I NUOVI CRITERI DETTATI DALLA CORTE DI CASSAZIONE IN MATERIA DI ASSEGNO DIVORZILE
Con la sentenza n. 11504 del 10/05/2017 (pubblichiamo anche il Comunicato che la Suprema Corte ha reso pubblico in pari data considerando il forte "impatto" che avrebbe avuto la sentenza in esame), il Giudice di legittimità ha profondamente innovato la propria giurisprudenza in materia di assegno divorzile, rimasta costante dalle Sezioni Unite n. 11490 del 1990.
In particolare, il tenore di vita goduto durante il matrimonio non vale più come parametro per quantificare l’assegno di divorzio ed il Giudice dovrà ora seguire i criteri dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede.
Il principio dettato allora, basato sul tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o legittimamente fondato sulle aspettative maturate nel corso delle nozze e fissate al momento del divorzio, era il frutto di un compromesso. Da una parte c’era l’esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio, inteso come “sistemazione definitiva”, perché il divorzio era stato assorbito nel costume sociale; dall’altra bisognava però fare i conti con una società nella quale era presente un modello di matrimonio più tradizionale. Da qui “la preferenza accordata a un indirizzo interpretativo che meno traumaticamente rompesse con la passata tradizione”. Esigenze molto attenuate nell’attuale periodo storico in cui il matrimonio, decisamente “dissolubile”, è un atto di libertà e di autoresponsabilità. Tanto che, in coerenza con questa visione, la Cassazione ha da tempo affermato che il diritto al mantenimento viene definitivamente meno quando si crea una nuova famiglia di fatto, a prescindere dalla durata del nuovo rapporto (cfr. sentenze n. 6855/2015 e n. 2466/2016). In buona sostanza, prima della "rivoluzionaria" sentenza n. 11504/2017, la condizione della inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge richiedente l'assegno divorzile o la difficoltà di procurarsele per ragioni oggettive andavano valutate in raffronto con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso dello stesso, per poi determinare i quantum dele somme per superare la inadeguatezza di detti mezzi (v., ex multis: Cass. 05/02/2014 n. 2546).
Con la Sentenza n. 11504/2017, invece, la S.C. nega che sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale: “l’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica, in tal senso dovendosi intendere la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile”. La Cassazione insegna che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che rinvii a tempo indeterminato il momento della “rescissione” degli effetti patrimoniali può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia violando, questa volta sì, uno dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuto dalla Cedu e che il diritto al mantenimento “ad oltranza” sia escluso anche nei confronti dei figli, malgrado l’esistenza di un vincolo che, contrariamente a quello assunto con il matrimonio, dura tutta la vita.
Pertanto il Giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:
a) deve verificare, nella fase dell'an debeatur - informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente-, se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" -salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie- del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;
b) deve poi tener conto, nella fase del quantum debeatur -informata al principio della "solidarietà economica" dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con riconoscimento del diritto-, di tutti gli elementi indicati dall'art. 5 L. 898/1970 («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e valutare «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
In altri termini, l'assegno divorzile non dovrà più garantire all'ex coniuge lo stesso "tenore di vita" goduto durante il matrimonio, bensì limitarsi ad assicurare la sola autosufficienza economica. Pertanto se l'ex coniuge può mantenersi con le proprie forze non gli spetterà alcun assegno; in caso contrario il contributo deve fornirgli il necessario per "raggiungere" l'autonomia economica. Il criterio di misurazione dell'assegno appare quindi svincolato anche dal reddito dell'obbligato.
