principi vigenti in tema di nesso di causalità e di prova.
La difesa della società ricorrente chiedeva, quindi, la cassazione della sentenza impugnata con diretto rigetto della domanda proposta da Bovo s.r.l. e con ogni consequenziale provvedimento anche in ordine alla liquidazione delle spese.
In subordine, chiedeva la cassazione della sentenza impugnata con ogni consequenziale provvedimento anche in ordine alle spese.
2.1. - Euromar s.r.l. in liquidazione, già Bovo s.r.l. in liquidazione, con il proposto controricorso ripercorreva brevemente i fatti di causa, riportando quindi integralmente i motivi di appello a suo tempo dedotti ed accolti dalla Corte d'Appello di Venezia.
I primi motivi di ricorso relativi all'inesistenza della responsabilità contrattuale della Bonapesca quale cessionaria di Nuova Deltapesca erano, per la controricorrente, infondati.
La ricorrente aveva, infatti, confuso il termine "acquisto" con il termine "trasferimento" utilizzato dal legislatore nell'art. 2560 c.c..
Il termine "trasferimento" comprendeva anche il passaggio della disponibilità dell'organizzazione aziendale con le più varie forme giuridiche, anche di mero fatto.
La giurisprudenza aveva già chiarito che l'ipotesi di trasferimento d'azienda ricorreva non solo nei casi espressamente contemplati della vendita, dell'affitto e della concessione in usufrutto dell'azienda, ma anche nelle ipotesi in cui, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'impresa e quindi immutato il suo oggetto e la sua natura obbiettiva, si fosse realizzata la sostituzione della persona del titolare, quale che fosse il mezzo giuridico attraverso il quale detta sostituzione si attuava (Cass. 5466/98, 9728/97, 10688/96) e relativamente alla cessione di beni aziendali realizzati attraverso atti negoziali distinti di trasferimento in proprietà, affitto o a titolo di comodato, facenti parte di un disegno unitario (Cass. 5739/90, 3167/90, 123/90, 515/89).
La ricorrenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 2560 c.c., alla fattispecie era stata offerta dall'iscrizione, allo stato passivo del fallimento della Nuova Deltapesca, del credito della Bovo s.r.l..
Il debito ammesso al passivo, infatti, presupponeva che il curatore avesse verificato le scritture contabili della Nuova Deltapesca, riscontrando l'esistenza dello stesso.
Affermava, poi, che la forma scritta ad probationem per i negozi attinenti al trasferimento della proprietà o del godimento dell'azienda,, riguardava solo i rapporti tra cedente e cessionario, mentre i terzi erano abilitati a fornire la prova di tali negozi giuridici senza soggiacere alla suddetta limitazione, essendo sufficiente la prova a mezzo presunzioni (Cass. 2518/84, 6071/87).
Nel caso di specie, le prove presuntive e documentali della cessione dell'azienda erano molteplici.
Le risultanze documentali, unite alla sentenza del Tribunale di Rovigo, che aveva dichiarato il fallimento della Nuova Deltapesca, non potevano che evidenziare l'intendimento di operare una "criptocessione", allo scopo di eludere le disposizioni di legge inderogabili dettate nell'interesse dei creditori ex art. 2560 c.c..
La Suprema Corte aveva statuito che si configurava trasferimento d'azienda, indipendentemente dal meccanismo giuridico utilizzato, quando si avesse la sostituzione del titolare della struttura operativa rimasta, in tutto in parte, inalterata. Non era necessario il passaggio dei rapporti in essere con fornitori e clienti, nè la cessione dei beni nella loro globalità, essendo sufficiente la cessione di singoli beni considerati nella loro individualità, laddove era evidente la possibilità che il cessionario potesse disporre di una struttura aziendale preesistente, idonea a proseguire l'attività imprenditoriale.
Vi era stata una cessione di fatto dell'azienda, come accertato della Corte veneziana, e da tale cessione non potevano che derivare le conseguenze previste dall'art. 2560 c.c., con l'obbligo di Bonapesca di pagare il debito contratto da Nuova Deltapesca nei confronti di Bovo s.r.l..
2.2. - I motivi relativi alla mancanza di responsabilità extracontrattuale di Bonapesca per il fatto del suo amministratore B. erano da ritenersi infondati.
Preliminarmente veniva rilevata, ex art. 372 c.p.c., l'inammissibilità della produzione della sentenza della Corte d'Appello Penale di Venezia. Non era, infatti, possibile inserire documenti afferenti altri processi.
In ogni caso, la Bonapesca era responsabile dell'operato del suo amministratore ex art. 2043 c.c., norma che ricomprendeva qualsiasi fatto illecito.
Nel caso di specie era da applicarsi il principio iura novit curia, secondo il quale spettava dm giudice il potere di conoscere e determinare le norme applicabili alla fattispecie.
