CASSAZIONE CIVILE, Sez. Trib., 10 ottobre 2005, n. 19732
Pres. Prestipino - Rel. Virgilio - A.D,R. e altri c. Ministero delle finanze
Societa' - Societa' di capitali - Cancellazione dal Registro delle imprese in ipotesi di persistenza di debiti sociali - Estinzione - Non sussistenza - Responsabilita' soci in base alle risultanze del bilancio di liquidazione - Sussistenza (art. 2456 cod. civ.)
La cancellazione della società dal Registro delle imprese non ne determina l'estinzione se e fino a quando permangono debiti sociali, ma comporta una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale all'obbligazione della società si aggiunge, pro parte, quella dei singoli soci (oltre che dei liquidatori colpevoli), fermo restando che la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali non assolte e' limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo.
(massima non ufficiale).
La Corte (omissis ).
I ricorrenti, con il primo motivo, deducono - denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 145 e 160 c.p.c. e 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 - che, nell'ipotesi di società cessata e cancellata dal Registro delle imprese, la notificazione degli avvisi tributari può essere validamente effettuata solo nelle mani del liquidatore della società od in quelle dell'ultimo amministratore, dovendo attribuirsi soltanto in capo ai predetti soggetti la sopravvivenza di poteri di rappresentanza per effetto della sopravvivenza della persona giuridica; con il secondo motivo - con il quale denunciano «falsa interpretazione dell'art. 2472, primo comma, c.c., omessa od insufficiente motivazione» -, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile nella specie l'art. 2456, secondo comma, c.c., laddove, a loro avviso, l'Ufficio, per poter perseguire i soci, avrebbe dovuto quanto meno fornire la prova dell'avvenuta ripartizione ai soci stessi dell'attivo residuo, dopo la liquidazione e la cancellazione della società, obbligato principale.
Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, è manifestamente fondato nei sensi di seguito precisati.
Il citato art. 2456, secondo comma, c.c. dispone che «dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella norma anzidetta va ravvisata - in coerenza con il principio secondo cui la cancellazione della società dal Registro delle imprese non ne determina l'estinzione se e fino a quando permangano debiti sociali - una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale all'obbligazione della società si aggiunge, pro parte, quella dei singoli soci (oltre che dei liquidatori colpevoli): si tratta, cioè, di una ulteriore garanzia - non incompatibile con la permanenza in vita della società- che il legislatore ha inteso accordare ai creditori insoddisfatti, in base alla quale è data ai medesimi la facoltà di scelta fra l'agire verso la società, non ancora estinta, e l'agire verso i soci (Cass. nn. 3879 del 1975, 5489 del 1978, 4132 del 1979, 7139 del 1987; cfr., anche, più di recente, Cass. nn. 11021 del 1999 e 12078 del 2003).
E', tuttavia, evidente, come si è detto e come risulta dal chiaro tenore testuale della norma, che la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell'attivo (Cass. nn. 3879/75 e 5489/78 citt.): ne consegue che il creditore, il quale intenda agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest'ultimo (vale a dire la sua legittimazione passiva), e cioè che, in concreto, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio medesimo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa dal convenuto.
Poiché dalla sentenza impugnata non risulta affatto che l'amministrazione finanziaria abbia fornito la prova anzidetta, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata; ricorrendo, inoltre, i presupposti di cui all'art. 384, primo comma, c.p.c., la causa va decisa nel merito, con l'accoglimento dei ricorsi introduttivi del contribuente.(omissis).