AZIONE REVOCATORIA E NUOVE DISCIPLINE DEL RITO APPLICABILE ALLE AZIONI DERIVANTI DAL FALLIMENTO
L'azione revocatoria ordinaria prevista dall'art. 66 L.F., qualora sia promossa in via esclusiva dal curatore fallimentare, presenta aspetti peculiari tali da farla ritenere causa derivante dal fallimento ex art. 24 L.F.
(Trib. Treviso Ord., 2 luglio 2007)
Ai sensi dell'art. 24 L.F., così come modificato dal D.Lgs. n. 5/2006, il rito ordinario è destinato ad essere utilizzato solo per le cause che non derivino dal fallimento, mentre per queste ultime (tra cui è ricompresa l'azione revocatoria fallimentare) risulta applicabile il rito camerale ordinario - laddove non diversamente disciplinato (come nell'ipotesi di verifica dello stato passivo e di impugnazione ex art. 98 legge fallimentare) -. Tale norma processuale trova ora applicazione anche ai giudizi promossi dopo il 17 luglio 2006 - ancorché l'azione revocatoria sia promossa da un fallimento dichiarato prima di tale data -; invero, da un lato, trattasi di norma processuale per la quale trova applicazione il principio tempus regit actum e, d'altro lato, il giudizio per revocatoria costituisce procedimento del tutto autonomo rispetto a quello fallimentare in senso stretto.
(Trib. Treviso, sent., 12 dicembre 2006)
Premessa
Il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 di riforma della legge fallimentare, tra le varie novità, ha modificato il testo originario dell'art.
La scelta di utilizzare il procedimento in camera di consiglio per le controversie dell'art.
In questo mutato quadro normativo, una riflessione sulle problematiche che discendono dall'applicazione del rito camerale alle azioni revocatorie esperite in sede fallimentare, specie quella ordinaria, sembra comunque presentare una perdurante utilità con riguardo ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove norme correttive i quali - come si vedrà meglio oltre - parrebbero dover essere proseguiti, secondo quanto stabilito dalla disciplina transitoria, con le forme sommarie di cui agli artt. 737 ss. c.p.c.
L'azione revocatoria ordinaria come azione "derivante" dal fallimento
I provvedimenti qui annotati, sebbene pronunciati in relazione al testo dell'art.
A tale riguardo, è opportuno ricordare come l'assenza di un'indicazione normativa che chiarisca a quali tipologie di azioni il legislatore abbia inteso riferirsi nel prevedere tale collegamento con la procedura fallimentare abbia spinto dottrina e giurisprudenza a ricostruire, con diverse interpretazioni, il significato dell'espressione "derivare". A concezioni più restrittive, secondo cui l'art.
Con riferimento specifico alle azioni revocatorie si deve osservare come, a differenza della revocatoria fallimentare di cui può dirsi pacifica la riconducibilità all'art.
L'art.
Il tribunale di Treviso, nella sua pronuncia, giustifica l'applicabilità della disciplina dell'art.
Benché non sia possibile, data l'ampiezza dell'argomento, affrontare in questa sede la dibattuta tematica relativa alla natura dell'azione pauliana esercitata nel fallimento e i sui rapporti con la revocatoria dell'art.
Sotto il profilo dell'ampiezza delle modifiche che la disciplina dell'azione revocatoria ordinaria subisce in sede fallimentare, si ritrovano posizioni discordanti. L'opinione prevalente ritiene che l'azione revocatoria ordinaria si trasformi per effetto del fallimento in modo radicale rispetto alla pauliana avvicinandosi, quanto agli effetti e ai presupposti per il suo esercizio, all'azione revocatoria fallimentare (6). Secondo altra dottrina, invece, le modifiche subite dalla revocatoria ordinaria si limiterebbero alle sole deviazioni previste espressamente dall'art.
In definitiva, dunque, sia che si accolga la prima soluzione, sia che si reputi più corretto limitare le modifiche al solo profilo della legittimazione e della competenza, rimane il fatto che l'intervenuta dichiarazione di fallimento determina, in ogni caso, una deviazione dell'azione revocatoria ordinaria dal suo schema tipico. Di conseguenza, sebbene l'azione ex art.
Il tribunale di Treviso, nel qualificare l'azione revocatoria ordinaria all'art.
Un primo orientamento considera le esenzioni in esame riferibili alla sola revocatoria fallimentare non solo per la collocazione sistematica della previsione ma anche perché il carattere eccezionale delle esenzioni, rispetto al regime normale di revocabilità, impedisce di estenderne l'applicabilità oltre i limiti posti dalle norme che li prevedono (9). Secondo un'altra opinione, le esenzioni dell'art.
