Riproduciamo, su gentile concessione dell'Autore (Avv. Eugenio Mete - www.ilmatrimoniointribunale.it) e della Casa editrice Ianua, un estratto dal Volume
L'ASSEGNO DI DIVORZIO E I DIRITTI CONNESSI
INTRODUZIONE
Cap. 1 GLI EFFETTI LIBERATORI DEL DIVORZIO. I RESIDUI OBBLIGHI DI NATURA PATRIMONIALE
Cap. 2 L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE
Cap. 3 RAPPORTI TRA ASSEGNO DI MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE E ASSEGNO DI DIVORZIO
Cap. 4 LA NULLITA' DEGLI ACCORDI ECONOMICI PREVENTIVI
INTRODUZIONE
L'istituto del divorzio ha apportato alla nostra società molte significative novità: nel testo originario erano contenuti principi largamente innovativi che hanno influenzato e modificato il nostro costume ed il modo di vivere.
Basti considerare che mentre la separazione per intollerabilità della convivenza (rimedio) è stata introdotta solamente con la riforma del diritto di famiglia (1975), il divorzio invece è stato ideato fin dall'inizio come rimedio e non come sanzione: era infatti consentito (diversamente dalla separazione) anche a chi aveva colpa esclusiva di quest'ultima.
La legge del 1987, poi, ha attribuito all'assegno di divorzio una funzione assistenziale.
Proprio le continue novità giurisprudenziali che si sono presentate nell'ultimo decennio nella delicata materia dell'attribuzione e quantificazione dell'assegno divorzile e temi correlati hanno suggerito una nuova edizione dei volumi "L'assegno di divorzio" e "Cassazione e Corte Costituzionale sull'assegno di divorzio" ormai risalenti.
Questo volume intende approfondire tutti gli aspetti sull'assegno divorzile ed i sui rilevanti temi connessi, che vanno al nocciolo dell'istituto del divorzio, costituendone il fulcro.
In altri termini, senza una profonda disamina dell'assegno divorzile, non può affrontarsi un discorso sulle caratteristiche essenziali del divorzio come voluto dal nostro legislatore, nella legge che ha introdotto l'istituto nel nostro ordinamento nel 1970 ed a seguito delle più approfondite elaborazioni delle leggi modificatrici del 1978 e del 1987.
In appendice al volume viene riportata, in ausilio agli operatori del diritto, la giurisprudenza completa sulla materia (suddivisa per argomenti per facilitarne la ricerca), in modo da evidenziare il pensiero giurisprudenziale, che ha consentito l'evoluzione della materia nel tempo, contemporaneamente all'evoluzione della nostra società.
1. GLI EFFETTI LIBERATORI DEL DIVORZIO. I RESIDUI OBBLIGHI DI NATURA PATRIMONIALE
Gli artt. 1 e 2 della legge sul divorzio non specificano quali siano gli effetti del matrimonio che vengono meno a seguito del divorzio stesso: se ne deve dedurre che si estinguono tutti gli effetti del matrimonio.
In effetti vengono meno tutti gli obblighi relativi al contenuto dell'istituto matrimoniale, la qualità di coniuge (1), il cognome (salva l'autorizzazione del tribunale (art. 5, 2° comma) e i doveri di fedeltà, coabitazione e collaborazione (caratteri peraltro già scomparsi con la separazione).
Permangono però alcuni specifici obblighi aventi quale presupposto il precedente rapporto di coniugio tra le parti, dando luogo alla c.d. ultrattività del matrimonio (2)(3)
D'altronde la giurisprudenza ha limitato gli effetti liberatori del divorzio: l'affermazione del perdurare di un rapporto sui generis di solidarietà economica è risalente (Cass. 3777/81), ma non lo è il principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 286/87 che giustifica le norme che assicurano l'attribuzione della pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato "con riferimento a quella particolare solidarietà che si crea tra persone già legate dal vincolo di coniugio e che può continuare ad avere effetti rilevanti anche dopo lo scioglimento del matrimonio", né l'altro (espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 1009/88) secondo il quale "La sentenza di divorzio non elimina interamente la vis matrimonii, la quale permane sul piano dei rapporti patrimoniali nei limiti dell'ultrattività del rapporto regolato dall'art. 5 l. 898/87" (4).