Il comportamento del B. aveva, inoltre, contribuito a determinare il tracollo della Nuova Deltapesca ed il conseguente danno al creditore Bovo.
Il Tribunale penale di Rovigo aveva accertato che il B. aveva distratto beni della Nuova Deltapesca costituenti l'avviamento, indirizzando i clienti e parte delle attività alla Bonapesca.
Anche se la prospettazione originaria era quella della triangolazione delle merci, poi esclusa dal giudice penale, era da rilevare che la modifica della domanda non poteva avvenire nei termini di cui all'art. 183 c.p.c., poichè la sentenza penale era stata emessa dopo la scadenza degli stessi.
Comunque, nella memoria ex art. 183 c.p.c., era stato chiesto che la Bonapesca fosse condannata a norma dell'art. 2560 c.c., o, alternativamente, dell'art. 2043 c.c., quale responsabile civile dell'operato di B.R..
La causa petendi era costituita dal solo diritto di non essere lesi dal fatto altrui, indipendentemente dal fatto illecito stesso. Non era stata quindi introdotta una nuova causa petendi o una nuova domanda rispetto a quella originariamente proposta, essendo stato solo diversamente qualificato il fatto illecito, in ogni caso ricompreso nell'art. 2043 c.c., invocato dalla Bovo s.r.l sin dall'inizio.
La difesa di Euromar s.r.l. in liquidazione (già Bovo s.r.l. in liquidazione), chiedeva quindi di respingere il ricorso proposto dalla Bonapesca s.p.a., con vittoria di spese e onorari.
3.1 - Questo Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso sia fondato, risultando il giudizio della Corte territoriale circa la cessione dell'azienda da Nuova Deltapesca a Bonapesca espresso in violazione dell'interpretazione delle norme di legge rilevanti offerta dalla giurisprudenza, nonchè viziato sotto il profilo della motivazione.
In tema di trasferimento di azienda merita di essere ricordata la consolidata giurisprudenza di questa Corte (sent. 17.3.2009 n. 6452, rv. 607171; 10.3.2009 n. 5709, rv. 607745; 5.3.2008 n. 5932, rv.
602062) secondo la quale deve intendersi come cessione di azienda il trasferimento di un'entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo; al fine di un simile accertamento occorre la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell'eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell'avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell'eventuale trasferimento della clientela, nonchè del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione. Vero è che l'ipotesi della cessione di azienda ricorre anche nel caso in cui il complesso degli elementi trasferiti non esaurisca i beni costituenti l'azienda o il ramo ceduti, tuttavia per la ricorrenza di detta cessione è indispensabile che i beni oggetto del trasferimento conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l'attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all'esercizio dell'impresa (sent. n. 27286 del 9/12/2005, rv. 586083; n. 23496 del 17/12/2004 (rv. 578713). Si deve, quindi, verificare che si tratti di un insieme organicamente finalizzato "ex ante" all'esercizio dell'attività di impresa (sent.
n. 1913 del 30.1.2007, rv. 595833), di per sè idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella determinata attività. In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza invocata dalla difesa resistente (vedi sent. n. 8678 del 9.8.81 rv. 473452; n. 11149 del 1996, rv. 501306; n. 8362 del 1992 rv. 478113).
Si può, quindi, affermare che, se non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l'azienda, deve tuttavia appurarsi che nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l'attitudine all'esercizio dell'impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata appare carente sotto tale profilo, non essendosi data carico di accertare se nella cessione di alcuni dei beni originariamente costituenti l'attività aziendale della Nuova Deltapesca alla Bonapesca fosse possibile cogliere un coordinamento ed un'organizzazione tale da consentire di affermare che l'insieme degli stessi beni abbia conservato nel trasferimento una propria identità. La cessione di singoli beni, quale riferita dalla sentenza impugnata, in mancanza di alcun apprezzamento in relazione a detto coordinamento e a detta organizzazione, non è di per sè bastevole ad integrare la cessione di azienda.
3.2 - Parimenti fondato è il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la statuizione relativa alla violazione dell'art. 2560 c.c., comma 2. Tale norma prevede che l'acquirente di azienda risponda dei soli debiti risultanti dalle scritture contabili obbligatorie. Anche sul punto il giudizio espresso dalla Corte veneziana circa la possibilità di desumere una simile prova dall'ammissione del credito al passivo del fallimento Deltapesca appare espressa in violazione delle norme di legge che disciplinano la materia e dell'interpretazione datane dalla giurisprudenza.
L'iscrizione dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente dell'azienda e non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza dei debiti fosse comunque conosciuta da parte dell'acquirente (sent. n. 4726 del 3.4.2002, rv.
