L'assegno di mantenimento ed i criteri per la sua determinazione (nota a Cass. Sez. Lavoro 11/04 - 09/09/03 n. 13200)

 

La sentenza in esame (massimata e riportata per esteso in calce), contempla una fattispecie in cui l'assegno di mantenimento viene definito nei suoi elementi costitutivi sulla scorta di un principio radicalmente opposto rispetto a quello seguito in precedenza.
Stiamo parlando dell'individuazione della fonte dei redditi a cui fare riferimento, in sede di valutazione della sussistenza, o meno, dei requisiti per procedere all'attribuzione dell'assegno di mantenimento (meglio individuato nel passato come assegno familiare) a favore dell'avente diritto sulla base del reddito del nucleo familiare del coniuge affidatario della prole. La sentenza - rispetto alla quale, non constano precedenti specifici in materia, espressi negli stessi termini - si pone in assoluta evidenza, per l'attuale disinteresse manifestato dai Giudici di legittimità rispetto ai redditi del coniuge presuntivamente obbligato alla corresponsione dell'assegno (in altre parole, colui al quale compete l'onere del mantenimento) prendendo in esame i soli redditi del coniuge affidatario dei figli. Secondo l'innovativo l'orientamento manifestato - nella decisione in commento - la base di calcolo dell'importo dovuto a titolo di mantenimento, dovrebbe rinvenirsi non nel reddito del non affidatario della prole, ma bensì nella "summa" dei redditi prodotti dal coniuge affidatario, escludendo, - de qua l'ulteriore particolarità insita nel provvedimento in disamina - qualsiasi riferimento alla posizione reddituale del coniuge separato. A ben vedere, il ragionamento seguito dai Giudici, sembrerebbe ruotare intorno all'interpretazione dell'articolo 2, della Legge 153/88, in relazione al quale, il nucleo a cui dover fare diretto riferimento, andrebbe individuato in quello "effettivo", composto dal coniuge affidatario e dai figli, escludendone, conseguentemente, il coniuge separato, e, prescindendo da ogni ulteriore questione di diritto relativa alla titolarità del rapporto di lavoro (comunque preso in esame nella motivazione della decisione), quale fonte derivativa del diritto alla percezione dell'assegno. Secondo il percorso logico-giuridico manifestato nella sentenza, il comma 9 dell'articolo 2 della L. 153/88, nel prendere in esame il reddito del nucleo familiare beneficiario della misura economica, deve quindi considerare solo l'ammontare dei redditi assoggettabili ad IRPEF, percepiti dai componenti del predetto nucleo, nel corso dell'intero anno solare, antecedente alla data del 1° luglio per ogni periodo d'imposta, dovendosi ritenere inclusi anche i redditi esenti. Peraltro, dal comma 2 della norma innanzi citata, si evince altresì che l'ammontare dell'assegno muta sensibilmente in considerazione del numero dei singoli componenti del nucleo familiare, essendo strettamente correlato al reddito del nucleo stesso, laddove, al comma 6, si prevede espressamente l'esclusione dei redditi pertinenti la posizione economica del coniuge legalmente ed effettivamente separato. In tale ottica, la ratio legis, sembrerebbe indubbiamente protesa a preservare il diritto del nucleo familiare, inteso quale nucleo "distinto" ed "autonomo" rispetto a quello comprensivo del coniuge legalmente separato, non affidatario della prole. In realtà, da un attento esame del combinato disposto degli artt. 211 della Legge n. 151/1975, e 2, commi 1, 2 e 6 del D.L. n. 69/1988, convertito nella Legge n. 153/1988, il coniuge affidatario dei figli ha una pretesa azionabile iure proprio in ordine al riconoscimento degli assegni familiari, attualmente sostituiti dall'assegno di mantenimento, a seguito del citato mutamento legislativo. In particolare, l'anzidetta