L'azione di responsabilità promossa
dal singolo socio o terzo

 

L'azione individuale

L'azione che compete al singolo socio o al singolo terzo danneggiati da atti degli amministratori si distingue dalle altre azioni di responsabilità in quanto il presupposto è costituito da un pregiudizio al patrimonio del singolo provocato da comportamenti dell'amministratore, anche senza che derivi un danno alla società, mentre il fondamento sia dell'azione sociale che di quella dei creditori è il danno subito dal patrimonio della società.

L'azione non è proponibile quando è da escludere la responsabilità dell'amministratore nell'evento dannoso, il quale è invece riconducibile a scelte operate dallo stesso danneggiato (Trib. Milano, 10 ottobre 2002, in Guida al dir., 2003, fasc. 30, 44).

La responsabilità risarcitoria dell'amministratore verso il socio o il terzo, ai sensi dell'art. 2395 c.c. non è invocabile in base al riscontro dell'inopportunità delle scelte gestionali e della loro incidenza negativa sul patrimonio del socio o del terzo, ma esige un fatto illecito, cioè un comportamento che integri violazione degli obblighi specifici, inerenti alla carica, o generali, stabiliti dall'ordinamento a tutela dei diritti dei terzi (Cass. civ., 4 aprile 1997, n. 2934, in Il fisco, 1997, 7487).

Non sono i soci nel loro complesso, né i terzi creditori a reagire a seguito dell'atto che può compromettere i loro interessi; anzi, a volte, è proprio nell'illegittimo perseguimento di vantaggi per la società che gli amministratori hanno offeso l'interesse individuale. Il diritto all'azione individuale sussiste infatti anche nell'ipotesi in cui il patrimonio della società abbia tratto vantaggio dall'atto degli amministratori (Cass. civ., 28 marzo 1996, n. 2850, in Impresa c.i., 1996, 1162), come sussiste nel caso contrario, quando la società eserciti l'azione di responsabilità per il risarcimento del danno subito dal suo patrimonio. Anche in tale ultima ipotesi il socio o il terzo possono, a loro volta, far valere le loro ragioni per un diverso danno, provocato dall'operazione, direttamente nei loro confronti. Inoltre l'azione può essere fatta valere dal terzo creditore verso l'amministratore per operazioni non dirette alla conservazione del patrimonio dopo l'accertamento di un fatto che determini lo scioglimento della società, anche quando, intervenuto il fallimento della società, il curatore eserciti verso l'amministratore stesso un'azione di responsabilità nell'interesse della massa dei creditori (Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9887, in Foro it., 1996, I, 2873).

Pertanto chi ha concluso l'operazione può chiamare a rispondere gli amministratori in via solidale con la società; viene così salvaguardata la sua buona fede (in quanto ignaro dello stato potenziale di liquidazione in cui si trovava la società) e non dovrà procedere alla preventiva escussione del patrimonio sociale, che, oltre ad allungare i tempi del contenzioso, si rivela spesso infruttuosa (Trib. Torino, 20 marzo 1989, in Foro it., mass. soc. n. 770; Cass. civ., 19 settembre 1995, n. 9887, in Foro it., 1996, I, 2873).

La forma utilizzata dall'art. 2395 c.c. per sancire l'ammissibilità dell'azione individuale («le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori»), tende a svincolare l'azione dai limiti fissati dai precedenti artt. 2393 e 2394 c.c., sia di procedura (delibera assembleare), sia di natura del danno (pregiudizio al patrimonio), riconfermando il principio generale, sancito dall'art. 2043 c.c., con cui viene riconosciuto a chiunque subisca un danno ingiusto il diritto di essere risarcito da chi quel danno ha provocato, principio che non esclude ovviamente dalla legittimazione passiva gli amministratori nell'ambito della loro attività gestoria.

L'azione concessa individualmente al socio o al terzo per il risarcimento dei danni ad essi derivati da atti colposi o dolosi degli amministratori rientra negli schemi della responsabilità extracontrattuale (Cass. civ., 7 settembre 1993, n. 9385, in Dir. fall., 1994, II, 27; Cass. civ., 1 aprile 1994, n. 3216, in Foro it., 1995, I, 1302).

La responsabilità dell'amministratore non consegue ad un inadempimento della società, ma presuppone un intervento che, per la sua illiceità extracontrattuale, anche se non è diretto a procurare all'amministratore un vantaggio personale, leda un diritto soggettivo patrimoniale. Si tratta quindi di responsabilità personale e diretta dell'amministratore e non sussidiaria rispetto a quella della società. Non implicando una forma di responsabilità oggettiva, richiede che l'amministratore abbia commesso con dolo o con colpa un fatto illecito, che abbia avuto diretta incidenza nel patrimonio del socio. La responsabilità non può quindi derivare dal rilievo della mera dannosità dell'atto compiuto dall'amministratore, senza l'inosservanza dei doveri insorti con l'incarico gestionale (Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2004, n. 6510, in Impresa, 2004, 1460).