Si tratta essenzialmente di obblighi di natura patrimoniale, posti esclusivamente a carico di uno solo degli ex coniugi, mentre l'altro sarà liberato da ogni dovere.
Il principale effetto di natura patrimoniale che permane a carico di una parte nonostante il divorzio (anzi proprio a causa di questo) consiste nell'obbligo di corresponsione di un assegno.
Tale effetto riveste natura centrale, sia in sé considerato, quale strumento per la realizzazione della solidarietà tra coniugi divorziati, sia quale presupposto di altri effetti (rilevando la sua titolarità per il riconoscimento e l'attribuzione di diritti successori, della pensione di reversibilità e dell'indennità di fine rapporto).
Altri effetti riguardano la garanzia reale e personale in caso di inadempimento, l'attribuzione o la ripartizione della pensione di reversibilità e l'attribuzione di una quota dell'indennità di fine rapporto.
Tutti questi argomenti costituiscono oggetto della trattazione che segue (5)
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(1) Tale effetto non è esplicitamente evidenziato nella norma, ma non è concettualmente possibile ipotizzare la permanenza della detta qualità nel divorzio. Peraltro la legge parla di ex coniuge solo nell'art. 9 n. 2, mentre in tutte le altre norme continua in modo disinvolto a definire coniugi le parti dopo il divorzio (vedi art. 5, 3°comma; 8, 3° comma; 8, 5° comma; 9, 3° comma e 12-bis).
(2) come la qualifica di affine, essendo espressamente previsto la permanenza della qualifica in caso di divorzio nell'art. 87 n. 4 c.c. che disciplina il divieto di matrimonio tra gli affini.
D'altronde l'art. 78 c.c. nel disporre che l'affinità non cessa con la morte, ma solo se il matrimonio è dichiarato nullo, non disciplina l'ipotesi del divorzio.
(3) Anche il divieto temporaneo di contrarre nuove nozze per la donna, previsto dall'art. 89 c.c., può essere considerato un effetto di natura personale che consegue al divorzio
(4) Tale principio è stato peraltro immediatamente contraddetto dalla stessa Corte, con la sentenza n. 472/89
(5) Non verranno invece esaminati altri specifici effetti di natura patrimoniale conseguenti al divorzio, e cioè l'assegno a favore dei figli e l'assegnazione della casa coniugale, argomenti già trattati in precedenti scritti, nonché le disposizioni relative allo scioglimento della comunione legale (art. 191 c.c.); la cessazione del vincolo di partecipazione all'impresa familiare (art. 230 bis), la cessazione dei diritti successori, salva l'attribuzione di un assegno periodico a carico dell'eredità a favore del coniuge già percettore dell'assegno, ricorrendone i presupposti (art. 9 bis 1. div.).
2. L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE
Uno scritto che voglia analizzare gli aspetti giuridici dell'assegno di divorzio, non può non prendere le mosse da un discorso sulla natura e sul fondamento dell'assegno di separazione, che ne costituisce l'antecedente logico.
II diritto al mantenimento del coniuge separato è disciplinato dall'art. 156 c.c.: più precisamente, secondo il dettato legislativo, il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato sorge soltanto quando questi non abbia adeguati redditi propri.
II termine "adeguato", da "adaequare", e cioe "ad aequare" o meglio "aequare ad" significa "rendere uguale a".
Quindi una persona o una circostanza devono essere "adeguate" ad un'altra persona o circostanza: comunque deve sempre esistere un termine di riferimento.
Ma a quale elemento devono essere comparati (e cioè adeguati) i redditi del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento?
Si ritiene che il fondamento del diritto sia costituito da un principio di solidarietà personale, su base più ampia di quella assistenziale, che va a sovrapporsi, sostituendolo, ad un principio di solidarietà collettiva: quello del soddisfacimento dei bisogni della famiglia, che trova applicazione durante la convivenza coniugale.