Quest'ultima soluzione, accolta anche dal tribunale di Treviso nella pronuncia in commento, pare preferibile: l'azione revocatoria ordinaria, infatti, secondo l'opinione dominante, ha lo stesso fondamento di quella fallimentare differenziandosi quest'ultima soltanto per le maggiori agevolazioni sotto il profilo probatorio. Poiché il curatore può esercitare quella ordinaria ex art.
Giudizi revocatori pendenti e rito applicabile
L'azione revocatoria ordinaria ex art.
Va detto, peraltro, che la scelta del legislatore di ripristinare il rito contenzioso ordinario si rivela, senza dubbio, opportuna.
L'utilizzo delle forme speciali e notoriamente sommarie che contraddistinguono il rito camerale per la soluzione di controversie che coinvolgono diritti soggettivi, infatti, sebbene possa essere dettata dall'esigenza di assicurare celerità e speditezza alle procedure concorsuali, si dimostra del tutto inadeguata sotto il profilo del rispetto dei principi costituzionali del contraddittorio e del diritto alla prova. Inadeguatezza posta in risalto dallo stesso tribunale di Treviso che, nella sua pronuncia, ha sottolineato la necessità di un intervento di etero-integrazione interpretativa da parte del giudice al fine di adeguare la scarna disciplina degli artt. 737 ss. c.p.c alle garanzie imprescindibili che devono connotare ogni processo (11).
Tale inidoneità è stata recepita dal decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169 il quale - come si legge nella relazione di accompagnamento - elimina il rito camerale per esigenze di tutela dei diritti soggettivi dei terzi estranei al fallimento che, coinvolti nelle cause derivanti dal fallimento, verrebbero altrimenti "privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena, di cui possono di regola usufruire tutti i soggetti dell'ordinamento" (12).
L'entrata in vigore, il 1° gennaio 2008, delle modifiche relative al rito da applicare alle azioni dell'art.
Per un apprezzamento in tal senso, è necessario considerare la disciplina transitoria dettata all'art. 22 del d. lgs. 12 settembre 2006, n. 169. Tale previsione stabilisce che le nuove disposizioni correttive "si applicano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonché alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore".
Dal tenore della norma pare implicita l'esclusione, dall'ambito di operatività del decreto, delle procedure fallimentari "pendenti" le quali evidentemente continuano ad essere regolate dalla normativa previgente.
Tale conclusione troverebbe conferma nel terzo comma dell'art. 22 secondo cui solo talune norme del decreto, espressamente richiamate, si applicano "anche alle procedure concorsuali pendenti". Da ciò se ne deduce, infatti, le norme non menzionate, tra cui l'art. 3 che abroga il rito camerale, a contrario, devono ritenersi non operanti nelle procedure pendenti ma solo in quelle che saranno aperte a far data dal 1° gennaio 2008.
Dall'esame della disciplina transitoria sembra, dunque, che il legislatore abbia voluto distinguere, ai fini dell'operatività del decreto, la c.d. fase prefallimentare (pendente dal deposito dell'istanza per la dichiarazione di fallimento fino all'emissione di un provvedimento che decida sulla medesima) dalla vera e propria fase concorsuale (pendente dal deposito della sentenza dichiarativa di fallimento), limitando l'applicazione delle nuove norme ai soli casi in cui sia il procedimento per la dichiarazione di fallimento ad essere pendente e non anche la vera e propria procedura fallimentare.
Tale differenziazione è dettata probabilmente dall'esigenza di evitare, quanto a disciplina, ulteriori modifiche, oltre a quelle già introdotte a breve distanza dal d.lgs. 09/01/06 n. 5, per le procedure che alla data di entrata in vigore del decreto si trovino già in fase avanzata di definizione (13).
Alla luce di queste considerazioni di carattere generale e con riferimento a ciò che in tale sede interessa, ossia il rito applicabile alle cause revocatorie eventualmente pendenti, la conclusione che pare più corretta, valutata la previsione dell'art. 22, sembra quella per cui tali controversie debbono restare regolate con le forme camerali previste dal d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
Tali azioni, infatti, non solo originano nel fallimento o comunque subiscono, per effetto di questo, una deviazione dal loro schema tipico, ma instaurano con la procedura fallimentare uno stretto legame in quanto risultano finalizzate, mediante la ricostruzione del patrimonio del fallito, a dare effettività alla procedura stessa. Proprio per l'esistenza di questo nesso funzionale, l'esperibilità di tali azioni presuppone necessariamente l'avvenuta dichiarazione di fallimento e la conseguente pendenza della procedura fallimentare.
