LA CAPACITÀ DISTINTIVA DEL MARCHIO NELLA GIURISPRUDENZA
(commento a Tribunale di Palermo, 14/02/2006)
MASSIMA: | ||
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L. Mavilla c. Pista 2000 s.r.l., M.M. Orfei e W. Nones |
Sommario:
1. Le vicende di causa
2. Riferimenti normativi e
giurisprudenziali
3. La portata della capacità distintiva nella decisione del
Tribunale di Palermo
4. La capacità distintiva del sintagma nella
giurisprudenza
5. Capacità distintiva e parole di uso comune
1. LE VICENDE DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo conferma,
in sede di reclamo, il provvedimento cautelare che aveva inibito al resistente -
ora reclamante - l'uso dell'espressione Circo Massimo per pubblicizzare uno
spettacolo circense (il ricorso, a quanto consta, era stato proposto solo a
tutela del marchio, non anche ex art. 2598 c.c., per la repressione della
concorrenza sleale confusoria), ciò a tutela della società che, in precedenza,
aveva provveduto a registrare, per il medesimo servizio, l'espressione in
questione.
Il tribunale, affermata la legittimazione ad agire, oltre del
titolare del marchio anteriore, anche dei licenziatari, pur in assenza di atto
scritto (ma si tratta di un mero obiter: la questione non sembra oggetto di
controversia), ha avuto facile gioco ad affermare l'usurpazione del marchio,
riprodotto alla lettera (l'indicazione del nome dell'usurpatore, in alcune
pubblicità, è stata ritenuta ovviamente irrilevante).
In via incidentale, a
fronte di una specifica eccezione del reclamante, ha anche affrontato la
questione della validità del marchio in oggetto, in primo luogo affermando
l'irrilevanza della precedente registrazione da parte di un terzo, non parte del
giudizio (il solo legittimato ad eccepirla: si tratta di nullità relativa).
Ben più complessa, invece, la questione attinente al requisito della
capacità distintiva.
2. RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI
L'art. 13.1
del codice della proprietà industriale - che qui riproduce l'art. 18.1 b) l.
marchi - dispone che non possono costituire oggetto di registrazione come marchi
d'impresa «i segni privi di carattere distintivo, ed in particolare quelli
costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o
da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in
commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la
destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di
fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio o altre
caratteristiche del prodotto o del servizio».
La giurisprudenza ha precisato
che la capacità distintiva è presente quando il segno sia caratterizzato da un
certo gradiente significativo ed espressivo, tale che permetta di ritenerlo
sufficientemente individualizzante e caratterizzante un determinato prodotto cui
il segno acceda, in guisa da distaccarlo dal riferimento a parole di uso
generale, denominazioni generiche ovvero meramente descrittive del prodotto
stesso.
In altri termini l'aderenza concettuale di un segno al prodotto o
servizio contraddistinto lo rende inidoneo a svolgere la funzione di marchio.
L'eventuale registrazione di segni privi di capacità distintiva è sanzionato
con la nullità, ex art. 25.1 lett. a) cod. cit. (già art. 47 l. marchi), salva
l'ipotesi del secondary meaning, vale dire dell'acquisto, con l'uso, della
capacità distintiva, v. art. 12.2 cod. cit. (1).
La giurisprudenza
si è però occupata raramente della questione, almeno direttamente (2), così come, d'altronde, è piuttosto limitata la
riflessione dottrinale: l'istituto in oggetto è stata con maggiore frequenza
invocata con riferimento alla nota distinzione, di diritto pretorio, tra marchi
forti e deboli (3).
Va da sé che una limitata capacità
distintiva consentirà la registrazione, ovvero precluderà la pronuncia di
nullità del marchio, che però potrà essere tutelato solo come marchio debole.
Problemi complessi pongono poi - anche a causa della ambiguità delle norme
di riferimento - le interferenze tra novità, originalità, capacità distintiva (4).