Contro tale tesi è opportuno rilevare che con la separazione siamo in presenza di una fattispecie nuova, che dovrebbe ricevere una tutela specifica, con riferimento proprio a questo nuovo stato di fatto.
Non dovrebbe essere quindi applicato sic et simpliciter il riferimento al precedente tenore di vita della famiglia, posto che con la separazione ha termine il dovere di contribuzione che ha origine nella convivenza coniugale.
Pertanto l'indagine giudiziaria dovrebbe prendere in esame esclusivamente l'esistenza o meno di redditi attuali, la concreta possibilità ed attitudine a svolgere un'attività lavorativa retribuita, che sia confacente alle attitudini ed alla personalità del coniuge economicamente più debole, tenendo altresì conto delle energie e delle possibilità lavorative dallo stesso sacrificate durante la convivenza per l'assistenza e l'educazione dei figli o per l'assistenza al coniuge ed eventualmente per la collaborazione alla sue attività.
La giurisprudenza ha invece individuato il presupposto del diritto al mantenimento nella possibilità per il coniuge economicamente più debole di continuare a sostenere lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza.
Questo presupposto è quindi stato interpretato in modo molto più ampio del semplice stato di bisogno, o comunque della difficoltà economica.
Tale interpretazione giurisprudenziale costituisce una fictio iuris, che non considera il fatto della cessazione della convivenza tra i coniugi, del venir meno della comunione di vita, e privilegia l'aspetto per così dire "matrimoniale" del mantenimento.
Questa soluzione inoltre, non considera che con la separazione peggiora il tenore di vita di tutta la famiglia, dovendosi forzatamente escludere la realizzazione delle "economie di scala" (6).
Se pertanto il coniuge "mantenuto" conserverà lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza, verrà a realizzarsi un ingiustificato arricchimento nei confronti dell'altro, il quale necessariamente dovrà usufruire di un tenore di vita più modesto.
Comunque si voglia considerare il concetto della "solidarietà coningale successiva alla convivenza", la sua massima espressione non dovrebbe superare l'opportunità per entrambi i coniugi di godere lo stesso tenore di vita.
Si deve quindi prendere atto che nella determinazione dell'assegno di separazione, la giurisprudenza ha finora fornito un'interpretazione eccessivamente estensiva della formula "adeguati redditi".
Ma vi è di più: il riferimento all'"adeguatezza dei mezzi" va effettuato non all'epoca del matrimonio ma al momento della decisione, tenendo quindi conto della situazione attuale del coniuge richiedente l'assegno.
Per completezza di esposizione, ricorderemo che per quanto riguarda la posizione del coniuge obbligato alla corresponsione dell'assegno, la norma positiva fa riferimento esplicito (all'art. 156 c.c.) "alle circostanze ed ai redditi" di questo: la giurisprudenza ha però esteso la previsione oltre che ai redditi, anche alle sostanze dell'obbligato (7), considerate nel loro valore intrinseco (8).
L'obbligo del mantenimento cessa quando il beneficiario sia in grado di usufruire di adeguati redditi propri.
Può incidere la presenza di aiuti economici da parte di un familiare oppure l'instaurazione di una convivenza more uxorio, purchè contraddistinti da carattere di stabilità.
In quest'ultimo caso, più che di cessazione, si deve parlare di quiescenza dell'obbligo di mantenimento, che si ricostituirà, in ipotesi al momento in cui termini la convivenza.
L'impostazione così generosa data dalla giurisprudenza all'assegno di mantenimento ha ricevuto molte critiche dalla dottrina, recepita in alcuni disegni di legge presentati in occasione della modifica della legge sul divorzio.
In particolare, nella relazione Lipari è stato sottolineato che "doveva essere respinta la concezione patrimonialistica della condizione coniugale, evitando situazioni di pura rendita".