Per tale ragione, come peraltro ha sostenuto lo stesso tribunale di Treviso in un'altra recente pronuncia, tali azioni debbono intendersi disciplinate "dalla legge della procedura fallimentare" intendendo, con questa espressione, la procedura che si apre con la dichiarazione di fallimento e che non va confusa con la c.d. fase prefallimentare che si chiude con il provvedimento che decide sulla medesima (14).
In questa prospettiva, dunque, le cause revocatorie eventualmente pendenti il 1° gennaio
Rito camerale, revocatoria ordinaria "autonoma" e "incidentale"
Per quanto concerne in modo specifico i giudizi di revocatoria ordinaria, l'applicazione del rito camerale solleva ulteriori questioni che rendono opportuna qualche altra riflessione.
Gli aspetti di problematicità a cui si fa riferimento emergono, in modo particolare, nei casi in cui l'azione revocatoria ordinaria, anziché essere esercitata in via esclusiva dal curatore fallimentare, sia già stata instaurata ante fallimento dal singolo creditore nei confronti del debitore in seguito fallito.
A questo proposito si deve osservare come il tribunale di Treviso, nel qualificare tale azione come "derivante" dal fallimento e nell'ammettere l'operatività del rito camerale, sembra aver considerato la sola ipotesi in cui l'azione sia esercitata ex novo dall'ufficio del curatore fallimentare senza che i singoli creditori del fallito abbiano già esperito individualmente l'azione ex art. 2901 c.c.: così, infatti, pare doversi intendere il riferimento all'esclusività nell'esercizio dell'azione da parte del curatore (15).
In questa eventualità, l'applicazione delle forme camerali non pone particolari questioni in quanto, in tali ipotesi, l'azione è esercitata autonomamente dal curatore nell'interesse della massa dei creditori e il relativo giudizio, di competenza del tribunale fallimentare, è instaurato, sin dal suo inizio, a norma degli artt. 737 c.p.c.
Più complesso, invece, si presenta il caso in cui l'azione revocatoria sia già stata intrapresa dal singolo creditore nei confronti del debitore in seguito fallito.
Secondo l'opinione dominante, la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del debitore determinerebbe la perdita della legittimazione da parte del singolo creditore agente e la conseguente possibilità per il curatore di subentrare a costui nel giudizio revocatorio già iniziato, nello stato in cui il processo si trova (16).
In questa prospettiva, il quesito che si pone è se il subingresso del curatore nel giudizio già iniziato dal creditore determini necessariamente il mutamento del rito a favore delle forme camerali ovvero se il giudizio possa, al contrario, proseguire con le stesse forme con cui è iniziato, ossia quelle ordinarie. Quest'ultima soluzione pare essere preferibile poiché, in un'ipotesi di questo tipo, il curatore non esperisce l'azione ex novo ma semplicemente subentra al creditore nel giudizio revocatorio da questi già promosso prima del fallimento nello stesso stato in cui il processo si trova.
La questione si presenta problematica anche accogliendo la diversa soluzione sostenuta da quella parte della dottrina che ritiene che la dichiarazione di fallimento del debitore non determini alcuna perdita di legittimazione da parte del creditore agente in revocatoria e non consenta nemmeno il subingresso da parte del curatore, per cui il singolo creditore potrebbe dunque utilmente proseguire la propria azione fino a giungere anche ad una sentenza di merito (17).
In questa seconda prospettiva, la questione della forma processuale da adottare investe il momento del raccordo tra l'azione revocatoria del singolo creditore e quella che il curatore eventualmente decida di esperire ex art.
Mentre in quest'ultima ipotesi il nuovo processo dovrà essere instaurato davanti al tribunale fallimentare con le forme camerali, stante l'operatività dell'art.
Le considerazioni sino a qui svolte evidenziano, in definitiva, come l'applicazione del rito camerale all'azione revocatoria ordinaria, non offra soluzioni lineari e ciò, specialmente, quando si tratta di coordinare l'azione della curatela con quella eventualmente già intrapresa dal singolo creditore ante fallimento. Anche sotto questo profilo, pertanto, la scelta del legislatore di reintrodurre il rito ordinario non può che essere accolta positivamente.
Autore: Caterina Cherubini - Fonte: Corriere Giur., 2008, 6, 849
Note:
(1) Il d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 adottato in attuazione della legge delega 14 maggio 2005, n.
(2) Si tratta del d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169 recante "Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto 9 gennaio 2006, n.
(3) Così Ferrara jr., voce Azione revocatoria fallimentare, in Enc. dir., IV, Milano 1959, 609 ss. Per una ricostruzione delle diverse interpretazioni del nesso di derivazione v. per tutti Caselli, Degli organi del fallimento, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 35 ss.; In giurisprudenza, cfr. Cass. 27 giugno 1990, n.