3. LA PORTATA DELLA CAPACITÀ DISTINTIVA NELLA DECISIONE DEL
TRIBUNALE DI PALERMO
La peculiarità, nel caso di specie, è che il
marchio registrato denominativo «Circo Massimo» contiene una parola, la prima,
esattamente coincidente con l'attività contrassegnata, appunto quella circense.
Sarebbe stato allora possibile, se non l'affermazione della nullità dello
stesso (beninteso, attesa la sede cautelare, solo incidentale), o quanto meno
una sua qualificazione quale marchio debole (ma - in ogni caso - la tutela
sarebbe stata piena, a fronte di una vera e propria usurpazione, per lo stesso
tipo di attività e nello stesso ambito territoriale).
Il Tribunale di
Palermo opta per una soluzione diversa: pur evitando di prendere una posizione
più precisa, afferma senz'altro la piena validità del marchio in oggetto.
Ciò in quanto le due parole che lo compongono evocano, nella loro
combinazione, quello che fu, nell'antica Roma, «il più grande edificio per
spettacoli di tutti i tempi», in realtà una sorta di ippodromo, il cui sito, ai
piedi del Palatino, è ancora visibile (5).
A rendere
originale tale marchio, insomma - osserva l'ordinanza in rassegna - è «l'uso
suggestivo che - allo scopo di individuare una moderna attività circense - [...]
fa del nome» del monumento in oggetto.
La parola Circo, allora, perde la sua
individualità, ed il suo preciso significato, in relazione all'attività di
riferimento, acquisendo una significato ambiguo, sufficiente per affermare la
validità del marchio stesso.
La denominazione Circo Massimo costituisce, in
termini sintattico-grammaticali, un sintagma.
Quest'ultimo è più che la
risultante della giustapposizione delle parole che lo compongono: è dotato di
una propria autonomia, sintattica come di significato.
In termini giuridici,
ciò si traduce nel rilievo che un sintagma può essere dotato di capacità
distintiva a differenza delle sue componenti, singolarmente considerate.
4. LA CAPACITÀ DISTINTIVA DEL SINTAGMA NELLA GIURISPRUDENZA
L'ordinanza in rassegna trova riscontro nella giurisprudenza
comunitaria.
La Corte di Giustizia CE, 20 settembre 2001 (6) ha così affermato la registrabilità quale
marchio comunitario - per pannolini per bambini - del sintagma Baby Dry,
composto, non diversamente che nel caso in esame, di termini inidonei di per sé
soli a poter costituire un valido marchio registrabile.
La Corte ha ritenuto
che proprio la combinazione tra i due lemmi, la loro collocazione grammaticale
in maniera anomala rispetto all'utilizzo normalmente fatto nella lingua corrente
di provenienza delle parole, fossero idonee a conferire quel carattere di novità
ed originalità tale da legittimare il riconoscimento quale valido marchio.
La giurisprudenza nazionale, essenzialmente di merito, ha avuto raramente
modo di occuparsi della capacità distintiva dei sintagmi, giungendo a
conclusioni non sempre univoche.
Così - ad esempio - da un lato (7) si è riconosciuta la validità (sia pure come
deboli) dei marchi attinenti alla cura delle unghie, comprendenti la parola
generica «nails» («unghie», in inglese), in quanto la combinazione di parole,
pur di uso comune, che li compongono presenta una parziale componente che,
ancorché in misura minima, vale a conferire capacità distintiva al marchio
stesso, dall'altro lato (8) si è esclusa la capacità in oggetto per il
marchio «monostrato vulcanico» registrato ed usato per varie tipologie di
mattonelle di materiale vulcanico.
In termini con il provvedimento in
rassegna è una recente ordinanza del tribunale di Torino (9), che ha affermato (in via incidentale), la
nullità - per difetto di capacità distintiva, ex art. 13 Cod. proprietà
industriale - dei marchi «Centro commerciale dei laghi», «Parco commerciale dei
laghi», in quanto «fanno chiaro riferimento al tipo di esercizio esercitato
(centro o parco commerciale) e alla posizione geografica in cui è situato il
centro commerciale di riferimento (dei laghi, trovandosi [...] in Gravellona
Toce, che è posta proprio all'intersezione fra i laghi Maggiore, Orta e
Mergozzo)».