Finora tale indirizzo, che giustamente contesta l'idea del matrimonio come "forma di assicurazione perpetua per uno standard di vita" o come "sistemazione economica definitiva per una parte" (9), non è stato preso in considerazione dalla giurisprudenza, rimasta ancorata, per quanto riguarda l'assegno di separazione, alla conferma del precedente tenore di vita della parte economicamente più debole.
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(6) BARBAGLI, Provando e riprovando, Bologna, 1990, 95: "Quando, a causa del divorzio (rectius: della separazione) la famiglia si spezza, i due gruppi domestici che si formano perdono immediatamente i vantaggi (dei risparmi, delle economie di scala, dovute al fatto che alcuni dei costi sono quasi fissi cioè cambiano poco se esse aumentano o diminuiscono di un'unita). Di conseguenza, per mantenere lo stesso livello di vita, due persone divorziate hanno bisogno di entrate molto maggiori. di quando erano sposate".
(7) Anche se non immediatamente e direttamente produttrici di reddito: Cass. 29/9/ 1977, n.4863, in Giur. Civ., 1978, I, 87; Cass. 30/5/1983, n.3721, in Rep. Foro it., 1983, voce "Separazione dei coniugi, n. 68; Cass. 13/1/1982, n. 169, in Giur. it., 1982, I, 1, 1196; Trib. Napoli 28/4/1981, in Foro Pad., 1981, I, 278.
(8) Cass. 30/5/83, n. 3721, in Rep.Giur.it., 1983, voce "Separazione dei coniugi" n.69.
(9) Come afferma Trabucchi, La funzione di assistenza dell'assegno di divorzio e l'assegno in corso di separazione, in Giur.it., 1982, I, 1, 46.
3. RAPPORTI TRA ASSEGNO DI MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE E ASSEGNO DI DIVORZIO
Secondo la giurisprudenza, in linea di principio, l'assegno divorzile "trova la sua causa nella cessazione del vincolo" e quindi ha natura, significato e quantificazione diversi dall'assegno di mantenimento.
Pertanto la regolamentazione patrimoniale della separazione non influisce su quella del divorzio, che rimane totalmente autonoma (come vedremo tra breve, la giurisprudenza ha posto una pesante barriera alla libertà di autodeterminazione delle parti, negando qualunque efficacia agli accordi in fase di separazione sulla determinazione e quantificazione dell'assegno divorzile).
Con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento, solo ed esclusivamente nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione (Cass. 11575/01)
Espressamente Cass. 4391/92 precisa che "l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che deve essere determinata in base a criteri propri e autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato".
Cass. 5866/00 ribadisce che l'assegno divorzile "è determinato sulla base di criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato".
Però, al di là delle pure affermazioni di principio, la giurisprudenza in pratica ha definito i criteri da applicare nell'assegno divorzile finendo per aderire ai principi stabiliti in sede di assegno di mantenimento nella separazione.
In entrambe le ipotesi, presupposto del diritto è la possibilità per il coniuge più debole di continuare a sostenere lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.
Se poi si considera la pratica giudiziaria, solo in ben poche (e rare) fattispecie l'assegno divorzile appare diverso dalla precedente regolamentazione: la vischiosità del sistema è tale da appiattire il giudice del divorzio, nella maggior parte dei casi, sullo stesso importo concesso o accordato nella separazione.
Dal punto di vista critico, occorre rilevare che, anche se i due assegni postulano principi diversi (l'uno viene concesso con riferimento allo stato di coniuge, l'altro con la cessazione di tale stato), il loro fine è tuttavia comune (la tutela del soggetto economicamente più debole) ed ambedue presuppongono la cessazione della convivenza, evento che costituisce la rottura dell'unione coniugale e familiare.
Ci sembra questo il momento da focalizzare, da tenere presente nella definizione della natura dell'assegno di mantenimento e di quello di divorzio.
In entrambi i casi, fondamento dell'assegno sarebbe una specie di solidarietà successiva alla convivenza: in questa prospettiva, i due diversi assegni non sarebbero poi così estranei ed incompatibili tra loro.