posizione di diritto, era riconosciuta al coniuge affidatario della prole, il quale, è considerato l'unico destinatario della provvidenza economica menzionata nella lettera della Legge. Il nucleo familiare "ristretto" è quindi il soggetto giuridico "di fatto" beneficiario dell'assegno, la cui titolarità, intesa quale "diritto", compete però jure proprio sempre e solo al coniuge affidatario. Correttamente, i Giudici di legittimità hanno asserito che non esiste alcuna norma, donde ritenersi la sussistenza di un presunto spazio normativo volto ad interpretare la titolarità del relativo diritto in capo al nucleo familiare, in quanto, come già anticipato innanzi, quest'ultimo riveste la natura di mero beneficiario. Conseguentemente, se titolare dell'assegno è il coniuge affidatario devesi necessariamente avere riguardo al reddito di quest'ultimo, in quanto, è noto che la separazione legale dei coniugi, non determina l'estinzione dell'obbligo del mantenimento a carico del coniuge non affidatario, e, correlativamente, del diritto alla corresponsione dell'assegno in favore dell'altro coniuge. A tal fine, non può certo dubitarsi del permanere in capo ad entrambi, del complesso inscindibile di obblighi e diritti, di natura morale e materiale, derivanti, appunto, dal comune rapporto di filiazione. In buona sostanza, se il reddito del coniuge affidatario assume rilievo in ordine alla statuizione concernente il mantenimento del nucleo familiare comprensivo dei figli, non può "segnare il passo" fino ad auto-confinarsi nel limbo dell'irrilevanza in sede di esame dei criteri valutativi concernenti la spettanza e della misura dell'assegno integrativo. A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare che, il disposto normativo contenuto nell'articolo 211 della L. n. 151/1975 è volto a regolamentare unicamente i rapporti fra coniugi, comportando, semmai, la possibilità di realizzare una cessione ex lege del credito a beneficio del coniuge affidatario, il cui diritto, assumerebbe dichiaratamente una valenza indiretta e marginale sotto il profilo specifico dell'imputazione dello stesso, in relazione al cui accertamento dovrebbe pertanto operarsi diretto ed esclusivo riferimento alla situazione dell'effettivo titolare. Tuttavia, come ricordato nella sentenza, la norma sopra richiamata, dispone pur sempre che «il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge», e, correlativamente, l'articolo 9, II° comma, della L. n. 903/1977, prevede espressamente che le prestazioni vanno corrisposte al coniuge con il quale il figlio risulta convivente. In pratica, da un lato, deve tenersi conto della titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia rispetto al diritto inerente la percezione dello stesso, e, dall'altro, della disciplina dei conflitti fra coniugi separati e ugualmente legittimati alla pretesa concernente l'assegno. E' noto che il quadro normativo preesistente in materia, subiva un parziale mutamento a seguito dell'avvento della L. n. 153/1988 di conversione del D.L. n. 69/1988 istitutiva dell'assegno di mantenimento del nucleo familiare. Attualmente, la struttura del nuovo istituto giuridico predisposto dal Legislatore, si caratterizza per la prioritaria valenza conferita all'attività di re-distribuzione del reddito, perseguita utilizzando un trattamento finalizzato a preservare gli interessi economici delle famiglie meno abbienti, in quanto dotate di modeste capacità economiche. A conferma della serietà d'intenti manifestata dal Legislatore nella stesura definitiva della norma, basterebbe osservare che la provvidenza economica di cui si discute viene attribuita sulla base di alcuni parametri, nei quali viene preso in considerazione anche il numero dei soggetti componenti il nucleo