Vedremo l'applicazione pratica dei nuovi princìpi anche per quanto attiene agli assegni di mantenimento già disposti (sempre revisionabili ai sensi degli artt. 337 quinques c.c. e 710 c.p.c.). Tali norme prevedono -su istanza di parte- un aggiornamento dell’importo dell’assegno di mantenimento in caso di mutate condizioni economiche delle parti. L’assegno potrà subire variazioni al ribasso (se l’obbligato abbia perso il lavoro, sopporti il “peso” di una nuova famiglia, ecc.) od al rialzo (se si sia arricchito, per eredità o avanzamento di carriera, ecc.). Qualora la giurisprudenza introdotta per la prima volta con la sentenza Cass. n. 11504/2017 si consolidasse, il criterio per la rideterminazione dell’assegno (che acquisisce definitivamente una "natura assistenziale") sarebbe quello dell’autosufficienza economica del beneficiario e non più la disponibilità o meno, da parte di quest’ultimo, di mezzi idonei a mantenere il precedente tenore di vita coniugale. Al riguardo va precisato che la prova che l’ex sia capace di procurarsi i mezzi economici sufficienti a mantenersi da solo, ovvero possa attivarsi per rendersi indipendente, va fornita sulla base di quattro indici (non esclusivi):
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri e del costo della vita nel luogo di residenza di chi pretenda l’assegno;
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Trattasi, come si vede, di un terreno probatorio piuttosto scivoloso atteso che, se il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali sarà facilmente documentabile (salva la facoltà del giudice di disporre indagini), ben più complesso il dimostrare (rimanendo l'onere della prova in capo alla parte ricorrente) le capacità e le possibilità effettive di lavoro dell'ex coniuge.
A tale riguardo, il Giudice di legittimità, con sentenza dell’11/05/2017 n. 11538, ha precisato che la normativa vigente non esige che sia fornita, dal richiedente l’attribuzione dell’assegno divorzile, la ben difficile prova della inesistenza assoluta di ogni possibilità lavoro. Secondo la Cassazione, l’assegno divorzile ha una indubbia natura assistenziale e deve essere disposto in favore di chi non ha redditi sufficienti per condurre un’esistenza libera e dignitosa e deve essere contenuto nei limiti di quanto necessario, senza provocare illegittime locupletazioni. Nella fattispecie esaminata dalla sentenza n. 11538/2017, il fatto che il richiedente non disponesse di un impiego fisso, non beneficiasse della casa coniugale, non percepisse un reddito regolare ed abbia addotto incontestatamente di essersi impegnato nella ricerca di un lavoro, dovevano considerarsi indici sufficienti a confermare l’assegno divorzile di euro 200,00 riconosciuto alla moglie, con conseguente rigetto del ricorso in Cassazione dell’ex marito che pretendeva la revoca di detto assegno sulla base della asserita mancanza di prova della controparte circa la inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro.
Pochi giorni dopo la sentenza n. 11504/17, la medesima Sezione I della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12196 del 17/05/2017, si è occupata della vicenda dell’assegno di mantenimento (non divorzile) di un ex Primo Ministro statuendo che il coniuge separato ha diritto di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. In tal caso (riguardante un assegno mensile di due milioni di euro) il Giudice di legittimità, evidenziando le differenze con il caso di cui alla sentenza n. 11504/17, ha rilevato che, con la separazione, il vincolo coniugale non viene meno determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale quali la convivenza, la fedeltà e la collaborazione. Al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale, nel caso di non addebitabilità della sentenza, non vengono meno, pur assumendo forme confacenti con il nuovo status. Pertanto, mentre la separazione “congela” il vincolo matrimoniale che continua a produrre effetti, con il divorzio si mette la parola fine alla coppia e si lascia in vita solamente il dovere di solidarietà economica nei confronti dell’ex coniuge non autosufficiente. Anche nella separazione, però, la Cassazione ricorda che non si vuol promuovere l’inerzia del beneficiario, dovendosi tener conto dell’attitudine di quest’ultimo al lavoro.
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sez. 1°, 10/05/2017 n. 11504
Val al "Comunicato" della Cassazione del 10/05/2017
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sez. 1°, 11/05/2017 n. 11538
Vai alla sentenza Cassazione Civile, Sez. 1°, 17/05/2017 n. 12196