Il tribunale ha invece ritenuto valido il marchio complesso che,
pur composto anche dalle parole «Parco commerciale laghi» presenta anche una
parte figurativa, rappresentante una barca a vela sulle onde, sullo sfondo di
montagne, in quanto «sembra avere una certa capacità individualizzante, benché
il riferimento presente anche in questo caso - sebbene in forma più articolata e
meno immediata -, alla posizione geografica del centro commerciale, sembra
escludere l'attribuibilità allo stesso della natura di marchio forte». Tale
debolezza del marchio ha però consentito di escluderne la confondibilità con
l'insegna della resistente, sufficientemente differenziata, «Centrolaghi -
centro commerciale Ipercoop».
Il tribunale ha però ritenuto forte l'ultimo
marchio della ricorrente, «Centrolaghi», «perché il suo riferimento alla
località di posizione del centro commerciale è resa ambigua dalla sua doppia
valenza interpretativa (potendo Centrolaghi essere riferito al concetto di
centro della zona dei laghi o al concetto di centro commerciale posto nella zona
dei laghi), con la conseguente originalità nascente da questa ambigua valenza
semantica». Da qui il giudizio di confondibilità (con conseguente inibitoria)
riguardo alla successiva insegna della resistente, prima richiamata, non
rilevando la presenza della denominazione Ipercoop (mera generica indicazione
della appartenenza di quel centro commerciale alla catena di supermercati Coop,
diffusi in tutta Italia, sicché il cuore di quella insegna è proprio il termine
Centrolaghi, «meno aderente concettualmente al tipo di attività svolta e diretto
a individuare lo specifico centro commerciale in esame»).
5. CAPACITÀ DISTINTIVA E PAROLE DI USO COMUNE
Va anche
richiamato l'art. 12.1 a) del Codice cit., secondo cui non suono nuovi - e non
possono essere registrati - i segni che, alla data del deposito della domanda:
consistano esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio
corrente o negli usi costanti del commercio [...].
Tale norma è stato
introdotta - in origine nell'art. 17 lett. a) l. marchi - con la novella di cui
al d.lg. 4 dicembre 1992, n. 480 (dando così attuazione alla direttiva
89/104/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, art. 3 d): sono esclusi dalla
registrazione [...] i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o
indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi
leali e costanti del commercio; pressoché negli stessi termini è formulato
l'art. 7 d) reg. CE n. 40/94 del Consiglio dl 20 dicembre 1993 sul marchio
comunitario).
È del pari convinzione diffusa che la norma italiana attenga,
nonostante il tenore testuale, fatto proprio anche dal Codice, non tanto alla
novità quanto alla capacità distintiva: ed infatti pure ha la funzione di
selezionare i segni tutelabili come marchi (tanto che la sanzione, in caso di
registrazione in difetto di novità o di capacità distintiva, è pur sempre la
nullità).
Può richiamarsi, per le evidenti affinità con la fattispecie di
cui al provvedimento palermitano, il caso «Ciao», relativo all'uso di tale
parola, del tutto comune nella lingua italiana, per contraddistingere servizi di
ristorazione, da sola o unitamente ad altre parole.
Il Tribunale di Napoli
ha così da un lato dichiarato la nullità del marchio costituito in via
escolusiva da tale parola, dall'altro ha affermato la validità del marchio
costituito al sintagma Ciao Ristorante, così come del marchio Ciao Pizza(10).
Beninteso l'estrema «esilità» dei due
sintagmi, composti da parole non distintive, collegate in una mera sequenza
lessicale, pone tali marchi ai limiti della illiceità, e comunque ne consente la
tutela - il Tribunale di Napoli non ha mancato di rilevarlo - solo neli stretti
confini del marchio debole.