familiare, rapportandolo proporzionalmente al reddito prodotto dal nucleo stesso - cfr. articolo 2, comma 2, prima parte, L. n. 153/1988 - "dosandone" la misura a favore delle famiglie bisognose di una particolare forma di tutela sul piano economico-finanziario. Peraltro, con la nuova disciplina, emerge altresì in forma palese, l'intento orientato teleologicamente alla realizzazione di un'efficace forma di utilizzo "sinergico" dei vari strumenti previdenziali contemplati dall'Ordinamento, in un'ottica, chiaramente protesa alla migliore tutela possibile della famiglia, con il preminente intento di salvaguardare primieramente i nuclei familiari gravati anche da situazioni "delicate" contraddistinte dalla presenza di "gravi" oneri di sopportazione, in ragione di specifiche condizioni "umane" concernenti alcuni componenti del nucleo familiare considerato. Del resto, a sottolineare ulteriormente la finalità assistenziale sottostante rispetto al complessivo contenuto normativo rinveniente nella L. n. 153/1988, basterebbe esaminare attentamente il comma 6, del già citato art. 2 della L. 153/1988 il quale, nel prendere in considerazione il concetto di "nucleo familiare", lo delimita, escludendone categoricamente la figura del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e, di contro, considerando i soggetti beneficiari della prestazione assistenziale, anche se maggiorenni, ma, affetti da gravi e permanenti problematiche personali, di fatto ostative all'esercizio di una qualsivoglia attività lavorativa. Sul punto, è importante osservare come, il nucleo in disamina, potrebbe anche essere composto da un'unico soggetto, che, di fatto, verta nelle condizioni del successivo comma 8 dell'art. 2 della L. 153/1988. In buona sostanza, la Suprema Corte, ha ritenuto di trarre importanti ed essenziali argomenti sui quali si fonda la decisione, dall'attento ed approfondito esame delle evidenti finalità assistenziali di cui il nuovo istituto appare chiaramente permeato, in ragione delle quali, appare confacente al diritto prendere in esame - ai fini della statuizione concernente l'ammontare dell'assegno - il reddito del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario, e, dai figli conviventi, escludendo a priori, qualsiasi riferimento alla posizione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche nell'ipotesi in cui sia quest'ultimo il titolare immediato ed effettivo del diritto alla prestazione, in quanto, la posizione reddituale del medesimo assume rilevanza nella determinazione del diritto alla percezione del beneficio (inteso come an debeatur), mentre, la valutazione del quantum debeatur, alla luce dei suesposti principi, dovrà ineludibilmente effettuarsi in base al reddito del nucleo familiare del coniuge affidatario della prole. Un'ultima annotazione si renderebbe forse opportuno esaminare: quid juris, se il reddito del nucleo familiare del coniuge affidatario, di fatto, sia tale da escludere il beneficio, rispetto a quello del non-affidatario? Potrebbe configurarsi fondata una presunta violazione dell'art. 3 della Costituzione, ove si tenesse presente l'evidente disparità di trattamento tra le distinte posizioni economiche e personali dei coniugi, certamente rilevanti in sede di maggiore o minore contribuzione nell'assolvimento del reciproco obbligo di mutua collaborazione nel sostenere i "pesi" e le molteplici esigenze della famiglia, con specifico riferimento alla prole? Probabilmente, su tale questione, andrebbe approfondito ulteriormente il dibattito apertosi fin dall'entrata in vigore della L. 153/1988, se non altro, al fine di evitare ogni possibile disagio e pregiudizio, proprio nei confronti delle famiglie che, almeno in linea di principio il Legislatore ha inteso tutelare maggiormente.