L'azione individuale, anche quando sia ammissibile, non pregiudica l'azione sociale che, per i medesimi atti, possa spettare alla società, la quale può aver subito anch'essa un danno, oltre a quello lamentato dal socio o dal terzo.

Esercizio dell'azione

L'esercizio dell'azione richiede la necessaria coesistenza dei seguenti elementi (la cui prova è a carico dell'attore):
- un danno diretto sul patrimonio del socio o del terzo; quest'ultimo potrebbe anche non essere creditore;
- un atto o una omissione dolosa o colposa degli amministratori, nell'esercizio della loro funzione gestoria; in caso di danno provocato dagli amministratori al di fuori della loro attività, si applica l'art. 2043 c.c.;
- un nesso di causalità tra l'atto illecito e il danno subito dal socio o dal terzo. In particolare si ritiene debba essere fornita la prova che la falsa rappresentazione delle circostanze sia stata concretamente idonea a trarre in inganno il terzo e ad indurlo alla conclusione del negozio rivelatosi dannoso, facendo altrimenti difetto il nesso di causalità.

I singoli soci devono basare l'azione di responsabilità su una condotta dell'amministratore che produca un danno al patrimonio senza «passare attraverso il patrimonio sociale» (Salafia, La responsabilità civile degli amministratori, in Le società, 1993, 591). La condotta degli amministratori permane illecita anche nel caso in cui sia tenuta in esecuzione di una deliberazione del consiglio (che potrà solo valere ad estendere la responsabilità anche agli altri membri del consiglio) e anche quando sia stata approvata dall'assemblea dei soci, con deliberazione rispetto alla quale il terzo, o il socio quale titolare di un diritto autonomo, è in una posizione del tutto esterna. Pertanto il consenso dei soci al comportamento illecito degli amministratori, anche se regolarmente espresso in assemblea, non esonera quest'ultimo dalla responsabilità in esame.

Per quanto riguarda l'azione del terzo, essa deve fondarsi su una condotta dell'amministratore idonea a pregiudicare i suoi interessi, il che, ad esempio, si può verificare, a seguito di false comunicazioni sociali, anche non concretatesi in illecito penale, per i danni da affidamento (Trib. Bologna, 19 gennaio 1993, in Le società, 1993, 1063). Nel caso di sollecitazione all'investimento preceduta dalla pubblicazione di un prospetto informativo, qualora risultasse la circostanza che quel prospetto contenesse dati non veri, coloro i quali avessero acquistato le azioni oggetto della sollecitazione avrebbero diritto al risarcimento del danno. Il risarcimento spetterebbe comunque solo nella misura in cui il deprezzamento di dette azioni fosse dipeso dalla falsificazione dei dati del prospetto, non anche se fosse conseguenza dell'andamento generale del mercato per ragioni estranee all'inadempimento degli amministratori (Trib. Milano, 24 agosto 2002, in Giur. merito, 2003, 1144). Gli amministratori sono responsabili anche dei danni causati a patrimoni individuali, per la diffusione di informazioni false sulla situazione economica e finanziaria della società, idonee a turbare il diritto di scegliere consapevolmente come investire il proprio patrimonio (Trib. Milano, 21 ottobre 1999, in Giur. it., 2000, 554), anche se la diffusione delle notizie false avviene tramite la redazione colposa di un bilancio falso (App. Milano, 8 luglio 1997, in Giur. comm., 1998, II, 532), o la sistematica violazione dei diritti di informazione spettanti ai soci e ai terzi, effettuata dagli amministratori con l'intento di mascherare operazioni gravemente pregiudizievoli per il patrimonio sociale (Trib. Milano, 20 marzo 1997, in Giur. it., 1998, 108). Non sono invece responsabili quando di operazioni pregiudizievoli abbiano dato al socio informazione tempestiva, adeguate per orientare le scelte di investimento (Trib. Milano, 12 gennaio 2005, in Dir. prat. società, 13/2005, 75).

Può anche essere ipotizzata, in alternativa, l'azione del socio o del terzo danneggiato direttamente verso la società, la quale è tenuta a rispondere della condotta dell'amministratore in virtù del rapporto organico con esso (a meno che l'amministratore non abbia concretamente agito al di fuori dell'attività consentita per la realizzazione dell'oggetto sociale). La società soccombente avrebbe a sua volta diritto ad agire contro l'amministratore con l'azione di responsabilità sociale per i danni subiti.

