Cassazione Civile, sez. I°
9 ottobre 2007 n. 21097


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato presso il Tribunale di Brescia il 22 maggio 1998, F.F. chiedeva, previa adozione dei provvedimenti presidenziali provvisori, che fosse dichiarata la separazione personale dal marito C.E..

Esponeva, a sostegno della domanda, di essersi sposata con questo l'(OMISSIS); che dall'unione erano nati, rispettivamente il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), i figli G. e F.; che da tempo la convivenza coniugale era diventata intollerabile; che da ultimo il marito si era allontanato dalla casa familiare. Per questo chiedeva che la separazione fosse addebitata al marito; che, in ogni caso, le fossero affidati i figli; che le fosse assegnata la casa familiare e che fosse imposto al marito un assegno a titolo di contributo per il mantenimento della stessa e dei figli.

Chiedeva, altresì, la divisione del patrimonio comune.

Costituitosi in giudizio, il C. dichiarava di non opporsi alla separazione, contestando però che fosse a lui addebitabile atteso che l'allontanamento dal domicilio coniugale era avvenuto di comune accordo; dichiarava, altresì, di non opporsi all'affidamento dei figli alla madre ed all'assegnazione a questa della casa coniugale.

Alla udienza presidenziale del 14 luglio 1998, fallito il tentativo di conciliazione, il Presidente autorizzava i coniugi a vivere separatamente, affidava i figli alla madre, assegnava alla stessa la casa familiare con gli arredi, imponeva al C. l'obbligo di versare alla moglie un assegno di L. 1.400.000 mensili per il mantenimento dei figli e di L. 400.000 per il mantenimento della moglie stessa. Disponeva che della pendenza della causa si desse comunicazione al pubblico ministero e rimetteva le parti di fronte al giudice istruttore.

Nella fase di trattazione il giudice, a modificazione dei provvedimenti provvisori, aumentava a L. 1.600.000 l'assegno a favore dei figli, provvedendo, poi, ad assumere le prove dedotte dal resistente.

Con sentenza in data 10 - 20 dicembre 2002, il Tribunale adito pronunciava la separazione personale dei coniugi senza addebito, avendovi la moglie rinunciato; affidava i figli alla madre, regolando le facoltà di visita del padre; assegnava la casa coniugale alla ricorrente, rigettava la domanda di restituzione degli effetti personali, proposta dal resistente, perchè non provata; valutate le rispettive entrate dei genitori, poneva a carico del genitore non affidatario un assegno di Euro 800,00 mensili per il mantenimento dei figli, nonchè il 50% delle spese straordinarie per le necessità degli stessi; considerata la disparità reddituale dei coniugi, accoglieva la domanda della ricorrente imponendo al marito l'obbligo di versare alla stessa, a titolo di contributo per il suo mantenimento, la somma di Euro 220,00 mensili. Dichiarava, infine, inammissibili sia la domanda della ricorrente di divisione del patrimonio familiare che quella del resistente di condanna della moglie alla restituzione del ricavato della vendita di quote societarie intestate soltanto fiduciariamente alla stessa, ma in realtà di proprietà del marito.

Il C., con ricorso depositato presso la Corte d'Appello di Brescia, impugnava detta sentenza. Censurava l'affidamento della prole alla moglie, chiedendone l'affidamento congiunto; censurava, altresì, la misura dell'assegno disposto a titolo di mantenimento della prole, non avendo il primo giudice tenuto conto della sopravvenuta riduzione delle sue entrate e dell'aumento di quelle della moglie, nonchè il riconoscimento di un assegno, quale contributo per il mantenimento della moglie, contestando che questa non avesse redditi adeguati a mantenere il preesistente tenore di vita. Lamentava, infine, che non fossero state accolte le domande relative alla restituzione del ricavato della cessione delle quote societarie ed alla restituzione degli effetti personali.

Con sentenza del 3 dicembre 2003 - 12 marzo 2004 la Corte d'Appello di Brescia rigettava l'appello del C..

Avverso tale sentenza C.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. F.F. ha resistito con controricorso.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza in ordine alla previsione di assegno di mantenimento a favore della signora F., dato che la corte d'appello non avrebbe accertato quale fosse il tenore di vita sostenuto dalla famiglia prima della separazione e non avrebbe tenuto in alcun conto il rilevante mutamento delle condizioni economiche dei coniugi intervenuto dopo la separazione, in forza del quale il reddito del C. sarebbe diminuito nella misura del 35%, mentre quello della moglie sarebbe raddoppiato. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza in ordine all'avvenuta vendita da parte della signora F. delle quote della società Zeus ed all'avvenuto incasso delle somme stesse.