Autore: Avv. Vito Amendolagine - tratto dal sito: www.diritto.it

Corte Suprema di Cassazione ' Sezione Lavoro ' sentenza 11 aprile-9 settembre 2003, n. 13200
Presidente Mileo ' relatore Maiorano; P.M. Nardi (conforme) 

LA MASSIMA

Il nuovo istituto dell'assegno per il nucleo familiare si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema del trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (articolo 2, comma 2, prima parte, legge 153/88). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei familiari, che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (articolo 2, comma 2, seconda parte, legge 153/88). Si realizza, così, con l'istituto in esame una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti. Ed è in relazione a tale nucleo familiare che viene determinato, ai sensi del comma 2, l'importo da erogare "in misura differenziata" a seconda delle necessità e "in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo" medesimo. La finalità assistenziale del nuovo istituto e la chiara dizione legislativa inducono a ritenere che il reddito da tenere presente al fini dell'ammontare dell'assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche se titolare del diritto alla corresponsione; il reddito di quest'ultimo viene in considerazione solo per stabilire il diritto alla erogazione della provvidenza assistenziale; una volta stabilita la spettanza dell'assegno, l'ammontare viene determinato sulla base del reddito del nucleo familiare dell'altro coniuge affidatario.

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Trento , .... moglie legalmente separata da ........ , dipendente della Amministrazione .........., conveniva in giudizio la detta Amministrazione per il riconoscimento del suo diritto all'assegno per il nucleo familiare, a lei spettante in quanto affidataria dei figli, e che doveva essere, però, calcolato non sulla base del reddito del marito cui non erano affidati i figli, ma sulla base dei redditi percepiti dal nucleo familiare della istante, dal quale era escluso il coniuge separato. L'Amministrazione convenuta contrastava la domanda, perché titolare del diritto all'assegno ex articolo 2 decreto legge 69/1988, convertito in legge 133/88, era il dipendente ; al sensi dell'articolo 211 della legge 151/75 vi era una mera cessione del relativo importo in favore della moglie affidataria dei figli. Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte d'Appello di Trento, investita in grado di appello su ricorso dell'Amministrazione, con sentenza del 30 gennaio-2 febbraio 2001, confermava la decisione, rilevando che ai sensi dell'articolo 2 legge 153/88 il nucleo familiare cui doveva farsi riferimento al fini del calcolo era quello effettivo, composto dal genitore affidatario e dal figli, con esclusione del coniuge separato, indipendentemente dalla titolarità del rapporto di lavoro da cui derivava il diritto alla percezione dell'assegno. Infatti, il comma 9 del suddetto articolo 2 precisava che il reddito del nucleo familiare era costituito dall'ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili ad Irpef, percepiti dai componenti nell'anno solare precedente al 1° luglio di ogni anno e che concorrevano alla formazione del reddito anche i redditi esenti da imposte; il comma 2 stabiliva che l'ammontare dell'assegno variava in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, mentre il comma 6 stabiliva che dal nucleo familiare era escluso il coniuge legalmente ed effettivamente separato. La ratio della norma in esame era quella di salvaguardare concretamente il diritto del nucleo familiare alla percezione dell'assegno, sostitutivo dei vecchi assegni familiari, in base al reddito complessivo dei suoi componenti effettivi (tanto che ne era escluso il coniuge separato). Destinatario dell'assegno era il nucleo familiare, per cui in caso di separazione legale veniva a costituirsi un nucleo autonomo che faceva capo al coniuge separato affidatario dei figli, cui spettava il diritto all'assegno anche se lo stesso derivava dalla posizione lavorativa del coniuge. La sentenza quindi doveva essere confermata. Avverso questa pronuncia, propone ricorso per cassazione la Amministrazione, fondato su un solo motivo. Resiste la con controricorso.