Purtroppo finora la giurisprudenza è rimasta ancorata, per quanto riguarda l'assegno di separazione, ai principi espressi nell'epoca in cui non esisteva ancora il divorzio, e quindi l'assegno di separazione è considerato solo in una prospettiva temporanea, ritenendo sempre possibile la riconciliazione dei coniugi.
Non si è ancora compreso che nella nostra società la "crescita dell'instabilità coniugale" è inevitabile (10); in Italia ormai è più facile, secondo una boutade non troppo lontana dalla realtà, rompere il vincolo coniugale che liberarsi di un dipendente.
Perciò la separazione andrebbe considerata (finche l'istituto resterà in vita) come anticamera del divorzio, cercando di armonizzarne e (possibilmente) unificarne in via di principio la natura, i presupposti e la quantificazione del relativo assegno.
Anche perchè sembra eccessivo che tutta l'impalcatura normativa relativa all'assegno di mantenimento abbia efficacia per il limitato arco di tempo di tre anni, solo cioè in presenza di un istituto matrimoniale che subito dopo verrà sciolto con applicazione di principi e criteri completamente diversi.
Ma anche dopo aver adeguato le due normative, rimarrà comunque irrisolta la questione fondamentale, relativa all'interpretazione da parte della giurisprudenza dei termini "adeguati redditi propri" (art. 156, 1° comma, c.c.) e "mezzi adeguati" (art. 5, 6° comma l. div.).
Ne parleremo in seguito.
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(10) BARBAGLI, cit. cfr. pp. 48 51 e 237: "Se il numero dei divorzi è fortemente aumentato nell'ultimo ventennio è probabilmente perchè molte barriere (come l'adesione al principio dell'indissolubilità, la paura di danni psicologici ai figli, la mancanza di autonomia finanziaria, le pressioni dei vecchi genitori, dei parenti e amici) sono venute meno e non perchè la qualità delle relazioni fra i coniugi sia peggiorata'': p. 76.
4. LA NULLITA' DEGLI ACCORDI ECONOMICI PREVENTIVI
La diversa natura dei due assegni non ci sembra comunque una valida ragione per la mancata previsione legislativa di un meccanismo che consenta di fare riferimento nell'assegno divorzile, alle determinazioni delle parti (o del giudice) nella fase della separazione, nel momento cioè in cui le stesse parti possono avere ben presenti tutti gli strumenti conoscitivi delle reciproche entrate ed esigenze di vita.
Va anche tenuta in opportuna considerazione la circostanza che l'assegno di separazione costituisce, al momento dell'accordo, la regolamentazione futura dei rapporti patrimoniali delle parti, per loro espressa volontà.
Detto assegno andrebbe valutato nella determinazione e quantificazione dell'assegno divorzile anche a livello di presunzione, costituendo prova certa delle possibilità economiche dell'obbligato, nonché delle aspettative future del soggetto che già ne beneficia.
Fin dalla introduzione del divorzio ci si è posti la questione circa la facoltà delle parti in sede di separazione personale di fissare l'assetto del futuro divorzio.
La Suprema Corte ha sempre risposto che sono nulli gli accordi economici intervenuti tra i coniugi al momento della separazione diretti a stabilire il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio. E' infatti sottratta alla disponibilità delle parti la regolamentazione in via preventiva e autonoma degli effetti patrimoniali del divorzio.
In applicazione del detto principio di nullità dei patti anteriori al divorzio, la Cassazione ha dichiarato l'irrilevanza dell'accordo intervenuto tra i coniugi al momento della separazione con il quale essi abbiano regolato ogni loro rapporto patrimoniale e dichiarato di non avere l'un l'altro alcunchè a pretendere (9416/95) o abbiano quantificato ora per allora la misura dell'assegno di divorzio (4391 e 6857/92).
Secondo un altro argomento sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, la nullità sussisterebbe anche per illiceità della causa. in relazione all'effetto di condizionare il comportamento delle parti nel successivo giudizio di status, dove invece la libertà di scelta ed il diritto di difesa esigono invece di essere indeclinabilmente garantiti (Cass. 9194/92).