Nella società fiduciaria, l'eventuale mala gestio dei beni dei fiducianti, da parte degli amministratori e dei sindaci della società, non comporta lesione all'integrità del patrimonio sociale, sicché la società e i soci sono privi di legittimazione ad agire per far valere la responsabilità degli amministratori e dei sindaci nei confronti non della generalità dei creditori bensì dei fiducianti, ai quali soltanto (come ai terzi danneggiati) spetta la legittimazione in ordine all'azione individuale di cui all'art. 2395 c.c. (Cass., civ., 21 maggio 1999, n. 4943, in Giust. civ., 1999, I, 2635).

Danno diretto

L'art. 2395 c.c. prevede la legittimazione all'azione del singolo socio o del terzo «direttamente danneggiati» da atti colposi o dolosi degli amministratori. Non è sempre facile accertare se l'atto colposo o doloso dell'amministratore abbia danneggiato direttamente o indirettamente il singolo socio o il terzo: si esclude comunque che il danno possa essere costituito dall'eventuale riflesso sul patrimonio del socio o del terzo dal pregiudizio subito dal patrimonio sociale, per effetto dell'inadempimento dell'amministratore (Trib. Reggio Emilia, 14 agosto 1998, in Giur merito, 1999, 499; Trib. Roma, 18 marzo 1999, in Rep. Foro it., voce 6270, n. 736), o dal pregiudizio derivante al socio o al terzo dalla sopravvenuta insolvenza della società o, in generale, da quello eventualmente conseguente a scelte di gestione (Trib. Milano, 7 maggio 1992, in Foro it., 1993, I, 2708; Trib. Milano, 18 ottobre 1993, in Le società, 1994, 253).

L'avverbio «direttamente» contenuto nell'art. 2395 c.c. non va ricollegato soltanto all'interesse tutelato dall'ordinamento, quasi fosse sinonimo di «personalmente» e mettesse in risalto l'appartenenza del diritto soggettivo leso al terzo o al socio, bensì al nesso di causalità fra azione ed evento, e pone quindi l'accento sulla direzione dell'atto lesivo, al fine di rendere tutelabile il danno cagionato direttamente e non di riflesso, cioè non necessariamente come conseguenza dell'eventuale danno arrecato al patrimonio sociale (Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2004, n. 269, in Impresa, 2004, 862).

La distinzione tra l'azione del socio e le altre azioni di responsabilità sta nell'espressione «direttamente danneggiati». Il danno arrecato al patrimonio sociale, infatti, colpisce i soci sempre indirettamente, in quanto possono veder pregiudicato il loro diritto sugli utili, o vedono diminuire il valore della loro partecipazione. Quindi un danno indiretto per i soci esiste sempre quando un comportamento ha danneggiato la società. Esiste anche un danno indiretto per i terzi, intesi come creditori sociali, solo che non è automatico come nel caso dei soci (i soci sono danneggiati indirettamente qualunque sia l'ammontare del danno arrecato dagli amministratori alla società, invece i creditori sociali sono danneggiati indirettamente soltanto in quanto il patrimonio sociale non sia sufficiente a soddisfare il loro crediti). In tutti questi casi l'art. 2395 c.c. non è applicabile. Può essere applicabile nell'ipotesi in cui gli amministratori redigano un bilancio, in base al quale vengano attirati i risparmiatori ad acquistare le azioni della società o a sottoscrivere un aumento di capitale, oppure convincano delle banche a finanziare la società, mostrando una situazione finanziaria ed economica che in realtà non esiste. In questo caso, non vi è danno per la società (anzi la società potrebbe avere un vantaggio, in quanto sia riuscita a collocare proprie partecipazioni o sia riuscita a ottenere finanziamenti). Il danno subito dal terzo o dal socio non è un riflesso del danno subito dal patrimonio sociale, ma investe immediatamente il loro patrimonio. Il criterio distintivo è quello del danno diretto o indiretto. Se il danno si profila come indiretto, non si può applicare l'art. 2395 c.c., ma si applicano le altre norme in materia di responsabilità e quindi l'azione individuale non è ammissibile. Se il danno si configura come diretto, invece, lo stesso art. 2395 è applicabile (Bevilacqua, Il danno diretto, in Codice civile ipertestuale, diretto da Bonilini, Confortini, Granelli, Milano, 2004, 854).

Danni risarcibili

Una volta ammessa la proponibilità dell'azione a favore di colui che è danneggiato direttamente dall'atto illecito dell'amministratore, deve essere determinato, sulle stesse basi, il quantum debeatur, operando una selezione dei danni risarcibili, cioè di quelli che risultino conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento. Nel caso di un soggetto divenuto socio a seguito di una offerta pubblica di vendita, danneggiato dal falso presente nel prospetto informativo, ha diritto, secondo la giurisprudenza, di ottenere il risarcimento dell'intero capitale investito (Trib. Napoli, 4 aprile 2003, in Le società, 2004, 78).