Motivi della decisione

Lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 211 legge 151/75, e 2, commi 1, 2 e 6 decreto legge 69/1988, convertito in legge 153/88 (articolo 360 n. 3 c.p.c.) deduce la ricorrente che l'articolo 211 Legge 151/75 stabilisce che il coniuge affidatario dei figli ha diritto in ogni caso a percepire gli, assegni familiari (ora assegno per il nucleo familiare) sia che ne abbia diritto in virtù di un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge, non affidatario. La Corte d'appello ha male interpretato le norme in materia, creando una terza figura di titolare del diritto all'assegno e cioè il nucleo familiare. Questi in realtà è solo il beneficiario dell'assegno, la cui titolarità spetta al coniuge affidatario o jure proprio, o per trasmissione del diritto da parte del titolare. La titolarità infatti è legata al rapporto di lavoro dipendente anche se viene trasferito al coniuge affidatario. Da nessuna norma emerge la titolarità del nucleo familiare, che è solo il beneficiario finale; da qui la conseguenza che se titolare dell'assegno è il coniuge non affidatario si deve avere riguardo al suo reddito per determinare la spettanza e l'ammontare. La separazione dei coniugi non fa venire meno l'obbligo del mantenimento a carico del coniuge non affidatario e quindi il suo diritto alla percezione dell'assegno, anche se lo stesso viene poi trasferito all'altro coniuge. L'articolo 2, comma 6, del decreto legge 69/1988 esclude dal nucleo familiare il coniuge separato, ma la separazione riguarda solo i genitori e non certo i figli, per cui rimangono a carico del coniuge non affidatario obblighi e diritti, morali e materiali, relativi al rapporto di filiazione. Palese è l'errore del giudice di appello, perché se il reddito del coniuge non affidatario ha sicuramente rilevanza al fini del mantenimento del nucleo familiare, composto dai figli, non può diventare poi irrilevante al fini della spettanza e della misura dell'assegno integrativo. L'articolo 211 della legge 151/75 non interferisce con la disciplina sostanziale dell'assegno, ma regola solo i rapporti fra i coniugi determinando una sorta di cessione ex lege del credito in favore del coniuge affidatario, il cui diritto ha natura derivata, per cui si deve fare riferimento esclusivamente alla situazione del titolare dante causa. Il ricorso è infondato. Nel periodo in cui era in vigore l'istituto degli assegni familiari sono state emanate due norme per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati e favorire in ogni caso il coniuge cui erano affidati i figli, indipendentemente dalla titolarità del diritto alla corresponsione degli assegni. L'articolo 211 della legge 151/75, prevede che «il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge», l'articolo 9 della legge 903/77, sulla parità di trattamento tra uomini e donne, dopo avere previsto che in tutte le prestazioni in favore della famiglia «possono essere corrisposte, in alternativa, alla donna lavoratrice... con gli stessi limiti previsti per il lavoratore», al secondo comma stabilisce che «nel caso di richiesta di entrambi i genitori (le prestazioni) debbono essere corrisposte al genitore con il quale il figlio convive». Abolito l'istituto degli assegni familiari queste norme sono rimaste in vigore (perché non abrogate esplicitamente o implicitamente da norme successive), la prima, al fini della scissione fra titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia e diritto alla percezione dello stesso e la seconda per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati che abbiano entrambi diritto alla corresponsione. Per tutto il resto, però, il regime è radicalmente mutato con la introduzione dell'assegno per il nucleo familiare col decreto legge 69/1988, convertito in legge 153/88. La Corte ha già avuto modo di precisare, con la sentenza 7668/96, che, come è stato messo in luce dalla dottrina, il nuovo istituto dell'assegno per il nucleo familiare si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema del trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (articolo 2, comma 2, prima parte, legge 153/88). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei familiari, che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (articolo 2, comma 2, seconda parte, legge 153/88). Si realizza, così, con l'istituto in esame una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti. In proposito, rileva il Collegio che la suddetta finalità della legge 153/88 (di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente assistenziale della nuova normativa, che al comma 6 dell'articolo 2 definisce il nucleo familiare, precisando che lo stesso «è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati», comprendendo in esso tutte le persone in favore delle quali è erogata la prestazione assistenziale, anche maggiorenni, purché i trovino «nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro»; nucleo che può essere composto anche da una sola persona che si trovi nelle condizioni previste di successivo comma 8. Ed è in relazione a tale nucleo familiare che viene determinato, ai sensi del comma 2, l'importo da erogare "in misura differenziata" a seconda delle necessità e "in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo" medesimo. La finalità assistenziale del nuovo istituto e la chiara dizione legislativa inducono a ritenere che il reddito da tenere presente al fini dell'ammontare dell'assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche se titolare del diritto alla corresponsione; il reddito di quest'ultimo viene in considerazione solo per stabilire il diritto alla erogazione della provvidenza assistenziale; una volta stabilita la spettanza dell'assegno, l'ammontare viene determinato sulla base del reddito del nucleo familiare dell'altro coniuge affidatario. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese vanno poste a carico del ricorrente, liquidate come in dispositivo ed assegnate all'avvocato F. Agostani che ha reso la dichiarazione di rito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 700 oltre euro 2.000,00 per onorario, con distrazione in favore dell'avvocato F. Agostani antistatario.