553456; n. 13442 del 12.9.03, rv. 566825; n. 8721 del 27.4.05 rv.
581793). La s.r.l. Bovo, cui nel caso di specie incombeva il relativo obbligo, non si è preoccupata di acquisire tale prova, ma la Corte veneziana ha ritenuto di poter desumere la prova che il credito fosse stato annotato sulle scritture obbligatorie di Nuova Deltapesca dalla circostanza che per il credito in questione Bovo era stata ammessa allo stato passivo della società fallita.
Ritiene questo Corte che, avendo il creditore l'onere di provare fra gli elementi costitutivi del proprio diritto anche detta iscrizione, tale elemento non possa essere in via presuntiva desunto ex officio dal giudice, il quale invece era tenuto ad accertare in concreto se il requisito imposto dalla norma fosse stato rispettato. Del resto, si può ancora osservare come la presunzione utilizzata non sia neppure univoca ed efficace, dal momento che non vi è alcuna disposizione di legge che preveda il divieto di ammissione al passivo fallimentare di crediti non risultanti dai libri contabili obbligatori dell'impresa. L'ammissione al passivo fallimentare, infatti, ben avrebbe potuto essere fondata su una prova certa di diversa natura, ad esempio la registrazione del debito nel libro IVA, che non rientra fra le scritture contabili obbligatorie, ovvero in base agli accertamenti eseguiti nella specie dalla Polizia Tributaria, attivata nel corso del procedimento penale per la pretesa truffa o insolvenza di fraudolenta.
In ogni caso, dall'ammissione del credito al passivo fallimentare non può desumersi l'iscrizione del credito nelle scritture contabili obbligatorie del cedente, elemento indispensabile ed insostituibile per poter opporre al cessionario il debito dell'azienda ceduta.
3.3 - Passando all'esame dei motivi di ricorso dedotti con riferimento alla responsabilità extracontrattuale, questo Collegio ritiene che il primo motivo relativo alla non rispondenza fra quanto originariamente dedotto e quanto in seguito richiesto e pronunciato, sia infondato. Ed invero, per giurisprudenza costante di questa Corte (Sez. U, sent. n. 27 del 21/02/2000, rv. 534170: conf. sent. n. 20322 del 20.10.2005, rv. 584537; n. 19670 del 13.9.2006, rv. 594010), nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto.
Nella specie, quindi, la difesa Bovo (ora Euromar s.r.l.) aveva inteso dedurre la responsabilità extracontrattuale di Bonapesca, avendo allegato quale illecito il preteso acquisto da parte di quest'ultima della merce non pagata da Nuova Deltapesca. Tale comportamento rappresentava il fondamento della responsabilità per concorso in bancarotta fraudolenta affermata a carico del B. in sede penale. Il richiamo, quindi, all'accertamento penale non integrava un mutamento della domanda o dei fatti allegati, ma una semplice precisazione degli stessi, alla luce della sentenza penale nel frattempo intervenuta, che non aveva tuttavia mutato i fatti originariamente allegati, ma aveva dato agli stessi un inquadramento giuridico (ai fini dell'illecito penale), al quale legittimamente la parte aveva fatto richiamo nello svolgimento delle sue difese.
3.4 - Appare, invece, fondato il secondo motivo riguardante la responsabilità extracontrattuale (quarto motivo del ricorso). E' vero, infatti, che la Corte veneziana ha fondato la propria decisione sul semplice rilievo che il B. fosse stato condannato in sede penale per concorso in bancarotta fraudolenta, senza procedere ad un vaglio autonomo della sussistenza di un comportamento illecito e dando per scontato che la sentenza penale fosse passata in giudicato e, quindi, costituisca accertamento definitivo. Tale ultima circostanza, invece, non si era verificata, tanto vero che la difesa ricorrente riferisce che la pronuncia penale sarebbe stata cambiata in appello, con piena assoluzione del B. con la formula "perchè il fatto non sussiste", e che la statuizione d'appello sarebbe passata in giudicato. Tale affermazione, prescindendo da ogni valutazione circa l'ammissibilità o meno della produzione della sentenza d'appello in questa fase, non risulta smentita da parte resistente. Deve, quindi, essere cassata la pronuncia qui impugnata anche nella parte in cui ha affermato la responsabilità extracontrattuale della Bonapesca sulla sola base dell'accertamento della responsabilità penale del B.. Rimangono assorbiti i successivi due motivi di ricorso (il quinto e il sesto), che attengono a statuizioni dipendenti rispetto a quella di cui al quarto motivo, il cui accoglimento rende quindi assorbito l'esame dei punti da esso dipendenti.
4. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione ai motivi accolti, disponendosi il rinvio alla Corte d'appello di Venezia, che deciderà in diversa composizione anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2009