Si tratta in sostanza di danno derivante da illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. che obbliga colui che lo ha cagionato a risarcirlo. L'unica particolarità, non secondaria, è rappresentata dal fatto che non si tratta di danno derivante da atti compiuti al di fuori dell'attività gestoria, ma da azioni od omissioni compiute dall'amministratore nell'ambito dei doveri inerenti la sua carica.

La norma integra la disciplina generale della responsabilità civile, precisando che quando un danno ingiusto sia stato cagionato, con colpa o dolo degli amministratori, il risarcimento grava, oltre che sulla società ex art. 2049 c.c., anche sugli amministratori cui la colpa o il dolo sono riferibili (Galgano, Diritto civile e commerciale, III, 2, Padova, 1994, p. 259).

In quanto responsabilità da fatto illecito, può essere invocata, ai sensi dell'art. 2395 c.c., anche la responsabilità precontrattuale contro l'amministratore contraente in nome della società che abbia danneggiato il terzo contraente, dissimulando circostanze essenziali, decisive per la conclusione dell'accordo. «La società dal momento della conclusione del contratto risponde ordinariamente verso il terzo per l'adempimento della prestazione ivi dedotta, mentre l'amministratore, a causa del comportamento illecito tenuto prima della conclusione del contratto, si trova esposto, in caso di mancato adempimento, a risarcire al terzo il danno consistito nell'avere contrattato con la società (danno che sarà poi naturalmente ancora rapportato all'entità della prestazione non conseguita)» (Taurini, Amministratori, responsabilità, azione individuale del socio e del terzo, in Le società, Casi e questioni, 1/1994, 202).

L'azione ex art. 2395 c.c. non copre invece il danno subito dal terzo contraente per l'inadempimento contrattuale della società, anche se con la responsabilità contrattuale di quest'ultima può eventualmente concorrere quella da atto illecito degli amministratori, ove l'inadempimento sia imputabile a colpa o dolo degli stessi(Cass, civ., 21 maggio 1991, n. 5723, in Le società, 1991, 1357; Trib. Trieste, 12 dicembre 1992, in Le società, 1993, 807).

Prova del danno e nesso causale

L'azione concessa individualmente al socio o al terzo per il risarcimento dei danni derivanti dal comportamento degli amministratori postula la dimostrazione del danno subito e del nesso causale tra l'atto colposo o doloso e il danno.

La prova del danno e del nesso causale spetta al danneggiato, così come spettano al danneggiato le prove delle circostanze che hanno provocato il danno e la loro idoneità a costituirne causa sufficiente (App. Bologna, 5 maggio 1987, in Le società, 1987, 1156). Deve essere fornita la prova che la falsa rappresentazione delle circostanze sia stata concretamente idonea a trarre in inganno il terzo e ad indurlo alla conclusione del negozio rivelatosi dannoso, facendo altrimenti difetto il nesso di causalità, che è elemento costitutivo di questa fattispecie di responsabilità

Pertanto, ad esempio, se il terzo danneggiato sostiene di aver subito un danno da affidamento a seguito di un bilancio falso della società, deve provare che il bilancio aveva esposto in maniera artefatta la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che in base a quel bilancio è stato indotto, ad esempio, a continuare le forniture a credito o a concedere un finanziamento alla società e che l'irregolarità del bilancio, dovuta a dolo o colpa degli amministratori, era idonea a trarre in inganno la sua fiducia (Trib. Chiavari, 18 gennaio 1993, in Le società, 1993, 823).

Non è invece influente la prova che il raggiro sia stato architettato per carpire la sua particolare buona fede essendo sufficiente la dimostrazione dell'intenzione di commettere l'illecito. Subordinare questa responsabilità «ad una attività intenzionalmente diretta verso il danneggiato, cioè particolarmente al dolo, è in contrasto con la lettera della legge» (Ferrara jr e Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1987, p. 526.

Prescrizione dell'azione

La responsabilità dell'amministratore ha come presupposto il compimento di un illecito aquiliano e pertanto, con riguardo alla prescrizione, trovano applicazione le disposizioni dell'art. 2947 c.c. il quale prevede che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato (Trib. Milano, 16 ottobre 1989, in Le società, 1990, p. 902: «l'azione individuale di responsabilità ha natura extracontrattuale e come tale è soggetta alla prescrizione breve, sancita dall'art. 2947 c.c.»). Non è operante nel caso la sospensione della prescrizione prevista dal n. 7 dell'art. 2941 c.c., che riguarda i rapporti tra società ed amministratori.

Il principio è ora espressamente riconfermato (restringendo solo col termine «atto» il riferimento al «fatto» illecito di cui all'art. 2947 c.c.) dal nuovo 2° comma dell'art. 2395 c.c., il quale stabilisce che l'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

Autore: Dott. Giorgio Bianchi - tratto dal "Quotidiano Giuridico" del 06/11/2006