In altri termini la combinazione «sinergica» tra
Ciao da un lato, Ristorante dall'altro, esprime poco più che la descrizione del
servizio prestato, in termini accattivanti ed elogiativi.
Né mancano, nella
giurisprudenza anche di legittimità, orientamenti più rigorosi (11).
Autore: Dott. Geremia Casaburi, pubblicato in "Giur. merito", 2007,
1, 73
Note:
(1) Cfr. però App. Torino 2 gennaio 2004, in Giur. it., 2005, 1867, che ha
escluso che il giudizio di nullità del marchio possa essere ribaltato da
un'indagine demoscopica volta a dimostrare l'acquisto di capacità distintiva,
specie laddove tale indagine sia eseguita su richiesta e ad onere del titolare
del marchio.
(2) Per la giurisprudenza di merito cfr. Trib.
Catania 3 luglio 2002, in Giur. dir. ind., 2003, 382. Cfr. anche App. Torino 28
dicembre 2002, in Foro it., 2003, I, 1870, che ha affermato la nullità del
marchio nougatine, in quanto denominazione generica di un tipo di caramella
mandorlata ricoperta di cioccolato.
Per la giurisprudenza di legittimità
cfr. Cass. 20 aprile 2004, n. 7488, in Foro it., 2004, I, 2070; 29 maggio 1998,
n. 5338, in Giur. dir. ind., 1998, 82; 23 febbraio 1998, n. 1929, in Giust.
civ., 1998, I, 1915; 26 gennaio 1999 n. 697, ivi, 1999, I, 1665.
La
Cassazione ha sempre ribadito che la ratio del requisito della capacità
distintiva è di impedire la costituzione di una sorta di diritto di esclusiva su
parole, ma anche su figure o su segni, che nel linguaggio comune sono collegati
o collegabili al tipo merceologico, nel senso che sono adoperate per individuare
un tipo di prodotto, ovvero una funzione alla quale un prodotto provvede,
chiunque lo offra al mercato; ciò al fine di evitare che quella esclusiva si
traduca in un monopolio di fabbricazione e di commercializzazione.
La
Suprema Corte ha anche più volte precisato che il divieto di registrazione di
cui all'art. 18.1 lett. b) si riferisce a diciture rivolte esclusivamente a
finalità descrittive, ritenendo così possibile la inclusione in un marchio
complesso di una parola generica o descrittiva, in considerazione
dell'attitudine individualizzante del segno intero.
Dal canto suo Cass. n.
1929 del 1998, cit. precisa poi che l'assenza di descrittività va valutata in
astratto; «pertanto, qualora si controverta sulla presenza o meno di un richiamo
alle componenti del prodotto marcato, essa va valutata prescindendo dalla
diversa intensità della composizione chimica finora concretamente adoperata
nella produzione, la quale potrebbe in futuro anche cambiare (fattispecie
relativa ad un marchio, registrato per pendagli da lampadario, consistente nella
parola strass, la quale nel linguaggio comune significa "vetro molto ricco di
piombo che imita lo splendore dei diamanti e, ove particolarmente trattato, di
altre pietre preziose")».
Per ulteriori richiami, anche dottrinali, cfr.
Ubertazzi (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza, Padova,
2004, 431 ss.
(3) Questi ultimi sono tradizionalmente
identificati con i marchi non contenenti requisiti di particolare originalità
rispetto ai segni distintivi adottati comunemente in un determinato settore, ma
anche con i marchi caratterizzati da una attenuata attitudine distintiva, in
quanto tendenzialmente descrittivi dei prodotti o della loro natura (ovvero
costituiti da parole del linguaggio comune. Cfr., quanto ai criteri di
distinzione e di identificazione di marchi forti e deboli, nonché di quelli di
rinomanza, Trib. Napoli 29 aprile 2005, e Trib. Venezia 30 dicembre 2004, in
Foro it., 2006, I, 2575, con osservazioni di Di Paola.