Tale illiceità riguarderebbe la parte concernente l'assegno divorzile indisponibile per la sua natura assistenziale (Cass. 13128/91 e 6857/92), con fondamento nell'esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole, in quanto gli accordi economici sarebbero diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio (Cass. 5244/97, 5866/00 e 8109/00) (10)
Poiché è sottratto alla disponibilità delle parti il potere di regolare in via preventiva ed autonoma gli effetti patrimoniali del divorzio, ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio sono altresì nulli gli accordi intervenuti tra i coniugi al momento della separazione di fatto, con cui essi abbiano regolato ogni rapporto patrimoniale e dichiarato di non avere altro da pretendere l'uno dall'altro (Cass. 9416/95)
La Suprema Corte ha però effettuato una distinzione tra tali fattispecie e quella relativa ad un accordo transattivo già raggiunto tra i coniugi al solo scopo di porre fine ad una controversia di natura patrimoniale, senza alcun riferimento, esplicito od implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti all'eventuale pronuncia di divorzio, riportato nella separazione consensuale: tale accordo transattivo rimarrebbe valido (Cass. 8109/00).
La giurisprudenza distingue tra i patti antecedenti al divorzio e cioè gli accordi economici intervenuti tra i coniugi al momento della separazione, ed i patti contemporanei o successivi al divorzio e cioè sostanzialmente le intese economiche prospettate dalle parti con la domanda (congiunta) di divorzio, poiché tali intese (che vanno pur sempre sottoposte ad una valutazione giudiziale) si riferiscono ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato (Cass. n. 5244/97).
La soluzione della Cassazione ci vede fortemente critici.
Sarebbe preferibile l'accoglimento della tesi opposta, che consentirebbe l'utilizzazione di scritture e contratti prematrimoniali.
L' interpretazione della Suprema Corte potrebbe essere ritenuta contrastante con la Costituzione (art. 2: "la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali" e art. 29, secondo comma "il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale giuridica dei coniugi".
Inoltre la soddisfacente diversa soluzione adottata da altri paesi appare un forte argomento contrario alla soluzione raggiunta dalla giurisprudenza.
Perché non è possibile nel nostro ordinamento, a differenza di altri, certamente non meno civili del nostro (vedi specificamente gli USA), prevedere anche prima delle nozze, le conseguenze della futura cessazione della convivenza e/o dell'unità familiare, stabilendo le future ipotetiche condizioni della separazione e del divorzio, mediante la predeterminazione dei diritti e degli obblighi di natura patrimoniale, liberamente voluti e accettati dalle parti?
Avremmo forti dubbi sulla validità degli accordi, se le parti regolassero anche l'affidamento ed il mantenimento della futura prole, materia in parte loro sottratta, essendo sottoposta al controllo giurisdizionale.
Ma la sola predeterminazione degli accordi di natura patrimoniale tra i futuri coniugi ci sembra materia rientrante nella loro disponibilità.
Va anche tenuto opportunamente conto che il nostro ordinamento riconosce l'"autonomia contrattuale" delle parti, prevedendo che "le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge" e che "le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico" (art. 1322, commi 1 e 2 c.c.).
D'altronde anche in altre materie (e specialmente nella contrattualistica e nel diritto societario) si prevedono ed anticipano le possibili controversie, adottando clausole proprio per predeterminare i rispettivi diritti nell'ipotesi di scioglimento di rapporti.
Va inoltre sottolineato che la legge italiana non esclude del tutto 1'autonomia privata nella definizione dei rapporti economici tra coniugi divorziati: si consideri il divorzio su domanda congiunta (che non prevede alcun controllo giudiziale in funzione di tutela del coniuge economicamente più debole) e la disciplina della corresponsione una tantum (che non consente la proposizione di alcuna successiva domanda di contenuto economico neppure se il beneficiario venga a trovarsi in situazione di bisogno).
(11) Peraltro in qualche decisione risalente (come la sentenza 6312/86), la Cassazione, modificando il proprio orientamento, ha dato rilevanza alla volontà delle parti, quale risultante dalle clausole della separazione consensuale.