Erroneamente la domanda relativa alla restituzione del prezzo ricavato dalla vendita di dette quote, proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni, sarebbe stata dichiarata inammissibile, perchè ritenuta nuova.

Essendo avvenuta la vendita delle quote nel corso del giudizio, tale domanda non avrebbe dovuto essere ritenuta nuova, dato che non poteva essere proposta prima di tale evento.

Essendo il ricavato di L. 45.900.000 rimasto nella disponibilità della F., anche per questa ragione la corte di merito non avrebbe potuto affermare che la vita della predetta era caratterizzata, dopo la separazione, da un oggettivo impoverimento.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il collegio osserva che la corte territoriale, nell'esaminare la censura relativa al capo della sentenza che ha gravato il marito del pagamento di un assegno a favore della moglie, ha premesso in diritto il principio secondo cui nella separazione dei coniugi il diritto dell'uno a ricevere dall'altro quanto necessario al suo mantenimento è subordinato alla circostanza che il primo non abbia "adeguati redditi propri" (art. 156 c.c.), concetto che viene comunemente inteso nel senso che il cosiddetto coniuge "debole" non deve disporre di entrate tali da consentirgli di mantenere un livello di vita adeguato al precedente e cioè a quello che gli era consentito in costanza di convivenza coniugale.

Dopo aver premesso tale condivisibile principio è passata ad esaminare quale fosse il tenore di vita della coppia C.- F. prima della separazione, ed ha ritenuto che fosse da qualificarsi "in termini senz'altro soddisfacenti", prendendo in considerazione i redditi che entrambi i coniugi ritraevano dalle rispettive attività. Al riguardo si legge nella sentenza impugnata:" Basti pensare che l'odierno appellante nel gennaio 1998 (e dunque prima del deposito del ricorso per separazione) era stato assunto dall'Azienda dei servizi pubblici della città di (OMISSIS) come responsabile del settore tecnico con una retribuzione di L. 117 milioni annui, certamente adeguata a garantire alla famiglia un livello di vita più che decoroso. Del resto, nel 1997 lo stesso C. aveva prodotto un reddito netto di circa L. 67 milioni che nel 1998 lievitarono a circa L. 78 milioni, con ciò dimostrando una sicura capacità di crescita professionale.

Negli stessi anni poi F., grazie alla sua attività di fisioterapista svolta in regime di libera professione e di impiego part time, integrava il reddito familiare di circa L. 20 milioni con ciò risultando garantita per la famiglia una sicura e ragguardevole disponibilità economica. Prova di questo assunto si rinviene del resto nella lista di movimenti di conto corrente prodotta nel primo grado dall'appellata e relativa alla primavera del 1998 dalla quale risultano infatti uscite contabili superiori a 6 milioni mensili per i mesi di aprile e maggio; d'altra parte, a ulteriore conferma, si evidenzia che nel 1997 C. fu in grado di acquistare una casa pagandola in contanti per L. 76 milioni".

Pertanto contrariamente all'assunto del ricorrente, che fa riferimento a tali dati enucleandoli dal contesto, l'acquisto dell'immobile da parte del C. e le due mensilità del 1998 di uscite contabili, se considerati in relazione ai redditi prodotti singolarmente dai coniugi, non sono privi di valore probatorio, ma confermano ulteriormente il convincimento della Corte di merito secondo cui la famiglia, prima della separazione, godeva di una sicura e ragguardevole disponibilità economica. Dopo aver esaminato il tenore di vita di cui godevano i coniugi prima della separazione, la Corte d'appello è passata ad esaminare la condizione in cui era venuta a trovarsi la moglie dopo la separazione, e dopo aver considerato che questa, escluso l'assegno versato dal marito, godeva di un reddito (desunto dalla dichiarazione dei redditi del 2002) di Euro 1.280,00 al mese, con il quale doveva fare fronte alle spese dell'affitto di casa; che la moglie era limitata nell'espansione delle sue capacità lavorative, essendo impegnata nell'accudimento di due figli ancora in giovane età, è pervenuta alla logica conclusione che l'attuale situazione economica della F. non fosse idonea a garantirle quel tenore di vita che, grazie alle consistenti entrate del marito, poteva godere durante la convivenza.

La Corte territoriale ha, poi, proceduto alla valutazione comparativa dei mezzi di ciascun coniuge dopo la separazione, al fine di stabilire se fra gli stessi vi fosse una disparità economica tale da giustificare l'imposizione dell'assegno e la misura dello stesso.