(4) Cfr. Fabiani, Competenza e rito, cit., 3 ss.; Caselli, Degli organi del fallimento, cit., 47 ss.; Andrioli, voce Fallimento (dir. priv.), in Enc. dir., XVI, Milano 1967, 373 ss.; Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino 2004, 95 ss. V., inoltre, Cass. 22 maggio 2002, n. 7510 cit.; Cass. 15 febbraio 1996, n. 1145, cit.; Cass. 19 agosto 1992, n. 9659 cit.; Cass. 8 settembre 2005, n.
(5) Così Ferrara jr., voce Azione revocatoria fallimentare, cit., 901. Circa i rapporti tra l'azione ex art.
(6) Cfr. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano 1962, I, 878 ss.; Satta, Diritto fallimentare, cit., 255 ss.; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1995, 399 ss.
(7) Così Consolo, La revocatoria ordinaria nel fallimento tra ragioni creditorie individuali e ragioni di massa, in Studi in onore di Pietro Rescigno, IV, Milano 1998, 91 ss.; Maffei Alberti, Il danno, cit., 251 ss.
(8) Così Ferrara jr, voce Azione revocatoria fallimentare, cit., 906; Maffei Alberti, voce Fallimento (effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori), in Enc. Giur., XII, Roma 1989, 5, per cui sia l'azione revocatoria fallimentare e sia quella ordinaria esercitata in sede fallimentare "rientrano tra le azioni che derivano dal fallimento" e sono riservate dall'art.
(9) V. Lo Iacono, Le modifiche alla disciplina della revocatoria nella legge fallimentare, in Studium iuris, Padova
(10) Così Federico, La nuova revocatoria, in Federico-Vivaldi, La riforma del concordato e della revocatoria fallimentare, Milano 2005, 42 ss.; Guglielmucci, La riforma in via d'urgenza della legge fallimentare, Torino 2005, 39 ss.
(11) È opportuno osservare come, la scelta iniziale del legislatore della riforma di introdurre, anche per le azioni di cui all'art.
(12) Cfr. l'art. 3 della Relazione al d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169
(13) Non si deve dimenticare, infatti, che con la normativa introdotta dal decreto 12 settembre 2007, n. 169 si è in presenza, allo stato attuale, di ben quattro diversi tipi di procedure fallimentari: le procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare del 1942; le procedure regolate dalla legge fallimentare come regolata dalla mini riforma del 2005; le procedure disciplinate dalla legge fallimentare come modificata dalla riforma organica del 2006 ed, infine, le procedure interessate dalle ultime modifiche del decreto correttivo.
(14) Cfr. Trib. Treviso, 2-3 maggio 2007, reperibile sul sito www.ilcaso.it
(15) Considerato che l'espressione dell'art.
(16) La perdita della legittimazione da parte del singolo creditore il quale potrebbe riassumere l'azione dopo solo una volta chiusa la procedura fallimentare è stata giustificata talvolta mediante il richiamo alla regola dell'art.
(17) È questa la soluzione proposta da Consolo, La revocatoria ordinaria, cit. 108 ss., il quale considera che l'azione revocatoria esercitata dal curatore e quella promossa dal singolo creditore ante fallimento, eventualmente pendente al momento della dichiarazione, siano azioni tra loro diverse non solo sotto il profilo dei soggetti, ma anche al punto di vista del petitum: le due azioni sono tra loro in rapporto di continenza tale per cui "il petitum dell'azione della è curatela, più ampio, "contiene" quello minore dell'azione del singolo creditore. Per tale motivo, sempre secondo l'A., l'azione revocatoria ordinaria promossa individualmente dal creditore potrebbe utilmente proseguire senza che il curatore possa sostituirsi a costui nell'esercizio dell'azione.
(18) Qualora, invece, il curatore reputando infondata l'azione revocatoria, in quanto priva dei presupposti tipici, decidesse di non esercitarla a favore della massa dei creditori egli potrebbe, tuttavia, ugualmente partecipare al giudizio promosso dal singolo creditore ma in qualità di successore del debitore fallito subentrando a costui nell'identica posizione processuale. L'ufficio fallimentare in questa ipotesi non esercita l'azione ex art.
(19) Così Consolo, La revocatoria ordinaria, cit., 121 (in nota), il quale ritiene sussista la competenza del giudice preventivamente adito dal creditore anche per l'azione revocatoria esercitata dal curatore a favore della massa, in quanto tra le due cause esiste un rapporto di connessione (diverso dalla accessorietà) tale per cui trovano applicazione le normali regole in tema di connessione previste all'art. 40, comma 1, c.p.c.