(4) Con riferimento all'originalità cfr., ex
plurimis, Trib. Napoli 25 luglio 2006, Pres. Est. Lipani; Lembo Guido anche
quale titolare della ditta Taverna Anema e Core c. soc. Mi. Ra. Gio di Colella
M. &c. (avv. Viola), inedita, ma di prossima pubblicazione in Foro it. Tale
sentenza è relativa al marchio «Anema e core», registrato ma già usato come
insegna dell'omonimo locale caprese, ritenuto forte, perché non aderisce
concettualmente ai servizi e ai beni di riferimento, evidentemente la
ristorazione e l'intrattenimento musicale. Il marchio «Anema e core» risultava
contraffatto - come agevolmente accertato dal tribunale - da altro pressoché
identico, «L'anema e core», usato per un locale della vicina - e pure
turisticamente rinomata - isola di Ischia.
Il profilo di maggior interesse
della sentenza napoletana sta nell'accertamento della validità del marchio in
oggetto, sotto il profilo dell'originalità e della novità, rigettandosi una
specifica doglianza del convenuto secondo cui «Anema e core» sarebbe espressione
ormai appartenente al comune patrimonio linguistico, ed anzi costituente il
titolo di una celeberrima canzone del repertorio napoletano classico. Il
tribunale ha di contro, agevolmente, escluso che l'espressione in questione
rientri nel comune patrimonio linguistico; per negare rilevanza alla
preesistenza della omonima canzone ha invece fatto applicazione dei principi
espressi da Cass. 18 febbraio 2000, n. 1820 (in Rep., 2000, voce Marchio, n. 63,
per esteso in Giur. it., 2001, I, 89): «Il carattere di originalità, ai fini
della tutela del segno distintivo come marchio, non consiste necessariamente
nella individuazione e nell'utilizzazione di un termine o di una espressione del
tutto nuovi, potendo, al contrario, ammettersi anche l'uso di un'espressione
ricavata dalla storia, dalla letteratura o dalla tradizione popolare, anche se
divenuta di comune conoscenza, purché l'accostamento della espressione al
prodotto rappresenti applicazione di un'idea originale, e non rievochi nel medio
consumatore un collegamento con prodotti dello stesso genere di quello che si
intende contrassegnare» (nella specie, in applicazione di tale principio, la
Cassazione ha confermato la decisione della Corte di merito che aveva ritenuto
il carattere originale della espressione «mela stregata», utilizzata per
contraddistinguere un prodotto di gelateria, rilevando che la origine fiabesca
della espressione stessa, in presenza delle condizioni in massima specificate,
non ne escludeva il carattere di novità).
Contra, nella giurisprudenza di
merito, Trib. Ro ma 25 ottobre 2002, in Rep. Foro it., 2005, voce Proprietà
industriale, n. 167.
(5) Staccioli, Guida di Roma antica, Milano, 1986,
396.
(6) Vedila in Dir. ind., 2001, 339 (sentenza,
peraltro, criticata proprio per l'eccessiva larghezza con cui ha riconosciuto la
distintività; più rigoroso, ad esempio, è il principio espresso da Trib. di
primo grado CE, caso Trustedlink, ivi, 2002, 19).
(7) Trib. Verona 10 marzo 2003, in Giur. dir.
ind., 2003, 824.
(8) Trib. Catania 3 luglio 2002, in Giur. dir.
ind., 2003, 382.
(9) Trib. Torino 27 giugno 2006, giud. Vitrò, soc.
Daisy c. soc. Nova Coop, inedita.
(10) Così Trib. Napoli 16 marzo 2004, in Giur.
ann. dir. ind., 2004, § 4729: «(il marchio Ciao ristorante) pur essendo composto
da due parole di cui una priva di portata individualizzante (ciao) e l'altra
meramente descrittiva del servizio reso (ristorante), assume per la composizione
dei due termini una caratterizzazione autonoma che imprime al marchio una novità
e una capacità distintiva tali da renderlo sicuramente registrabile [...]