Detta corte, nell'effettuare questa e le precedenti valutazioni, ha richiamato al riguardo (cfr. pag. 17 della sentenza) le considerazioni svolte in precedenza e certamente in particolare quelle svolte alle pagine 14 e 15, in cui si rileva che "alla luce della documentazione fiscale prodotta nella presente fase di gravame e relativa ai redditi del 2002, C. ha prodotto un reddito di Euro 46.919,00 al lordo dell'imposta (netta Euro 12.532,00) e dell'assegno corrisposto al coniuge (Euro 2.937,00) mentre il reddito di F. si è assestato, considerando anche l'assegno ricevuto dal marito, sull'importo di Euro 21.034,00 al lordo dell'imposta (netta pari a Euro 3.525,00)".

Pertanto non è affatto vero che non sia stata accertata, come sostiene il ricorrente, la sua disponibilità economica e che non sia stata comparata con la situazione economica goduta dalla moglie dopo la separazione.

La corte, invece, nonostante l'incremento del reddito personale della moglie e la diminuzione di quello del marito, ha ritenuto, prendendo in esame le due situazioni, che il divario tra i due redditi fosse ancora tale da giustificare la previsione a carico del marito di un assegno di mantenimento per la moglie e nella misura in cui il tribunale lo aveva determinato.

Si legge infatti nella sentenza impugnata che le risultanze documentali dimostrano che al netto dell'assegno, che deve corrispondere alla moglie e di quello dovuto per il mantenimento dei figli " C. può contare ancora su un reddito mensile di oltre Euro 1.800,00 laddove F., grazie a quell'assegno, vede le proprie entrate mensili aumentare a circa Euro 1.450,00, così risultando ridotto il sensibile divario esistente tra le due posizioni".

Da quanto precede si evince che le censure mosse sul punto alla sentenza impugnata sono del tutto destituite di fondamento, atteso che il giudice, nel riconoscere alla resistente l'assegno di mantenimento e nel determinarne la misura, si è attenuto al disposto dell'art. 156 c.c., come costantemente interpretato da questa corte.

Nè sussiste il denunciato vizio di motivazione, atteso che dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che il giudice si è basato sugli elementi probatori acquisiti agli atti dandone una chiara, logica e coerente valutazione.

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Proponendo in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado la domanda di restituzione della somma incassata dalla moglie in conseguenza della vendita delle quote della società Zeus, che il marito assumeva solo intestate fiduciariamente alla moglie, quest'ultimo, come giustamente sostenuto sia dal primo giudice che dal giudice di secondo grado, ha proposto tardivamente una domanda nuova e, quindi, inammissibile.

Il fatto che la vendita delle quote sia avvenuta nel corso del giudizio, non incide certamente sulla novità della domanda, fondata su fatti diversi da quelli allegati con la originaria domanda della F. e con la comparsa del C. e, quindi, caratterizzata da una diversa causa petendi e da un diverso petitum rispetto alla originaria materia del contendere.

La sopravvenienza della vendita delle quote ha determinato solo l'insorgenza in corso di causa dell'interesse del marito alla proposizione della domanda. Ciò non comporta, però, l'ammissibilità della domanda in questione, atteso che la sopravvenienza dell'interesse a proporla per la sopravvenienza dei fatti, su cui si fonda , non giustifica una deroga alla preclusione di domande nuove nel corso del giudizio oltre i limiti di cui all'art. 167 c.p.c. per le domande riconvenzionali del convenuto ed i limiti di cui all'art. 183 c.p.c., per la proposizione delle domande, che sono conseguenza della struttura dialettica del processo e, quindi, dettate dall'esigenza di far salvo il principio del contraddittorio (l'art. 183 c.p.c. parla di domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto), a meno che la parte interessata non rinunci espressamente o tacitamente ad eccepire la preclusione, dichiarando di accettare il contraddittorio sulla domanda nuova tardivamente proposta, o, senza sollevare la relativa eccezione, si difenda nel merito, rinuncia che nel caso di specie non vi è stata.

Lamenta ancora il ricorrente che, essendo il ricavato della vendita delle quote (L. 45.900.000) rimasto nelle mani della F., anche per questa ragione la corte di merito non avrebbe potuto affermare che la vita della predetta, dopo la separazione, era stata caratterizzata da un effettivo impoverimento.

Il collegio osserva che con tale censura il ricorrente chiede a questa corte una valutazione riservata al giudice di merito e, come tale, inammissibile in sede di legittimità. Comunque non si vede come possa influire sulle possibilità economiche della moglie una somma di danaro di cui il marito invoca la restituzione (domanda che potrebbe essere da questo autonomamente proposta in un diverso processo), assumendo trattarsi del ricavato della vendita di quote di una società solo fiduciariamente intestate alla moglie, ma in realtà di sua proprietà.

Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente, in ossequio al principio della soccombenza, deve essere condannato a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della lite, appare giusto liquidare in complessivi Euro 1.100,00 (millecento), di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.100,00 (millecento), di cui Euro 1000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.