allorquando parole di uso comune e altresì parole meramente descrittive del
prodotto o del servizio offerti vengano utilizzate in una sequenza con carattere
di originalità, le stesse, perdendo le caratteristiche evocative e descrittive
proprie, assumano invece una nuova capacità evocativa e distintiva meritevole
della tutela accordata dalla legge ai marchi [...]. La portata di originalità e
di capacità distintiva del sintagma "Ciao ristorante" deriva non soltanto
dall'aver posto in sequenza logica due parole tra di loro non collegate e
dall'aver creato altresì una sequenza anomala rispetto all'uso corrente della
lingua italiana, nella quale per indicare un ristorante caratterizzato da una
qualsiasi denominazione si utilizza quale primo termine del sintagma la parola
ristorante e lo si fa seguire dalla denominazione, ma altresì dall'aver creato
una sequenza suggestiva e dunque evocativa rispetto alla provenienza del
servizio reso. In altri termini il sintagma Ciao Ristorante - a differenza del
solo segno ciao che per la sua estrema diffusione sia nel linguaggio comune che
in quello commerciale è privo di ogni capacità di svolgere la cosiddetta
"funzione di origine", e a differenza del solo segno ristorante che si presenta
come meramente descrittivo del servizio offerto - è in grado di svolgere la
funzione di distinguere il servizio offerto dalla Autogrill s.p.a. rispetto ai
servizi offerti da altre imprese». Già Trib. Napoli 30 agosto 2002, in Dir.
ind., 2003, 132, con nota di Bellomunno - pronunciata nella fase cautelare della
stessa vicenda - aveva osservato «che il marchio "Ciao Ristorante" [...] non può
ritenersi avere un "cuore" in nessuno dei due termini che lo compongono, di per
sé privi di capacità distintiva, ma va piuttosto tutelato nella specifica
sequenza del sintagma». L'ordinanza in oggetto ha comunque affermato che occorre
evitare la formazione di monopoli di qualunque genere: «il sintagma Ciao
Ristorante per quanto dotato di una sua portata innovativa che non lo rende
nullo è pur sempre composto da due termini che per le ragioni sopra evidenziate
non sono dotati di alcuna capacità distintiva autonoma e che ad avviso del
Collegio anche nell'originalità della sequenza non possono conferire al marchio
complesso, in quanto presenta aderenze concettuali con il prodotto che deve
contraddistinguere, le caratteristiche del c.d. marchio forte. Di conseguenza
anche una leggera differenziazione che lasciasse inalterato il cuore del marchio
sarebbe sufficiente ad escludere il rischio di confusione e ad evitare la
contraffazione del marchio debole, il cui messaggio è intrinsecamente poco
individualizzante».
(11) Cfr. Cass. 8 gennaio 1991, n. 91, in Giur.
it., 1998, 1185, secondo cui: «Una parola di uso generale non può essere, ai
sensi dell'art. 17, l. 21 giugno 1942, n. 929, oggetto di domanda di brevetto né
fruisce di tutela quale marchio di fatto in quanto priva di capacità distintiva;
tale capacità può essere tuttavia ravvisata nella combinazione di parole che
singolarmente prese risalgono ad uso generale ma che tutta intera è in grado di
dar vita ad un'espressione in quanto tale originale, ovvero estranea ad un uso
generale e dotata di capacità distintiva». Tuttavia la Cassazione, nella specie,
ha cassato la sentenza di merito che, immotivatamente, aveva ritenuto dotato di
capacità distintiva il marchio «bar speciale», pur se composto da parole
appartenenti all'uso generale.
Quanto all'adozione come marchio di un
vocabolo straniero, l'orientamento prevalente è volto ad affermare la nullità
dei marchi costituiti da parole descrittive straniere, sempre che il loro
significato sia percepito da consumatore medio del settore, v. Trib. Trani 19
luglio 1999, in Giur. dir. ind., 1999, 1268), che ha affermato la nullità della
parola Mariage registrato per abiti da sposa, in quanto richiama immediatamente
alla mente del consumatore medio italiano prodotti che direttamente o
indirettamente hanno a che fare con il matrimonio.